LO SGUARDO DELL’AQUILA.Elementi biografici di Cataldo Naro Arcivescovo di Monreale.

naro porcasi

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Cataldo Naro,un vescovo sulla scia del concilio.

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0. Estratto Naro – CredOggi 01-13

Sul crinale del mondo moderno…..

locandina per Palermo

Presentazione del volume di S.E.Rev.ma Mons.Cataldo Naro:

SUL CRINALE DEL MONDO MODERNO,scritti brevi su cristianesimo e politica.

Sul crinale del mondo moderno.Scritti brevi su cristianesimo e politica.

Le “cento Sicilie”raccontate!


A CAMPOFIORITO E NEI COMUNI SICANI CON A.G.MARCHESE E GLI STORICI LOCALI I COMUNI RISCOPRONO LA LORO STORIA

Una identita’, che rischiava di essere cancellata, nel millennio dalla memoria corta, pur rientrando tra gli insediamenti di nuova fondazione.

di Ferdinando Russo

E’ partita da Campofiorito(Pa) la sfida dei piccoli comuni a rivedere ,aggiornare,arricchire la storia degli uomini e degli eventi delle città nuove .
E non c’era miglior curatore del medico -letterato e cultore di Storia dell’Arte nell’Università di Palermo, dr.Antonino Giuseppe Marchese, per tentare una prima raccolta di storie locali,partecipate vissute da parte degli estensori, in un aggiornamento temporale ,proposto a studiosi ,intellettuali,tecnici,storici di oltre 20 comuni della Sicilia, per intessere una maglia di confronti e di diversità tra quelle che Bufalino chiamava le “Cento Sicilie”.(1)
Il Presidente della provincia regionale di Palermo, ing.Giovanni Avanti ,ne ha permesso la pubblicazione ,riconoscendo il valore della storiografia locale, “che consente di conoscere,riscoprire e,quindi,valorizzare,le tradizioni,gli usi,i costumi dei nostri padri,i loro ritmi di vita,ma anche le loro speranze e i loro sogni.” (2)
Ed è toccato al compianto arcivescovo Cataldo Naro,al suo inizio della guida della diocesi di Monreale, aprire il convegno ospitato dalla città di Campofiorito, che dalla iniziativa ha tratto interesse e impegni culturali per una presa di coscienza comunitaria della memoria delle origini, quasi a riscoprire le peculiarità del lavoro e della cultura degli antenati e della loro creatività umana,della loro fede religiosa.
Proprio mentre cresce il fenomeno della globalizzazione nelle sue varie dimensioni economiche,sociali e culturali,ha affermato il Presule, e mentre si intensificano i processi di integrazione politica del continente europeo,si riscopre il senso dell’appartenenza alla patria locale e spesso nel quadro più ampio di una riscoperta dell’identità nazionale.”
“ .Per troppo tempo in Italia- ha continuato Naro,-“il sentimento di appartenenza alla stessa nazione è stato soppiantato,almeno ad alcuni livelli della consapevolezza diffusa,da quello dell’appartenenza ai partiti politici e alle grandi famiglie ideologiche: si era democristiani o comunisti,cattolici o anticlericali,socialisti o altro ancora. E ci si ricordava di essere Italiani solo quando si era all’estero o a partire da alcuni elementi, come la cucina o la quadra di calcio.”

E per i 150 anni dell’Unità d’Italia bene ha fatto il sindaco di Campofiorito, in provincia di Palermo ,Giuseppe Sagona, a promuovere ,fuori da ogni ufficialità patriottica formale,
una solenne celebrazione unitaria , legando alla prima presentazione del volume (2) sulle storie locali,a ciò che unisce gli Italiani e come il localismo non debba ottundere l’essenza di una comune civiltà, ma contribuire, con un protagonismo culturale e storico, al comune cammino umano del Paese.
La presentazione degli scritti storici ha avuto così il conforto e la corale presenza della Giunta e di numerosi consiglieri Comunali, l’apprezzamento dell’assessore alla cultura,Mario Milazzo, e degli assessori Pizzo,Gerardi e Bono,del Consigliere della provincia regionale Vallone, in rappresentanza del Presidente Avanti, ,dell’on.Ferdinando Russo, già sottosegretario agli Interni e parlamentare della Sicilia occidentale,e di numerosi storici dei comuni di Giuliana, Ciminna,Villafrati, Contessa Entellina, Vicari, intervenuti ad illustrare il loro apporto.
E la Sicilia da questo studio dedicato ad alcune comunità, conferma una rinata consapevolezza
di proseguire, o riprendere l’indagine storica sull’Isola, partendo dall’investigazione delle realtà locali, per decifrarne le linee di forza, le motivazioni, la cause, che hanno spinto, anche gli stranieri, a visitare ed a scrivere delle vicende ,delle diversità, dei microcosmi dei fattori isolani, che rendono peculiare e significativo il procedere del cammino di questa regione-nazione che si rinnova, nelle sue realtà istituzionali, non tralasciando la memoria dei padri ,rischiando di apparire ostile ai cambiamenti, come in Tomasi di Lampedusa, mentre ingloba tante culture mediterranee e continentali, recependone, spesso i valori ,anche se, talvolta, si tratta di incolti disvalori..
A.G.Marchese, il curatore apripista di questa voluminosa ricerca, stimolatrice quindi di ulteriori integrazioni in progress, per le cento o mille altre realtà, non è nuovo a produrre testimonianze letterarie e comunitarie ed a tracciare ipotesi di futuri lavori storici e ricerche ,non rigidi monotematici, ma coinvolgenti studiosi locali ed esperti di ricerche sul territorio sui temi dei beni culturali, ambientali, geofisici, antropologicici (3).
Basta ricordare la sua vasta produzione di saggi, scritti storici, biografie, scoperte artistiche, che hanno interessato l’area dei monti Sicani e del Belice, si da promuovere azioni conservative ,di restauro e politiche istituzionali quali le Unioni dei Comuni, (del Salso,del Belice,ecc ), il Parco dei Monti Sicani, così come si preannunciano per l’interesse creato dalla recentissima opera “ Insula” (4)
E con l’umiltà che caratterizza gli storici, nell’opera della presente riflessione, il Nostro sceglie di trattare ed offrire il suo apporto, anche metodologico, affrontando come soggetto della sua ricerca un comune tra i più piccoli,”Campofiorito: una new town baronale dela Sicilia occidentale” (cfr,pagg.27-74 del volume ).
E’ questo “un centro del Val di Mazara, nella comarca di Corleone, la cui “licentia populandi” ,rilasciata nel 1655 dal re Filippo IV di Spagna al Marchese della Ginestra(e poi primo principe di Campofiorito)Stefano Reggio Santo Stefano, non ebbe alcuna attuazione concreta, mentre oltre un secolo dopo,nel 1768, avrebbe avuto una realizzazione,seppure parziale,con l’intervento del suoV principe Stefano III Reggio Gravina”.

“La nascita giuridica di Campofiorito, intesa come Universitas baronale,-scrive Marchese, -sia che la sua costituzione sia avvenuta ex novo, o che abbia fatto uso di preesistenze abitative ,è stata sancita nel 1768, con il riconoscimento al principe Reggio da parte della Curia arcivescovile di Monreale,guidata da mons.Francesco Testa, dello status di parrocchia della chiesetta di Santo Stefano e la nomina del primo parroco arciprete, nella persona del sacerdote Leonardo Schifani da Chiusa..
Il 27 ottobre 1768 si celebra il primo battesimo ed è Stefano il nome in onore sia del Patrono della città,sia del principe.

“Ed è come effettuare il recupero di una identità,- ha affermato ,intervenendo alla presentazione dell’opera Ferdinando Russo, -come riportare alla comunità dei “Campofioritani ,o “bellanuvisi”,o “terranuvisi “,dagli archivi e dalle tele ingiallite di alcuni secoli, dai musei e dalle Sovrintendenze ,dal patrimonio storico-archivistico di Monreale, il fluire della storia umana e religiosa degli antenati di una delle “città nuove”, create cioè ex novo nell’età moderna, assieme ad altri 87 centri siciliani tra il 1593 ed il 1714.”

La cultura urbanistica di questi comuni rurali di nuova colonizzazione, non è comunque esente da legami e ascendenze con la grande cultura europea contemporanea, come afferma M.Renda.(5).

Significativo e moderno il tentativo di denominare questi comuni con sinonimi accattivanti, incoraggianti: Campofiorito,Villafranca,Campobello,Campofranco,Camporeale,Belmonte,Altavilla,
Roccamena, Villafrati.

Attorno a Campofiorito, nascono tentativi di industrializzazione, con la conceria e con la produzione dei materiali di costruzione, la calce ed il gesso,.che rappresenteranno, fino alle soglie degli anni sessanta, una fonte di approvvigionamento dei materiali fondamentali per l’edilizia e non solo per quella povera dei comuni del circondario.

Della nascita della città usufruiscono gli artigiani dei comuni vicini di Bisacquino, Corleone, Chiusa Sclafani, Prizzi, Giuliana, Contessa Entellina, ed i paesi sicani hanno ormai già risorse comuni e maestranze interscambiabili.

Ragioni di sicurezza del latifondo, ragioni di lavoro, di esplosione demografica (vedi Palermo), di ripopolamento, di necessarie produzioni cerealicole, determinatesi dopo il terremoto del 1693 ,stanno alla base di una positiva politica economico-sociale, che investe la Sicilia, in maniera preponderante.

