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LO SGUARDO DELL’AQUILA.Elementi biografici di Cataldo Naro Arcivescovo di Monreale.
Cataldo Naro,un vescovo sulla scia del concilio.
La via della Bellezza!
La dimensione estetica è essenziale nella vita umana. A detta di Dostoevskij (I demoni), la bellezza è «il vero frutto dell’umanità intera e, forse, il frutto più alto che mai possa essere». «Quale bellezza salverà il mondo?», si chiede allora lo scrittore russo nell’Idiota.
Charles Moeller in Saggezza greca e paradosso cristiano dice: la bellezza dell’arte su questa Terra è superata dalla bellezza dei santi, quindi dell’uomo, che di Dio è immagine. «La gloria di Dio è l’uomo vivente», aveva affermato prima di lui icasticamente sant’Ireneo.
Tutto ciò non può che aiutarci ad apriare gli occhi su quel brutto a cui ci siamo abituati e che sta diventando categoria di giudizio per venire, pian piano, istradati dentro quella via pulchritudinis che davvero rappresenta l’urgenza educativa del nostro tempo».
In questo contesto si inserisce il Duomo di Monreale con lo splendore incomparabile dei suoi mosaici. Il duomo di Monreale è una delle testimonianze più impressionanti di quella stagione artistica straordinaria che la Sicilia visse nel XII secolo.
Sulle pareti del duomo si snoda un ciclo musivo, conservatosi pressoché intatto, che racconta la storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo, in un percorso che ha alle sue estremità le due figure imponenti del Cristo pantocratore dell’abside, le cui braccia si aprono in un abbraccio commovente che accoglie il fedele lasciandolo senza parole, e della Vergine nella controfacciata, la cui maternità è segno perenne del rinnovarsi della presenza di Cristo che accompagna la vita degli uomini, posto genialmente sopra la porta attraverso la quale i fedeli lasciano la basilica per portare nel mondo la loro speranza.
Oltre alla sequenza narrativa vetero e neotestamentaria, le pareti della basilica ospitano una impressionante serie di ritratti di santi, testimonianze perenni della vita della Chiesa. Anche in questo caso, la loro collocazione rivela un progetto geniale:
se infatti le absidi laterali ospitano i due capisaldi della fede cristiana, Pietro e Paolo, lungo le pareti del presbiterio e nei sottarchi delle navate si susseguono figure intere, busti e volti di monaci, vescovi, laici, eremiti, uomini e donne che hanno testimoniato la loro fede, chiesa trionfante sempre più vicina alla chiesa militante che affolla ogni giorno la chiesa, per concludersi nella controfacciata, accanto alla figura di Maria, con gli esempi più vicini alla gente di Monreale, Cassio, Casto e Castrense, i “loro” santi.
Il ciclo musivo di Monreale dispiega così un inno alla Chiesa di eccezionale bellezza.
Un patrimonio artistico di eccezionale bellezza mai documentato prima d’ora con tale ampiezza di immagini, realizzate mediante una apposita campagna fotografica e strumenti tecnici all’avanguardia.
«Il duomo di Monreale mostra tutta la sua bellezza quando vi si celebra la liturgia. È stato costruito per la liturgia. E per una liturgia regalmente solenne. È nel momento liturgico che esso appare davvero una reggia, una bellissima reggia, una regale casa di Dio, in cui si celebrano i divini misteri e sulle cui pareti si leggono i racconti della Bibbia, le storie di Dio. Tutto vi dice la presenza del Cristo risorto. Tutto aiuta a farsi presenti alla Divina Presenza. Il mondo di Dio e il mondo degli uomini vi appaiono contigui. Chi lo progettò e ne ideò i cicli musivi aveva molto vivo il senso della trascendenza di Dio e, insieme, della regalità divina di Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio fattosi uomo e morto e risorto per la nostra salvezza.»
S.E. Mons. Cataldo Naro
Testi di David Abulafia e Massimo Naro
Presentazione di Cataldo Naro
Curatore campagna fotografica: Giovanni Chiaramonte
Fotografi: Daniele De Lonti, Santo Eduardo Di Miceli, Jurij Gallegra
Coedizione Itaca – Libreria Editrice Vaticana
Il duomo di Monreale – Recensioni
Per chi… cerca Dio nel bello. «Il duomo di Monreale»,
«Famiglia Cristiana», n. 50, 13 dicembre 2009
Duomo_Monreale-FC50-2009.pdf (265,6 KB)
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IL DUOMO di MONREALE.Lo splendore dei mosaici.
A quasi tre anni dalla morte,tanto repentina quanto eccessivamente improvvisa….., dell’Arcivescovo di Monreale Mons.Cataldo Naro,avvenuta il 29-09-2006,vede la luce un altro volume dedicato allo splendore dei mosaici del Duomo di Monreale in cui Cataldo Naro ebbe la sua “cattedra” come Pastore e Maestro per circa quattro anni.
L’Arcivescovo Naro fu un grandissimo estimatore del significato teologico,biblico-catechetico,artistico,liturgico-mistagogico del duomo e dei sui meravigliosi mosaici che il Re normanno Guglielmo II fece costruire.
Mons.Naro fece,davvero,tanto per rilanciare il significato spirituale e storico culturale del “suo” amato Duomo come luogo di preghiera,personale e comunitaria e d’incontro con il Cristo Risorto e Pantocratore della chiesa locale. Cristo come alfa e omega,il principio e la ricapitolazione,Colui che E’,prima del tempo,che si è fatto carne e che ritornerà,alla fine dei tempi,a giudicare i vivi e i morti:il suo regno non avrà fine!
I testi del volume, edito da Itaca libri, sono curati da David Abulafia e Massimo Naro.La presentazione,postuma,è dello stesso Mons.Cataldo Naro.
Un patrimonio artistico di eccezionale bellezza mai documentato prima d’ora con tale ampiezza di immagini, realizzate mediante una apposita campagna fotografica e strumenti tecnici all’avanguardia.
Il duomo di Monreale è una delle testimonianze più impressionanti di quella stagione artistica straordinaria che la Sicilia visse nel XII secolo.
