Islam in Europa / Islam in Italia tra diritto e società.

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L’islam ha cambiato la geografia religiosa dell’Europa occidentale. Tuttavia, benché irreversibile, l’integrazione delle comunità musulmane nel “Vecchio continente” conosce tutte le difficoltà e le contraddizioni tipiche dei grandi processi sociali, che coinvolgono nel profondo sia le pubbliche istituzioni sia i vissuti quotidiani dei singoli. Di qui la tensione tra “antichi” e “nuovi” costumi; fra la “tradizione delle radici” e le sfide del presente cui essa è confrontata. Ma qual è, oggi, il volto dell’islam europeo ed italiano? Quale la situazione dell’islam nella scuola; delle moschee; degli imam? A che punto si trova la prospettiva di un’intesa con lo Stato? Quali sono le esperienze europee che potrebbero rivelarsi più utili nell’affrontare queste ed altre questioni, a cominciare da quelle poste dalle famiglie musulmane? Con un approccio interdisciplinare, i saggi raccolti in questo volume intendono fare il punto della situazione e offrire alcune indicazioni operative per il futuro.

Indice:
Nota introduttiva, di A. Ferrari – p. 7

 

PARTE PRIMA: LA SITUAZIONE.

L'”islam europeo” e i suoi volti, di F. Dassetto. – p. 13
Islam italiano e società nazionale, di S. Allievi. – p. 43
Le questioni normative, di S. Ferrari. – p. 77

PARTE SECONDA: FAMIGLIA E MATRIMONIO.

Famiglie musulmane in Italia. Dinamiche sociali e questioni giuridiche, di L. Mancini. – p. 91
Il matrimonio: conflitti di leggi o di culture?, di G. Conetti. – p. 111
A proposito del matrimonio islamico in Italia, di A. Albisetti. – p. 121
Diritto matrimoniale inglese e legge musulmana, di W. Menski. – p. 129

PARTE TERZA: LA SCUOLA.

Studenti musulmani e prospettive dell’educazione interculturale, di M. Santerini. – p. 149
La scuola italiana di fronte al paradigma musulmano, di A. Ferrari. – p. 171
L’islam nel sistema scolastico inglese, di B. Gates. – p. 199

PARTE QUARTA: IMAM E MOSCHEE.

Quali imam per quale islam?, di P. Branca. – p. 219
Moschee e formazione degli imam in Francia, di B. Basdevant Gaudemet. – p. 233
Moschee e formazione degli imam in Austria, di W. Wieshaider. – p. 249

PARTE QUINTA: VERSO UN’INTESA TRA STATO ITALIANO E ISLAM?

L’ente di culto e gli statuti nell’islam, di N. Colaianni. – p. 259
La rappresentanza e l’intesa, di G. Casuscelli. – p. 285

PARTE SESTA: REALTÀ E PROSPETTIVE.

Tariq Ramadan, p. 325
Maurice Borrmans, p. 335
Francesco Margiotta Broglio, p. 343 (pdf)


Alessandro Ferrari insegna Diritto canonico e Diritto ecclesiastico nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università dell’Insubria. Tra le sue pubblicazioni, “Libertà scolastiche e laicità dello Stato in Italia e Francia” (Giappichelli, 2002) e, con R. Aluffi Beck-Peccoz e A.M. Rabello, “Il matrimonio. Diritto ebraico, canonico e islamico: un commento alle fonti” (Giappichelli, 2006). Per il Mulino ha curato, con E. Dieni e V. Pacillo, “Symbolon/Diabolon. Simboli, religioni, diritti nell’Europa multiculturale” (2005).

A. FERRARI (a cura di),  Islam in Europa / Islam in Italia tra diritto e società, Il Mulino, Bologna, 2008, ISBN: 978-88-15-12489-0, pp. 376, € 28,00

tratto da:http://www.rivistadireligione.it

Resistenza alla mafia:sulle orme di Mons.Cataldo Naro.

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ALTARI DELLA REPOSIZIONE 2009:I “SEPOLCRI”!

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Settimana Santa 2009-Sicilia occidentale.

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Voilà Paris!!

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Identità dissolta.Il cristianesimo,lingua madre dell’Europa.

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Va in libreria da oggi «Identità dissolta», il nuovo libro di monsignor Rino Fisichella su «il cristianesimo, lingua madre dell’Europa» (Mondadori, pp. 144, euro17). L’arcivescovo rettore dell’Università Lateranense nonché Presidente della Pontificia Accademia per la Vita cerca di rintracciare nella matrice religiosa scaturita dal Vangelo un’«impronta» genetica, quasi un denominatore comune che continua ad essere utile per la crescita anche sociale e civile del Vecchio Continente, soprattutto in questo momento «gravido di sfide» in cui il pluralismo, le migrazioni, il multiculturalismo contribuiscono a rendere più vaga l’identità europea. L’ultimo capitolo è dedicato all’«emergenza educativa», argomento dell’appena concluso Forum del Progetto culturale della Cei.