E nella storia appare un contributo innovativo a modificare l’assetto fondiario e culturale, come
sottolinea Marchese ,citando una ricerca del giornalista Dino Paternostro (6) “pe r effettuare la presenza di sempre più numerosi abitanti, infatti, il Principe procedette al frazionamento delle terre e alla loro concessione, tanto che gli enfiteutica da 46, che erano nel 1774, aumentarono a 133 nel 1811 e a 146 nel 1817.Le rimanenti terre vennero condotte in gabella ed affidate ad un unico affittuario”.
Ora però vogliamo invitare i lettori e gli amministratori comunali ad utilizzare per le Biblioteche comunali e per le scuole il volume al nostro esame.
Tra i Comuni coinvolti nelle ricerche ricordiamo sommariamente:
Montemaggiore Belsito (contributo di Giovanni Mendola), Calamonaci (con le maestranze e la sua economia,l’esempio che riporta Giovanni Moroni),Villafrati e Cefalà Diana (dello studioso Giuseppe Oddo (9), Marineo, Il barone e il popolo (Antonino Scarpulla), Serradifalco (Alberico Lo Faso ), Monforte San Giorgio (Giuseppe Ardizzone Gullo), Chiaramonte e Monterosso nel 1593 (Gianni Morando)), Ventimiglia di Sicilia (Arturo Anzelmo), Montalbano (Alfio Seminara).

Ed ancora, Prizzi (Carmelo Fucarino), Caltabellotta (Angela Scandagliato), Acquedolci e Capo D’Orlando (Antonino Palazzolo), Cammarata (Domenico De Gregorio), Campofranco (Giuseppe Testa). Per la Val di Noto (Marisa Buscemi), per Sciacca (Ignazio Navarra), Polizzi (Vincenzo Abbate), Alcara Li Fusi (Angela Mazzè), Bivona (Antonino Marrone),Castelbuono(Rosario Termotto).

La ricerca non poteva non toccare anche Enna , Tortorici, Petralia Sottana, Isnello, Contessa Entellina (Calogero Raviotta), Palazzo Adriano (Antonino Cuccia). .

Ci riserviamo ,pertanto, di presentare gli altri comuni interessati a questo storico evento librario,.scusandoci con gli storici locali, che hanno collaborato allo studio originale e ricapitolativo di quanto finora conosciuto solo dagli esperti e degli addetti ai lavori e non citati in questa nota.
.
La ricerca spazia ,infatti, nel territorio dell’intera Sicilia e merita informazioni e riflessioni attente di apprezzamento per gli studiosi e per la fatica immane del curatore .

Torneremo sull’argomento ,quando i sindaci e il presidente della Provincia regionale di Palermo G.Avanti presenteranno ufficialmente la meritevole pubblicazione.

Ferdinando Russo
onnandorusso@libero.it

1)G.Bufalino,Nunzio Zago,Cento Sicilie ,testimonianze per un ritratto,La Nuova Italia editrice,
Scandicci,Firenze 1993

2)A,G.Marchese (a cura),L’isola ricercata,inchieste sui centri minori della Sicilia secoli XVI-XVIII,Atti del Convegno di studi (Campofiorito,12-13 aprile 2003-Provincia Regionale di Palermo

3) A.G.Marchese, Insula ,Ila Palma Mazzone Produzioni dicembre 2009 (vedi anche Orizzonti Sicani aprile 2010)

4)F.Russo ,I centenari di A.G.Marchese vivono a Giuliana in http://www.google.it e in http://www.maik07.wordpress.com

5)M.Renda I nuovi insediamenti del 600 siciliano.Genesi e sviluppo di un comune (Cattolica Eraclea,in M.Giuffrè (a cura di) Città nuove di Sicilia,Palermo 1979

6)D.Paternostro,Campofiorito:nato dal sogno di un principe il primo giorno di Primavera,dattiloscritto del 1991,Archivio comunale di Campofiorito,p.5

9)G.Oddo,Lo sviluppo incompiuto,Storia di un comune agricolo della Sicilia occidentale,Villafrati 1596-1960,Palermp1986

RIANIMARE I MOSAICI ASSOPITI.


di CIRO LO MONTE con un inedito di MARCEL PROUST
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Tratto da:Il Covile,N 575 Anno X,27 Febbraio 2010.

La via della Bellezza!

Duomo_Monreale-FC50-2009[1]

La dimensione estetica è essenziale nella vita umana. A detta di Dostoevskij (I demoni), la bellezza è «il vero frutto dell’umanità intera e, forse, il frutto più alto che mai possa essere». «Quale bellezza salverà il mondo?», si chiede allora lo scrittore russo nell’Idiota.
Charles Moeller in Saggezza greca e paradosso cristiano dice: la bellezza dell’arte su questa Terra è superata dalla bellezza dei santi, quindi dell’uomo, che di Dio è immagine. «La gloria di Dio è l’uomo vivente», aveva affermato prima di lui icasticamente sant’Ireneo.
Tutto ciò non può che aiutarci ad apriare gli occhi su quel brutto a cui ci siamo abituati e che sta diventando categoria di giudizio per venire, pian piano, istradati dentro quella via pulchritudinis che davvero rappresenta l’urgenza educativa del nostro tempo».

In questo contesto si inserisce il Duomo di Monreale con lo splendore incomparabile dei suoi mosaici. Il duomo di Monreale è una delle testimonianze più impressionanti di quella stagione artistica straordinaria che la Sicilia visse nel XII secolo.
Sulle pareti del duomo si snoda un ciclo musivo, conservatosi pressoché intatto, che racconta la storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo, in un percorso che ha alle sue estremità le due figure imponenti del Cristo pantocratore dell’abside, le cui braccia si aprono in un abbraccio commovente che accoglie il fedele lasciandolo senza parole, e della Vergine nella controfacciata, la cui maternità è segno perenne del rinnovarsi della presenza di Cristo che accompagna la vita degli uomini, posto genialmente sopra la porta attraverso la quale i fedeli lasciano la basilica per portare nel mondo la loro speranza.
Oltre alla sequenza narrativa vetero e neotestamentaria, le pareti della basilica ospitano una impressionante serie di ritratti di santi, testimonianze perenni della vita della Chiesa. Anche in questo caso, la loro collocazione rivela un progetto geniale:
se infatti le absidi laterali ospitano i due capisaldi della fede cristiana, Pietro e Paolo, lungo le pareti del presbiterio e nei sottarchi delle navate si susseguono figure intere, busti e volti di monaci, vescovi, laici, eremiti, uomini e donne che hanno testimoniato la loro fede, chiesa trionfante sempre più vicina alla chiesa militante che affolla ogni giorno la chiesa, per concludersi nella controfacciata, accanto alla figura di Maria, con gli esempi più vicini alla gente di Monreale, Cassio, Casto e Castrense, i “loro” santi.
Il ciclo musivo di Monreale dispiega così un inno alla Chiesa di eccezionale bellezza.

Un patrimonio artistico di eccezionale bellezza mai documentato prima d’ora con tale ampiezza di immagini, realizzate mediante una apposita campagna fotografica e strumenti tecnici all’avanguardia.

«Il duomo di Monreale mostra tutta la sua bellezza quando vi si celebra la liturgia. È stato costruito per la liturgia. E per una liturgia regalmente solenne. È nel momento liturgico che esso appare davvero una reggia, una bellissima reggia, una regale casa di Dio, in cui si celebrano i divini misteri e sulle cui pareti si leggono i racconti della Bibbia, le storie di Dio. Tutto vi dice la presenza del Cristo risorto. Tutto aiuta a farsi presenti alla Divina Presenza. Il mondo di Dio e il mondo degli uomini vi appaiono contigui. Chi lo progettò e ne ideò i cicli musivi aveva molto vivo il senso della trascendenza di Dio e, insieme, della regalità divina di Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio fattosi uomo e morto e risorto per la nostra salvezza.»
S.E. Mons. Cataldo Naro

Testi di David Abulafia e Massimo Naro
Presentazione di Cataldo Naro
Curatore campagna fotografica: Giovanni Chiaramonte
Fotografi: Daniele De Lonti, Santo Eduardo Di Miceli, Jurij Gallegra
Coedizione Itaca – Libreria Editrice Vaticana

Il duomo di Monreale – Recensioni
Per chi… cerca Dio nel bello. «Il duomo di Monreale»,
«Famiglia Cristiana», n. 50, 13 dicembre 2009
Duomo_Monreale-FC50-2009.pdf (265,6 KB)

In memoria di Mons.Cataldo Naro….

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MONS.CATALDO NARO

N.il 6-01-1953 a San Cataldo

M.il 29-09-2006 a Monreale.

“….Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno…..”

(Giovanni Falcone)

Foto sito 1

BannerSanMichele

InvitoSanMichele

MARTEDI’ 29 SETTEMBRE 2009,MESSA DI SUFFRAGIO

PRESSO LA CHIESA MADRE DI SAN CATALDO(CL),ORE 17.

TU,CARO ALDO,NON SEI “SCOMPARSO”…….!

IL DUOMO di MONREALE.Lo splendore dei mosaici.

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A quasi tre anni dalla morte,tanto repentina quanto eccessivamente improvvisa….., dell’Arcivescovo di Monreale Mons.Cataldo Naro,avvenuta il 29-09-2006,vede la luce un altro volume dedicato allo splendore dei mosaici del Duomo di Monreale in cui Cataldo Naro ebbe la sua “cattedra” come Pastore e Maestro per circa quattro anni.

L’Arcivescovo Naro fu un grandissimo estimatore del significato teologico,biblico-catechetico,artistico,liturgico-mistagogico del duomo e dei sui meravigliosi mosaici che il Re normanno Guglielmo II fece costruire.

Mons.Naro fece,davvero,tanto per rilanciare il significato spirituale e storico culturale del “suo” amato Duomo come luogo di preghiera,personale e comunitaria e d’incontro con il Cristo Risorto e Pantocratore della chiesa locale. Cristo come alfa e omega,il principio e la ricapitolazione,Colui che E’,prima del tempo,che si è fatto carne e che ritornerà,alla fine dei tempi,a giudicare i vivi e i morti:il suo regno non avrà fine!

I testi del  volume, edito da Itaca libri, sono curati da David Abulafia e Massimo Naro.La presentazione,postuma,è dello stesso Mons.Cataldo Naro.

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 Un patrimonio artistico di eccezionale bellezza mai documentato prima d’ora con tale ampiezza di immagini, realizzate mediante una apposita campagna fotografica e strumenti tecnici all’avanguardia. 

