“L’Eucarestia mafiosa”.

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Cos’hanno in comune le organizzazioni criminali e la Chiesa di Roma? Com’è possibile che proprio nelle quattro regioni più devote di Italia – Sicilia, Calabria, Puglia e Campania – siano nati questi fenomeni criminali così feroci?
L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti, opera prima di Salvo Ognibene, affronta il controverso rapporto tra mafia e Chiesa cattolica, una storia che va dal dopoguerra ai giorni nostri. Una storia di silenzi e di mancate condanne che dura da decenni e che è stata interrotta da rari moniti di alti prelati, dall’impegno di pochi ecclesiastici e da alcune morti tristemente illustri come padre Pino Puglisi e don Peppe Diana.
La riflessione prende il via dal tema della ritualità come manifestazione di potere: la processione come compiacenza; l’affiliazione come nuova religione; uomini che indossano la divisa di Dio per esercitare il loro potere in terra. Uomini di morte e di pistola con i santi sulla spalla. La fede di Provenzano nel libro di Dio, la Bibbia, ma anche l’ateismo di Matteo Messina Denaro. Le due facce della mafia nello scontro con i mezzi di Dio. Pur percorrendo la linea già segnata da due grandi studiosi come Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti si presenta con un taglio diverso: non si basa su strutture, non dialoga con i sistemi, ma indaga la realtà di prima mano, interroga i protagonisti di questo dualismo e cattura le ‘voci’, gli esempi concreti del presente per rivalutare la missione e la posizione della Chiesa di oggi. Le voci dei religiosi-testimoni all’interno del libro ripercorrono tutta l’Italia: Monsignor Pennisi; Don Giacomo Ribaudo; Monsignor Silvagni; Don Giacomo Panizza; Don Pino Strangio, Suor Carolina Iavazzo. Preti e suore che hanno preso posizione e hanno fatto del Cattolicesimo, ognuno a modo proprio, uno strumento di lotta alle mafie.
In una nazione in cui l’azione cattolica è ancora fortemente coinvolta nel tessuto politico e sociale, questo lavoro si pone come strumento essenziale di ‘pratica civile’ e di informazione sull’uso della liturgia della fede come strumento di propaganda mafiosa.
Maggiori informazioni nel sito http://www.eucaristiamafiosa.it/

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Indice

Prefazione

1. Storia dei rapporti tra Chiesa, mafia e religione
2. Il Dio dei mafiosi
3. La Chiesa tra peccato, ritardi e giustizia
4. Il Vangelo contro la lupara
5. La voce dei preti
6. Biografie

Salvo Ognibene,
L’eucaristia mafiosa. La voce dei preti

Navarra Editore, Marsala (TP)
Categoria: Saggistica
Anno: 2014
Pagine: 144
Prezzo: 12,00 €
ISBN: 978-88-98865-11-6
Formato: 14×21

Contro Satana.

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All’inizio del 2011 padre Matteo La Grua pronunciò parole profetiche alla giornalista Roberta Ruscica: “Fai in fretta… Vorrei vedere questo libro stampato. Mi resta poco da vivere”. Era vero. Padre La Grua morì pochi giorni dopo, il 15 gennaio, a 97 anni. Nel racconto di una vita tutta dedita a combattere le forze del male, padre Matteo lascia la sua eredità e riflette sull’avvento dei tempi messianici e sulla urgente necessità di conversione dell’umanità intera. E impossibile quantificare miracoli, guarigioni e liberazioni dal demonio da lui operate. Noto e stimato in tutto il mondo, rimase lontano dai riflettori della stampa e dai salotti tv che se lo contendevano. Di sé padre Matteo diceva: “Sono un semplice figlio della Vergine Maria. Sono strumento del Suo grande Amore. Non ho alcun merito”. Eppure i fedeli, a migliaia, facevano attese di ore per assistere alle sue “messe di guarigione” celebrate a Margifaraci, centro di spiritualità sorto a due passi dal cimitero della mafia, quelle fosse comuni in cui furono ritrovate tante vittime della guerra di Cosa Nostra. Uomo di intensa preghiera e di profonda umiltà, ricercato da personaggi famosi e da gente comune, da ricchi uomini d’affari e da poveri sbandati, aprì la porta della sua casa a chiunque avesse bisogno. Questo libro-intervista – da lui fortemente voluto negli ultimi mesi prima di morire – è dedicato a quanti, lontani dall’amore di Dio, sono vittime del demonio.

Cento Passi Ancora…..

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Il volume “Cento Passi Ancora,Peppino Impastato,I Compagni,Felicia,L’Inchiesta” è l’ultima fatica letteraria di Salvo Vitale. Ripercorre,con la forza dei ricordi e dei fatti storicamente accaduti,la vicenda umana e politica di Peppino Impastato,di Cinisi,che è stato barbaramente ucciso dalla mafia nella notte del 9 Maggio 1978.Peppino,militante di Dp,aveva osato puntare il dito contro il boss indiscusso di Cinisi,don Tano Badalamenti,ridicolizzando lui e i suoi “striscia quacina”(seguaci)in pubblico e con l’aiuto di radio AUT.La morte cruenta ed inaspettata di Peppino non scoraggio i suoi compagni che iniziarono a cercare la verità insieme al fratello e soprattutto alla madre di lui:Felicia Bartolotta. Dunque pagine di un diario scritte da chi ha vissuto direttamente questa storia, iniziata subito dopo la morte di Peppino Impastato. Il depistaggio delle indagini, la controinchiesta dei compagni, le vicende processuali, la vita di Radio Aut, la lunga notte di Felicia e la sua ostinata richiesta di giustizia. 22 anni di lotta contro la mafia e uno slogan, scritto in uno striscione portato ai funerali, che ha accompagnato, da allora ad oggi, ogni scelta dei suoi compagni: ”con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”.
Il volume sarà presentato Sabato 17 Gennaio 2015,presso l’auditorium “Maria Grazia Alotta”del Liceo Scientifico “Santi Savarino” di Partinico.Interverranno:la Prof.ssa Chiara Gibilaro,DS del Liceo;le Prof.sse Caterina Brigati e Silvana Appresti; il sostituto procuratore la Dott.ssa Franca Imbergamo;l’autore Prof.Salvo Vitale;Coordinerà i lavori Lorenzo Baldo vice-direttore di Antimafia Duemila.

Presentazione del volume:”De Gasperi uno studio,la politica,la fede,gli affetti familiari.

