U VURCIDDRATU DI VALLELUNGA:CIBO,CULTURA,IDENTITA’ SOCIALE E RELIGIOSA.

chiesa-madre-di-pippo-nicoletti.jpgvallepippo-nicoletti.jpg (foto Pippo Nicoletti)

Ogni comunità locale ha tracciato,nei secoli la sua storia e la sua identità,anche attraverso la creazione di determinati cibi che sono connotativi di una singola comunità.

Il cibo viene considerato cultura quando viene prodotto perché l’uomo crea (produce) il proprio cibo, il cibo è cultura quando si prepara perché l’uomo trasforma i prodotti di base mediante la sua tecnologia, il proprio fare e intervenire, il cibo è cultura quando si consuma perché l’uomo lo fa considerando non solo il suo aspetto nutrizionale ma associandolo anche a valori simbolici. Il consumo, quindi, come azione sociale dotata di senso e componente fondamentale della cultura materiale. Il consumo come elemento di interazione sociale, come incrocio di significati che contribuiscono alla creazione dell’identità collettiva ed individuale all’interno di uno spazio virtualmente oggi sempre meno definito, ma necessariamente innestato nella dialettica tra le tendenze che caratterizzano una cultura materiale planetaria e le “originarie” culture materiali locali.

Mangiare non significa semplicemente soddisfare la sensazione fisica della fame. Non si mangia solo per placare il brontolio dello stomaco, ma anche per soddisfare l’appetito e le proprie emozioni. Fin dai tempi antichi, il cibo viene usato per festeggiare, calmare, per alleviare la noia e la depressione, e come consolazione nei momenti di tristezza e angoscia. Il cibo è considerato come catalizzatore sociale infatti la consumazione di un pasto è un momento privilegiato per comunicare: a tavola ci si riconcilia o si litiga, si fanno dichiarazioni o confessioni; il cibo è espressione dei sentimenti: un piatto preparato con amore è differente da un piatto preparato con indifferenza; si può sedurre con la cucina, attraverso il potere evocativo di spezie, aromi, accostamenti audaci, colori, profumi.
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la mancanza di tempo da dedicare,oggi, all’alimentazione continuano ad aumentare il divario esistente fra cibo e cultura del cibo. La perdita della capacità di progettare l’alimentazione dei figli con i figli da parte dei genitori, fa accrescere il problema: cresceranno generazioni senza più radici cultural-alimentari, per cui la norma sarà il piatto pronto da scongelare nel micro-onde e bicchieroni di bevande ipercaloriche. Si perde nelle generazioni il significato del cibo come reale veicolo emotivo, come fattore comunicativo, oltre chè come strumento per vivere e mantenere la propria salute: raramente una famiglia mangia tutta insieme e molti bambini fanno colazione in macchina, pranzano alla mensa, cenano dai nonni e dopo cenano con i genitori prima di andare a letto.
Secondo molti antropologi attraverso il cibo, la cucina rappresenta un modo per porre in relazione diversi piani di analisi, da quello ecologico a quello tecnico, da quello sociale a quello simbolico. I gusti alimentari rappresentano quindi un effetto del contesto socio-culturale di appartenenza, per cui gusto e disgusto non dipendono dalla natura ma sono spesso determinati dalla cultura e quindi dalle abitudini. Come ha sostenuto Fishler “La variabilità delle scelte alimentari umane procede forse in gran parte dalla variabilità dei sistemi culturali: se non mangiamo tutto quello che è biologicamente commestibile, è perché non tutto ciò che si può biologicamente mangiare è culturalmente commestibile.”
Come ha osservato Mary Douglas, il cibo oltre ad essere un elemento di sostentamento del corpo, è anche un importante medium, in quanto rappresenta un mezzo di comunicazione, attraverso il quale l’individuo esprime se stesso e allo stesso tempo si differenzia dagli altri, ovvero da coloro i quali non hanno le stesse abitudini alimentari. Il cibo può rappresentare una “frontiera culturale simbolica”, così come si può osservare con i tabù alimentari. Ma allo stesso tempo il cibo segna dei confini ben precisi anche all’interno di una stessa società, come ha dimostrato Bourdieu quando ha descritto i sistemi alimentari delle classi popolari e di quelle borghesi.
Il cibo è anche strumentale nel sottolineare le differenze, tra gruppi, culture, strati sociali, e serve a rafforzare l’identità di gruppo, a separare e distinguere il “noi” dagli “altri” [Bourdieu 1983