Il duomo di Monreale è una delle testimonianze più impressionanti di quella stagione artistica straordinaria che la Sicilia visse nel XII secolo. 
Sulle pareti del duomo si snoda un ciclo musivo, conservatosi pressoché intatto, che racconta la storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo, in un percorso che ha alle sue estremità le due figure imponenti del Cristo pantocratore dell’abside, le cui braccia si aprono in un abbraccio commovente che accoglie il fedele lasciandolo senza parole, e della Vergine nella controfacciata, la cui maternità è segno perenne del rinnovarsi della presenza di Cristo che accompagna la vita degli uomini, posto genialmente sopra la porta attraverso la quale i fedeli lasciano la basilica per portare nel mondo la loro speranza.
Oltre alla sequenza narrativa vetero e neotestamentaria, le pareti della basilica ospitano una impressionante serie di ritratti di santi, testimonianze perenni della vita della Chiesa. Anche in questo caso, la loro collocazione rivela un progetto geniale: 
se infatti le absidi laterali ospitano i due capisaldi della fede cristiana, Pietro e Paolo, lungo le pareti del presbiterio e nei sottarchi delle navate si susseguono figure intere, busti e volti di monaci, vescovi, laici, eremiti, uomini e donne che hanno testimoniato la loro fede, chiesa trionfante sempre più vicina alla chiesa militante che affolla ogni giorno la chiesa, per concludersi nella controfacciata, accanto alla figura di Maria, con gli esempi più vicini alla gente di Monreale, Cassio, Casto e Castrense, i “loro” santi. 
Il ciclo musivo di Monreale dispiega così un inno alla Chiesa di eccezionale bellezza. 
«Il duomo di Monreale mostra tutta la sua bellezza quando vi si celebra la liturgia. È stato costruito per la liturgia. E per una liturgia regalmente solenne. È nel momento liturgico che esso appare davvero una reggia, una bellissima reggia, una regale casa di Dio, in cui si celebrano i divini misteri e sulle cui pareti si leggono i racconti della Bibbia, le storie di Dio. Tutto vi dice la presenza del Cristo risorto. Tutto aiuta a farsi presenti alla Divina Presenza. Il mondo di Dio e il mondo degli uomini vi appaiono contigui. Chi lo progettò e ne ideò i cicli musivi aveva molto vivo il senso della trascendenza
di Dio e, insieme, della regalità divina di Gesù Cristo, il Figlio eterno di Dio fattosi uomo e morto e risorto per la nostra salvezza.»
S.E. Mons. Cataldo Naro

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 Testi di David Abulafia e Massimo Naro
Presentazione di Cataldo Naro
Curatore campagna fotografica: Giovanni Chiaramonte
Fotografi: Daniele De Lonti, Santo Eduardo Di Miceli, Jurij Gallegra

Resistenza alla mafia….

Roma 5

TAVOLA ROTONDA SU SANTITA’ E LEGALITA’

 Roma

Il 15 maggio scorso,a Roma presso l’istituto “Luigi Sturzo”,si è svolta una tavola rotonda sul tema :”Resistenza alla mafia:corcevia di Santità e Legalità”,in memoria del compianto Arcivescovo di Monreale Mons.Cataldo Naro di venerata memoria.Mons.Naro volle,per la sua diocesi, il progetto denominato “Santità e Legalità”,ossia una resistenza cristiana alla mafia.L’idea di fondo del progetto era quella che la Mafia va combattuta anche con la logica evangelica e,soprattutto,con la santità della vita dei credenti.Mons.Naro era convinto che bisognava elaborare un discorso contro la mafia,ma a partire dalle categorie proprie del cristianesimo.Dire,dunque,parole cristiane contro la mafia,unitamente a quelle espresse dalla società civile attraverso il concetto di legalità.

Riportiamo di seguito una breve sintesi degli intervenuti al convegno.

 Roma 1

On.LEULUCA ORALNDO

 Dopo aver ricordato con affetto Mons.Naro dicendo quanto fosse legato a Lui,anche da alcune ricorrenze familiari che potrebbero sembrare delle pure coincidenze,ma che invece sono legate ad alcuni momenti della vita di Mons.Naro,ha affermato che non bisogna  perdere di vista l’aspetto etico-religioso-morale e che due sono gli aspetti con cui si può combattere la mafia:la LEGALITA’,ossia l’osservanza delle leggi per poter vivere ordinatamente e civilmente e,appunto, la SANTITA’  di vita dei credenti in Cristo,ossia l’incarnazione quotidiana ed esistenziale dei valori del Vangelo “sine glossa”. Orlando,ha ribadito,che,inizialmente, non riusciva a capire cosa c’entrasse la SANTITA’ contro il fenomeno mafioso.Grazie a Mons.Naro si è reso conto quanto fosse importante il cammino di santità attraverso lo specifico della missione della Chiesa:l’evangelizzazione. Roma 2

Sua Ecc.MONS. VINCENZO PAGLIA

 Ha ricordato come e quando la Chiesa ha iniziato a parlare apertamente di mafia.Prima con Ruffini,poi con Pappalardo,ma determinanti sono state le parole di Giovanni Paolo II ad Agrigento,perché per la prima volta si sono usate parole cristiane contro la mafia:pentimento,conversione,giudizio di Dio. Ha sottolineato come Mons.Naro sentiva la necessità,nell’esercizio del suo ministero episcopale,di creare un movimento di resistenza alla mafia,un intreccio tra legalità e santità. Talmente grande era la considerazione che Mons.Naro aveva delle figure di santità che ha sentito il bisogno di creare una litania per invocare quelle della diocesi monrealese e non solo,affinchè ciò potesse servire per passare dal DEVOZIONALISMO  ai santi alla VOCAZIONE ALLA SANTITA’.Grande commozione ha colpito i presenti quando Mons.Paglia ha letto il testamento spirituale di Mons.Naro,concludendo,con grande nostalgia, e tristezza:”TROPPO PRESTO CI HA LASCIATI”.

PROF.SALVATORE SCORDAMAGLIA.

E’ intervenuto dicendo che la mafia bisogna combatterla con ogni mezzo lecito e purtroppo i mezzi che la società civile ha a disposizione non bastano. Poi,come affermava spesso Cataldo Naro, ha citato alcuni scritti del pastore protestante D.BONHOEFFER, tra cui RESISTENZA E RESA. Questo titolo Mons.Naro voleva che fosse interpretato così:Resistenza al male e Resa a Dio.

 Roma 3

DOTT.SALVATORE TAORMINA

Ha ricordato mons.Naro,la sua passione per Cristo e per la storia;il suo linguaggio cristiano e la sua definizione di  legalità :”UN MEZZO PER ESERCITARE LA GIUSTIZIA PER IL BENE COMUNE”.

Roma 4

Al termine degli interventi,alcuni partecipanti hanno preso la parola ricordando Mons.Naro sotto l’aspetto storico e sociologico,definendo la vicenda di Mons.Naro ESEMPALRE DI UNA LOGICA CRISTIANA DI VITA. Infatti Egli,durante il suo breve episcopato,ha dovuto lottare. Ha lottato,come attesta il suo testamento,contro ogni voglia di cambiamento,contro i tanti problemi irrisolti che ha trovato,ma soprattutto contro le tante incomprensioni e ostilità di alcuni personaggi che gli remavano,sistematicamente,contro, finchè ogni giorno si sentiva sentire meno. Nonostante ciò,non si è arreso,ha resistito perché capiva che Dio voleva da Lui questa resa,questa sua consegna a Lui attraverso il suo episcopato. Ha continuato traendo forza da quel crocifisso che portava al collo. Adesso vive in Dio,nella Gioia piena,ma continua a pregare per la Chiesa. Sta a noi,adesso,dare una risposta al suo sacrificio d’amore,ricordandolo,facendo passare,cioè,nel nostro cuore la sua meravigliosa persona,ma soprattutto i suoi insegnamenti e la sua testimonianza evangelica. Solamente così il suo sacrificio non sarà inutile.

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HA MODERATO IL DIBATTITO IL DOTT.GIANNI RIOTTA

Ernesto Ruffini…..

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Ernesto Ruffini (1888-1967), arcivescovo di Palermo dal 1946 alla morte, è una delle maggiori e più complesse figure del cattolicesimo italiano del Novecento. Non è facile intenderla, anche a motivo degli stereotipi interpretativi che haimo preteso di fissarla in facifi e affrettati giudizi. Del resto la complessità di Ruffini deriva, oltre che dalla sua vigorosa personalità, dalla diversità delle stagioni politiche che attraversò — l’Italia liberale, il fascismo, la repubblica — e dei contesti ecclesiastici in cui si formò e poi agì: la formazione al tempo di Pio X alla scuola di mons. Tarozzi, l’insegnamento e la guida dell’Università Lateranense, la stretta collaborazione con Pio Xl nella riforma degli studi teologici, la responsabilità di arcivescovo di Palermo e la partecipazione al Concilio Vaticano II.
Sulla base di un’amplissima documentazione, l’autore di questo volume ci restituisce lo spessore umano, culturale e spirituale della sua figura e della sua azione. Dalle pagine del libro emerge la personalità robusta di un ecclesiastico che, sulla base della sua cultura “intransigente”, si confronta dinamicamente con il mondo moderno e riesce, nella diflìcile situazione della Sicilia postbellica, a promuovere un cattolicesimo attivamente attento ai bisogni dei più poveri. Come scrive Andrea Riccarcli nella Presentazione del volume, Ruflini senti di interpretare il ruolo della Sicilia cattolica su varie frontiere. E, anche per questo, il libro risulta di grande interesse non solo per lo storico della Chiesa ma anche per lo storico politico e sociale dell’Italia e della Sicilia in età contemporanea.
Angelo Romano è docente di storia e di metodoloia nella Pontificia Università Urbaniana di Roma. liene corsi di storia della Chiesa anche nella Pontificia Facoltà Teologmi di Sicilia in Palermo. Si occupa particolarmente di storia della Chiesa in età contemporanea.