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Libri, “De Gasperi, uno studio”. Intervista all’autore Giuseppe Sangiorgi: questa Europa è profondamente lontana da quella da lui concepita
La vita e gli ideali di De Gasperi come spunto per analizzare l’Europa di oggi e fare il punto sulla strada ancora da percorrere è filo conduttore che Giuseppe Sangiorgi, 66 anni, giornalista, saggista e segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo, ha proposto nel suo libro, dal titolo ‘De Gasperi. Uno studio’, pubblicato recentemente.
Erano le 2 del mattino del 19 agosto del 1954, 60 anni fa: a Sella di Valsugana, nel Trentino, moriva Alcide De Gasperi. Dagli storici è considerato uno dei più grandi statisti italiani, l’uomo a cui si legano gli anni della ricostruzione dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Sulla sua figura, il segretario generale dell’Istituto Sturzo, Giuseppe Sangiorgi, ha scritto il libro “De Gasperi, uno studio”, edito da Rubbettino. Alessandro Guarasci lo ha intervistato:
R. – Il messaggio di De Gasperi è duplice. Uno è rivolto, diciamo, alla comunità politica nella sua interezza e questo significa quindi avere una visione della politica prevalentemente di carattere internazionale e capire che la politica interna è un di cui della politica internazionale e non viceversa. E poi c’è il messaggio di De Gasperi rivolto al mondo politico cattolico: i cattolici possono fare semplicemente una politica da cattolici, quindi con un di più di moralità, di onestà, di attenzione alle classi più disagiate, oppure possono fare una politica di ispirazione cristiana, che è un’altra cosa, più complicata, molto più impegnativa e anche molto più affascinante. De Gasperi faceva e ha fatto una politica di ispirazione cristiana, con quella quasi impossibile mediazione tra cielo e terra, tra giustizia divina e giustizia umana.
D. – Secondo lei, De Gasperi che cosa direbbe oggi di questa Europa, molto lacerata e molto fondata sui parametri finanziari?
R. – Che questa è un’Europa estremamente lontana – perché è ancora un’Europa degli Stati – da quella che aveva concepito lui, che era quella degli Stati Uniti d’Europa. Però, avrebbe fatto anche una annotazione positiva: con la Prima Guerra Mondiale e la Seconda Guerra Mondiale l’Europa è stata un immenso campo di battaglia. Oggi, da oltre mezzo secolo, l’Europa è un’enorme area, la più grande area strutturata del mondo, pacifica, che attrae e che espande un’idea pacifica della politica. Stare dentro l’Europa è anche stare dentro un enorme sogno e guai a svegliarsi e a perdere quel sogno lì…
D. – Secondo lei, ci sono delle aree inesplorate nei rapporti di De Gasperi con la Chiesa? Insomma, un rapporto non sempre idilliaco…
R. – E’ stato sempre difficilissimo il rapporto di De Gasperi con la Chiesa, perché De Gasperi compie una trasformazione che la Chiesa non aveva mai accettato fino in fondo fino a quel momento. La Chiesa aveva finalmente condiviso l’idea di una democrazia sociale, ma De Gasperi trasforma l’idea di una democrazia sociale in democrazia politica: è un salto di qualità che la Chiesa ha sempre fatto con una certa difficoltà. Leone XIII aveva parlato sì di democrazia cristiana, ma con un valore sociale e Murri era stato scomunicato perché aveva fatto una prima democrazia cristiana come partito politico. Quell’antico problema è rimasto soprattutto nei rapporti tra De Gasperi e Pio XII. Alessandro Guarasci, Radio Vaticana, Radiogiornale del 19 agosto 2014.
Quale era l’idea di Europa di De Gasperi e come si coniuga con la situazione attuale?
“Il libro è la ricostruzione della vita di De Gasperi ma anche un pretesto per parlare di oggi. De Gasperi è uno dei padri dell’Unione Europea ma immaginava di raggiungere gli Stati Uniti d’Europa. Un traguardo federativo che è ancora lontano, la strada è ancora molto lunga. Emblematico, ai tempi di De Gasperi, il caso della Ced, la Comunità europea della difesa. In Corea la parte comunista aggredisce la parte libera e in Ue molti hanno paura che la Russia possa fare altrettanto. Quindi molti, a partire dai francesi, pensano ad un sistema di difesa comune. Al suo interno il progetto prevedeva un ente sovranazionale. Nel ’54, quando De Gasperi muore, il progetto del Ced naufraga e quello che sembrava essere un grande successo anche di De Gasperi si blocca. Quindi bisogna ripartire da lì, dal superamento dell’Europa degli Stati in favore degli Stati Uniti d’Europa. Questo implica almeno un sistema economico, fiscale e di diritti di cittadinanza civili più omogeneo”.
Cosa è cambiato per l’Italia con il voto alle ultime elezioni europee e cosa potrà fare l’Italia durante il semestre di presidenza?
“Bisogna fare in modo che ci si senta cittadini europei. Questa è la scommessa, questa è la via: chi la segue farà del bene all’Ue. Anche perché l’Europa ha già vinto un sfida, è l’area stabilizzata e pacifica più grande del mondo”.
Come vede l’ascesa degli euroscettici?
“Ogni crisi ha in sè una chance. Anche l’euroscetticismo può essere una chance, una spinta per portare avanti questo progetto. Ovviamente ci deve essere una convenienza per gli Stati, ad esempio in termini di affermazione e opportunità. Lo sforzo delle istituzioni, quindi, è proprio coniugare idealità e convenienza”.
Cosa si aspetta dal premier Matteo Renzi in ambito europeo?
“Mi auguro che porti pochi punti ma che abbiano risvolti concreti. Anche perché se si è attenti alle scadenze il tempo a disposizione è davvero poco. Considerando il mese di agosto, che è tutto fermo, si arriverà ad ottobre. Da qui si capisce come i tempi siano particolarmente stretti. L’ideale sarebbero solo due o tre decisioni. Una di carattere fiscale come un tetto minimo e massimo alla tassazione dei singoli Paesi per evitare disparità così enormi. Il secondo riguarda i diritti di cittadinanza e in particolare l’immigrazione. A fronte di 800 milioni di cittadini in Ue nel 2050 si stima che in Africa ci saranno 3 miliardi di persone. Quindi 3 individui di colore ogni bianco. Sarà la demografia a prendere il sopravvento. Ci vogliono politiche continentali per governare questo cambiamento, interventi sul posto per risolvere i problemi che o si affrontano o ci travolgeranno. Non possiamo fare finta di nulla e chiudere gli occhi”.
“Con la sua vita attraversa tre secoli di storia italiana. Nella prima parte è figlio della pace di Vienna, dell’Ottocento. Infatti è cittadino austriaco ma vuole essere italiano. La seconda parte è pienamente calata nel ‘900 con il ruolo che ha ricoperto per la politica italiana. La terza, invece, attraversa il secolo che stiamo vivendo per la sua idea di Europa. Ha molte cose da dirci in termini di sviluppo e amore per la libertà”.
Sangiorgi, attuale segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo, è stato direttore responsabile del Popolo, presidente dell’Istituto Luce e commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Giornalista, è autore di varie pubblicazioni tra le quali ‘Il romanzo del Popolo’, ‘Piazza del Gesù un diario politico’, ‘Rivoluzione Quirinale’.

“E nessuno lo sappia….”.Per un ricordo di Padre Calcedonio Ognibene.

locandina
Copertina (4)
Don Ognibene (2)

Lo spazio dei Fratelli.

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Invito conf. confraternite

Non so lasciar la penna.

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Dalla Sicilia alla Puglia.La Festa di San Giuseppe.

talmus san giuseppe
volantinoSGiuseppe
talmus Sgarbi Musardo
Il volume è stato presentato dal Prof. Vittorio Sgarbi e dal Prof. Rodo Santoro su invito della Delegazione Sicilia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e la TALMUS ART EDITORE il 18 marzo presso la Chiesa di San Nicolò daTolentino, a Palermo
Dalla Presentazione:
“Lo studio di questa particolare festa della tradizione religiosa cristiana è oggi più che mai prezioso perché compendia quella civiltà contadina che oggi rischia definitivamente di scomparire.
Un libro che ne racconta l’origine e l’evoluzione, è un’opera indubbiamente meritoria. Questo, in particolare, oltre al ricco corredo fotografico, costituisce, per il rigore scientifico e per la linearità della scrittura didattica che ne fa un libro di ampia divulgazione, un prezioso contributo alla conoscenza e all’approfondimento di San Giuseppe e dei riti religiosi a lui ispirati
. ” [Vittorio Sgarbi]

Dalla Sicilia alla Puglia la festa di San Giuseppe è una semplice raccolta di santini e immagini sacre riferite al santo di Nazareth? E’ il peregrinare faticoso per paesi e città alla ricerca del misto sacro-profano? E’ l’esercizio retorico culturale per ricostruire feticismi e misticismi profani e poplari? No. E’ la saggezza mirata a rivalutare un culto che è di popolo, che è di piazza, che è di fede, che è cultura, storia e arte, senza confusioni. E’ un capolavoro di immagini e di testi, freschi di stampa, uscito in questi giorni, e concepito da chi ne è stata la curatrice, la dottoressa Vincenza Musardo Talò, per volere di una giovane casa editrice pugliese, la Talmus Art. Il santo degli artigiani, degli operai e dei falegnami; della buona morte e della vita indissolubile chiamata matrimonio, conquista un posto d’onore nella iconografia, ma, anche, nella ripresa e rivalutazione di un culto molto diffuso in due regioni meridionali: la Sicilia e la Puglia. Due realtà lontane, ma affini, definite nel testo “regioni sorelle”, perché di esse è stato colto il senso vero di una appartenenza, di una identità consacrata nella icona di un santo che pulsa nel cuore dei due popoli, segnandone la storia, i ritmi, i passi, l’autenticità di una fede; di un connubio antico, nuovo, moderno, sancito, non solo da quel mare Mediterraneo che unisce, ma dalla sacralità di due mondi che si incontrano sull’altare dell’amore verso lo sposo di Maria Vergine.
Culti isolati, personali e soggettivi, ma, anche comunitari, collettivi nella espressione di Confraternite, sodalizi religiosi, Pie Unioni. Una coralità di cuore che esprime generosità e gratitudine, senza finzioni, senza ipocrisie, senza falsi ed inutili pudori, perché la fede autentica è quella che si manifesta e non quella che viene nascosta o repressa per rispetto umano. In questa opera nuova, non è da sottovalutare il coraggio mostrato da Vittorio Sgarbi, il quale ha saputo leggere i segni di un popolo, della gente autenticamente genuina; ha saputo intercettare le istanze di fede raccolte non in un crogiuolo, non in fazzoletto bagnato di lacrime, ma nello specchio di una vita, perché la vita di Giuseppe è stato specchio di fedeltà, di servizio, di obbedienza, di silenzio, di operosità. A questo meritorio lavoro va il plauso verso i tanti che hanno collaborato con la loro esperienza, con la loro voglia di ricercare, studiare, approfondire, conoscere e far conoscere il valore di un personaggio, staccato dal cuore della storia della Redenzione, per diventare medaglia di ogni singolo credente; di ognuno che ha sentito il bisogno del rifugio sicuro e sereno in colui che protesse nel rifugio del suo cuore immenso, la vita di Maria e di suo figlio, Gesù Cristo. Brevi considerazioni le nostre. Per meglio entrare nel clima di quest’opera, abbiamo affidato il compito alla sua curatrice, Vincenza Musardo Talò, che dobbiamo definire instancabile zelante e zelatrice di una missione.(Giuseppe Massari).