Come sostiene Massimo Montanari,senza cibo non si vive. Ma il cibo è anche un’occasione per incontrarsi e per far festa, un simbolo di abbondanza e di benessere. Il cibo è talmente importante nella vita degli uomini che ha un ruolo fondamentale anche nella religione. Nel Nuovo Testamento, ad esempio, sono almeno quattro i momenti in cui l’insegnamento di Gesù si collega al cibo: Le nozze di Cana, quando Gesù trasforma l’acqua in vino; La moltiplicazione dei pani e dei pesci; L’ultima cena e La cena di Emmaus.
Dietro ai sapori, agli odori, si nascondono tantissimi significati; dietro al gusto di sedere a tavola, ma anche di stare dietro ai fornelli, esiste una trama fitta di simboli e linguaggi che costituiscono il variegato panorama della scienza culinaria.
Il nostro corpo, la nostra psicologia, l’educazione, la cultura, l’ambiente, la storia, sono elementi fondamentali per ripercorrere e capire l’itinerario del piacere, poiché condizionano non solo la preparazione e la presentazione del cibo, ma anche la percezione visiva, olfattiva e la scelta di alcuni sapori al posto di altri. Esistono poi elementi spesso ignorati ma non meno importanti quali il desiderio, la creatività, la voglia, l’immaginazione che trasformano i cibi e la loro preparazione in un vero e proprio linguaggio.
La storia dell’alimentazione, dunque, è una storia ricca di sorprese, di civiltà alimentari che cambiano, un mondo di gusti, sapori e profumi ancora tutti da scoprire. Un mondo che possiede naturalmente la sua storia, i suoi usi e costumi, i suoi artisti, le sue leggende, tradizioni, e perché no, i suoi eroi, scienziati, filosofi, musicisti e poeti.

Ciò che si fa assieme agli altri, infatti, assume per ciò stesso un significato sociale, un valore di comunicazione, che, nel caso del cibo, appare particolarmente forte e complesso, data l’essenzialità dell’oggetto rispetto alla sopravvivenza dell’individuo e della specie. I messaggi possono essere di varia natura ma, in ogni caso, trasmettono valori di identità. Identità economica: offrire cibi preziosi significa denotare la propria ricchezza. Identità sociale: soprattutto in passato, la quantità e la qualità del cibo erano in stretto rapporto con l’appartenenza a un certo gradino della scala gerarchica (il cibo, anzi, era il primo modo per ostentare le differenze di classe). Identità religiosa: il pane e il vino dei cristiani vanno ben oltre la loro materialità, la dieta dei monaci ha sue regole, la quaresima si segnala con l’astinenza da certi cibi; in altri contesti religiosi, certe esclusioni o tabù alimentari (il maiale e il vino dell’Islam, la complessa casistica di cibi leciti e illeciti dell’ebraismo) hanno il ruolo prevalente di segnalare un’appartenenza. Identità filosofica: le diete vegetariane legate al rispetto della natura vivente o, in passato, a sistemi più strutturati come la metempsicosi o trasmigrazione delle anime. Identità etnica: il cibo come segno di solidarietà nazionale (la pasta per gli italiani, soprattutto all’estero, non è solo un alimento ma anche un modo per recuperare e riaffermare la propria identità culturale; lo stesso vale per il cuscus degli arabi e per tutti i cibi che, in ciascuna tradizione, costituiscono un segno particolarmente forte della propria storia e della propria cultura). Tutte queste situazioni esprimono contenuti diversi, perfettamente comprensibili perché comunicati con un linguaggio codificato all’interno di ciascuna società. E appunto trattandosi di un linguaggio, interculturalità significa non solo disponibilità allo scambio tra culture diverse (come, ad esempio, sta avvenendo nei paesi europei in seguito alla forte immigrazione dai paesi islamici) ma, anche, conoscenza degli altri linguaggi, giacché è evidente che ciascun elemento può assumere, in contesti diversi, diverso significato. nel modo di affrontare le differenze all’interno di una medesima cultura: accanto alle identità nazionali vi sono quelle regionali, urbane, familiari… La “cucina della mamma” risulta sempre più gradita e, soprattutto, assicura conforto e preserva un’identità di cui non siamo sempre sicuri. Il comportamento alimentare diviene in questo senso un importante “rivelatore”: l’uomo è ciò che mangia, certo, ma è anche vero che mangia ciò che è, ossia alimenti totalmente ripieni della sua cultura.