Angelo Romano,Ernesto Ruffini Cardinale arcivescovo di Palermo (1946-1967).Presentazione di Andrea Riccardi. Studi del Centro “A.Cammarata”,46,Salvatore Sciascia Editore,2002.

Premio Legalità 2008 alla memoria di Mons.Cataldo Naro.

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Ricevo dall’amico Dott.Ino Cardinale e pubblico con grande piacere,per l’affetto che nutro nei confronti di Mons.Cataldo Naro e per la serietà dell’evento, il testo dell’intervento di Sua Ecc.Rev.ma Mons.Vincenzo Paglia tenuto alla manifestazione di consegna del premio “Obiettivo Legalità 2008”,alla memoria di Mons.Cataldo Naro,di venerata memoria. La manifestazione è stata organizzata,egregiamente, dall’Osservatorio Sviluppo e Legalità “La Franca” di Partinico diretto dal Dott.Giuseppe Di Trapani.

Cataldo Naro: un pastore per la Chiesa di oggi
Mons. Vincenzo PagliaVescovo di Terni

Sono passati poco più di due anni dalla scomparsa di Mons. Cataldo Naro, ed è bene che si moltiplichino le iniziative e le pubblicazioni per ricordarne la memoria. E mi pare particolarmente significativo legarla anche all’obiettivo della legalità. La personalità di don Naro emerge sempre più nella sua forza ispiratrice. Si può parlare di lui come storico, come intellettuale o organizzatore di cultura, come docente e come scrittore, come credente e come educatore oltre che ovviamente come pastore. Per parte mia vorrei fermarmi a offrire qualche cenno su don Aldo proprio in questa ultima prospettiva, ossia come pastore. E’ stato vescovo di Monreale per soli quattro anni, eppure la sua azione ha segnato non solo questa arcidiocesi, ma l’intera Sicilia e l’episcopato italiano. Nei quattro anni di episcopato ho potuto vederlo più volte, soprattutto durante i lavori del Consiglio Permanente della CEI, scambiandoci opinioni e riflessioni sulla missione della Chiesa e sui compiti del vescovo oggi.
Mi pare che don Aldo negli ultimi quattro anni abbia portato a maturazione quel ricco bagaglio che aveva accumulato nel corso della sua vita. La morte ce lo ha strappato ancora giovane. E’ morto da vescovo, e anche “perché” vescovo, come ha sottolineato Andrea Riccardi: “Il logorio del servizio pastorale, vissuto in modo appassionato – continua Riccardi che di Naro è stato amico ed estimatore -, ha avuto ragione del suo fisico infragilito. AI logorio normale della vita di un pastore si sono aggiunte le tensioni proprie della sua diocesi. Un certo senso di solitudine mitigato da una profonda confidenza con alcuni amici cui chiedeva consiglio. Aldo Naro non ha vissuto un senso di critica verso nessuno, ma ha avvertito il peso della sua vicenda”(Lo studio, 19-20). Ricordo anch’io un lungo colloquio con lui durante il Congresso Eucaristico di Bari nel quale mi raccontava le difficoltà quotidiane che doveva affrontare e le sofferenze, alcune molto acute, che gli procuravano i numerosi intralci sistematicamente e caparbiamente posti alla sua azione pastorale. Eppure, in questi quattro anni, don Aldo ha donato alla Chiesa un contributo di matura sapienza. Il suo insegnamento, le sue intuizioni, le sue analisi, le sue sollecitazioni continuano ad essere attuali non solo per la sua amata arcidiocesi ma anche per la stessa Chiesa italiana.
Queste mie brevi riflessione vogliono portare un modesto contributo per presentare don Aldo come “Pastore per la Chiesa di oggi”. Sappiamo tutti che non si è “pastori” sempre allo stesso modo e in qualsiasi tempo. Ogni generazione, ogni epoca storica, infatti, ha bisogno di pastori che sappiano comunicare alla propria generazione il Vangelo di sempre in maniera che possano comprenderlo, accoglierlo e amarlo. Se fosse lui oggi a parlarci di questo tema ci farebbe scorrere davanti agli occhi la molteplicità delle figure episcopali che si sono susseguite nel tempo e ci avrebbe accennato alle caratteristiche di un vescovo per questo tempo. In effetti, sia dagli scritti sia, soprattutto, dalla sua testimonianza possiamo scorgere alcune linee in questo senso. Andrea Riccardi ne coglie in maniera sintetica alcune. Scrive che Naro “è stato un tipico pastore della generazione di Giovanni Paolo II. Si riconosce l’impronta della pastoralità wojtyliana: vescovi colti, vescovi legati alla religione popolare, attenti alle ragioni del cuore, della fede, della spiritualità, vescovi del contatto simpatetico con la gente, convinti della rilevanza sociale del cristianesimo, ma non dominati da un orizzonte politico”(Lo studio 20). Noi possiamo aggiungere che è stato un vescovo legato alla Sicilia e, per la sua forza spirituale e culturale, ha saputo essere anche un vescovo dal respiro universale; sapeva scendere in profondità nelle vicende del popolo siciliano e cogliere nello stesso tempo i movimenti della storia e degli uomini; sapeva cogliere il senso spirituale profondo delle Scritture e lo declinava nell’oggi della storia. Don Aldo ha saputo superare quel divorzio tra teologia e vita, tra devozione e santità, tra pietà e studio, tra vita spirituale e vita pastorale, che resta ancora tra le questioni più spinose che la Chiesa deve affrontare. La sintesi che don Aldo ne ha fatto nella sua vita e nella sua azione pastorale lo pongono come uno dei vescovi che hanno saputo comprendere e parlare agli uomini di questo tempo.
Queste iniziali considerazioni vorrei declinarle all’interno della cornice evangelica di Marco quando narra l’istituzione dei Dodici. Scrive l’evangelista: “Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare”(Mc 3,14-15). Marco rileva due dimensioni che debbono caratterizzare la vita dei Dodici secondo l’intenzione di Gesù: stare con il Maestro e andare a predicare il Suo Vangelo. La prima dimensione, che suona come fondamento della seconda, riguarda il discepolato: il vescovo è anzitutto un discepolo che sta alla scuola del Maestro. La seconda dimensione, invece, riguarda la missione: non si è vescovi per se stessi ma per comunicare il Vangelo agli uomini perché trovino la via della salvezza.
Don Aldo, vivendo come vescovo queste due dimensioni, è divenuto uno dei pastori più significativi della Chiesa in Italia di questo decennio.
Gli anni vissuti da don Aldo prima di essere nominato vescovo potremmo definirli, sulla scia di Gesù, come quelli della sua Nazaret: anni segnati robustamente dalla “scuola” intesa in senso ampio, ossia come ascolto di Dio e degli uomini, come ricerca, come discernimento, come passione per la verità. I decenni prima dell’episcopato sono stati una vera e propria preparazione alla missione episcopale. Tra le non poche cose che si potrebbero elencare, mi fermo a due considerazioni. La prima relativa all’ascolto della parola di Dio e l’altra alla passione per una comprensione adeguata del mondo. Don Aldo ha vissuto profondamente queste due dimensioni, ma soprattutto ha saputo raccoglierle in una effettiva unità. Il legame indissolubile tra pietà e cultura fanno di don Aldo, un vescovo che parla ancora oggi.
Il primato della dimensione spirituale è il segreto da cui sgorga l’intera azione di don Aldo. E’ quello “stare con Gesù” che venne chiesto ai Dodici al momento della loro elezione. In questo rapporto con Gesù vi è la profonda radice del suo essere un uomo discreto, umile, non gridato, attento, pacato, vigile, umile. Legge con grande attenzione la pagina di Barsotti che sottolinea l’ingresso di Gesù nel mondo come uno che non vuole affermare se stesso, anzi si presenta come uno bisognoso di un battesimo di penitenza (La speranza 229). Il primato dell’incontro con il Maestro, il primato quindi dell’ascolto della sua Parola è la ragione della coscienza della propria pochezza e di quella umiltà che qualifica il cristiano. La fede cristiana, infatti, sottolinea don Aldo, è anzitutto un dono. Ricorda con gratitudine quanto ha ricevuto da ragazzo dalla parrocchia ove la preghiera aveva il suo posto: “Ho avuto la fortuna … di poter vivere in una parrocchia in cui si pregava (la meditazione al mattino, prima della messa: la preghiera era come un’arte) … Poi attraverso la parrocchia, il seminario. Lì i maestri mi hanno insegnato ad attingere alle sorgenti. E dopo essere stato ordinato prete, per me è stato fondamentale l’incontro con Divo Barsotti … Mi ha fatto ricomprendere, riorganizzare la mia esperienza cristiana”(La speranza, 92).
Questo primato spirituale lo sintetizzo con queste sue parole: “lasciarsi guardare da Cristo”. Don Aldo ci ricorda che se vogliamo “vedere” Gesù dobbiamo anzitutto lasciarci guardare da Lui, farci incontrare dal suo sguardo. Scrive: “E’ stato osservato giustamente che nei vangeli non si descrive mai il volto di Gesù, non si parla dei suoi tratti fisionomici, mentre invece si parla più volte e variamente dello sguardo di Gesù, uno sguardo che è, insieme, la parte più interiore del volto di Gesù ed anche l’aspetto più estroverso della sua persona, più mobile, quello che dice insieme il suo animo e il suo sentimento del momento, l’apertura accogliente o anche la riprovazione più ferma. E’ questo sguardo di Gesù che sembra essersi più impresso nei suoi interlocutori e che i racconti dei vangeli hanno cercato di fissare e di trasmettere alle successive generazioni cristiane”(La speranza, 231-232). I vangeli, possiamo aggiungere noi, ci fanno “vedere” direttamente il cuore di Gesù senza fermarci ai tratti fisici del volto. La lettura dei Vangeli nella preghiera ci fa incontrare Gesù risorto che ci parla ancora.
Don Aldo ha appreso questa maniera di leggere le Scritture da don Barsotti. Lo spiega bene nel volume che lui stesso ha curato sul modo di don Barsotti di leggere le Scritture. Era una novità accostarsi con questo spirito alle Scritture. Non di rado allora prevaleva una lettura intellettualistica o politica. Don Barsotti, legandosi con evidenza alla tradizione dei Padri, mostrava la ricchezza spirituale e pastorale della Lettura spirituale delle Scritture. E’ quanto è stato affermato nel recente Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio. In alcune pagine di don Aldo risuonano quasi alla lettera alcune parole sia di Benedetto XVI che di non pochi padri sinodali. La frequentazione delle Scritture porta a cogliere dentro le parole del testo il senso spirituale profondo che coinvolge direttamente chi le ascolta. Così don Aldo si è formato come pastore.
L’abitudine all’ascolto della Parola ha reso don Aldo ascoltatore attento anche della Chiesa a partire dalla sua storia che è il farsi storia della fede dei credenti. Egli ha potuto scorgere i riflessi della Parola nella molteplice e variegata vicenda umana. Per molti anni ha ascoltato, attraverso le sue ricerche, la vicenda, ricca e complessa, ma anche fragile e talora persino contraddittoria, della Chiesa. Senza abbandona l’indispensabile metodo scientifico, don Aldo ha scavato la storia con la passione del credente. Non mi dilungo su questo e riporto solo un cenno che ci fa cogliere la ragione della sua passione storica: era profondamente legata alla sua fede. Nella relazione di apertura ad un convegno degli archivisti ecclesiastici ricordava a tutti la cura che dovevano avere per le tracce del “transitus Domini”, del passaggio del Signore nella storia della Chiesa, perché nulla andasse perduto. Ma questo non per una semplice responsabilità umana, pur importante. Essi dovevano aver cura nello stesso tempo che queste tracce riuscissero a parlare, a dire appunto agli altri questa storia del passaggio del Signore. E la via da seguire era “la capacità di calarsi nel passato, di assumerlo nella propria comprensione per essere non solo in grado di dirlo, di assumerlo nella propria comprensione per essere in grado di dirlo, anche se questo può comportare un certo prezzo, un qualche doloroso impegno di rilettura”(La speranza 316). Don Naro aveva compreso l’importanza della “memoria storica”, perché attraverso di essa si poteva sostenere quella memoria collettiva che sostanzia il cattolicesimo di popolo. La passione storica, che lo ha accompagnato in gran parte della sua esistenza, lo ha plasmato come pastore permettendogli di comprendere la complessità delle vicende umane, allontanandolo da facili messianismi o da scontati pessimismi. La consuetudine della ricerca lo ha reso paziente e attento alla complessità della vita degli uomini.