Da tempo si assiste, in Europa, a un progressivo distacco della vita e della discussione politica dalle istanze della religione, in particolare quella cristiana. In un mondo multiculturale e multireligioso e in un contesto europeo in cui sempre più sono gli immigrati che professano fedi non cristiane e sempre più sono i laici che contestano la validità e l’importanza della religione nell’epoca moderna, sembra forse giusto e condivisibile lasciar perdere, come un relitto che viene da un tempo ormai finito, la matrice religiosa cristiana che accomuna tutti i paesi del continente. Tuttavia, come sostiene il cardinale Fisichella, questo sarebbe un grave errore: proprio perché in difficoltà nella definizione della propria identità, l’Europa dovrebbe fare tesoro delle sue radici che affondano nella religione cristiana. Attraverso di esse, infatti, laici e credenti di tutti i paesi europei possono rifarsi a un quadro etico e morale condiviso, a una vera concezione di rispetto e tolleranza interreligiosa, a una base filosofica naturale per i diritti umani fondamentali.

In questa pagina pubblichiamo alcuni stralci del capitolo su «Laicità dello Stato e religioni».

L’aggettivo laikós indicava o­riginariamente un membro della Chiesa, che fa parte del laós tou theou, il «popolo di Dio». Ciò è ancora più evidente se si con­sidera la traduzione latina del ter­mine, che non è il generico popu­lus, bensì plebs, che indicava speci­ficamente la comunità cristiana. L’inevitabile evoluzione del termine nei secoli successivi è specchio non solo di peculiari condizioni storiche – particolarmente, in questo caso, le divisioni provocate all’interno della comunità cattolica dalla Riforma protestante nel XVI e XVII secolo –, ma anche e soprattutto dell’oriz­zonte culturale a essa sotteso. Si è così progressivamente giunti a i­dentificare la condizione di «laicità» come uno stato di autonomia della politica dalla sfera religiosa e come indice della possibilità di raggiun­gere la verità tramite la sola ragione, prescindendo dalla fede. In entrambi i casi, l’autentico signi­ficato del termine, per come si è e­voluto nel corso dei millenni, è sta­to snaturato. Se da una parte, infat­ti, non si può non concordare sul concetto di distinzione dei poteri e dei ruoli che spettano rispettiva­mente alla Chiesa e allo Stato, è in­vece difficilmente condivisibile la te­si secondo cui uno Stato è «laico» perché nel suo legiferare prescinde completamente dalla religione e dai suoi contenuti.

Questa posizione si può riassumere con la massima di Ugo Grozio, fatta propria, quasi fos­se una formula magica, dal movi­mento secolarista, il quale però ne ha corrotto il significato originale: etsi Deus non daretur, «come se Dio non ci fosse». Analogamente, è as­surdo temere che la verità della fe­de possa attentare all’autonomia della ragione, oppure teorizzare che solo questa possa raggiungere la ve­rità, e fa meraviglia che i fautori di ta­li posizioni non ne siano coscienti. Se si è giunti a questa concezione moderna del termine «laicità» – è bene ribadirlo –, in ambito sia filo­sofico sia politico, è solo perché nel cristianesimo si erano precedente­mente sviluppate le forme concet­tuali ed espressive che ne permise­ro il comune riconoscimento, no­nostante l’uso ambiguo e spesso strumentale a cui il termine è sog­getto. Rivendichiamo, pertanto, la primogenitura di questa concezio­ne, non per orgoglio – anche se a­vremmo tutti i diritti per farlo –, ma esclusivamente perché ci venga ri­conosciuto un diritto di originalità che non ci può essere sottratto, se non altro per rispetto della verità storica. Ultimamente, si sente parlare sem­pre più spesso di «etica laica». Cosa si nasconda dietro questa espres­sione è facile immaginarlo, alla luce di quanto abbiamo esposto in pre­cedenza. Di fatto, si vuole imporre questo concetto per accreditare la tesi di un’autonomia, soprattutto dalla sfera cattolica, in grado di fa­vorire la scienza e così produrre pro­gresso. Quanto questa visione sia in­genua è evidente.