Sulle pareti del duomo si snoda un ciclo musivo, conservatosi pressoché intatto, che racconta la storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo, in un percorso che ha alle sue estremità le due figure imponenti del Cristo pantocratore dell’abside, le cui braccia si aprono in un abbraccio commovente che accoglie il fedele lasciandolo senza parole, e della Vergine nella controfacciata, la cui maternità è segno perenne del rinnovarsi della presenza di Cristo che accompagna la vita degli uomini, posto genialmente sopra la porta attraverso la quale i fedeli lasciano la basilica per portare nel mondo la loro speranza.
Oltre alla sequenza narrativa vetero e neotestamentaria, le pareti della basilica ospitano una impressionante serie di ritratti di santi, testimonianze perenni della vita della Chiesa. Anche in questo caso, la loro collocazione rivela un progetto geniale:
se infatti le absidi laterali ospitano i due capisaldi della fede cristiana, Pietro e Paolo, lungo le pareti del presbiterio e nei sottarchi delle navate si susseguono figure intere, busti e volti di monaci, vescovi, laici, eremiti, uomini e donne che hanno testimoniato la loro fede, chiesa trionfante sempre più vicina alla chiesa militante che affolla ogni giorno la chiesa, per concludersi nella controfacciata, accanto alla figura di Maria, con gli esempi più vicini alla gente di Monreale, Cassio, Casto e Castrense, i “loro” santi.
Il ciclo musivo di Monreale dispiega così un inno alla Chiesa di eccezionale bellezza.
«Il duomo di Monreale mostra tutta la sua bellezza quando vi si celebra la liturgia. È stato costruito per la liturgia. E per una liturgia regalmente solenne. È nel momento liturgico che esso appare davvero una reggia, una bellissima reggia, una regale casa di Dio, in cui si celebrano i divini misteri e sulle cui pareti si leggono i racconti della Bibbia, le storie di Dio. Tutto vi dice la presenza del Cristo risorto. Tutto aiuta a farsi presenti alla Divina Presenza. Il mondo di Dio e il mondo degli uomini vi appaiono contigui. Chi lo progettò e ne ideò i cicli musivi aveva molto vivo il senso della trascendenza
di Dio e, insieme, della regalità divina di Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio fattosi uomo e morto e risorto per la nostra salvezza.»
S.E. Mons. Cataldo Naro
Testi di David Abulafia e Massimo Naro
Presentazione di Cataldo Naro
Curatore campagna fotografica: Giovanni Chiaramonte
Fotografi: Daniele De Lonti, Santo Eduardo Di Miceli, Jurij Gallegra
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Resistenza alla mafia….
TAVOLA ROTONDA SU SANTITA’ E LEGALITA’
Il 15 maggio scorso,a Roma presso l’istituto “Luigi Sturzo”,si è svolta una tavola rotonda sul tema :”Resistenza alla mafia:corcevia di Santità e Legalità”,in memoria del compianto Arcivescovo di Monreale Mons.Cataldo Naro di venerata memoria.Mons.Naro volle,per la sua diocesi, il progetto denominato “Santità e Legalità”,ossia una resistenza cristiana alla mafia.L’idea di fondo del progetto era quella che la Mafia va combattuta anche con la logica evangelica e,soprattutto,con la santità della vita dei credenti.Mons.Naro era convinto che bisognava elaborare un discorso contro la mafia,ma a partire dalle categorie proprie del cristianesimo.Dire,dunque,parole cristiane contro la mafia,unitamente a quelle espresse dalla società civile attraverso il concetto di legalità.
Riportiamo di seguito una breve sintesi degli intervenuti al convegno.
On.LEULUCA ORALNDO
Dopo aver ricordato con affetto Mons.Naro dicendo quanto fosse legato a Lui,anche da alcune ricorrenze familiari che potrebbero sembrare delle pure coincidenze,ma che invece sono legate ad alcuni momenti della vita di Mons.Naro,ha affermato che non bisogna perdere di vista l’aspetto etico-religioso-morale e che due sono gli aspetti con cui si può combattere la mafia:la LEGALITA’,ossia l’osservanza delle leggi per poter vivere ordinatamente e civilmente e,appunto, la SANTITA’ di vita dei credenti in Cristo,ossia l’incarnazione quotidiana ed esistenziale dei valori del Vangelo “sine glossa”. Orlando,ha ribadito,che,inizialmente, non riusciva a capire cosa c’entrasse la SANTITA’ contro il fenomeno mafioso.Grazie a Mons.Naro si è reso conto quanto fosse importante il cammino di santità attraverso lo specifico della missione della Chiesa:l’evangelizzazione.
Sua Ecc.MONS. VINCENZO PAGLIA
Ha ricordato come e quando la Chiesa ha iniziato a parlare apertamente di mafia.Prima con Ruffini,poi con Pappalardo,ma determinanti sono state le parole di Giovanni Paolo II ad Agrigento,perché per la prima volta si sono usate parole cristiane contro la mafia:pentimento,conversione,giudizio di Dio. Ha sottolineato come Mons.Naro sentiva la necessità,nell’esercizio del suo ministero episcopale,di creare un movimento di resistenza alla mafia,un intreccio tra legalità e santità. Talmente grande era la considerazione che Mons.Naro aveva delle figure di santità che ha sentito il bisogno di creare una litania per invocare quelle della diocesi monrealese e non solo,affinchè ciò potesse servire per passare dal DEVOZIONALISMO ai santi alla VOCAZIONE ALLA SANTITA’.Grande commozione ha colpito i presenti quando Mons.Paglia ha letto il testamento spirituale di Mons.Naro,concludendo,con grande nostalgia, e tristezza:”TROPPO PRESTO CI HA LASCIATI”.
PROF.SALVATORE SCORDAMAGLIA.
E’ intervenuto dicendo che la mafia bisogna combatterla con ogni mezzo lecito e purtroppo i mezzi che la società civile ha a disposizione non bastano. Poi,come affermava spesso Cataldo Naro, ha citato alcuni scritti del pastore protestante D.BONHOEFFER, tra cui RESISTENZA E RESA. Questo titolo Mons.Naro voleva che fosse interpretato così:Resistenza al male e Resa a Dio.
DOTT.SALVATORE TAORMINA
Ha ricordato mons.Naro,la sua passione per Cristo e per la storia;il suo linguaggio cristiano e la sua definizione di legalità :”UN MEZZO PER ESERCITARE LA GIUSTIZIA PER IL BENE COMUNE”.