L’amore per la Chiesa, per quella del passato, del presente e di domani, è stata preoccupazione costante di don Aldo. Davanti ai suoi occhi, assieme al volto di Cristo, vi era legata quella della Chiesa che egli amava e ammirava. Non a caso ha scritto ai fedeli della Chiesa di Monreale la seconda lettera pastorale intitolata “Amiamo la nostra Chiesa”. In essa scriveva: “Non si può amare la Chiesa senza ammirarla”(p. 19). E ripeteva quelle splendide parole di Romano Guardini : “Oggi ho visto qualcosa di grandioso: Monreale”. Guardini, e don Aldo con lui, si riferiva certo a quella straordinaria opera d’arte che è l’intera struttura architettonica, ma poi, Guardini e don Aldo assieme, con qualche comprensibile orgoglio, affermano: “La cosa più bella però era il popolo. Le donne con i loro fazzoletti, gli uomini con i loro scialli sulle spalle. Ovunque volti marcati e un comportamento sereno. Quasi nessuno leggeva, quasi nessuno chino a pregare da solo. Tutti guardavano”. Ricordo l’ammirazione con cui mi fece leggere queste parole. Nella citata Lettera nota ancora: “Guardini scrive di aver ammirato la basilica e di essersi sentito attratto, nello stesso tempo, dal fascino del popolo che nella basilica pregava. Per la sua sensibilità di credente la bellezza del nostro duomo non era disgiungibile dalla bellezza del popolo orante. Anzi egli dice che la cosa più bella era il popolo”. Si capisce l’amore e la passione di Don Naro per quello che lui chiamerà il “cattolicesimo di popolo”. Il popolo credente raccolto assieme che guarda perché è guardato da Cristo, racchiude quella straordinaria passione religiosa e umana che negli anni di episcopato è esplosa in don Naro.
Sarebbe utile approfondire l’opera episcopale di don Naro nell’arcidiocesi di Monreale a partire dalle due lettere pastorali che mostrano una lungimiranza radicata nella storia della diocesi ma assieme proiettata verso il futuro. Faccio un solo cenno a partire da quel piccolo libretto da lui curato: “Preghiere”. Mi ha colpito la raccolta delle preghiere alle immagini di Maria sparse nel territorio dell’arcidiocesi da lui stesso composte: si tratta di una sorta di “mappa dei santuari mariani della nostra Chiesa locale”, che ha egli arricchito con preghiere per aiutare i fedeli a cogliere almeno un poco il mistero che li attendeva davanti alle diverse immagini di Maria. E’ singolare altresì la lunga litania dei santi della diocesi e le altre preghiere prese dalla tradizione cristiana: “Sono convinto – nota don Aldo – che farsi condurre dalla preghiera delle grandi figure di santità e dei grandi testimoni della fede, ed entrare, per questa via, nel loro rapporto con Dio e, in tal modo, partecipare alla stessa esperienza spirituale possa essere di grande e vero sostegno alla nostra preghiera”. La concezione della Chiesa che don Aldo vuole trasmettere è quella di un popolo grande che traversa la storia: tutti ne facciamo parte e di questa dobbiamo nutrirci.
Lo “stare con Gesù” non ha mai significato per don Aldo il cedimento ad un cristianesimo individualistico, privatistico o autoreferenziale. Per lui “stare con Gesù” significa immediatamente comunicarlo anche agli altri, quindi uscire per una urgenza che partiva dal di dentro, dal cuore, ma senza cedere al grido o al rumore assordante. Questa attitudine richiedeva, e lo richiede ancor più oggi, una pensosità nuova che coinvolga tutti gli ambiti della vita della Chiesa compreso quello pastorale. Don Aldo per questo parlava di “conversione” e “conversione missionaria”. Sostenne che era necessario superare la vecchia dizione di “conversione pastorale”, in uso negli anni Novanta, e preferire una duplice “conversione”: “missionaria” e “culturale”, due termini che delineano in maniera singolare la figura e l’opera di Don Naro. Non si tratta di una semplice questione di vocabolario. Don Naro lo spiega con singolare chiarezza quando deve presentare la Traccia di riflessione per Verona: ” … nei quaranta anni del dopo Concilio … si è cercato di superare la separazione tra coscienza cristiana e cultura moderna, favorendo un più stretto rapporto tra evangelizzazione e promozione umana, praticando il discernimento comunitario e accogliendo le istanze del Progetto culturale orientato in senso cristiano in connessione con l’urgenza della nuova evangelizzazione”(La speranza 338). Don Naro coglie con acutezza che la “separazione tra coscienza cristiana e cultura moderna” resta la ferita ancora aperta nelle nostre comunità. E’ un problema che la Chiesa italiana ha avvertito con acuta sofferenza e in maniera larga e diffusa da almeno due secoli, e coi cui non ha mancato di confrontarsi con un impegno culturale e organizzativo non indifferente. Ma, rispetto al passato, continua don Naro, oggi è mutato il quadro culturale. Insomma, quel che oggi è mutato non è più solo e primariamente l’ordinata convivenza nella società, ma la stessa concezione dell’uomo.
La questione sociale si è evoluta e radicalizzata in quella antropologica. Continua: “E perciò il discorso pubblico della chiesa – che, giova ripeterlo, non è altra cosa dall’evangelizzazione -, prima centrato sulle questioni sociali, non può ora non interessarsi delle problematiche morali” (La speranza 41). Si tratta quindi di far prendere coscienza all’intera Chiesa, in tutte le sue articolazioni, che “il vangelo va ri-annunciato affinché ogni generazione lo ricomprenda e lo riviva, e lo faccia proprio”(La speranza 41). Ricordo la passione di don Aldo quando presentò all’assemblea generale dei vescovi italiani il noto documento “il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”. E fu in quella occasione che sviluppò con efficacia il tema della “conversione” missionaria delle parrocchie. Non solo ne parò ai vescovi; lui stesso, nelle due lettere pastorali citate, cercò di tradurne le indicazioni pastorali nella arcidiocesi di Monreale. Si era peraltro espresso in maniera decisa sul valore autorevole che quel testo doveva rappresentare per tutti i vescovi italiani, nonostante le situazioni diversificate che l’Italia manifesta.
Don Aldo non si è sottratto alle responsabilità pastorali anche verso la Sicilia, la sua terra che ha amato con straordinaria passione. Era un profondo conoscitore di questa terra e del suo popolo e pochi come lui sapevano coglierne lo spessore umano e spirituale. Avete fatto bene a legare a lui questo Premio Obiettivo Legalità”. Credo che dal cielo ne sia fiero. Le sue parole che avete ricordato nella pagina di presentazione della manifestazione sono di straordinaria efficacia: “La Chiesa ha a cuore la giustizia e il bene comune. Se in un territorio ci sono problemi di legalità, la Chiesa, nel suo compito educativo, non può non farsi carico di questi temi. Se si mettesse da parte, questo suo appartarsi o defilarsi sarebbe la spia di un grave problema ecclesiale”. Ma – e dobbiamo porvi attenzione – don Naro aggiunge una prospettiva propria della Chiesa. Scrive che questa battaglia la Chiesa deve farIa “mettendo un di più: la Charitas, l’agape, cioè lo Spirito Santo, l’amore di Dio”. Questo di più è la forza dell’amore, è la forza dell’impegno per gli altri come Gesù ha fatto, è la forza del martirio, ossia di spendere la propria vita per il bene del prossimo. Questa prospettiva cristiana della lotta al male la sottolinea don Naro anche ricordando le parole di Giovanni Paolo II in Sicilia: “Tutti ricordiamo le parole che il Papa “gridò” nella Valle dei Templi … Nei confronti della mafia usò le parole antiche della tradizione cristiana: peccato, giudizio di Dio, pentimento. Parole antiche ma che fondavano un nuovo linguaggio nel “discorso” (fatto di parole e di gesti) che la Chiesa di Sicilia, sotto la guida del cardinale Pappalardo, aveva condotto lungo gli anni Settanta e Ottanta”(La speranza 47).
Molte altre cose si dovrebbero ricordare di Naro come pastore. La sua visione si è estesa dalla Sicilia all’Italia, all’Europa, ai grandi temi della convivenza, a quelli del dialogo, in particolare con l’Islam, alle nuove prospettive culturali, al confronto con il mondo moderno. Don Aldo ha sentito l’ansia per queste sfide ma il suo cuore di pastore non lo ha portato nei progetti di riforme ideali e teoriche, è restato radicato in quella visione di Chiesa di popolo che colpì anche Guardini a Monreale: “La cosa più bella era però il popolo”.
E’ questa la Chiesa che don Naro ha amato. Per questo popolo ha dedicato la sua vita e la sua opera. Ha cercato di aprire il cuore di questo popolo alla Parola di Dio, a comunicare lo spirito autentico della liturgia che porta all’incontro e alla comunione con il Risorto, ad esortarlo alla testimonianza nei propri ambienti di vita. Questo cattolicesimo popolare, che in Italia trova una sua peculiare realizzazione, è da sostenere. In tale orizzonte va riconosciuta la straordinaria rete della devozione a Maria e ai santi, un tesoro preziosissimo da rivitalizzare perché non ceda alla deriva di un devozionismo individualista. Con felice espressione diceva: dobbiamo passare “dalla devozione ai santi alla vocazione alla santità”. E’ una delle sfide più urgenti da raccogliere. Un esempio lo vede in don Pino Puglisi il cui martirio, seppure nato da una vicenda personale coraggiosa e sofferta, si radica nella ricca vita pastorale della Chiesa siciliana. Ricordando il lavoro pastorale di don Puglisi con i ragazzi e i giovani di Palermo, scrive: chi lo ha conosciuto ha visto la sua passione per raccogliere i giovani e liberarli dalla schiavitù del male facendo scoprire loro la bellezza della vocazione cristiana. Ne riporta queste parole: “costituiamo in Cristo un solo corpo e diventiamo una sola cosa in lui. Ovviamente ciascuno nella diversità dei doni ricevuti … Come in quel volto che c’è raffigurato a Monreale, ciascuno di noi è una tessera di questo grande mosaico … E quindi tutti noi dobbiamo capire qual è il posto che dobbiamo occupare perché questo volto acquisti la sua bellezza e sia, direi, attraente per tutta l’umanità”.
Don Naro, comprese che non bastava più la tradizionale azione pastorale, magari per raggiungere quei cristiani che sono “sulla soglia” per “spingerli ad entrare” (si leggeva così in qualche documento). La sfida si configurava oggi in maniera nuova: “Si tratta, più al fondo, di pensare se la Chiesa italiana – anche e specialmente in una società secolarizzata e in un quadro di moderno Stato laico – possa e debba conservare il carattere di Chiesa di popolo radicata in un diffuso e genuino senso di Dio e rivolta veramente a tutti, rifiutando ogni perfettismo spirituale e organizzativo ma senza rinunziare alla qualità evangelica e autenticamente spirituale della fede dei battezzati”(La speranza 163).