“Laicità dello Stato e religioni”:alcuni stralci del capitolo su «Laicità dello Stato e religioni».
Per sua stessa na­tura l’etica non ha alcuna colora­zione e ogni sua ulteriore qualifica­zione risulta pleonastica. L’etica, in­fatti, riconosce il primato della ra­gione e assieme alla ratio giunge ai principi fondamentali che stanno alla base della vita personale. Difendere in ambito politico l’esi­stenza di un’etica «laica» indipen­dente dalla «morale cattolica» è giu­sto e corretto, ma ciò non implica che i loro contenuti debbano esse­re necessariamente contrapposti. Significherebbe non percepire il nesso costitutivo che intercorre tra etica e morale cattolica e creare ar­tificiosamente, e con intenti stru­mentali, un’inesistente contrappo­sizione. Per quanto possa apparire parados­sale, oggi gli Stati hanno urgente bi­sogno di confrontarsi con la que­stione della verità; devono ricercar­la incessantemente e proporla ai cit­tadini soprattutto quando questa ha a che fare con i diritti fondamenta­li della persona, come quelli che ri­guardano la vita e la morte.
Dinan­zi a quei problemi etici particolar­mente controversi, lo Stato deve confrontarsi con la verità e special­mente con quella proposta dalla re­ligione, che più di ogni altra confe­risce valore alla dignità della persona. Il concetto di tolleranza, applicato oggi ai più sva­riati ambiti – si pensi per esempio alla tolleranza razziale, politica, etnica, sessuale, culturale –, non è di aiuto per risolvere la si­tuazione conflittuale nella quale ci troviamo. Lo Sta­to non può assestarsi in una sorta di neutralità che tutti accoglie e nes­suno predilige. Deve senz’altro a­doperarsi per riconoscere e difen­dere le minoranze, anche quelle re­ligiose, ma ciò non può andare a de­trimento della maggioranza pre­sente nel Paese, che ne rappresenta la storia, la tradizione e l’identità. Infine, riteniamo che in questa sua ricerca e attuazione della verità, lo Stato «democratico» sia chiamato a tenere fede a questo suo fonda­mentale attributo. In virtù del suo essere democratico, lo Stato non so­lo deve accettare di confrontarsi con la Chiesa, ma deve anche saperne accogliere – solo in un secondo mo­mento temperandole – le eventuali ingerenze. Non si tratta di una que­stione di laicità ma di democrazia, che dà prova di maturità accettan­do i rischi di tale condizione. La Chiesa invece, richiamandosi a prin­cipi che hanno un’origine superio­re a quella umana, non potrebbe mai accettare una qualsiasi inge­renza dello Stato riguardo ai propri contenuti. Ciò non rende una supe­riore all’altro, ma semplicemente ri­conosce l’autonomia e l’autoctonia di entrambe le istituzioni. La cosa può apparire paradossale, e lo è. La democrazia, obbligata per sua costituzione ad accogliere in sé elementi che vanno oltre la sfera del­la politica, trova in sé anche i mezzi per neutralizzare eventuali schegge impazzite. La Chiesa, da parte sua, ben conosce i limiti entro cui può o­perare.

Gli Stati, a volte, ricorrono al Concordato per ratificare i rapporti tra le due istituzioni; si tratta co­munque di uno strumento, non di un fine. Ciò che caratterizza la pre­senza della Chiesa nel­la società è l’annuncio di un’esistenza che non si esaurisce nelle situazioni e nelle e­ventualità regolamen­tate dalle leggi emana­te dagli Stati, ma va ol­tre. L’irrilevanza del messaggio cristiano potrebbe sembrare se­gno della laicità acquisita dallo Sta­to, ma in realtà si tratta soltanto di un sintomo della debolezza conge­nita delle strutture che, in tal modo, manifestano la povertà culturale che le minaccia. I seguaci di Voltaire storceranno il naso, ma, se vorranno essere coe­renti, saranno obbligati, oggi più di ieri, a legittimare la nostra esisten­za all’interno della società; eppure, non potranno esimersi dall’affer­mare che siamo un’anomalia, una presenza fortuita, accidentale, ad­dirittura fastidiosa soprattutto in questi ultimi tempi, perché tanto in­gombrante con le sue certezze e i suoi dogmi.

La pretesa di verità che rechiamo contraddice il loro prin­cipio di tolleranza – espressione ge­nuina di dogmi laicisti – secondo il quale sarebbe meglio per tutti, e per il progresso della società, se fossimo confinati nel privato, senza alcuna possibilità di esprimerci pubblica­mente su questioni di carattere so­ciale ed etico. Non è lontano da questa stessa ten­tazione anche chi si richiama a una rinnovata comprensione dello Sta­to etico, che legifera non solo pre­scindendo dalla morale presente nella società, ma si arroga la facoltà di presentarsi come istanza morale assoluta, traendo dall’ideologia l’i­spirazione per i propri interventi le­gislativi. L’apertura degli Stati generali a Versailles il 5 maggio 1789, uno degli atti fondanti della Rivoluzione francese
RINO FISICHELLA, Identità dissolta. Il cristianesimo, lingua madre dell’Europa, Mondadori, Milano 2’009, pp. 144, euro17.