Al termine degli interventi,alcuni partecipanti hanno preso la parola ricordando Mons.Naro sotto l’aspetto storico e sociologico,definendo la vicenda di Mons.Naro ESEMPALRE DI UNA LOGICA CRISTIANA DI VITA. Infatti Egli,durante il suo breve episcopato,ha dovuto lottare. Ha lottato,come attesta il suo testamento,contro ogni voglia di cambiamento,contro i tanti problemi irrisolti che ha trovato,ma soprattutto contro le tante incomprensioni e ostilità di alcuni personaggi che gli remavano,sistematicamente,contro, finchè ogni giorno si sentiva sentire meno. Nonostante ciò,non si è arreso,ha resistito perché capiva che Dio voleva da Lui questa resa,questa sua consegna a Lui attraverso il suo episcopato. Ha continuato traendo forza da quel crocifisso che portava al collo. Adesso vive in Dio,nella Gioia piena,ma continua a pregare per la Chiesa. Sta a noi,adesso,dare una risposta al suo sacrificio d’amore,ricordandolo,facendo passare,cioè,nel nostro cuore la sua meravigliosa persona,ma soprattutto i suoi insegnamenti e la sua testimonianza evangelica. Solamente così il suo sacrificio non sarà inutile.
HA MODERATO IL DIBATTITO IL DOTT.GIANNI RIOTTA
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Ernesto Ruffini…..
Ernesto Ruffini (1888-1967), arcivescovo di Palermo dal 1946 alla morte, è una delle maggiori e più complesse figure del cattolicesimo italiano del Novecento. Non è facile intenderla, anche a motivo degli stereotipi interpretativi che haimo preteso di fissarla in facifi e affrettati giudizi. Del resto la complessità di Ruffini deriva, oltre che dalla sua vigorosa personalità, dalla diversità delle stagioni politiche che attraversò — l’Italia liberale, il fascismo, la repubblica — e dei contesti ecclesiastici in cui si formò e poi agì: la formazione al tempo di Pio X alla scuola di mons. Tarozzi, l’insegnamento e la guida dell’Università Lateranense, la stretta collaborazione con Pio Xl nella riforma degli studi teologici, la responsabilità di arcivescovo di Palermo e la partecipazione al Concilio Vaticano II.
Sulla base di un’amplissima documentazione, l’autore di questo volume ci restituisce lo spessore umano, culturale e spirituale della sua figura e della sua azione. Dalle pagine del libro emerge la personalità robusta di un ecclesiastico che, sulla base della sua cultura “intransigente”, si confronta dinamicamente con il mondo moderno e riesce, nella diflìcile situazione della Sicilia postbellica, a promuovere un cattolicesimo attivamente attento ai bisogni dei più poveri. Come scrive Andrea Riccarcli nella Presentazione del volume, Ruflini senti di interpretare il ruolo della Sicilia cattolica su varie frontiere. E, anche per questo, il libro risulta di grande interesse non solo per lo storico della Chiesa ma anche per lo storico politico e sociale dell’Italia e della Sicilia in età contemporanea.
Angelo Romano è docente di storia e di metodoloia nella Pontificia Università Urbaniana di Roma. liene corsi di storia della Chiesa anche nella Pontificia Facoltà Teologmi di Sicilia in Palermo. Si occupa particolarmente di storia della Chiesa in età contemporanea.
Angelo Romano,Ernesto Ruffini Cardinale arcivescovo di Palermo (1946-1967).Presentazione di Andrea Riccardi. Studi del Centro “A.Cammarata”,46,Salvatore Sciascia Editore,2002.
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Il Duomo di Monreale.Lo splendore dei mosaici.
Testi di David Abulafia e di Massimo Naro.
Presentazione di Cataldo Naro
David Abulafia-Massimo Naro,Il Duomo di Monreale.Lo splendore dei mosaici.Itaca libri.Marzo 2009.
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Il Duomo di Monreale.Lo splendore dei mosaici.
Testi di David Abulafia e Massimo Naro
Presentazione di Cataldo Naro
Il racconto della storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.
Un inno alla Chiesa di eccezionale bellezza, mai documentato prima d’ora con tale ampiezza di immagini realizzate mediante una apposita campagna fotografica e strumenti tecnici all’avanguardia.
Sulle pareti del Duomo si snoda un ciclo musivo, conservatosi pressoché intatto, che racconta la storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo, in un percorso che ha alle sue estremità le due figure imponenti del Cristo pantocratore dell’abside, le cui braccia si aprono in un abbraccio commovente che accoglie il fedele lasciandolo senza parole, e della Vergine nella controfacciata, la cui maternità è segno perenne del rinnovarsi della presenza di Cristo che accompagna la vita degli uomini, posto genialmente sopra la porta attraverso la quale i fedeli lasciano la basilica per portare nel mondo la loro speranza.
Oltre alla sequenza narrativa vetero e neo testamentaria, le pareti della basilica ospitano una impressionante serie di ritratti di santi, testimonianze perenni della vita della Chiesa. Anche in questo caso, la loro collocazione rivela un progetto geniale: se infatti le absidi laterali ospitano i due capisaldi della fede cristiana, Pietro e Paolo, lungo le pareti del presbiterio e nei sottarchi delle navate si susseguono figure intere, busti e volti di monaci, vescovi, laici, eremiti, uomini e donne che hanno testimoniato la loro fede, chiesa trionfante sempre più vicina alla chiesa militante che affolla ogni giorno la chiesa, per concludersi nella controfacciata, accanto alla figura di Maria, con gli esempi più vicini alla gente di Monreale, Cassio, Casto e Castrense, i “loro” santi.
Il ciclo musivo di Monreale dispiega così un inno alla Chiesa di eccezionale bellezza, mai documentato prima d’ora con l’ampiezza di immagini di questo volume. Per giungere a questo risultato è stata svolta una campagna fotografica completamente nuova, utilizzando strumenti tecnici all’avanguardia.
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Chiesa e Società a Caltanissetta…..
Il volume raccoglie le relazioni degli studiosi, le testimonianze dei protagonisti e gli interventi dei partecipanti ai convegno organizzato da Cataldo Naro tramite l’istituto teologico-pastorale di Caltanissetta sulla vita della Chiesa nissena negli anni a cavallo tra fascismo e dopoguerra.