Partire per un viaggio – sia pure per immagini e narrati – nel magico labirinto di antichi sapori e colori delle solari regioni di Puglia e Sicilia, le due Terre più fascinose del Mediterraneo, cariche della voce dei secoli e laboratorio interculturale di civiltà lontane…
Viaggiare per antiche e nuove contrade, nella veste di umili pellegrini della cultura, per rivisitare uno dei più ricchi patrimoni di rituali, di cui si adorna la devozione popolare: la festa di S. Giuseppe…
Entrare, con rispetto, nella intima microstoria di tante comunità, che da secoli, con la tenacia della fede e l’umiltà dei semplici, affidano il loro vissuto al patrocinio potente di questo santo Patriarca…
Questi gli obiettivi del presente volume, accostato da studiosi di legittimato spessore scientifico e documentato da un corredo iconografico, proveniente dagli scatti artistici di esperti della fotografia o dalla istantanea e fresca foto-ricordo del devoto visitatore e del turista, unitamente ad alcuni rari esemplari di piccole immagini devozionali, riemersi da prestigiose collezioni private…
E il tutto sapientemente supervisionato dall’occhio “critico” di Vittorio Sgarbi: uno dei più stimati e accreditati studiosi di Estetica, nonché profondo e severo conoscitore dell’Arte, che la contemporaneità possa vantare. Il libro racconta l’origine e l’evoluzione della festa di San Giuseppe dalla Sicilia alla Puglia. Grazie alla ricca dotazione di illustrazioni, al rigore scientifico utilizzato nella descrizione e la linearità della scrittura didattica, il libro è adatto ad un’ ampia divulgazione, ed è un prezioso contributo per far conoscere ed approfondire il culto di San Giuseppe.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Quanto la iconografia dei santini, predisposta da Stefania Colafranceschi, ha contribuito alla buona riuscita dell’impresa?

R. Attraverso un variegato universo di costumanze e tradizioni comuni, il volume legge anche un aspetto delicato e intimo della devozione popolare a san Giuseppe, raccolto e testimoniato nei santini di una volta e magistralmente esemplato nella ricerca di Stefania Colafranceschi. A guardarli, questi minuti miracoli di carta, si coglie il delicato sentire delle folle devote dinanzi a una iconografia certamente popolare, ma capace di un trasporto di emozioni e di fede robusto verso il Santo che dopo Gesù e Maria fu il terzo protagonista del progetto salvifico dell’Altissimo. E voglio anche evidenziare l’impegno e l’attenzione delle confraternite di san Giuseppe, da sempre tese a mantenere e veicolare una devozione fatta di rituali segnici, che accompagnano la religiosità popolare nell’alveo sicuro della liturgia, nel mentre si mostrano degne custodi di un prezioso serto di valori e ideali del vivere umano, tanto magistralmente esemplato nella vita del Santo falegname di Nazaret. Ma, nel complesso, l’intero lavoro di studi e ricerche, depositato e offerto in questo volume, si configura come un’occasione di affettuosa condivisione di tante testimonianze di fede in san Giuseppe, comuni non solo in Sicilia e in Puglia, ma sparse per tutte le strade dell’ecumene, là dove è caro il nome di questo Santo patrono della Chiesa Universale.
(Intervista alla Prof.ssa Vincenza Musardo Talò a cura di Giuseppe Massari).

Volume rilegato con copertina telata e sovracoperta con impressioni in oro.
carta patinata lucida 200gr/mq interamente a colori riccamente illustrato,
208 pag. formato 21×30 e elegante custodia con impressione in oro.
É un regalo per lo studioso e il cultore di tradizioni popolari.
É un regalo per la festa del Papà e uno strumento di promozione turistica

Sommario
Presentazione [Vittorio Sgarbi]
Nota del curatore [V. Musardo Talò]
Parte prima: Sicilia. Terra di san Giuseppe
La festa di san Giuseppe: geografia cultuale in Terra di Sicilia [D. Scapati]
Tra miti e credenze. Patronage giuseppino nelle contrade siciliane [C. Paterna]
I pani merlettati di Salemi, capitale del culto siciliano in onore di san Giuseppe [P. Cammarata]
Pietanze della tradizione nelle tavolate di Vita e dintorni [S. Fischetti e AA.VV.]
Parte seconda: Puglia. Omaggio a san Giuseppe
La Puglia per san Giuseppe. Storia e devozione [V. Fumarola]
A oriente di Taranto, cuore pugliese del culto giuseppino [S. Trevisani]
San Giuseppe nel Salento: riti e tradizioni [E. Imbriani]
Architetture dell’anima: i magici altarini di san Giuseppe [V. Musardo Talò]
Asterischi
Iconografia giuseppina nell’arte colta [V. Sgarbi]
Dalla Sicilia alla Puglia:
le Confraternite di san Giuseppe custodi della religiosità popolare [V. Musardo Talò]
“A Te, o beato Giuseppe…”: il culto di san Giuseppe nei santini [S. Colafranceschi]
Autore :Autori Vari.
presentazione di Vittorio Sgarbi
Edizione: Talmus-Art – 2012
ISBN 9788890546075
Prezzo 54,60 euro

Sorprendersi dell’Uomo.Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura.

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Don Massimo Naro,giovane teologo della chiesa nissena,direttore del Centro Studi “A.Cammarata” di San Cataldo e docente presso la Facoltà Teologica di Sicilia di Palermo,si propone con un nuovo ed interessante lavoro dal titolo:”Sorprendersi dell’Uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura”,edito dalla Cittadella editrice. I saggi raccolti in questo nuovo volume si propongono di attenzionare,in chiave teologica e ateologica,le domande radicali della letteratura contemporanea in relazione al senso dell’esistenza umana. Il libro raduna saggi dedicati a poeti e narratori che hanno cercato delle risposte alle cosi dette domande radicali. Nella presentazione al testo il Prof.Giulio Ferroni, docente alla Sapienza di Roma,dice che la “radicalità di queste domande è data proprio dal loro essere semplici,dal loro chiamare in causa l’esperienza di tutti quelli che vivono”.Interrogativi semplici, ma al contempo ultimativi, che vertono su questioni forti quali il perché “del vivere e del morire,sulla sete umana di verità e di giustizia,sulla meschine debolezze del potere,sul confronto tra Dio e il dolore innocente,sulla destinazione ultima e vera dell’uomo”.La tesi di fondo sostenuta dall’Autore è la seguente:”la letteratura,sia quella che parteggia per Dio sia quella che grida contro Dio,la letteratura esplicitamente religiosa ma anche quella ateologica,mostra di non poter rimanere senza Dio. Diventa, insomma, un discorso in cui Dio non è nominato esplicitamente e però rimane altrimenti invocato. Così la letteratura e le sue parole rinviano ad un orizzonte-altro, a cui l’uomo non può smettere di anelare”.Per dimostrare ciò,Naro interpella autori noti e meno noti della letteratura dell’otto-novecento che possono essere iscritti,a vario titolo,in ciò che l’autore definisce letteratura “meridiana”:ossia ciò che altrove è stato fatto da filosofi,soprattutto in Sicilia,è stato fatto da letterati.La lettura che Divo Barsotti fa di Leopardi  e quest’ultimo come testimone  della crisi spirituale moderna. La natura poetica della verità,ossia le questioni radicali nella scrittura letteraria dell’inglese John Henry Newman, probabilmente la vetta assoluta del pensiero cattolico post rivoluzione francese. Nato anglicano e convertitosi al cattolicesimo sino a diventare cardinale,Newman è un singolare miscuglio di teologia e letteratura. Per l’autore inglese,Don Massimo parla di autentica “poesia del pensiero” capace di esprimere nelle sue opere “un orizzonte misterioso sorprendentemente presagito oltre che acutamente interpretato,suggestivamente immaginato,ma anche lucidamente interpretato”.A fare da apri pista per gli autori siciliani è Pirandello con le sue  lanterninosofie,facendo reagire le dichiarazioni di fede dello scrittore isolano (“sento e penso Dio in tutto ciò che penso e sento”)con il suo pensiero scettico o di conclamato agnosticismo,lambendo in certi casi l’azzeramento di ogni fede. Prosegue con la  scrittrice, mistica palermitana, Angelina Lanza Damiani,prendendo in considerazione “la terza interpretazione della vita”.Le tematiche della tanatofilia e della tanatofobia,per dirla con Bufalino, attraversano il pensiero poetico siciliano e l’opera dello scrittore ateologo  Sebastiano Addamo e la verità insultante di Pippo Fava,ucciso da Cosa Nostra. L’Italia umile di Carlo Levi  e la poetica profetica di Mario Pomilio. Le domande radicali non si limitano alla sfera esistenziale e religiosa ma sfidano la stessa modernità facendo i conti con il “disinganno cosmico e religioso”,scrive Naro,che l’epoca moderna impone con prepotenza. Due interessanti capitoli conclusivi sono dedicati alla Bibbia come codice della cultura occidentale  e alla Bibbia musiva presente nei mosaici del duomo di Monreale riletta dal poeta Davide Maria Turoldo e dal teologo Romano Guardini.Scrive Naro “Per Turoldo il duomo di Monreale è un «Eden dell’Arte» e i suoi mosaici sono un «mirabile tesoro» che il popolo di Sicilia ha la responsabilità di «custodire» in forza di una vocazione consegnatagli attraverso una storia ormai plurisecolare e nonostante le ombre negative che smorzano lo splendore di questa stessa lunga e grandiosa storia. Si tratta certamente di una vocazione culturale. Ma non solo: il popolo di cui parla il poeta ha, in questi versi, un profilo ecclesiale e perciò la sua vocazione ha anche una ineliminabile qualità cristiana, dipendente proprio dal suo rapporto con il duomo e, nel duomo, con la Parola di Dio che riecheggia figurativamente nei mosaici. La «grazia» e la «virtù» di questo popolo, la sua nobiltà regale più forte di ogni pur suo infamante «crimine», consistono nel suo stare dentro la reggia – che è appunto la basilica costruita nel XII secolo da re Guglielmo II – e nel leggere, dentro la reggia, dentro la basilica, «le storie di Dio» che vi sono raffigurate su uno sfondo immenso di «pietruzze d’oro».

