La letteratura italiana del Novecento ha avuto, tra i suoi migliori rappresentanti, non pochi autori siciliani. Non solo scrittori che hanno goduto di una notevole fortuna editoriale, come Vittorini e Sciascia, Brancati e Bufalino, Tornasi di Lampedusa e D’Arrigo, o i nobel letterari Pirandello e Quasimodo. E neppure soltanto quelli che, ancora viventi, più si sono fatti apprezzare dalla critica negli ultimi decenni, come Bonaviri, Consolo, Maraini. Insieme a questi anche uri nutrito gruppo di poeti e di narratori che sarebbe ingiusto, oltre che riduttivo, etichettare come minori: da Cattafì a Borgese, da Lanza a Savarese, da Piccolo a Fiore, da Patti a Vilardo e Addamo, fino a numerosi emergenti come Riotta, Calaciura e Alajmo e a tanti altri che qui sarebbe troppo lungo ricordare.
Tutti, infatti, possono essere considerati come i testimoni tanto estrosi quanto pensosi di quello che si potrebbe chiamare «pensiero meridiano»: un modo di ragionare con la passione e sulla passione del Sud mediterraneo. Un pensiero volutamente meno frenetico di quello in forza di cui si sviluppa l’odierna civiltà industriale, cioè meno calcolante, più meditante e perciò costitutivamente poetico. Ma non per questo incapace di concentrarsi realisticamente sugli aspetti più problematici – e perciò più importanti -dell’esistenza umana. Nelle loro opere è seminato lo sforzo di decifrare l’universo, di capire se esso sia cosmo o caos, salute oppure metastasi, come ripetutamente si chiedeva Bufalino. E di ripensare ogni questione radicale sub specie typographica, al modo degli scrittori appunto, per capire se ciò che l’uomo sperimenta e incontra nella propria esistenza sia definitivo o effimero, giusto, sbagliato o semplicemente illusorio: un punto, una virgola, al limite un punto interrogativo, ovvero un refuso o uno spazio bianco.
Introduzione
La letteratura italiana del Novecento ha avuto, tra i suoi migliori rappresentanti, non pochi autori siciliani. Scrittori come Vittorini e Sciascia hanno goduto di una notevole fortuna editoriale, spesso vedendo tradotte le loro opere in varie lingue straniere. Ugualmente è avvenuto, benché tardivamente, a Tornasi di Lampedusa. Così ancora succede ad altri scrittori siciliani tuttora viventi: basti citare il nome del quasi ottuagenario Bonaviri. Pirandello e Quasimodo sono stati persino insigniti del nobel per la letteratura. Data la loro notorietà e la loro capacità di farsi comprendere da lettori sparsi in tutto il mondo, di diverse nazionalità e perciò di differenti attese e sensibilità culturali – il teatro di Pirandello, per esempio, si recita anche al Cairo in arabo -, il fatto che essi siano siciliani potrebbe essere registrato come un mero dato anagrafico, irrilevante per la loro tutt’altro che provinciale formazione intellettuale ed artistica. E, soprattutto, non sempre rilevabile nei loro racconti o nei loro versi, talvolta ambientati in contesti geografici più neutri o destinati ad orizzonti antropologici più generici e generali rispetto all’Isola mediterranea in cui pure hanno trascorso gran parte – ma non tutta e, alcuni, non la miglior parte – della loro vita.
Eppure il loro esser-siciliani non si riduce mai ad una nota di colore che adorna o macchia semplicemente le loro pagine. Il loro essere nati in Sicilia o da famiglia siciliana, l’avervi trascorso se non l’intera vita almeno gli anni dell’adolescenza e della prima gioventù o della vecchiaia, l’avervi soggiornato lungamente o anche soltanto periodicamente, si radica in un atteggiamento intellettuale di fondo. Più profondo rispetto alla dimensione anagrafica o etnica. L’esser-siciliani significa per loro ereditare modi antichi o di pensare il mondo a partire dalla Sicilia. E in vista di essa. Di scoprire la vita, le sue forme, i suoi significati, le sue potenzialità e le sue aporie, sempre a partire dalla Sicilia. E sempre in riferimento ad essa. Non semplicemente la Sicilia in cui essi vivono più o meno stabilmente; ma piuttosto la Sicilia che sopravvive dentro di loro e che si portano appresso, come una cartina al tornasole mediante cui valutare ogni altra loro esperienza di cosmopoliti.