Le relazioni studiano la vicenda interna della Chiesa nissena nel suo rapporto dinamico con la società locale. Attraverso attente ricerche sulla pastoralità di vescovo e clero, pietà e spiritualità, associazionismo e attività caritativa, emergono antiche e nuove compenetrazioni tra religione e vita civile, Chiesa e società.
Le testimonianze, con la freschezza e vivacità del loro apporto, contribuiscono a cogliere nessi e articolazioni e a delineare il quadro ecclesiale e sociale in cui si colloca la fondazione, proprio a Caltanissetta, della Democrazia Cristiana siciliana.
Gli interventi puntualizzano aspetti e forniscono utili integrazioni alla ricostruzione storica.
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“VINCE LA LUCE…..”,RICORDANDO CATALDO NARO.
Il Padreterno è abituato a scrivere,spesso e volentieri, sulle righe storte piuttosto che sulle dritte,così come, invece, vorremmo noi. In questa logica “illogica”, il 29 Settembre di due anni fa chiamava a sè, improvvisamente e prematuramente,l’Arcivescovo Mons.Cataldo Naro.Si spegneva,così, una figura esemplare di studioso,sacerdote e vescovo. Moriva proprio nel giorno della festa di
San Michele Arcangelo patrono della diocesi nissena.
Nato a San Cataldo, Mons. Naro aveva compiuto i suoi studi tra Caltanissetta,Napoli e Roma,dove aveva conseguito il dottorato in Storia della Chiesa e Archivistica. Appassionato di storia locale,aveva intrapreso un cammino di riscoperta del movimento cattolico a Caltanissetta e,più in generale, in Sicilia.
Nel 1983,ha fondato il centro studi Cammarata,con sede a San Cataldo,divenuto nel tempo un punto fermo per la cultura in Sicilia,richiamando decine e decine di studiosi dall’Italia e non solo.
A testimonianza di ciò le tantissime pubblicazioni del centro studi.
Uomo della sostanza,Cataldo Naro ha contestato e contrastato, con la sua vita ,i percorsi dell’apparenza, del bigottismo,dell’effimero,del pietismo,del cattolicesimo municipale,di una chiesa serva del potere,decidendo di vivere, e non di sopravvivere, la sua giovane vita con autenticità, con spirito di servizio evangelico,credendo nella sua alta dignità sacerdotale ed episcopale.
Ha speso la sua grande ed intuitiva intelligenza al servizio della formazione di intere generazioni di giovani studenti.
Precursore di molte cose,tra cui la nascita del progetto culturale della chiesa italiana, ha insegnato in diverse luoghi e soprattutto presso la Facoltà Teologica di Sicilia di cui è stato prima docente, per tanti anni,poi vice preside e,infine, preside per 6 anni.
Ha collaborato attivamente alla vita della chiesa in Italia oltre che con i suoi studi,anche facendo parte del comitato di gestione di Avvenire,collaborando con l’Osservatore Romano e con il progetto culturale della chiesa italiana.
Nominato arcivescovo di Monreale, nell’ottobre del 2002,si è prodigato incessantemente per il servizio pastorale alla chiesa affidatagli. Tantissime le iniziative poste in essere in soli 4 anni.
Il 29 settembre 2006 si è spento,causando la gioia di qualche delinquente patentato,(il quale non pago di tutto il MALE che gli ha fatto mentre Mons.Naro era ancora in vita, continua a dire.”Io me ne sono andato,ma lui non ha visto il trasloco”), e il pianto,la sofferenza di tantissime persone che lo hanno conosciuto,apprezzato ed amato.
Poiché rifiuto della morte è innanzitutto la memoria,così come scriveva Sergio Quinzio,aspettando il giorno del giudizio di Dio, ieri pomeriggio per ricordarlo è stata inaugurata,presso la meravigliosa cornice del museo diocesano di Caltanissetta,una mostra pittorica disegnata e plasmata dall’artista Silvana Pierangelini Recchioni,denominata:
Vince la Luce!
La mostra è stata presentata dalla Professoressa Maria Antonietta Spinosa,docente di estetica alla FaTeSi, ed inaugurata dal Vescovo di Caltanissetta Mons.Mario Russotto che ricordava i cinque anni dall’ insediamento alla guida della diocesi nissena.
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In Memoria di Sua Ecc.Rev.ma Mons.Cataldo Naro.
(Dipinto del Pittore partinicese Prof.Gaetano Porcasi,donato alla Biblioteca della Facoltà Teologica di Sicilia di Palermo,intitolata a Mons.Cataldo Naro,già docente e preside della predetta Facoltà)
Il 29 Settembre 2006 concludeva la sua vicenda terrena,in maniera PREMATURA ED INASPETTATA,l’allora Arcivescovo di Monreale Mons.Cataldo Naro.
Fra qualche giorno ricorre il II anniversario della sua morte.
I FIGLI DELLA LUCE LO RICORDANO:
Inoltre,giorno 29 p.v. alle ore 17 presso la CHIESA MADRE DI SAN CATALDO(CL), dove riposano le spoglie mortali di Mons.Naro,verrà celebrata una S.Messa di suffraggio.
Si invitano tutti coloro i quali fossero impediti ad intervenire ad unirsi spiritualmente al momento celebrativo.
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Antonio Paolucci:Il Duomo di Monreale nelle tavole di D.B.Gravina.
Intervento del Prof.Paolucci
alla presentazione del volume
“I Mosaici del Duomo di Monreale nelle tavole di Domenico Gravina”
dedicato alla memoria di Mons. Cataldo Naro
nella ricorrenza del 75 dell’editrice Lussografica di CL
Caltanissetta, 23 maggio 2008
Eminenza,Eccellenze,Sig.Sindaco,Signore e Signori,
il mio compito è quello di parlare di un libro e del monumento che quel libro illustra e dell’uomo,Cataldo Naro, che quel libro ha voluto e quel monumento ha servito,amato ed abitato nella qualità di Vescovo di Monreale:il Duomo di Monreale.
Del Duomo di Monreale io parlerò,questa sera,e di questo grande libro monumentale,esposto nell’ingresso e che avete visto tutti entrando in questo teatro nisseno.
Un libro di cui ormai esistono poche edizioni,rarissimo ormai e con un valore commerciale molto alto,parlo del libro originale, cioè la descrizione del Duomo di Monreale realizzata dall’abate Domenico Benedetto Gravina tra il 1859 e il 1869 con un corredo cromolitografico che era, per l’epoca, qualcosa di assolutamente sperimentale all’avanguardia.