Guardini,scrive Naro, giunse a Monreale nel pomeriggio del giovedì santo del 1929, mentre vi si stava svolgendo la celebrazione liturgica in coena Domini, e vi ritornò il sabato santo, per la messa pasquale. E perciò ebbe la provvidenziale opportunità di vederne lo splendore artistico non nella sua immobilità e intangibilità museale – come di solito accade al turista che vi si reca semplicemente come tale – bensì rivitalizzato dall’azione liturgica alla quale, sin dalla sua costruzione, era stato destinato. Guardini, dunque, non si limitò a visitare il duomo di Monreale. Più radicalmente: lo visse, ne fece esperienza. Percependolo non come cornice materiale ma come parte integrante di un mistero vivente, in cui – per il suo carattere metastorico – ugualmente sono coinvolti gli uomini di oggi insieme a quelli che li hanno preceduti ieri e che hanno loro tramandato il testimone della fede. I profeti biblici e i santi raffigurati negli immensi mosaici monrealesi sembrarono animarsi agli occhi di Guardini, risvegliati dal fruscio dei paramenti sacri e dai canti dell’assemblea, coinvolti nei ritmi della celebrazione, aggregati alla preghiera del vescovo e dei suoi assistenti. Ma, soprattutto, interpellati dallo sguardo dei fedeli, sguardo di contemplazione attraverso cui il mistero si lasciava raggiungere e si rendeva di nuovo presente. Ciò che colpì maggiormente Guardini, secondo la sua stessa testimonianza, fu appunto lo sguardo orante della gente riunita dentro il duomo. «Tutti vivevano nello sguardo» (Alle lebten im Blick), tutti erano protesi a contemplare, scrive affascinato Guardini, intuendo il valore metafisico di quel contemplare: quegli uomini e quelle donne, vivono – più assolutamente: sono – in quanto guardano, vivono e sono perché spalancano i loro occhi sul mistero.

Infine,l’immagine messa in copertina è tratta da una rivista tedesca, negli anni trenta, i terribili anni del nazismo, diretta da Romano Guardini (la rivista si intitolava “Die Schildgenossen”, che significa “gli scudieri”, i portatori di scudo…). L’immagine fu disegnata da Desiderius Lenz, e vuole indicare il modello dell’uomo nuovo, secondo una visione cristianamente ispirata, che la rivista si proponeva di propugnare tra i suoi lettori, docenti e studenti universitari anti-nazisti. Difatti il titolo dell’immagine è “Kanon des menschlichen Kopfes” (Canone del Capo umano, o del Volto umano).

M.Naro,Sorprendersi dell’Uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura,Cittadella Editrice,pp.392,euro 22,80.

Sul crinale del mondo moderno…..

locandina per Palermo

Presentazione del volume di S.E.Rev.ma Mons.Cataldo Naro:

SUL CRINALE DEL MONDO MODERNO,scritti brevi su cristianesimo e politica.

Sul crinale del mondo moderno:cristianesimo e politica.

Invito alla lettura della Bibbia.


L’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Benedetto XVI (30 settembre 2010) invita autorevolmente a riflettere sulla Parola di Dio nella Chiesa, a riscoprire la grandezza, la straordinarietà del fatto che Dio si rivela agli uomini: «Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi. Il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso». La conversazione dell’uomo con Dio si realizza anche attraverso le pagine della Sacra Scrittura.
«Umberto De Martino», scrive Michele Dolz nella Prefazione, «offre pagine semplici, per facilitare una lettura intelligibile della Scrittura. Scopo principale del libro, infatti, è invitare alla lettura della sacra pagina, fornendo elementi storici e dottrinali per un’efficace comprensione del testo. Qui non si tratta dell’analisi dei singoli testi biblici quanto del metodo per affrontare positivamente la Bibbia: l’inquadramento storico dei libri, le necessarie precisazioni filologiche e, soprattutto, il rapporto tra i due Testamenti, perché l’Antico Testamento aiuta a comprendere meglio il Nuovo che, a sua volta, illumina l’Antico».
Il volume si compone di tre parti. Nella prima vengono svolte alcune agili considerazioni metodologiche; la seconda parte contiene rapide introduzioni ai libri dell’Antico Testamento; nella terza parte vengono commentati alcuni passi scritturistici, come suggestiva esemplificazione del metodo interpretativo.