Il mondo, del resto, nella prospettiva siciliana è come il mare degli eroi greci. O come il deserto dei beduini arabi. Con le sue terribili onde e con le sue dune ingannatrici. E, nel mondo, la Sicilia è scoglio ed oasi. Troppo asfittica perché lo scrittore vi trovi uno spazio tutto proprio, su cui attecchire, in cui prosperare. Ma pure troppo lontana e troppo diversa da ogni altra terraferma per non sentirne, dopo averla lasciata, la nostalgia. Sono questa lontananza e questa alterità — diffidenza verso i miraggi della modernizza-zione tecnocratica e ricerca di una traccia umanistica nella modernità – che specificano la letteratura contemporanea prodotta dagli autori di origine siciliana. A tal punto che questi finiscono per proporsi come i testimoni tanto estrosi quanto pensosi di quello che è stato efficacemente chiamato da Franco Cassano il «pensiero meridiano»: un modo di ragionare – raziocinare, avrebbe detto Pirandello — con la passione e sulla passione del Sud mediterraneo. Il cui ombelico è la Sicilia, appunto. Un pensiero volutamente più lento di quello in forza di cui si sviluppa l’odierna civiltà industriale, cioè più pacato, meno frenetico, meno calcolante per dirla con Heidegger, più meditante e perciò costitutivamente poetico. Ma non per questo incapace di concentrarsi realisticamente sugli aspetti più problematici – e dunque più importanti — dell’esistenza umana. E sulle domande radicali che altrove, nel resto d’Europa, di solito si sono posti e si pongono i filosofi: sul perché del vivere e del morire, sulla sete umana di verità e di giustizia, sulle meschine debolezze del potere, sul confronto tra Dio e il dolore innocente, sulla destinazione ultima e vera dell’uomo. Si tratta, per dirla con Bartolo Cattafi, di decifrare l’universo, di capire se esso sia cosmo o caos, salute oppure metastasi, come ripetutamente si chiedeva anche Gesualdo Bufalino. E di ripensare ogni questione — non solo quella teologica, come pure capitava allo stesso Bufalino — sub specie typographica, al modo degli scrittori appunto, per scoprire finalmente se ciò che l’uomo sperimenta e incontra nella propria esistenza sia definitivo o effimero, giusto, sbagliato o semplicemente illusorio: un punto, una virgola, al limite un punto interrogativo, ovvero un refuso o uno spazio bianco.
Proprio per decodificare l’indole interrogante della letteratura siciliana novecentesca, per cogliere le domande che più vi ricorrono, per interpretare le risposte che le domande stesse evocano e invocano a volte ancora e soltanto implicitamente, il «Centro per lo studio della storia e della cultura di Sicilia», espressione della collaborazione culturale tra la Facoltà teologica di Sicilia e l’Arci-confraternita Santa Maria Odigitria dei Siciliani, ha organizzato, presso la sede romana dell’Istituto Luigi Sturzo, il 21-22 maggio 2003, un convegno intitolato Scrittori siciliani del Novecento e domande radicali. Si è trattato della prosecuzione di una ricerca iniziata già nel gennaio 2002, con un analogo convegno dedicato all’ascolto degli interrogativi radicali nella produzione letteraria di alcuni autori siciliani: Pirandello, Rosso di San Secondo, Tornasi di Lampedusa, Brancati, Quasimodo, Bufalino, Mignosi, Angelina Lanza Damiani, D’Arrigo, Sciascia e, tra i viventi, Bonaviri, Lau-retta, Battaglia, Scaldati. Di quel primo convegno sono stati già pubblicati gli atti nella stessa collana sciasciana in cui appare il presente volume.
Il convegno di quest’anno, ancora una volta organizzato dalla Facoltà teologica di Sicilia, ha mantenuto lo stesso intento. Che non è di avallare un’interpretazione credente dei letterati siciliani del Novecento e delle loro domande radicali, non sempre e non necessariamente coincidenti con le istanze di carattere religioso, benché sia proprio nell’ambito religioso che – come ha scritto Giovanni Paolo II nella sua Lettera agli artisti del 1999 — «si pongono le domande personali più importanti e si cercano le risposte esistenziali definitive». E neppure se ne vuole accreditare un’interpretazione laica. Ma piuttosto se ne tenta una lettura pluralistica. Pluralistica in un duplice senso: sia per valorizzare dialogicamente la pluralità delle ermeneutiche, per farle diventare capaci di incontrarsi, di incrociarsi, di confrontarsi, pur criticamente; di dia-logare, insomma. Sia per stimolare il lettore laico a ipotizzarsi credente e il lettore credente a ipotizzarsi laico, al fine di valutare la “qualità interrogante” della letteratura siciliana senza pre-comprensioni esasperate ed esclusivistiche, e dunque senza pregiudizi. Ecco perché a parlare degli scrittori siciliani del Novecento si sono ritrovati insieme studiosi di teologia, docenti della Facoltà teologica di Sicilia e di altri centri accademici teologici dell’Isola, e studiosi di letteratura, critici, saggisti e docenti di varie università, romane e siciliane.