Un capolavoro di tecnologia editoriale che oggi viene anche contestualmente presentato nell’edizione fac-similare prodotta da Salvatore Granata dell’editrice Lussografica:orgoglio imprenditoriale,editoriale di questa città,della Sicilia,ma anche della editoria nazionale.
Raramente ho visto una esecuzione di questa qualità.
Questo è il libro. La ristampa di questo testo fondante tutta la bibliografia sul duomo di Monreale.
Domenico Benedetto Gravina era un monaco benedettino,appartenente ad una delle più nobili famiglie siciliane,i Gravina,e produce il suo capolavoro in un tempo,tra il 1859 e il 1869,grandioso,bellissimo per certi aspetti,ma drammatico per certi altri:la fine dell’antico regime,della dinastia dei Borboni,dell’unità d’Italia,di Garibaldi in Sicilia,ma anche il tempo della demanializzazione dei beni della Chiesa,la soppressione degli ordini religiosi ecc.ecc. Quindi quest’uomo,vive in questo tempo,grandioso e drammatico,della storia nazionale.
Era un intellettuale poliedrico,curioso di tutto un po’ enciclopedista illuminista del ‘700 e un po’ già dentro lo spirito positivista dell’1800. Infatti si occupò,anche,di archeologia,scienze naturali,filosofia,storia,teologia,ma la sua passione,il suo capolavoro è il libro sul duomo di Monreale.Una testimonianza su questo capolavoro assoluto del medioevo siciliano e italiano.
Dicevo Cataldo Naro è il suo amore per il duomo di Monreale. E’ importante toccare la personalità di questo altro intellettuale del ‘900,dei nostri giorni,morto,purtroppo,troppo giovane. Io non l’ho conosciuto,ma l’ho conosciuto,indirettamente,tramite la lettura un libro prezioso-ecco a cosa servono i libri- di cui mi ha fatto omaggio il fratello,don Massimo,La speranza è paziente.
Un libro che raccoglie,discorsi occasionale,interviste,articoli di giornale,conferenze che Mons.Naro fece dal 2002 al 2006. In questo libro tra i tanti argomenti riportati, si parla delle grandi cattedrali delle chiese d’Italia e d’Europa ormai abitati più dai turisti che dai fedeli. Ormai più oggetto dei flash e delle spiegazioni turistiche che di preghiere e di liturgie. Proprio così scriveva Cataldo Naro. Parla anche del dramma,perché di dramma si tratta,dell’arte sacra oggi.
Il Cristianesimo,scrive Cataldo Naro,si è trasmesso,attraverso i secoli, per mezzo dell’arte. Se questo non funziona come farà il cristianesimo a trasmettersi oggi? Ebbene quest’uomo, ama la sua chiesa e il duomo di Monreale, aveva capito,con la sua acuta intelligenza,che la caratteristica del duomo di Monreale è,innanzitutto, la sua internazionalità. E ciò è assolutamente vero perché se c’è qualcosa che distingue,tra le regioni d’Italia,la Sicilia per la sua vocazione,in qualche modo,universale, e proprio l’internazionalità. Non ha caso la montagna in cui si identificano i siciliani,L’Etna,viene chiamata Mongibello,ossia la sintesi del latino mons e dall’arabo ghebel che significano entrambi monte. Perchè lo dico? Perché se nel nostro tempo c’è una regione che può far capire a tutti come è importante la contaminazione,il meticciato questa è proprio la Sicilia per averlo dimostrato in tutta la sua storia.
Così come avvenne per Agostino,un romano d’Africa, con sangue magrebino nelle vene,che arriva in Italia, a Milano,e incontra un romano di sangue tedesco,Ambrogio,che faceva il funzionario imperiale a Trevi, in Renania.
Questi due meticci si incontrano e Ambrogio battezza Agostino nell’anno di Cristo 393 della nostra era: e nasce l’Europa.
Cataldo Naro aveva capito che un altro tratto distintivo del duomo di Monreale è la sua pluralità culturale. Infatti chi lo conosce e lo ha visitato sa che quella è una chiesa latina con uno stile proprio del romanico d’occidente- come potrebbe essere il duomo di Modena- suddivisa in tre navate con colonne imperiali romane spoglie e questo è l’aspetto tipicamente occidentale,romanzo.
Un impianto così potrebbe essere in val padania o in Borgogna. Però se uno entra nel presbiterio e va verso l’abside entra in una dimensione liturgica e architettonica di tipo greco,ortodosso. Perché la parte absidale è molto ampia e separata dal resto dell’architettura e porta entro i suoi confini il diaconicon e la protesis :sono tipiche costruzioni architettoniche dell’aspetto ecclesiale ortodosso.
Il diaconicon che ospitava i diaconi per il servizio liturgico e la protesis che era una sorta di sagrestia di pronto impiego.
Però se uno si guarda intorno,guarda, ad es.,il soffitto,la sua iperbole decorativa unitamente alla sua decorazione cromatica ci si sente in un luogo dal gusto morisco,arabo.
Infatti furono arabo-musulmane le maestranze che negli ultimi 30-40 anni del XII secolo,lavoravano all’ordine di maestranze,capomastri,ingegneri,architetti in parte bizantini in parte italiani o francesi-ancora la questione non ci è chiara del tutto-lavorarono nel duomo. Questo è l’aspetto sapiente della decorazione musiva straordinariamente ricca,ma tutta centrata sul tema della salvezza. La storia della salvezza che occupa questa la natura dei mosaici.
Un ettaro di mosaici,circa 10 mila metri quadri,una spesa immensa ha sostenuto il re,Guglielmo II,che volle questa chiesa come cappella palatina,come sua chiesa. Tra i mosaici ce n’è uno che non saprei come definire tra il divertente e l’imbarazzante.
Ad un certo momento si vede il re,l’autocrate Guglielmo II,in ginocchio di fronte alla Vergine con una scritta latina-lo stile dei mosaici è greco ma le scritte sono latine-rivolgendosi alla Madonna che le dice:pro cunctis ora,sed pro rege labora.Prega pure per tutti,ma ricordati di me che sono il Re!!
Una forma di fede ingenua e confidenziale. Crede veramente alla madonna e sa che è la sua madre.