La Prefazione di Michele Dolz
Tutti oggi leggono – o possono leggere – la Bibbia. La rivoluzione di Lutero, che la voleva in mano a tutti i fedeli, è diventata realtà ordinaria anche tra i cattolici, specialmente dopo gli incoraggiamenti del Concilio Vaticano II. È cambiata radicalmente l’accessibilità al testo sacro: basti pensare che, solo poche generazioni fa, liturgicamente la Parola di Dio veniva proclamata in latino e senza amplificazione, e al popolo si fornivano prediche o riassunti narrativi della storia sacra. La Bibbia – o almeno il Nuovo Testamento – è oggi il libro più venduto e più economico. Ci sono libretti usa e getta, c’è la sconfinata risorsa della rete, abbondano film e strumenti didattici di ogni specie.
Ma questa nuova accessibilità pone subito il problema interpretativo. Lutero lo risolse non risolvendolo: ciascuno si dia la propria interpretazione. Ma la Bibbia è facile e difficile allo stesso tempo. Facile perché Dio è semplice e non si nasconde al cuore umano. Difficile perché i numerosi libri che la compongono sono stati scritti in epoche diverse, da autori diversi, in contesti culturali e linguistici anche molto lontani da noi. Serve pertanto un corredo scientifico che aiuti a inquadrare bene i fatti e gli insegnamenti per meglio comprenderne il significato.
È accaduto, però, che – dietro la spinti dei biblisti protestanti – gli studiosi si siano concentrati sugli aspetti filologici, analizzando con precisione le parole originali, gli stili letterari, la struttura dei libri… con la conseguenza che al normale fedele che legge o ascolta tali maestri, la nuova accessibilità della Bibbia diventa paradossalmente impenetrabilità, dal momento che non può disporre di così raffinati strumenti. «Possibile che la rivelazione di Dio sia raggiungibile soltanto dagli esperti?», si può domandare il lettore. E se per caso gli venisse in mente di leggere i commenti scritturistici dei Padri, si renderebbe conto che essi cercavano di distillare la teologia dei testi, il contenuto salvifico della rivelazione, con i chiarimenti di contorno che erano a loro disposizione.
L’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Benedetto XVI (30 settembre 2010) invita autorevolmente a riflettere sulla Parola di Dio nel suo uso nella Chiesa, per riscoprire la grandezza, la straordinarietà del fatto principale: Dio che si rivela agli uomini. «La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi. Il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso». La conversazione dell’uomo con Dio si realizza anche attraverso le pagine della Sacra Scrittura.
Umberto De Martino offre pagine semplici, per facilitare una lettura intelligibile della Scrittura. Scopo principale del libro, infatti, è invitare alla lettura della sacra pagina, fornendo elementi storici e dottrinali per un’efficace comprensione del testo. Qui non si tratta dell’analisi dei singoli testi biblici quanto del metodo per affrontare positivamente la Bibbia: l’inquadramento storico dei libri, le necessarie precisazioni filologiche e, soprattutto, il rapporto tra i due Testamenti, perché l’Antico Testamento aiuta a comprendere meglio il Nuovo che, a sua volta, illumina l’Antico.
Michele Dolz
Capitolo I
«Lettura biblica & vita cristiana»
di Umberto De Martino
La vita umana si specifica in tante modalità intellettuali e operative; i giorni trascorrono tra il lavoro, la famiglia, lo sport, la distensione, le relazioni sociali, l’interesse politico: ognuno ha le sue attività e i suoi impegni. Tutte le operazioni hanno un valore intrinseco, possono essere opportune o inopportune, buone o meno buone; ogni azione ha una sua finalità materiale o spirituale e molte operazioni possono essere elevate a un piano superiore mediante l’applicazione personale e la grazia divina. La vita cristiana è arricchita dall’incontro personale con Dio, che talvolta è spontaneo e immediato, ma spesso richiede lo sforzo di elevazione dell’anima: una possibilità basilare di tale incontro è offerta dalla lettura biblica. Alcuni conoscono la sacra Bibbia, altri ne hanno solo sentito parlare: a tutti viene suggerito di acquistare dimestichezza con il libro sacro, elemento essenziale per la conoscenza della verità rivelata, della natura di Dio e dei princìpi morali.
La sacra Bibbia ha molte caratteristiche peculiari; in particolare, può essere considerata come la lettera di un padre ai suoi figli. I Padri della Chiesa e il Magistero ecclesiastico frequentemente considerano la sacra Bibbia come una lettera scritta da Dio Padre ai suoi figli, che vivono sulla terra e camminano verso il Cielo. «La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi» (Benedetto XVI, Es. ap. Verbum Domini. 30.9.2010, n. 6).
La lettera è lunga e articolata, densa e profonda, scritta nell’arco di molti secoli, dichiarativa delle grandezze di Dio e orientativa dell’agire morale. La missiva è per tutti, ma non è una lettera circolare: si tratta di una lettera personale, che bisogna leggere per proprio conto. La lettura richiede le opportune precauzioni, affinché il contenuto risulti intellegibile e utilizzabile. La missiva è insolita, perché scritta nel corso dei secoli, con le prime pagine che vedono la luce nella profondità di circa 1.500 anni prima di Cristo e le ultime completate nel primo secolo dopo Cristo.
Inoltre, la lettera risulta pensata e trasmessa in lingue lontane dalla conoscenza comune della mentalità moderna e del tempo attuale: la stesura originale è in ebraico, aramaico e greco antico. Sono considerazioni elementari, che invitano a una lettura prudente, cauta, umile. La distanza culturale, però, non si oppone alla lettura personale, anche nel caso di coloro che non hanno una dotazione scientifica appropriata per cogliere tutta la ricchezza e tutte le sfumature del libro sacro. Chi non conosce le lingue originali o non è addentro alla storia e all’antropologia dei semiti percepirà qualcosa in meno, ma riuscirà a valorizzare il messaggio personale che la rivelazione trasmette a ciascuno.
Lo strumento essenziale per entrare in contatto con le verità divine della sacra Scrittura è la fede, che è la dotazione più comune dei cristiani. Anche quelli che, pur battezzati, dicono di non avere fede, sono pienamente idonei alla lettura efficace della Bibbia se accettano la condizione più semplice di chi ha bisogno di una lettura guidata.
La vita cristiana invita tutti all’incontro personale con Dio, e questo si realizza mediante la preghiera, i sacramenti e la partecipazione diretta alla rivelazione divina contenuta nella sacra Bibbia. La figura veterotestamentaria di Dio creatore talvolta risulta un po’ lontana per l’uomo moderno, ma la figura di Gesù Cristo è vicinissima all’uomo del nostro tempo. Anzi, «in Cristo la religione non è più un “cercare Dio come a tentoni” (cfr At 17, 27), ma risposta di fede a Dio che si rivela: risposta nella quale l’uomo parla a Dio come al suo Creatore e Padre; risposta resa possibile da quell’Uomo unico che è al tempo stesso il Verbo consustanziale al Padre, nel quale Dio parla a ogni uomo e ogni uomo è reso capace di rispondere a Dio» (Giovanni Paolo II, Let. ap. Tertio millennio adveniente, 10.XI.1994, n. 6).
La religione è la virtù che consente all’uomo di dare a Dio qualcosa, con la gratitudine di chi ha ricevuto e riceve tutto dal Creatore. La religione è l’insieme delle operazioni che costituiscono la risposta umana alla rivelazione divina. L’uomo ha la possibilità di incontrare il Signore personalmente e questo si verifica nel dialogo con Gesù; la vita cristiana non è esclusivamente un insieme di regole di comportamento, ma è un progressivo incontro con Dio. La conversazione di Dio con ogni donna e con ogni uomo ha la sua premessa nella divina rivelazione, la risposta dell’uomo si snoda a partire da ciò che Dio ha manifestato di sé stesso. La Bibbia porge la manifestazione di Dio e l’uomo, quando desidera conversare con Dio, non può fare a meno di conoscere quanto Dio ha voluto trasmettere nella sua lettera.
La stesura della Bibbia si realizza poco a poco: Dio si manifesta e scrittori determinati (agiografi) mettono per iscritto quanto Dio trasmette. Dio ha parlato nel corso della storia ebraica e uomini concreti hanno ricevuto il messaggio divino; alcuni hanno scritto quello che veniva manifestato a loro o ad altri. Così, è stata registrata la cronaca degli avvenimenti dell’Esodo e sono stati riportati gli eventi principali della vita di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il profeta Isaia ha vissuto la sua esperienza personale dell’incontro con Dio e ha lasciato una relazione ampia di tutta la sua attività profetica. E tanti altri agiografi hanno fissato nei loro libri la parola di Dio dalle origini fino alla venuta di Cristo.
La Scrittura offre questo dato: Dio ha parlato nei tempi antichi mediante i profeti e, nei tempi della Redenzione, il messaggio divino è stato completato e concluso da Gesù Cristo. Il libro unico della Bibbia è l’insieme di tanti libri, che contengono sempre la parola di Dio e, nella rispettiva specificità, manifestano l’impronta dell’agiografo, del tempo e del luogo di composizione.
Il Magistero docente, nei secoli della vita della Chiesa, ha sempre raccomandato un ampio utilizzo della sacra Bibbia e, in modo specifico, l’ultimo Concilio si è espresso così: «Il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3, 8) con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo” (san Girolamo). Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l’uomo; poiché, “quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini” (sant’Ambrogio)» (Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei verbum, 18.XI.1965, n. 25).
Umberto De Martino

Sul crinale del mondo moderno.Scritti brevi su cristianesimo e politica.

Lo spazio dei fratelli.

invito_spazio dei fratelli

L’Altro Risorgimento.


Che cosa è stato il Risorgimento? Nella vulgata recepita nei testi scolastici diversi conti non tornano. Uno per tutti: com’è possibile che, in nome della libertà e della Costituzione, i governi liberali decidano la soppressione di tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Roma, quando il primo articolo dello Statuto dichiara il Cattolicesimo «religione di Stato»? Sta di fatto che 57.492 persone vengono messe sul lastrico, cacciate dalle proprie case, private del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto. Non a caso i papi Pio IX e Leone XIII individuano nel Risorgimento un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», messo in atto dalla Massoneria. A centocinquant’anni dall’unità in Italia non solo si stenta ad ammettere questi fatti, documentati nell’evidenza delle fonti, ma si continua, da Nord a Sud, a combattere la comune identità cattolica quasi fosse l’ostacolo che preclude un’autentica coesione nazionale.
L’Autrice – coraggiosa antagonista di ogni ideologia, come spiega mons. Luigi Negri – muove da posizioni controcorrente: perché l’Italia possa riacquistare l’unicità che la caratterizza nella storia ha bisogno di riconoscere il peccato da cui è stata originata, l’attacco frontale alla tradizione cristiana e alla Chiesa cattolica.

L’Introduzione di Angela Pellicciari

«L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia».

L’introduzione dei Promessi sposi è notoriamente una parodia del linguaggio e della cultura seicenteschi ma Alessandro Manzoni, pur sorridendo, intende anche cominciare in medias res, mettendo subito in chiaro la grande importanza della ricerca storica: fare storia significa ridare la vita ad un passato che non si conosce o si conosce male.

1796-1861: ricordando fatti noti e meno noti, questo libro si propone di ricostruire l’ambiente rivoluzionario che caratterizza l’Italia del XIX secolo, senza la pretesa di raccontare tutto ma, almeno, con l’obiettivo di raccontare quello che serve per capire, per «richiamare in battaglia» fatti e persone prigionieri, del tempo certamente, ma soprattutto degli uomini che li hanno voluti tali.

L’immagine del Risorgimento che ci è stata tramandata è quella voluta da coloro che lo hanno costruito: i governanti del Regno di Sardegna, innanzi tutto, ma anche tutti gli uomini che ne hanno appoggiato la politica, e, non ultimi, i governi delle potenze alleate che ne hanno reso possibile la realizzazione. Cosa è stato, dunque, il Risorgimento, dal loro punto di vista?