Dall’insieme dei loro contributi, raccolti in questo volume, viene ribadita la peculiare problematicità della letteratura siciliana del Novecento, percorsa da importanti tematiche come l’antira-zionalistico tentativo d’interpretare il mondo al di là delle sue apparenze che si ritrova nella poesia di Bartolo Cattafì, come il drammatico confronto tra opposte ideologie politiche, e tra certezza e dubbio, tra logica e sentimento nelle pagine di Giuseppe Antonio Borgese, come l’autodialettico e agonico psicodramma tra fede e follia, tra eresia e scandalo negli scritti di Angelo Fiore e di Lucio Piccolo, come la valorizzazione della sofferenza inerme e della sua umana dignità nell’opera di Elio Vittorini, come la ricerca grottescamente ironica o naturalmente religiosa del senso della vita rispettivamente in Francesco Lanza e in Nino Savarese, come il ricordo struggente di una felicità malintesa e perduta nei racconti brevi di Èrcole Patti, come il nichilismo esistenziale di Sebastiano Addamo e la connessa riflessione sulla feriale prolissità della morte, la quale a tutti ricorda continuamente la sua ineludibile promessa anticipandosi in mille dolorose premesse. O, nel caso di autori ancora viventi, come il dramma dell’emigrazione — forma proletaria del viaggio d’espatrio inevitabile però, in Sicilia, anche agli intellettuali – vissuto da tante generazioni di braccianti siciliani e ben tematizzato nella poesia cronachistica e popolare di Stefano Vilardo, come l’impegno pubblico nella cultura di un intellettuale letterato qual è Vincenzo Consolo, come la resistenza-resa alle melliflue violenze del vivere quotidiano di cui metafora eloquente è il mutismo della giovane Marianna Ucrìa raccontata da Dacia Maraini, come il degrado sociale coniugato all’angoscia esistenziale che emergono ancora nella narrativa di scrittori emergenti quali
Gianni Riotta, Giosué Calaciura e Roberto Alajmo. Questi scrittori, insieme a quelli trattati già nel precedente convegno a cui s’è accennato sopra, rappresentano gran parte della letteratura siciliana novecentesca, anche se ancora rimangono da studiare numerosi altri autori, da Maria Messina a Carmelo Samonà, da Fortunato Pasqualino a Melo Freni, anch’essi molto interessanti dal punto di vista delle cosiddette domande radicali.
Più d’ogni altra caratteristica di tipo estetico-formale, quel che davvero caratterizza la letteratura siciliana contemporanea è, difatti, l’inclinazione ad indugiare e ad attardarsi su ciò che nella vita dell’uomo costituisce problema. Per chiederne conto e ragione. Tragicamente, e tuttavia non tristemente, come afferma a mo’ di conclusione del volume Marco Guzzi, l’unico non-siciliano tra gli studiosi che qui scrivono sulla letteratura siciliana.
Massimo Naro
Indice generale
Introduzione
Lia Fava Guzzetta
Dalle domande della scrittura alle domande sulla scrittura.
La coscienza letteraria dei siciliani
Rino La Delfa
«Come una piuma bianca in un gorgo buio e senza fondo».