La cattedrale di Monreale prende forma in pochissimo tempo,in una mangiata di decenni,30-40 anni non di più,in questo periodo straordinario della storia della Sicilia. Quando la Sicilia era,veramente,il cuore del mediterraneo. Nella Palermo di quegli anni si parlavano,indifferentemente, tre lingue:latino,greco e arabo. Una città straordinariamente internazionale. Era una specie di mito,di sogno per i mercanti d’oriente,per gli intellettuali arabi,per i latini che arrivavano nella bellissima Palermo. Vi arrivavano per nave,nella coca d’oro di allora,questo mare di verde lucente di smeraldo. Come è rimasta sino agli anni ’50 del secolo scorso. Dobbiamo andare a vedere i quadri di Antonello da Messina per capire com’era il lago verde smeraldo,lucente nel sole,della conca d’oro.
Una città internazionale,la Palermo del tempo,dove tutti gli intellettuali del mediterraneo avevano udienza perché i re normanni,Guglielmo II tra gli altri,ma dopo di lui anche Federico Hohenstaufen erano straordinariamente tolleranti. Tutti potevano venire in Sicilia ed avere occasioni di lavoro e di successo.
Chi sono gli artigiani,i maestri mosaicisti che lavorarono a Monreale? Certo sono stati molti e su questo non c’è dubbio. Per decenni hanno lavorato,decine,centinaia di specialisti. Debbo dire che il del dibattito sull’argomento è molto complesso. Ma posso assicurarvi che nella storia dell’arte moderna,dai tempi di Gravina in poi, tutti (Salvini,Moresca ecc ecc.) si sono confrontati con l’affascinante problema di Monreale. E tutti accettano il fattore della Koinè,cioè la lingua condivisa da tutte le varie botteghe che lavorano a Monreale era il greco. Lo stile è quello bizantino.
E’ probabile che Guglielmo II abbia chiamato degli iconografi e dei capi-bottega,progettisti provenienti,direttamente,da Costantinopoli.Poi hanno assunto maestranze locali con la procedura del lavoro di sub-appalto,come si usa ancora,a ditte locali. Forse,in parte,ancora musulmane e parzialmente cristianizzate. Tutte lavorano insieme,evidentemente con una disciplina molto severa, e con una efficienza invidiabile per costruire l’iconografia del duomo di Monreale che è,secondo me,l’esempio più perfetto,più didatticamente efficace tra tutti i sistemi iconografici che il medio-evo abbia prodotto.
Infatti se uno entra nel duomo di Monreale capisce tutto,è tutto spiegato. Come inizia la storia (la creazione dell’universo),la creazione dell’uomo,il peccato d’origine poi il diluvio ecc.ecc.
E’ la historia salutis,la storia della salvezza. Come siamo nati,chi siamo,verso dove andiamo.
E andando nel presbiterio,cuore del duomo poichè luogo della consacrazione e eucaristica,troviamo nell’abside le storie di Cristo,le storie principali della vita di Cristo. Il presbiterio e l’abside sono il luogo cristologico per eccellenza.
Secondo la tradizione ortodossa,nel diaconicon sono raffigurate le storie mosaicali dell’apostolo Pietro
e nella protesis quelle dell’apostolo Paolo.
I due proto apostoli su cui si regge la gerarchia e la dottrina della Chiesa sono raffigurati in questi due luoghi del presbiterio. Tutto questo,storia sacra,tempo dell’attesa,profezie dagli abissi dei secoli,testimonianze dell’Antico Testamento,dottrina,gerarchia, il tutto sarebbe nulla se non si concludesse in quella idea,genialmente fuori scala,che è il Cristo.
Questo Cristo che domina l’abside,volutamente e genialmente fuori scala,al di la di ogni proporzione poiché tutta la historia salutis si conclude con Lui,l’alfa e l’omega, colui che era che è e che viene e che ritornerà e giudicare i vivi e i morti.
Dunque una catechesi attraverso le immagini sacre. Tutto ciò affascinava Mons.Naro e che anch’io condivido naturalmente.
Come storico dell’arte,però,sono particolarmente affascinato dall’aspetto stilistico dei mosaici con delle tensioni di naturalismo,d’espressionismo tipicamente romanze,occidentali. Poi ci sono delle scritte in latino che fanno capire come la lingua latina stia sfarinandosi,stia,in qualche modo,declinando in una lingua nuova. Nella scena del sacrificio di Isacco c’è una bella scritta in latino che dice:estendas manum tuam a puero ,togli la mano da quel ragazzo. E’ già italiano.
Oppure alla fine del diluvio,si vede l’arca che si arena,il patriarca che è uscito e le bestie che escono una ad una e con la scritta:cessato diluvio che dice che la mutazione della lingua latina è già in atto e che la lingua della Chiesa stava sciogliendosi per diventare idioma romanzo.
E’ affascinante la storia musiva del duomo di Monreale perché ci fa capire cos’è l’arte ossia la storia che si fa figura. E la storia è contaminazione,mutazione è compromesso ed è accordo tra culture diverse. Il duomo di Monreale lo testimonia benissimo. Cataldo Naro lo aveva capito. Aveva capito anche,perché non c’è solo la chiesa,c’è quella parte straordinaria che è il chiostro di Monreale.
Nei capitelli del chiostro è presente lo stile romanico classico che viene dalla Francia,da Arles, e il chiostro in quest’epoca non è solo un posto dove si passeggia si sta all’ombra, è molto di più. E’ una specie d’enciclopedia,è speculum mundi è repertorio classico. Vi si possono trovare Ercole,i ciclopi; si possono trovare gli animali,il lupo, la volpe,l’aquila, il leone. Sono tutti animali simbolici,ognuno di loro significa qualcosa. Un grande mistico irlandese scrive:omnis mundi creatura sicut liber aut figura nobis set in simbulo. Ogni cosa di questo mondo,sia un libro o come una pittura ci viene data sotto forma di simbolo. E’,cioè,immagine di se stessa e figura di altre cose. Il leone,ad esempio-lo troviamo anche a Monreale nel chiostro-è figura del diavolo,liberaci dalla bocca del leone recita un inno medievale,ma contestualmente è anche figura di Cristo. Perchè? Perché c’era una leggenda scritta da Plinio il vecchio, nella Naturalis Historia,che poi il medio-evo credette come vera,secondo cui quando i leoncini nascono sono morti. Però,dice Plinio,arriva il leone papà e soffia su di loro e ritornano in vita. Così il leone diventa simbolo di Cristo che porta la salvezza e fa risuscitare. L’allodola che si alza verso il sole dal campo di grano e,quindi,diventa simbolo di Cristo poiché il campo di grano è segno eucaristico.La potenza della simbologia medievale!