Risorgimento per costoro significa l’agognata riconquista, dopo tanti secoli, dell’unità e dell’indipendenza nazionali, indispensabili per occupare un «posto al sole» all’interno del consesso «civile»; significa la vittoria della libertà sull’oscurantismo, l’arretratezza e la violenza dei governi pontificio e borbonico; significa farla finita con i privilegi e la monarchia assoluta realizzando una monarchia costituzionale dove la legge è uguale per tutti e dove Stato e Chiesa siano liberi ciascuno in casa propria, ma distinti e separati l’uno dall’altra. Nella lettura del Risorgimento tramandataci dai suoi protagonisti ci sono però molti fatti che restano senza spiegazione. Uno per tutti: i Savoia e i liberali sostengono di avere la forza morale dalla loro perché costituzionali e liberali, eppure la formazione del primo governo costituzionale coincide con la sistematica violazione dei più importanti articoli dello Statuto. Non appena ripudiata la monarchia assoluta, per esempio, in violazione del primo articolo che stabilisce «La religione cattolica apostolica e romana è l’unica religione di stato», il governo sardo scatena in Piemonte la prima seria persecuzione anticattolica dall’epoca di Costantino, immediatamente estesa al resto d’Italia dopo l’unificazione. L’1,70% della popolazione di fede liberale (quella che ha diritto di voto) decide la soppressione, uno dopo l’altro, a cominciare dai gesuiti, di tutti gli ordini religiosi della religione di stato. Iniziate nel 1848 dal Regno di Sardegna, le soppressioni sono ultimate dal Regno d’Italia nel 1873, dopo l’annessione di Roma. Un numero davvero ingente di persone, 57.492 fra uomini e donne, tanti sono i membri degli ordini religiosi soppressi, vengono messi sul lastrico, cacciati dalle proprie case, privati del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto.

Tutto in nome della libertà e della costituzione. In questo secolo la storiografia liberale sia laica che cattolica ha dato voce alle dichiarazioni di intenti della classe dirigente risorgimentale ma ha dimenticato i fatti ed ha messo la sordina alla stampa e alla storiografia cattoliche dell’Ottocento col risultato che, oggi, si conoscono solo le ragioni dei liberali, cioè dei vincitori.

Eppure in decine di encicliche ed allocuzioni Pio IX afferma che le cose non stanno come la propaganda liberale vuol far credere. Il papa descrive nel dettaglio quali persecuzioni, violenze e rapine facciano seguito alle sbandierate ragioni di costituzionalità e libertà, e denuncia la lotta senza quartiere che le società segrete, a cominciare dalla Massoneria, conducono in tutto il mondo contro la Chiesa cattolica. La Chiesa ha sempre combattuto contro tanti nemici, questa volta però l’insidia è più grande perché i nemici non combattono a viso aperto ma si dichiarano cattolici e sinceramente devoti al bene della Chiesa.

Pio IX e Leone XIII (e la Chiesa con loro) sono convinti che il tanto decantato Risorgimento sia solo un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», voluto e promosso dalla Massoneria nell’intento di distruggere il potere spirituale usando come grimaldello la fine del potere temporale. Il risveglio del sentimento «nazionale» avrebbe di mira, secondo questo punto di vista, la distruzione dell’universalismo cattolico per soppiantarlo con un potere internazionale di tipo nuovo, al passo con i tempi, radicalmente anticattolico.

Se i papi, e le popolazioni meridionali con loro, hanno qualche ragione nel sostenere che Risorgimento significhi risorgimento del paganesimo e gigantesca rapina ed ingiustizia perché, con la scusa della «pura morale» e della «vera religione», i liberali diventano proprietari con due soldi di tutti i beni sottratti al 98% della popolazione (Chiesa e pubblico demanio), allora ad esser in gioco non è un aspetto marginale della nostra vicenda storica; è qualcosa che ha a che fare con l’essenza stessa del nostro essere italiani, con la nostra identità collettiva.

Se le cose stessero come tutta la letteratura sia cattolica che massonica del secolo scorso non si stanca di ripetere, se fosse vero che la Massoneria scatena in Italia una guerra senza quartiere contro la Chiesa cattolica utilizzando i Savoia e i liberali come testa di ponte, allora gli artefici del Risorgimento sarebbero non i primi italiani ma i primi antiitaliani. Allora la nostra storia unitaria, e non solo quella, andrebbe vista sotto un’altra ottica. E chissà che questa ottica non ci procuri elementi per capire qualcosa di più. Il 18 agosto 1849 Pio IX scrive alla granduchessa Maria di Toscana: sebbene «la tutela del dominio temporale della S. Sede sia in me un dovere di coscienza, pur nonostante è un pensiero assai secondario in confronto dell’altro che mi occupa, di procurare cioè che i popoli cattolici conoscano la verità».Quale è la verità? Questo libro si propone di cercarla.

Angela Pellicciari storica del Risorgimento e del rapporto fra Papi e Massoneria; dottore in Storia ecclesiastica, attualmente insegna Storia della Chiesa nei seminari Redemptoris Mater. Fra i suoi numerosi studi ricordiamo I panni sporchi dei Mille (Liberal) e Leone XIII in pillole (Fede & cultura). Con le Edizioni Ares ha già pubblicato il best seller Risorgimento da riscrivere e il volume I Papi e la Massoneria.

VOCI DALL’AULA.I giovani oltre il nichilismo.


Noi adulti sappiamo davvero poco dei ragazzi di oggi, di come vedono se stessi e il mondo, di come giudicano i grandi e la società, delle loro paure, sofferenze, desideri, bisogni, sentimenti. Ci accorgiamo raramente di quanto sono intelligenti, autentici, maturi. Solitudine, disorientamento, delusione, paura, mancanza di prospettive, noia, percezione del non senso, aridità nelle relazioni, apatia, scetticismo, sfiducia: questo è il terreno nichilista nel quale crescono i ragazzi.
Ma in essi c’è una profonda attesa, di felicità e di pienezza: quello che Nietzsche definiva ospite inquietante – e che si annida nel loro cuore – attende l’Ospite dolce dell’anima, che bussa alla porta di ciascuno di noi.
Questo libro è la risposta scritta di un Professore di Liceo alle domande e alle riflessione che i suoi ragazzi gli hanno posto attraverso i temi, le lettere, i dialoghi in aula. Cultura, esperienza, senso religioso, sono la materia che l’umanità dell’educatore plasma in queste pagine, offrendo la sua chiave di lettura sul senso e il buono della vita.
Il presente lavoro è lo sviluppo di un precedente saggio (1), una riflessione sul mondo dei ragazzi condotta attraverso la lettura dei loro componimenti scolastici. I testi utilizzati allora erano stati elaborati all’interno di due classi (una seconda ed una terza liceo) di un Istituto Superiore della Provincia di Bergamo. Decisi di intervenire il minimo possibile nella trama delle riflessioni contenute negli elaborati, per lasciare che emergesse la voce dei protagonisti, consapevole del fatto che difficilmente i ragazzi parlano davvero di loro stessi, della loro intimità: come stanno, cosa provano, cosa desiderano, cosa pensano. Dovevano essere loro a fornire elementi di conoscenza del proprio mondo agli adulti.
Perché allora una continuazione? Quella lettura aveva il pregio di far emergere le domande dei ragazzi, alle quali non volevo sovrapporre le mie risposte: oggi mi sento quasi in dovere di addentrarmi in questo ulteriore tentativo, poiché essi, a mio modo di vedere, sono evidentemente in attesa di proposte, anche umili, frutto di un’esperienza in divenire e del tutto personale.
Colgo un grande vuoto ed una profonda solitudine nel viso dei miei interlocutori, non frutto della loro aridità ma della nostra assenza o della nostra indifferenza.
Amore, politica, cultura, lavoro: tutto sembra essere così svuotato di dignità, intensità, profondità da rendere comprensibile quel radicale nichilismo con cui tanti ragazzi percepiscono la realtà, al limite dell’invivibilità.
Quando entro in una classe, soprattutto quelle iniziali della scuola superiore, ho sempre la percezione che gli occhi, i volti, la vitalità, la sola presenza dei ragazzi che ho davanti, siano domanda, attesa di qualcosa che essi aspettano da me, da noi, dagli adulti in generale. Oggettivamente è così: sono l’insegnante e si aspettano che io trasmetta loro qualcosa, possibilmente significativo, bello. Un ragazzo è una promessa, un bisogno rispetto al quale l’adulto ha naturalmente una responsabilità. Ebbene il testo l’ho scritto perché tante volte mi sento in debito verso di loro: sento che c’è qualcosa che è dovuto, una ragione e una proposta di vita, un’ipotesi di impegno della loro esistenza, che oggi non riusciamo più a comunicare adeguatamente. Ma in essi c’è una profonda attesa, di felicità e di pienezza: quello che Nietzsche definiva ospite inquietante – e che si annida nel loro cuore – attende l’Ospite dolce dell’anima, che bussa alla porta di ciascuno di noi.
Ho cercato l’espressione delle corde più profonde che fanno vibrare il mio cuore e alla mancanza delle quali nessun giovane dovrebbe mai abdicare: il desiderio della bellezza, dell’amore, di Dio.
Ciò che più di tutto mi preme esprimere è la percezione dell’assoluta coincidenza tra Dio e ciò che nel mondo creato attrae come bellezza: natura, persone, sentimenti, affetti… tutto della creatura coincide con il Creatore. Il male non è negato ma il mio sguardo sul mondo creato desidera e vuole essere capace di coglierlo nella sua innocenza, grazie al sacrificio redentore di Cristo.
L’assenza di Cristo, il vuoto da Lui lasciato nel cuore dei giovani, è la radice più profonda del loro smarrimento. Il cuore umano ha bisogno di Dio, lo cerca, niente può dare respiro all’animo, alla profondità della sua sete, se non l’abbraccio e la deposizione della propria inquietudine nella presenza del Padre. Cercare di rispondere al bisogno di un giovane senza arrivare a questo livello è, nella mia esperienza, un girare a vuoto, un «immoto andare» per usare un’espressione di Montale (2).
Alla libertà dignitosa ma soffocante, colma di solitudine e di aridità, che Nietzsche ha lasciato alla sua era, si oppone compiutamente una sola alternativa: l’amore, l’amore inconcepibile di quella Croce, nella quale ogni umano sentimento, sfumatura, intuizione è accolta nella sua verità. La Sua verità è inclusiva: tutto ciò che è veramente umano è Lui.
Il giovane, come ricorda San Giovanni Bosco, ha bisogno di sentire di essere amato: il nichilismo è sconfitto se la nostra esistenza è per sempre, è importante, se le esigenze del cuore contano qualcosa.
Ma quale amore può dissetare una sete d’amore che umanamente è inestinguibile? Arrivare a Cristo è arrivare alla fonte profonda, dove la domanda di Dio diventa domanda di occhi, mani, braccia, sorriso, dolore di Dio, dove il bisogno d’amore è accolto fino alla sua implicazione ultima: morire d’amore, morire d’amore su una Croce, alla cui base è deposto tutto il dolore umano. «Io ho bisogno di Cristo, e non di qualcosa che Gli somigli», affermava ancora Lewis (3): abbiamo bisogno della Sua presenza, della Sua amicizia.
E’ l’innocenza di quella vittima che ha spaccato la ferrea visione di Nietzsche: l’innocenza di quella vittima è la pace e l’approdo a quella guerra che combattiamo in noi, quel combattimento – che in fondo vorremmo perdere – contro la Sua amorosa e discreta presenza, perché la pace è riconoscerLo e amarLo, come afferma sant’Agostino: «Tu mostri in modo abbastanza evidente la grandezza che hai voluto attribuire alla creatura razionale; alla sua quiete beata non basta nulla, nulla che sia meno di te, Cristo» (4).