Rientra a pieno titolo nelle caratteristiche tradizioni popolari natalizie della Sicilia anche la secolare tradizione culinaria. Per l’occasione l’estro culinario siciliano si esplica nella realizzazione di ricchi piatti che evidenziano la festa in corso e la bravura culinaria di chi la prepara e principalmente in svariati e succulenti dolci dal sapore genuino tipico degli ingredienti naturali utilizzati, tradizione che risente della concorrenza industriale degli altrettanto classici panettoni e pandori ma che non accenna ad ecclissarsi.
Tra i dolci tipici natalizi realizzati in Sicilia non si può fare a meno di citare altri tipici biscotti come i “Cosi Chini”, contenenti un ripieno di fichi secchi e mandorle, ma soprattutto il “buccellato”, dolce natalizio siciliano per eccellenza contenente un ripieno composto da fichi secchi, uva passa, mandorle, noci, pinoli, bucce d’arancia candite e zucchero ed il classico torrone.

Nel periodo in cui si svolge la novena natalizia che anticamente comprendeva nove serate dove si riunivano parenti ed amici, le donne più anziane per allietare il tempo si apprestavano a preparare diverse pietanze tra cui il dolce natalizio per antonomasia: il buccellato.

I dolci natalizi più diffusi,in Sicilia, sono i buccellati, i nucatuli a Palermo, i mustazzoli a Messina, i cuddureddi a Catania, la petrammennula a Modica, le paste di vino cotto a Cammarata.

Il Buccellato siciliano, dal tardo latino bucellatum, “sbocconcellato”, è un dolce tradizionale, diffuso in tutta l’isola, e consumato nel periodo natalizio. Si tratta di un impasto di pasta frolla, decorata e forgiata in vari modi (spesso a forma di ciambella) ripieno di fichi secchi, uva passa, mandorle, scorze d’arancia e ingredienti che variano a seconda delle zone in cui viene preparato. Cotto al forno, il buccellato si conserva a lungo e, sempre presente nelle tavole natalizie, viene consumato nell’intero periodo festivo.

Passata la commemorazione dei fedeli defunti,il vallelunghese si dedica alla raccolta delle olive. Dopodichè inizia il ciclo delle festività natalizie e la creazione del dolce tipico:I VURCIDDRATI.

Quelli della tradizione vallelunghese sono ripieni di fichi,ma soprattutto di mandorle e assumono la forma di un piccolo tozzo di pane.

La presenza di frutta secca nel ripieno e la modalità della sua preparazione fa pensare che questo dolce tradizionale possa essere pervenuto da una ricetta del periodo medievale,di derivazione toscana,probabilmente dalla città di Lucca dove ,ad oggi,questo dolce, è molto diffuso.

L’ingrediente principale,il ripieno di mandorle,è legato ad una specifica coltivazione presente a Vallelunga:i mandorleti. Ad oggi,non più consistente come una volta, ma pur sempre presenti se pur in minima quantità. Quanto basta,quando l’annata è propizia,per raccogliere quel quantitativo per fare la CUBBAITA a settembre,per i festeggiamenti della Patrona, Maria SS. Di Loreto,e i vurciddrati a Natale. Anche quelli preparati con i fichi secchi, sono legati alla raccolta in estate dei fichi. Raccolta che comunemente avviene nel mese di luglio, alcuni di essi sono destinati ad asciugare al sole, serviranno, in inverno, a confezionare i buccellati o a produrre marmellata casereccia,nel periodo estivo. Era consuetudine “incannarli”, cioè conficcarli in segmenti ricavate da arbusto di “canna” o fatti passare in lunghi fili di spago e appesi al sole perché si asciugassero ed essiccassero.

Così,mentre la natura testimonia l’arrivo dell’inverno,il Buccellato vallelunghese,assume,una sua caratterisitica che è quella di veicolare l’identità di un popolo lavoratore della terra che ha legato la sua storia alla fede cattolica. Il Buccellato,così come altri alimenti,tipici di Vallleunga,dicono la specificità dell’identità di questo popolo. La sua fraganza e la sua dolcezza,sono davvero unici:provare per credere!

Ma il buccellato diventa anche veicolo di incontro tra i residenti a Vallleunga e i suoi tanti figli emigrati in varie parti del nor-italia e dell’Europa (Germania in testa).Infatti,preoccupazione delle famiglie degli emigrati è quello di preparare in casa o comprare negli appositi forni del paese “u Vurciddratu” da far pervenire ai propri cari lontani dalla terra natia. Gli emigrati aspettano il “pacco natalizio”,contenente oltre che i Buccellati,i fichi secchi,le mandorle,le noci e altre realtà tipiche di Vallelunga,per ritrovare un forte legame affettivo ed emotivo con la loro terra e i loro cari. Se l’emigrazione li tiene lontani da Vallelunga, i dolci tipici li uniscono alla loro terra e alleviano la durezza della lontananza dalla loro terra natia.

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