Tutto questo per dirvi come una chiesa sia un libro che può parlare,affascinare,insegnare. E questo Mons. Naro l’aveva capito bene. Dunque è questo il motivo della ristampa di questo prezioso volume. Il meticciato ci salverà,lo pensava anche Mons. Cataldo Naro.
Il Prof. Antonio Paolucci è nato a Rimini (1939),residente a Firenze è allievo di uno dei massimi storici dell’arte del ‘900 Roberto Longhi e con lui si laurea in storia dell’arte nel 1964 all’università di Firenze.Nel 1969 entra nella carriera direttiva dei beni culturali e ricopre,successivamente, l’incarico di sovraintendente a Venezia e a Roma,quindi a Firenze quella di direttore dell’opificio delle pietre dure e di direttore generale per i beni culturali della Toscana. Dal gennaio del 1995 al maggio del 1996,Paolucci ricopre la carica di Ministro dei beni Culturali italiani del governo presieduto da Lamberto Dini.Il sisma del 1997,segna per Paolucci gli anni più difficili e più impegnativi della sua carriera a causa dei gravi danni subiti dalla basilica di San Francesco ad Assisi che costituiscono una perdita sofferta ad un così grande tesoro. Lo vedo impegnato a dirigere il cantiere di restauro ,nella qualità di commissario governativo, e vive l’esperienza come una realtà della quale si è sempre detto orgoglioso. Paolucci è vice presidente del consiglio superiore dei beni culturali e presidente del comitato scientifico per le mostre d’arte delle scuderie del Quirinale.Consulente del Sindaco di Firenze per i musei civici e accademico dei Lincei. Studioso,con molte pubblicazioni a riguardo, di parecchi artisti del ‘400 e del rinascimento,Piero della Francesca,Michelangelo,Antoniazzo Romano,Luca Signorelli,Benvenuto Cellini.E’ l’attuale direttore dei Musei Vaticani.
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Francesco Michele Stabile, Cattolicesimo siciliano e mafia
A cura del Prof.Giampiero Tre Re
Sez.Biblioteca in:
http://terradinessuno.wordpress.com/
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LA FORMAZIONE e la SOSTANZA:I CRISTIANI DI FRONTE ALL’ISLAM OGGI.
Convegno organizzato dall’ex ARCIVESCOVO DI MONREALE MONS.CATALDO NARO,DI VENERATA MEMORIA.
Premessa
C’è chi reputa che sia soltanto espressione deIl’entusiasmo di alcuni ingenui. C’è chi pensa che sia il tradimento della propria storia, il segnale di un indebolimento, una dichiarazione di resa. C’è chi sospetta che sia piuttosto un ‘astuta strategia, imposta dalla congiuntura epocale: un machiavellico barcamenarsi tra opportunismo e relativismo. C’è chi rimane invece convinto che sia l’ultima e vera via della pace, una sorta di bandolo nella matassa di sentieri interrotti che il mondo odierno rappresenta. Il dialogo interreligioso, che le Chiese cristiane oggi promuovono, può sembrare tutto e il contrario di tutto.
Del resto gli appartiene per natura un ‘indole controversa che da una parte lo configura come amichevole colloquio e dall’altra parte- costringendolo a passare attraverso l’inevitabile crogiolo del confronto con gli “altri” -può trasformarlo in polemica. Come avviene già a livello semantico quando si traduce il termine greco nel suo corrispettivo latino, il dialogo inteso e praticato come proiezione di sé e del proprio “mondo” in un altro orizzonte concettuale, in un ‘altra tradizione dottrinale, in un ‘altra sensibilità culturale, in un altro universo valoriale — rischia, talvolta, di cambiare i suoi connotali, diventando diverbio. Spesso più o prima ancora che con l’interlocutore, con e stessi: auto- contraddizione. D’altra parte, la conversazione con qualcuno implica sempre la fatica della conversione: o la propria o quella altrui. Oppure — e sarebbe il migliore dei casi, se si riuscisse però a neutralizzare il pericolo del mero sincretismo — quella propria e quella altrui insieme e al contempo. E convertirsi significa più d ‘ogni altra cosa, venire a sapere e accettare qualcosa di nuovo. Questo carattere controverso conferisce al dialogo interreligioso la
radicalità dell’evento. Egli vieta la sicumera dell’ovvietà. Ecco perché già Paolo VI, al n. 60 della sua prima enciclica — l’Ecclesiam suam, promulgata i1 6 agosto 1964—, parlava con realismo, oltre che con ottimismo, di un dialogo con i credenti di altre religioni — sul piano degli «ideali comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura, della beneficenza sociale e dell’ordine civile» — umilmente e semplicemente «possibile». Un tale dialogo è, secondo Paolo vi, prerogativa e compito della Chiesa, ma resta condizionato dalla risposta ch’esso di volta in volta incontra. Per questo motivo è inaggirabile e ineludibile per la Chiesa e per il cristianesimo, rappresentando la loro vocazione nella storia; eppure proprio lì, dentro la storia, esso rimane soltanto possibile.