1.M. Lusso, Quello che ai genitori non diciamo, Liberedizioni, Brescia 2007.
2.E. Montale, Arsenio in L’opera in versi, Einaudi, Torino 1980, p. 81.
3.C. S. Lewis, Diario di un dolore, op. cit., p. 74.
4.Sant’Agostino, Confessiones, Libro XIII, 8.9.

L’AUTORE

Matteo Lusso, laureato in Lettere Moderne, è docente di ruolo in un Liceo Socio-Psicopedagogico della Provincia di Bergamo. Svolge attività di ricerca negli àmbiti dell’orientamento scolastico e del diritto allo studio. Fra le sue opere ricordiamo: Quello che ai genitori non diciamo, un viaggio nel mondo dei ragazzi attraverso la lettura dei loro componimenti (2007); e la raccolta di poesie Non morire dentro (2008).

I Satanisti. Storia, Riti e Miti del Satanismo.


Recensione di Luigi Berzano (Religioni e Società. Rivista di scienze sociali della religione, anno XXV, n. 67, maggio-agosto 2010, pp. 109-110)

Di satanismo e di satanisti tutti ne parlano, anche in quest’epoca post-secolare. I giornali, i tribunali, gli uomini di chiesa … tutti sanno, dichiarano, spiegano, ripudiano. Ma la tendenza colta è oggi totalmente antisatanista, negazionista, esorcista. Tutti ne parlano, ma per negarne la presenza. In più, non si trova nessuna simpatia per la letteratura quale quella di Bernanos, che tratta della presenza e delle azioni dei demoni invisibili e delle loro possessioni. E così pure per gli inferni pittorici di Bosch e i suoi affreschi saturi di demoni in libertà. Ancor meno attuali sono i capitoli della Vida di Teresa di Gesù e le sue minuziose descrizioni dei luoghi infernali. Insomma, è lontana la stessa filosofia di Aristotele che considerava demoniaca la Natura. La demonologia contemporanea è oggi la scienza che tratta della non esistenza del diavolo e, spesso, che non prende sul serio lo stesso oggetto delle sue ricerche.
Davvero, non si può dire che Massimo Introvigne non “prenda sul serio” il fenomeno del satanismo e che tratti del diavolo senza erudizione demonologica. Questa espressione “prendere sul serio” fa ricordare una delle ultime uscite in pubblico del filosofo Ernst Bloch. In una delle periodiche riunioni delle facoltà teologiche di Tubinga il relatore era stato Herbert Haag che presentava la sua opera di demonologia Abschied vom Teuftel (1969) (La credenza nel diavolo, Mondadori, 1976). Di fronte alle attenuazioni, demitizzazioni e secolarizzazioni che riducevano quasi a nulla la portata biblica e dogmatica sul diavolo, Bloch si sentì tradito nell’animazione profonda del suo filosofare, tanto che, spazientito, si alzò e uscì apostrofando l’oratore con queste parole: “Qui il demonio non è preso sul serio”.
Introvigne, direttore del CESNUR e tra gli studiosi più noti a livello internazionale sul tema del satanismo e, più in generale, dei nuovi movimenti religiosi, ritorna ora su un tema che aveva già affrontato in passato con altri due enciclopedici volumi: nel 1990 Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo (Milano, SugarCo, 1990) e nel 1994 Indagine sul satanismo. Satanisti e anti-satanisti dal Settecento ai giorni nostri (Milano, Mondadori, 1994).
Il nuovo volume si presenta molto documentato, con oltre un migliaio di note di approfondimento, una nota bibliografica finale e indici di nomi che danno conto di tutta la letteratura esistente. Il tutto si riferisce al fenomeno del satanismo che l’Autore individua con una definizione storico-sociologica particolarmente esclusiva. “Il satanismo può essere definito come l’adorazione o la venerazione, da parte di gruppi organizzati in forma di movimento, tramite pratiche ripetute di tipo cultuale o liturgico, del personaggio chiamato Satana o Diavolo nella Bibbia, sia questo inteso come una persona o un mero simbolo” (p. 13). Così definito il satanismo nasce solo con l’età moderna. Il volume di Introvigne ne ricostruisce la storia, i miti e i riti attraverso tre periodi storici successivi.
Il Seicento e il Settecento rappresentano le origini del satanismo moderno, allorché compaiono i primi rituali satanici collettivi. Il primo vero episodio di satanismo – alla corte di Luigi XIV – è parallelo alle prime autentiche inquietudini della modernità. Il satanismo classico si estende dal 1821 al 1952, da quando cioè il fenomeno si concretizza quale vero e proprio movimento sociale, seppur esiguo, fino alla scomparsa della figura carismatica e scandalosa di Jack Parsons (1883-1952) e alla fine del suo “culto dell’Anticristo” in California. Il terzo periodo è quello del satanismo contemporaneo, dopo il 1952. In questa fase il fenomeno si intreccia con una branca ‘nera’ della controcultura e produce forme quali quelle del satanismo di LaVey ufficialmente disapprovate, ma in realtà tollerate dalla cultura dominante.
È nella terza fase del satanismo contemporaneo che l’autore presenta una tipologia di sei satanismi stravaganti, ma di attualità: scismatico, comunista, incendiario, goliardo, ‘alla bolognese’, assassino. Dietro a ognuno di questi satanismi si ritrovano vicende ben note, quali i Satanic Reds, le ondate del black metal, le città di Satana, i Bambini di Satana, le Bestie di Satana.
Nella ricostruzione di queste tre fasi, Introvigne dimostra una conoscenza sorprendente dei dati oggettivi del fenomeno, delle sue fonti e dei modelli interpretativi che si sono susseguiti tra gli studiosi. Si tratta di un metodo che si potrebbe definire storico-sistematico: storico perché ricostruisce le forme che il satanismo ha assunto in contesti temporali e sociali diversi; sistematico perché per ogni fase l’autore individua teorie, modelli interpretativi e ricerche che possono rappresentare ancora oggi categorie euristiche ed interpretative utili per le attuali ricerche.
Nelle conclusioni ci si chiede se ci saranno ancora satanisti nel 2050 e se il satanismo finirà con l’epoca post-moderna o con la globalizzazione. L’Autore propende a formulare ipotesi secondo le quali in tutte le epoche di crisi, fino a quella finanziaria del 2008, riemergono miti e riti attorno a Satana. Ma l’impostazione scientifica dell’opera di Introvigne non prevedeva tale approfondimento. Siamo infatti qui al problema più difficile, quello dell’ermeneutica dei dati, cioè dell’interpretazione dei fatti storici dietro ai quali individuare le forme post-moderne dei miti e dei riti del satanismo.
Introvigne termina con una domanda che pare rappresentare l’inizio di una nuova ricerca di sociologia del diavolo. La stessa domanda che si poneva già Agostino nelle Confessioni: Quarebam unde malum, et non erat exitus. Si tratterebbe di una classica ricerca di sociologia della conoscenza sulle dottrine, i saperi e le mitologie attraverso le quali l’intera vita individuale e collettiva ha fatto i conti con il malum. Tale ricerca potrebbe anche inserire la teoria dei Vangeli cristiani sulla radicale tolleranza del male. Si tratta della teoria già contenuta nella tradizione orale ebraica, che un antico midrash illustra così. Un rabbino incontra un demonio e lo rimprovera di tutte le sue azioni cattive, fino a che il demonio si rattrista e chiede che gli siano date delle regole. Il rabbino gli consente di proseguire le sue cattive azioni, ma solo due volte alla settimana, il martedì e il giovedì, e solo dalla sera all’alba.
L’uomo che vuole salvarsi dagli artigli demoniaci, sa quando deve restare a casa. È il fatalismo temperato ebraico e dei Vangeli sulla presenza del male. È pure la misura greca del “niente di troppo”.