Motivazioni per l’assegnazione del premio

Mons. Cataldo Naro è stato un uomo ricco di umanità e d’intelletto, di pensiero e ampia cultura, dal sicuro carisma, lungimirante, è stato un sacerdote e un vescovo dalla moderna visione ecumenica e dal generoso impegno pastorale, di grande levatura spirituale, protagonista coraggioso ed esemplare in quel porre la Chiesa in prima linea contro ogni tipo di criminalità, e a sostegno di chi opera secondo principi etici, di civica convivenza o religiosi e spirituali lungo la via della legalità, per la crescita di un territorio ed è per questi motivi che è stato scelto per attribuirgli il premio dell'”osservatorio e legalità.

Hanno detto di lui:

“È stato un vero siciliano. Ha amato e conosciuto questa terra con sguardo di amore e al contempo con la lucidità dell’autentico studioso, storico e uomo di pensiero, oltre che figlio della Chiesa: perciò ne ha penetrato la vera ricchezza e i veri problemi…” (Card. Ruini).

“Favorito dalla sua vasta e profonda cultura e da una eccezionale capacità di leggere i segni dei tempi alla luce del Vangelo e della sana ragione, conosceva come pochi le luci e le ombre della società siciliana, alla quale offriva il prezioso apporto per promuoverne le luci e per debellarne le ombre, soprattutto quelle più oscure della mafia, esortando al rispetto della legalità e alla giustizia sociale” (Card. De Giorgi).

Fu l’incontro con i genitori del giudice Rosario Livatino, ad Agrigento, e, in particolare, furono le parole da loro pronunziate descrivendo il figlio – “ha sempre vissuto da buon cristiano e sapeva che poteva morire in quel modo, ma ciononostante ha accettato con gioia la sua missione fino alla fine” – a far dire a Giovanni Paolo II “Rosario è stato un martire!” e, dopo, in quella stessa sera, alla Valle, a lanciare ai mafiosi il monito “Convertitevi! Verrà un giorno il giudizio di Dio!”.

Livatino come Don Puglisi: “Martiri della giustizia e indirettamente della fede”. Ed uno dei primi ad essere convinto della bontà di questo concetto allargato di martirio, espresso dal Papa, e della giustezza che i due meritassero il titolo, è il giovane sacerdote Cataldo Naro: “Parlare di martirio per coloro che hanno dato la vita per testimoniare la loro fedeltà a Cristo nel campo civile della resistenza alla mafia risponde a uno sviluppo coerente dell’esistenza cristiana e può essere motivato teologicamente in fedeltà alla tradizione cattolica”.

Un aggiornamento del concetto di martirio ai nostri tempi, che “…è il segno di un interesse sempre maggiore della Chiesa a queste tematiche. Lo stesso cardinale Salvatore Pappalardo mi ha detto che questa è la strada da seguire. Di fatto personaggi come Livatino sono martiri: avevano un ideale, quello di servire la giustizia nell’interesse di tutti e sono morti per difenderlo”. Ad affermarlo è sempre Don Cataldo Naro, lo stesso che, da Arcivescovo di Monreale e da incaricato del progetto culturale in preparazione del Convegno delle Chiese di Verona, dirà in una intervista, a proposito di “testimoni” di quel progetto, “…mi fa piacere che sia stato inserito anche il giudice Rosario Livatino ucciso dalla mafia. Era di Canicattì, un paese vicino a San Cataldo dove sono nato e ho trascorso gran parte della mia vita. Ho conosciuto la sua professoressa Ida Abate che molto mi ha parlato di lui. Ha saputo vivere la fedeltà al Signore nell’esercizio del compito di giudice non arretrando neanche di fronte al rischio della morte per mano mafiosa. Per la Chiesa siciliana è anche un richiamo a confrontarsi col fenomeno mafioso proprio sul terreno dell’esperienza credente dei suoi membri. Per la Chiesa siciliana è anche un richiamo a confrontarsi col fenomeno mafioso proprio sul terreno dell’esperienza credente dei suoi membri. C’è un’incompatibilità ineliminabile tra l’esperienza credente e l’appartenenza alla mafia. Il martirio di Livatino lo mostra con chiarezza. Per i cristiani siciliani è una lezione che non può essere ‘saltata’”.

Eccezionalmente chiare e prive di ogni ambiguità, queste sue parole!

Non sono facili da dimenticare i suoi interventi, le sue prese di posizione, mostrando chiaro che non si può comprendere profondamente e pienamente una realtà, senza che si desse un nome alla radice dei mali che l’affliggono.

Dalle parole da lui pronunziate a Corleone, il 3 Settembre 2006, anniversario del sacrifico del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa e della consorte – nel primo dei sette incontri sulla legalità tenutisi nell’ambito del Progetto “Nelle piazze dell’indipendenza con il camper dell’indipendenza” – allorquando assicurava l’attenzione con la quale la Chiesa segue il progressivo evolversi di una comunità cristiana di difficile lettura, che necessita di un forte sostegno morale e della costante testimonianza della Chiesa stessa.
Bene ha fatto la città di Corleone, l’anno scorso, ad intitolare la sala del centro internazionale di documentazione sulle mafie e del Movimento antimafia, Cidma, a Monsignor Cataldo Naro.

All’idea divenuta progetto “Santità e Legalità” – Per un discorso cristiano di resistenza alla mafia nel territorio della chiesa di Monreale”, portato avanti insieme al Consorzio Sviluppo e Legalità. Progetto, i cui intenti sono stati quelli di far conoscere alcune figure di santi, nati e vissuti in questo territorio e alcune figure di martiri di giustizia, nati e vissuti in questo stesso territorio e morti per mano mafiosa, come antidoto ad ogni forma di illegalità: tanto “i santi” quanto “i martiri di giustizia” si sono spesi per il bene delle comunità dove hanno vissuto, arrecando sollievo, aiuto, conforto tra la gente con cui sono vissuti e divenendo testimoni dei valori evangelici da tramandare, e producendo un miglioramento della vita sociale e della vita quotidiana delle nostre comunità, da tempo afflitte dal flagello della illegalità e della arroganza e violenza mafiosa.
La nostra, è terra di persone appartenenti alla società civile e personalità delle istituzioni che hanno versato il loro sangue per l’affermazione della legalità e della giustizia e del senso dello stato: Placido Rizzotto, Pasquale Almerico, sindaco di Camporeale (solo sette anni fa è stato riconosciuto dall’Assemblea regionale siciliana il suo inserimento nell’elenco dei caduti per “la libertà e la democrazia in Sicilia”) e il “nostro” Giuseppe La Franca, e il tenente colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e il suo successore il capitano Mario D’Aleo, nonché (partinicese come il La Franca) il vice questore e capo della squadra mobile di Palermo Antonino Cassarà: figure nate o operanti, a vario titolo, in questo territorio, in favore dello stesso e tutti uccisi barbaramente dalla mafia, compiendo il loro dovere civico o istituzionale.