Francesco Lanza e l’ironia poetica del grottesco
1. Interrogare la fantasia
2. Il mondo poetico di Lanza
3. Paesaggio e poesia
4. La visione cristiana della vita denudata della formalità sacrale
5. La frontiera della morte
6. Conclusione
Maria Trigila
Nino Savarese tra ricerca di senso e dimensione religiosa
1. Cantare un pensiero inappagato
2. Un trittico di significati esistenziali: il tempo, la vita, il dolore
2.1. Il tempo interiore della coscienza
2.2. \latelier della vita
2.3. Il dolore come ricerca della verità eterna
3. Una dimensione religiosa striata di pessimismo
3.1. I motivi religiosi ne //capopopolo
3.2. La dimensione religiosa come habitus: tre livelli
5.Conclusione
Ida Rampolla del Tindaro
La malattia di vivere « nel Rubé di Giuseppe Antonio Borgese
Maurizio Aliotta
L’io estraneo. La “conversazione”di Elio Vittorini sulla malattia
1. Per una lettura “pregiudiziale” della letteratura
2. Il contesto letterario: il viaggio come metafora della vita
3. Il contesto antropologico
4. Conclusione
Filippo Santi Cucinotta Lucio Piccolo, «un osso troppo duro»
1. Esistenza e scrittura
2. Elementi per un profilo biografico
2.1. Decadono i pianeti e finiscono le famiglie
4. Tra domande radicali e risposte inquietanti
4.1. Le domande a Lucio Piccolo
4.2. Le domande di Lucio Piccolo
5. Conclusione
Italo Spada
Èrcole Patti alla ricerca della felicità perduta
1. La felicità perduta nelle pagine del Diario siciliano
2. La felicità nella comunità
3. La felicità nella roba
4. La felicità nella natura
5. La felicità nel ricordo
2.2. Tra un «Vecchiaccio», una «Gatta» assassina e un «Mostro»
3. La produzione
Antonio Spadaro
Dall’altra parte il vero disegno. La poesia di Bartolo Cattafi
1. Interrogarsi poetando
2. Una vocazione poetica
3. Le mosche del meriggio
4. L’osso, l’anima
5. L’aria secca del fuoco
6. La discesa al trono e Marzo e le sue idi
7. L’allodola ottobrina
8. Nell’Oltre la risposta radicale
Antonio Di Grado
Tutto e grazia. Angelo Fiore tra fede e follia
Massimo Naro
Tutto rotola. L’annichilimento della vita
nella scrittura di Sebastiano Addamo
1. Una scrittura ad alto tasso filosofico
2. Vecchie e nuove domande
3. Sorprendersi dell’uomo
4. Il tizio che non c’è
5. La disponibilità al niente
6. Conclusione
Salvatore Privitera
Stefano Vilardo: il diario collettivo
di sfortunate memorie personali
1. Un diario collettivo di memorie personali
2. La triste memoria della propria sfortuna
3. La triste memoria della propria onestà
4. La povera lingua colorata della memoria collettiva
5. Le dolorose tematiche di una triste memoria
6. La schizofrenia geografica della memoria
7. Il mestiere dell’emigrato
8. Le trazzere siciliane come metafora
Giuseppe Bellia
L’obliquo percorso della memoria.
La scrittura di Vincenzo Consolo tra storia, ritualità e sdegno
1. Della radicalità e dell’episteme
2. La ricerca estetica come impegno etico
3. Il recupero rischioso della memoria
4. La ferita di tutti e di sempre
5. Per concludere
6. E per continuare
Cosimo Scordato Marianna, un corpo senza parola.
L’amata scrittura di Dacia Maraini
1. L’intreccio tra istanza letteraria e istanza socio-antropologica
2. La letteratura: dare la parola al corpo e dare un corpo alla parola
3. Il corpo della storia e la storia del corpo
4. Marianna, un corpo senza parola
4.1. Restare senza parole: apofatismo dinanzi
all’indecenza umana
4.2. La parola scritta alla ricerca del corpo perduto
4.3. Se la Parola si fa carne e la carne è abitata dalla Parola
5. Conclusione
Salvatore Feruta
danni Riotta, Roberto Alajmo, Giosué Calaciura:
la recente narrativa siciliana contemporanea
tra inquietudine e nichilismo imperante
1. Pensiero meridiano nella recente narrativa siciliana
2. La geenna meridionale di Calaciura
3. La scrittura provocatoria più che interrogante di Alajmo
4. Pastoie storiche e nostalgia metafisica nelle pagine di Riotta
Indice generale
Marco Guzzi
Per una poetica della gioia
1. L’eredità poetica del XX secolo
2. Quattro tesori per ridare inizio al mondo
2.1. L’annuncio
2.2. Il rinnovamento
2.3. La morte come porta aperta
2.4. La gioia
3. Conclusione
Indice dei nomi di persona
Maurizio Aliotta, Studio teologico “San Paolo”, Catania; Giuseppe Bellia, Facoltà teologica di Sicilia, Palermo; Filippo Santi Cucinotta, Facoltà teologica di Sicilia, Palermo; ANTONIO Di Grado, Università di Catania; LlA FAVA GUZZETTA, Lumsa, Roma; SALVATORE FERUTA, critico letterario, Palermo; MARCO Guzzi, poeta e saggista, Roma; RlNO La Delfa, Facoltà teologica di Sicilia, Palermo; MASSIMO Naro, Facoltà teologica di Sicilia, Palermo; SALVATORE PRTVITERA, Facoltà teologica di Sicilia, Palermo; Ida Rampolla DEL TlNDARO, critico letterario, Palermo; COSIMO SCORDATO, Facoltà teologica di Sicilia, Palermo; Italo Spada, Pontifìcia Università “Seraphicum”, Roma; ANTONIO Spadaro, scrittore de “La Civiltà Cattolica”, Roma; Maria TRIGILA, Facoltà di Scienze dell’educazione “Auxilium”, Roma.
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