Massimo Introvigne, I satanisti. Storia, riti e miti del satanismo, Sugarco, Milano 2010

L’illuminazione dei Mosaici di Monreale.


Descrizione:
Il progetto di illuminazione degli interni del Duomo di Monreale ha posto questioni tecniche e concettuali di difficile soluzione; riuscire a contemperare alle esigenze della corretta illuminazione dei mosaici e della protezione degli stessi, alle necessità liturgiche e a quelle della fruizione culturale del monumento è stata una sfida professionale unica e stimolante.
L’iter progettuale è stato approfondito in tutte le sue fasi, da quella dell’analisi storico-morfologica dell’edificio, allo studio del comportamento ottico delle tessere musive fi no alla realizzazione di simulazioni digitali e di innumerevoli prove dal vero.
In tal modo si è ottenuto un risultato di altissimo livello, sicuramente ineccepibile dal punto di vista tecnico-normativo e di grande valore culturale.

Contenuto:

PREFAZIONE
– Riflessioni (Piero Castiglioni)

STORIA E ARCHITETTURA
– L’architettura del Duomo
– Storia del Duomo

CRITERI DI PROGETTAZIONE
– L’illuminazione dei luoghi di culto
– Valori di illuminamento

L’ILLUMINAZIONE DEI MOSAICI
– L’illuminazione di superfici musive
– Normativa sulla conservazione dei mosaici

IL PROGETTO PER MONREALE
– Storia della luce nel Duomo
– Le scelte progettuali
– I corpi illuminanti
– Le sorgenti luminose
– Elaborati grafici
– Calcoli illuminotecnici
– Immagini

APPROFONDIMENTI
Bibliografia
Sitografia

Emanuela Pulvirenti, architetto, si è laureata a Palermo nel 1998 con una tesi sull’illuminazione dei centri storici. Nel 1999 frequenta un Master in Light Design presso l’Accademia di Brera a Milano e nel 2001 fonda a Palermo lo Studio Triskeles Associato in cui si occupa di illuminotecnica e design di corpi illuminanti. Nel 2004 consegue il Dottorato di Ricerca in Fisica Tecnica Ambientale con una tesi sull’illuminazione urbana. Ha pubblicato decine di articoli sulle riviste di illuminotecnica Luce e Design, Flare e Luce e ha tenuto lezioni in ambito universitario, al Master in Light Design della Sapienza a Roma e all’Accademia di Brera e presso la Lighting Academy di Firenze. Dal 2004 al 2006 è stata docente di Light Design presso l’Istituto Europeo di Design di Milano; dal 2007 al 2008 ha insegnato Illuminotecnica presso l’Accademia di Belle Arti di Catania. Attualmente vive e lavora a Caltanissetta.
Emanuela Pulvirenti, L’illuminazione dei mosaici di Monreale,casa editrice Alinea.

I PRETI E I MAFIOSI.STORIA DEI RAPPORTI TRA MAFIE E CHIESA CATTOLICA.


Il 2 Luglio del 1960,veniva ordinato sacerdote, dall’allora Arcivescovo di Palermo,Cardinale Ernesto Ruffini,don Pino Puglisi.Oggi compirebbe 50 anni di sacerdozio se la mano armata di Salvatore Grigoli non avesse fermato,barbaramente,la sua vita terrena il 15 settembre del 1993.L’omicidio Puglisi ha scosso fortemente le coscienze non fosse altro perché la mafia alzava il tiro contro la Chiesa. Lo stesso delitto Puglisi non può non essere letto come un giudizio di Dio sulla chiesa palermitana in primis e sulle chiese del sud Italia in relazione proprio al lungo legame tra la Chiesa,parte della gerarchia e la mafia. Proprio a questo argomento è dedicata l’ultima fatica editoriale del Prof. On.Isaia Sales dal titolo:”I preti e i mafiosi. Storia dei rapporti tra mafie e chiesa cattolica”.L’interessante ed avvincente volume affronta il tema delle responsabilità della chiesa cattolica nell’affermazione delle organizzazioni mafiose,esaminando l’apporto culturale che direttamente o indirettamente la dottrina della Chiesa ha fornito al loro apparato ideologico. Come spiegare il fatto,si chiede l’autore,che in quattro “cattolicissime”regioni meridionali si siano sviluppate alcune delle organizzazioni criminali più spietate e potenti al mondo?Come spiegare che la maggioranza degli affiliati a queste organizzazioni criminali, con la patente di spietati assassini, si dichiarino cattolici osservanti?Che rapporto c’è tra cultura mafiosa e quella cattolica?Perchè questo rapporto non è mai stato indagato in sede storica e,invece, è stato sempre smentito o sottovalutato?Fino a pochi anni fa la Chiesa ha taciuto sulle mafie e non le ha mai considerate nemici ideologici. Personaggi come Don Ciro Vittozzi,Don Stilo,Don Agostino Coppola,Fra Giacinto sono stati fortemente collusi con essa. E ancora l’attentato a Mons.Peruzzo,l’eremo di Tagliavia,il santuario di Polsi,i frati di Mazzarino:luoghi ed ecclesiastici avvezzi a complicità e compiacenze. Dopo l’assassinio di Don Puglisi il silenzio è stato,in parte,interrotto. Il volume parla di tutto questo senza intenti scandalistici nella forte convinzione dell’autore che senza il sostegno culturale della Chiesa le mafie non si sarebbero potute radicare così profondamente nel sud del paese. Il successo delle organizzazioni mafiose rappresenta un insuccesso della Chiesa cattolica,ma,al tempo stesso,senza una Chiesa realmente e cristianamente antimafiosa la lotta per la sconfitta definitiva delle mafie sarà ancora lunga.Don Pino Puglisi,sacerdote secondo il cuore di Dio e della Chiesa,ha aperto la strada per un cammino di vera conversione e di rescissione dei legami tra Chiesa e mafie:quanti sono disposti a seguirne l’esempio?

Isaia Sales,I PRETI E I MAFIOSI.STORIA DEI RAPPORTI TRA MAFIE E CHIESA CATTOLICA.Saggi B.C.Dalai editore,pp.367.2010.

Fuggita da Satana….

Fuggita da Satana. La mia lotta per scappare dall’inferno

Al culmine di una carriera professionale coronata di successo e ricchezza, la ricerca di nuove esperienze porta Michela a incontrare un gruppo esoterico, che le promette emozioni e felicità. Dall’esoterismo all’ingresso in una setta satanica il passo è breve. È l’inizio di un’esperienza sconvolgente, che la porta – ammette lei – a fare di tutto, tranne l’omicidio: messe nere, riti di iniziazione, sacrifici a Satana si susseguono in un vortice di pratiche diaboliche in cui, costantemente sotto l’effetto di stupefacenti, il contatto con la realtà si perde a poco a poco. Saliti a uno a uno i gradini della gerarchia interna alla setta, si trova infine incaricata di eliminare la fondatrice dell’Associazione “Nuovi Orizzonti”. È a quel punto che capisce che non può andare oltre e, aggrappandosi alle ultime forze della volontà, decide di fuggire, trovando riparo proprio in una comunità di accoglienza di “Nuovi Orizzonti”. Sconvolgenti sono le testimonianze di questo periodo: dal parlare lingue sconosciute al trovarsi in possesso di una forza sovrumana, dal non sentire alcun dolore fisico fino al camminare su pareti e soffitti. Tutti segni della presenza diabolica che la possiede. Fino a quando, dopo un intenso periodo di accompagnamento psicologico-spirituale e di esorcismi viene finalmente liberata dal maligno. A condizione di mantenere l’anonimato per non essere identificata – il nome fittizio di Michela è un omaggio a San Michele Arcangelo – ha accettato di raccontare tutta la sua storia.

Michela,Fuggita da Satana. La mia lotta per scappare dall’inferno,
Editore Piemme Pagine 168, 2009