E non sono nemmeno da dimenticare gli altri strumenti privilegiati costantemente da Mons. Naro nella sua azione e nei suoi insegnamenti: la cultura e la comunicazione. Erano la sua vita. Con questi ha offerto prospettive culturali capaci di intercettare le domande dell’uomo del nostro tempo, comprese quelle che esprimono voglia di legalità e di riscatto della comunità civile di cui lui è stato interprete e guida.

Una iniziativa, la nostra, per ricordare di tener fede alla sua memoria. (Segreteria del Premio “Obiettivo legalità 2009 alla memoria di Mons. Cataldo Naro”)

Il Duomo di Monreale.Lo splendore dei mosaici.

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Testi di David Abulafia e di Massimo Naro.

Presentazione di Cataldo Naro

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David Abulafia-Massimo Naro,Il Duomo di Monreale.Lo splendore dei mosaici.Itaca libri.Marzo 2009.

Il Duomo di Monreale.Lo splendore dei mosaici.

 

Testi di David Abulafia e Massimo Naro
Presentazione di Cataldo Naro

Il racconto della storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo.
Un inno alla Chiesa di eccezionale bellezza, mai documentato prima d’ora con tale ampiezza di immagini realizzate mediante una apposita campagna fotografica e strumenti tecnici all’avanguardia.

Il Duomo di Monreale è una delle testimonianze più impressionanti di quella stagione artistica straordinaria che la Sicilia visse nel XII secolo.
Sulle pareti del Duomo si snoda un ciclo musivo, conservatosi pressoché intatto, che racconta la storia della salvezza, dalla creazione del mondo alla resurrezione di Cristo, in un percorso che ha alle sue estremità le due figure imponenti del Cristo pantocratore dell’abside, le cui braccia si aprono in un abbraccio commovente che accoglie il fedele lasciandolo senza parole, e della Vergine nella controfacciata, la cui maternità è segno perenne del rinnovarsi della presenza di Cristo che accompagna la vita degli uomini, posto genialmente sopra la porta attraverso la quale i fedeli lasciano la basilica per portare nel mondo la loro speranza.
Oltre alla sequenza narrativa vetero e neo testamentaria, le pareti della basilica ospitano una impressionante serie di ritratti di santi, testimonianze perenni della vita della Chiesa. Anche in questo caso, la loro collocazione rivela un progetto geniale: se infatti le absidi laterali ospitano i due capisaldi della fede cristiana, Pietro e Paolo, lungo le pareti del presbiterio e nei sottarchi delle navate si susseguono figure intere, busti e volti di monaci, vescovi, laici, eremiti, uomini e donne che hanno testimoniato la loro fede, chiesa trionfante sempre più vicina alla chiesa militante che affolla ogni giorno la chiesa, per concludersi nella controfacciata, accanto alla figura di Maria, con gli esempi più vicini alla gente di Monreale, Cassio, Casto e Castrense, i “loro” santi.
Il ciclo musivo di Monreale dispiega così un inno alla Chiesa di eccezionale bellezza, mai documentato prima d’ora con l’ampiezza di immagini di questo volume. Per giungere a questo risultato è stata svolta una campagna fotografica completamente nuova, utilizzando strumenti tecnici all’avanguardia.

 

 

Chiesa e Società a Caltanissetta…..

Il volume raccoglie le relazioni degli studiosi, le testimonianze dei protagonisti e gli interventi dei partecipanti ai convegno organizzato da Cataldo Naro tramite l’istituto teologico-pastorale di Caltanissetta sulla vita della Chiesa nissena negli anni a cavallo tra fascismo e dopoguerra.

Le relazioni studiano la vicenda interna della Chiesa nissena nel suo rapporto dinamico con la società locale. Attraverso attente ricerche sulla pastoralità di vescovo e clero, pietà e spiritualità, associazionismo e attività caritativa, emergono antiche e nuove compenetrazioni tra religione e vita civile, Chiesa e società.

Le testimonianze, con la freschezza e vivacità del loro apporto, contribuiscono a cogliere nessi e articolazioni e a delineare il quadro ecclesiale e sociale in cui si colloca la fondazione, proprio a Caltanissetta, della Democrazia Cristiana siciliana.

Gli interventi puntualizzano aspetti e forniscono utili integrazioni alla ricostruzione storica.

“VINCE LA LUCE…..”,RICORDANDO CATALDO NARO.

Il Padreterno è abituato a scrivere,spesso e volentieri, sulle righe storte piuttosto che sulle dritte,così come, invece, vorremmo noi. In questa logica “illogica”, il 29 Settembre di due anni fa chiamava a sè, improvvisamente e prematuramente,l’Arcivescovo Mons.Cataldo Naro.Si spegneva,così, una figura esemplare di studioso,sacerdote e vescovo. Moriva proprio nel giorno della festa di

San Michele Arcangelo patrono della diocesi nissena.

Nato a San Cataldo, Mons. Naro aveva compiuto i suoi studi tra Caltanissetta,Napoli e Roma,dove aveva conseguito il dottorato in Storia della Chiesa e Archivistica. Appassionato di storia locale,aveva intrapreso un cammino di riscoperta del movimento cattolico a Caltanissetta e,più in generale, in Sicilia.

Nel 1983,ha fondato il centro studi Cammarata,con sede a San Cataldo,divenuto nel tempo un punto fermo per la cultura in Sicilia,richiamando decine e decine di studiosi dall’Italia e non solo.

A testimonianza di ciò le tantissime pubblicazioni del centro studi.

Uomo della sostanza,Cataldo Naro ha contestato e contrastato, con la sua vita ,i percorsi dell’apparenza, del bigottismo,dell’effimero,del pietismo,del cattolicesimo municipale,di una chiesa serva del potere,decidendo di vivere, e non di sopravvivere, la sua giovane vita con autenticità, con spirito di servizio evangelico,credendo nella sua alta dignità sacerdotale ed episcopale.

Ha speso la sua grande ed intuitiva intelligenza al servizio della formazione di intere generazioni di giovani studenti.

Precursore di molte cose,tra cui la nascita del progetto culturale della chiesa italiana, ha insegnato in diverse luoghi e soprattutto presso la Facoltà Teologica di Sicilia di cui è stato prima docente, per tanti anni,poi vice preside e,infine, preside per 6 anni.

Ha collaborato attivamente alla vita della chiesa in Italia oltre che con i suoi studi,anche facendo parte del comitato di gestione di Avvenire,collaborando con l’Osservatore Romano e con il progetto culturale della chiesa italiana.

Nominato arcivescovo di Monreale, nell’ottobre del 2002,si è prodigato incessantemente per il servizio pastorale alla chiesa affidatagli. Tantissime le iniziative poste in essere in soli 4 anni.

Il 29 settembre 2006 si è spento,causando la gioia di qualche delinquente patentato,(il quale non pago di tutto il MALE che gli ha fatto mentre Mons.Naro era ancora in vita, continua a dire.”Io me ne sono andato,ma lui non ha visto il trasloco”), e il pianto,la sofferenza di tantissime persone che lo hanno conosciuto,apprezzato ed amato.

Poiché rifiuto della morte è innanzitutto la memoria,così come scriveva Sergio Quinzio,aspettando il giorno del giudizio di Dio, ieri pomeriggio per ricordarlo è stata inaugurata,presso la meravigliosa cornice del museo diocesano di Caltanissetta,una mostra pittorica disegnata e plasmata dall’artista Silvana Pierangelini Recchioni,denominata:

Vince la Luce!

La mostra è stata presentata dalla Professoressa Maria Antonietta Spinosa,docente di estetica alla FaTeSi, ed inaugurata dal Vescovo di Caltanissetta Mons.Mario Russotto che ricordava i cinque anni dall’ insediamento alla guida della diocesi nissena.

In Memoria di Sua Ecc.Rev.ma Mons.Cataldo Naro.

(Dipinto del Pittore partinicese Prof.Gaetano Porcasi,donato alla Biblioteca della Facoltà Teologica di Sicilia di Palermo,intitolata a Mons.Cataldo Naro,già docente e preside della predetta Facoltà)

Il 29 Settembre 2006 concludeva la sua vicenda terrena,in maniera PREMATURA ED INASPETTATA,l’allora Arcivescovo di Monreale Mons.Cataldo Naro.

Fra qualche giorno ricorre il II anniversario della sua morte.

I FIGLI DELLA LUCE LO RICORDANO:

Inoltre,giorno 29 p.v. alle ore 17 presso la CHIESA MADRE DI SAN CATALDO(CL), dove riposano le spoglie mortali di Mons.Naro,verrà celebrata una S.Messa di suffraggio.

Si invitano tutti coloro i quali fossero impediti ad intervenire ad unirsi spiritualmente al momento celebrativo.

Antonio Paolucci:Il Duomo di Monreale nelle tavole di D.B.Gravina.

Intervento del Prof.Paolucci

alla presentazione del volume

“I Mosaici del Duomo di Monreale nelle tavole di Domenico Gravina”

dedicato alla memoria di Mons. Cataldo Naro

nella ricorrenza del 75 dell’editrice Lussografica di CL

Caltanissetta, 23 maggio 2008

Eminenza,Eccellenze,Sig.Sindaco,Signore e Signori,

il mio compito è quello di parlare di un libro e del monumento che quel libro illustra e dell’uomo,Cataldo Naro, che quel libro ha voluto e quel monumento ha servito,amato ed abitato nella qualità di Vescovo di Monreale:il Duomo di Monreale.

Del Duomo di Monreale io parlerò,questa sera,e di questo grande libro monumentale,esposto nell’ingresso e che avete visto tutti entrando in questo teatro nisseno.