Il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, a questo proposito, ha scritto — nel primo volume della sua Theodramatik — che il cristianesimo si sviluppa in forza di un vero e proprio «principio dialogico». Esso, cioè, scaturisce dal colloquio pneumatico intrattenuto — nell’eternità dell’Agape trinitaria — dal Padre col Figlio suo. E si innesta nella storia comune degli uomini come prolungamento e culmine dell’alleanza di questo stesso Dio d’amore, al cui cospetto la terra sacra dell’obbedienza — lì dove l’uomo è chiamato ad ascoltare, a inchinarsi e a togliersi i calzari — può essere anche il luogo della risposta, lo spazio riservato al comprendere, al prendere posizione, persino alla possibilità di opporre un rifiuto. Se il «colloquium salutis», di cui ha parlato Paolo VI per introdurre appunto il discorso sul valore del dialogo interreligoso, è già l’umile tradursi dell’eterna Agape entro i limiti e i rischi della possibilità storica, anche la propensione e la disponibilità del cristianesimo a dialogare con le altre religioni non può esimersi dai ritmi e dalle movenze del dialogo — e in un certo senso dell’agone — agapico intra ed extra trinitario. Allora il dialogo che gli uomini intrattengono tra di loro entra «in una luce tutta nuova»: esso, secondo Balthasar, finisce per esprimersi in «rapporti continui, convergenti e divergenti. . .; punti di vista diversi si aprono a vicenda … . Si fanno molte esperienze gli uni con l’aiuto degli altri, ci si urta e disturba a vicenda, si impara ad accentuare il proprio punto di vista, ad assimilarsi il punto di vista altrui, cose incomprensibili ed ostiche si illuminano come da sé alla luce altrui o appaiono quanto meno come “punto di vista sostenibile”; i maestri imparano dagli scolari e i padri dai figli. Ciò che si arriva così a sapere non è più una merce, si fonde alla persona consapevole, lo si divide l’uno con l’altro». Il dialogo, perciò, si configura come «l’atteggiamento che si apre a un nuovo ascolto e che lascia che l’altro abbia valore in quanto altro, anche là dove momentaneamente non si vede più ho cosa ci sia da dire». In questo coacervo,o di relazioni, di contatti e di scambi, permane tuttavia la minaccia della rottura, «là dove — spiega Balthasar — nessuna parola viene più concessa, nessuna offerta di sé più aiuta, dove crollano i ponti di ogni possibile comprensione, l’odio, il fanatismo, la gelosia, l’estrema estraniazione innalzano muri insuperabili, dove è possibile ancora solo tacere, perché ogni ulteriore discorso ingrandirebbe la distanza e cadrebbe come una scintilla sulla polvere da scoppio». Qui Balthasar riprende e argomenta il realismo di Paolo VI. E’ spiega in che senso il dialogo non è affatto alcunché di scontato ma è una possibilità aperta da ogni lato, dal suo inizio al suo esito.
Da una parte il dialogo resta sempre aperto nel suo esito: «Non ogni nodo annodato si scioglie nella parola e nella controparola, qualcosa di più alto può rivelarsi che sopraffà coloro che parlano, ne siano o non ne siano consapevoli. Un evento che rimane ignoto a entrambi.. .può offrire la chiave che apre il loro rapporto. Una risoluzione maturata nel silenzio, un ‘azione muta conduce i discorsi oltre se stessi, crea il punto definitivo, scopre l’inizio invisibile, sradica gli alberi fattisi apparentemente enormi e li trapianta nuovi in un ‘altra regione». Si tratta del compimento che sta qualitativamente oltre — benché non sempre altrove — rispetto alla storia, nelle mani e nel grembo di Dio.
Dall’altra parte, il dialogo resta aperto a monte, radicato in quello che Balthasar chiama il «mistero interiore della soggettività»: si tratta dell’importanza incancellabile dell’identità credente del cristiano, che il teologo elvetico descrive come «un abitare in se stessi per poter poi uscire da se stessi», come il «possedere l’interna ricchezza di un carattere» e l ‘” affermare una originalità e solitudine maggiore per poter essere un dono nella comunicazione».
Se di dialogo si vuole discutere, dunque, si deve parlare anche di identità che, rimanendo fedeli e coerenti a se stessi, pur si confrontano reciprocamente Anche il dialogo interreligioso, in tale ottica, si profili come incontro e confronto fra alterità che mantengono intatti i loro tratti specifici e costitutivi e che si pongono in un rapporto di tipo frontale. La frontalità, in questo caso, non si riduce ad una polemica presa di distanza, ma costituisce la possibilità di vedere il profilo oggettivo delle identità che dialogano. L’incontro e l’integrazione che, comunemente, vengono proposti come la soluzione più urgente al problema dei fondamentalismi di matrice religiosa, possono davvero avvenire solo se si conoscono e si riconoscono nitidamente i contorni delle rispettive identità credenti a confronto, la valenza della loro alterità e, al contempo, della loro non-incompatibilità.
Ma anche può essere raggiunta a partire dalla conoscenza di sé. Conoscscersi e conoscere sono,sul piano del confronto interreligioso,due dinamiche che si accompagnano e si co-implicano sempre a vicenda. Per superare così, con prudenza ed intelligenza, antichi rifiuti inappellabili e nuove chiusure intolleranti fra differenti tradizioni culturali e religiose.
I saggi raccolti in questo volume frutto di un convegno intitolato Cristiani di fronte all’islam oggi, tenutosi a Poggio San Francesco, in diocesi di Monreale, nei giorni 3-4 Luglio 2004 — studiano appunto l‘importanza dell’ ‘identità cristiana nell ‘orizzonte del dialogo interreligioso e del confronto culturale con l’islam. Questo si è imposto all’attenzione degli organizzatori del convegno sia per la sua importanza di portata globale, attualmente ridondante attraverso i media di tutto il mondo a causa delle recrudescenze terroristiche e belliche che si sono innescate in tanti posti a partire dall ‘11 settembre 2001; sia perché trova in Sicilia, per motivi storici e per la collocazione geografica dell ‘Isola, un significativo banco di prova del suo contatto con l‘Occidente di tradizione cristiana, venendo a fare i conti oltre che con gli avvenimenti del presento anche con una lunga e complessa memoria, che ha il respiro ampio dei secoli.
….. il convegno …. ha voluto mantenere un taglio metodologico, per offrire un contributo scientifico alla didattica della religione cattolica nelle scuole e alla prassi pastorale della Chiesa monrealese. Ha inteso così segnalare, agli operatori pastorali e agli insegnanti di religione cattolica, l’importanza di alcune domande fondamentali riguardanti l’islam, preso in considerazione dal punto di vista della fede cristiana e messo in rapporto anche con l’ebraismo come pure con il pluralismo culturale contemporaneo. In questo senso ha tentato di rendere ragione della necessità di inquadrare l’Islam all ‘interno di un ‘ermeneutica rispettosa delle differenze e della peculiarità in questione, sia per leggere cristianamente l‘islam stesso-mentre se ne propone lo studio scientifico,secondo il suo specifico impianto categoriale e dottrinale— sia, quindi, per dotare chi l’osserva in una prospettiva cristiana di strumenti interpretativi e di informazioni che lo mettono in grado di confrontarsi oggi con esso in modo consapevole ed efficace dal punto di vista culturale oltre che propriamente religioso…….
MASSIMO NARO
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