Un libro di cui ormai esistono poche edizioni,rarissimo ormai e con un valore commerciale molto alto,parlo del libro originale, cioè la descrizione del Duomo di Monreale realizzata dall’abate Domenico Benedetto Gravina tra il 1859 e il 1869 con un corredo cromolitografico che era, per l’epoca, qualcosa di assolutamente sperimentale all’avanguardia.

Un capolavoro di tecnologia editoriale che oggi viene anche contestualmente presentato nell’edizione fac-similare prodotta da Salvatore Granata dell’editrice Lussografica:orgoglio imprenditoriale,editoriale di questa città,della Sicilia,ma anche della editoria nazionale.

Raramente ho visto una esecuzione di questa qualità.

Questo è il libro. La ristampa di questo testo fondante tutta la bibliografia sul duomo di Monreale.

Domenico Benedetto Gravina era un monaco benedettino,appartenente ad una delle più nobili famiglie siciliane,i Gravina,e produce il suo capolavoro in un tempo,tra il 1859 e il 1869,grandioso,bellissimo per certi aspetti,ma drammatico per certi altri:la fine dell’antico regime,della dinastia dei Borboni,dell’unità d’Italia,di Garibaldi in Sicilia,ma anche il tempo della demanializzazione dei beni della Chiesa,la soppressione degli ordini religiosi ecc.ecc. Quindi quest’uomo,vive in questo tempo,grandioso e drammatico,della storia nazionale.

Era un intellettuale poliedrico,curioso di tutto un po’ enciclopedista illuminista del ‘700 e un po’ già dentro lo spirito positivista dell’1800. Infatti si occupò,anche,di archeologia,scienze naturali,filosofia,storia,teologia,ma la sua passione,il suo capolavoro è il libro sul duomo di Monreale.Una testimonianza su questo capolavoro assoluto del medioevo siciliano e italiano.

Dicevo Cataldo Naro è il suo amore per il duomo di Monreale. E’ importante toccare la personalità di questo altro intellettuale del ‘900,dei nostri giorni,morto,purtroppo,troppo giovane. Io non l’ho conosciuto,ma l’ho conosciuto,indirettamente,tramite la lettura un libro prezioso-ecco a cosa servono i libri- di cui mi ha fatto omaggio il fratello,don Massimo,La speranza è paziente.

Un libro che raccoglie,discorsi occasionale,interviste,articoli di giornale,conferenze che Mons.Naro fece dal 2002 al 2006. In questo libro tra i tanti argomenti riportati, si parla delle grandi cattedrali delle chiese d’Italia e d’Europa ormai abitati più dai turisti che dai fedeli. Ormai più oggetto dei flash e delle spiegazioni turistiche che di preghiere e di liturgie. Proprio così scriveva Cataldo Naro. Parla anche del dramma,perché di dramma si tratta,dell’arte sacra oggi.

Il Cristianesimo,scrive Cataldo Naro,si è trasmesso,attraverso i secoli, per mezzo dell’arte. Se questo non funziona come farà il cristianesimo a trasmettersi oggi? Ebbene quest’uomo, ama la sua chiesa e il duomo di Monreale, aveva capito,con la sua acuta intelligenza,che la caratteristica del duomo di Monreale è,innanzitutto, la sua internazionalità. E ciò è assolutamente vero perché se c’è qualcosa che distingue,tra le regioni d’Italia,la Sicilia per la sua vocazione,in qualche modo,universale, e proprio l’internazionalità. Non ha caso la montagna in cui si identificano i siciliani,L’Etna,viene chiamata Mongibello,ossia la sintesi del latino mons e dall’arabo ghebel che significano entrambi monte. Perchè lo dico? Perché se nel nostro tempo c’è una regione che può far capire a tutti come è importante la contaminazione,il meticciato questa è proprio la Sicilia per averlo dimostrato in tutta la sua storia.

Così come avvenne per Agostino,un romano d’Africa, con sangue magrebino nelle vene,che arriva in Italia, a Milano,e incontra un romano di sangue tedesco,Ambrogio,che faceva il funzionario imperiale a Trevi, in Renania.

Questi due meticci si incontrano e Ambrogio battezza Agostino nell’anno di Cristo 393 della nostra era: e nasce l’Europa.

Cataldo Naro aveva capito che un altro tratto distintivo del duomo di Monreale è la sua pluralità culturale. Infatti chi lo conosce e lo ha visitato sa che quella è una chiesa latina con uno stile proprio del romanico d’occidente- come potrebbe essere il duomo di Modena- suddivisa in tre navate con colonne imperiali romane spoglie e questo è l’aspetto tipicamente occidentale,romanzo.

Un impianto così potrebbe essere in val padania o in Borgogna. Però se uno entra nel presbiterio e va verso l’abside entra in una dimensione liturgica e architettonica di tipo greco,ortodosso. Perché la parte absidale è molto ampia e separata dal resto dell’architettura e porta entro i suoi confini il diaconicon e la protesis :sono tipiche costruzioni architettoniche dell’aspetto ecclesiale ortodosso.

Il diaconicon che ospitava i diaconi per il servizio liturgico e la protesis che era una sorta di sagrestia di pronto impiego.

Però se uno si guarda intorno,guarda, ad es.,il soffitto,la sua iperbole decorativa unitamente alla sua decorazione cromatica ci si sente in un luogo dal gusto morisco,arabo.

Infatti furono arabo-musulmane le maestranze che negli ultimi 30-40 anni del XII secolo,lavoravano all’ordine di maestranze,capomastri,ingegneri,architetti in parte bizantini in parte italiani o francesi-ancora la questione non ci è chiara del tutto-lavorarono nel duomo. Questo è l’aspetto sapiente della decorazione musiva straordinariamente ricca,ma tutta centrata sul tema della salvezza. La storia della salvezza che occupa questa la natura dei mosaici.

Un ettaro di mosaici,circa 10 mila metri quadri,una spesa immensa ha sostenuto il re,Guglielmo II,che volle questa chiesa come cappella palatina,come sua chiesa. Tra i mosaici ce n’è uno che non saprei come definire tra il divertente e l’imbarazzante.

Ad un certo momento si vede il re,l’autocrate Guglielmo II,in ginocchio di fronte alla Vergine con una scritta latina-lo stile dei mosaici è greco ma le scritte sono latine-rivolgendosi alla Madonna che le dice:pro cunctis ora,sed pro rege labora.Prega pure per tutti,ma ricordati di me che sono il Re!!

Una forma di fede ingenua e confidenziale. Crede veramente alla madonna e sa che è la sua madre.

La cattedrale di Monreale prende forma in pochissimo tempo,in una mangiata di decenni,30-40 anni non di più,in questo periodo straordinario della storia della Sicilia. Quando la Sicilia era,veramente,il cuore del mediterraneo. Nella Palermo di quegli anni si parlavano,indifferentemente, tre lingue:latino,greco e arabo. Una città straordinariamente internazionale. Era una specie di mito,di sogno per i mercanti d’oriente,per gli intellettuali arabi,per i latini che arrivavano nella bellissima Palermo. Vi arrivavano per nave,nella coca d’oro di allora,questo mare di verde lucente di smeraldo. Come è rimasta sino agli anni ’50 del secolo scorso. Dobbiamo andare a vedere i quadri di Antonello da Messina per capire com’era il lago verde smeraldo,lucente nel sole,della conca d’oro.

Una città internazionale,la Palermo del tempo,dove tutti gli intellettuali del mediterraneo avevano udienza perché i re normanni,Guglielmo II tra gli altri,ma dopo di lui anche Federico Hohenstaufen erano straordinariamente tolleranti. Tutti potevano venire in Sicilia ed avere occasioni di lavoro e di successo.

Chi sono gli artigiani,i maestri mosaicisti che lavorarono a Monreale? Certo sono stati molti e su questo non c’è dubbio. Per decenni hanno lavorato,decine,centinaia di specialisti. Debbo dire che il del dibattito sull’argomento è molto complesso. Ma posso assicurarvi che nella storia dell’arte moderna,dai tempi di Gravina in poi, tutti (Salvini,Moresca ecc ecc.) si sono confrontati con l’affascinante problema di Monreale. E tutti accettano il fattore della Koinè,cioè la lingua condivisa da tutte le varie botteghe che lavorano a Monreale era il greco. Lo stile è quello bizantino.

E’ probabile che Guglielmo II abbia chiamato degli iconografi e dei capi-bottega,progettisti provenienti,direttamente,da Costantinopoli.Poi hanno assunto maestranze locali con la procedura del lavoro di sub-appalto,come si usa ancora,a ditte locali. Forse,in parte,ancora musulmane e parzialmente cristianizzate. Tutte lavorano insieme,evidentemente con una disciplina molto severa, e con una efficienza invidiabile per costruire l’iconografia del duomo di Monreale che è,secondo me,l’esempio più perfetto,più didatticamente efficace tra tutti i sistemi iconografici che il medio-evo abbia prodotto.

Infatti se uno entra nel duomo di Monreale capisce tutto,è tutto spiegato. Come inizia la storia (la creazione dell’universo),la creazione dell’uomo,il peccato d’origine poi il diluvio ecc.ecc.

E’ la historia salutis,la storia della salvezza. Come siamo nati,chi siamo,verso dove andiamo.

E andando nel presbiterio,cuore del duomo poichè luogo della consacrazione e eucaristica,troviamo nell’abside le storie di Cristo,le storie principali della vita di Cristo. Il presbiterio e l’abside sono il luogo cristologico per eccellenza.

Secondo la tradizione ortodossa,nel diaconicon sono raffigurate le storie mosaicali dell’apostolo Pietro

e nella protesis quelle dell’apostolo Paolo.

I due proto apostoli su cui si regge la gerarchia e la dottrina della Chiesa sono raffigurati in questi due luoghi del presbiterio. Tutto questo,storia sacra,tempo dell’attesa,profezie dagli abissi dei secoli,testimonianze dell’Antico Testamento,dottrina,gerarchia, il tutto sarebbe nulla se non si concludesse in quella idea,genialmente fuori scala,che è il Cristo.

Questo Cristo che domina l’abside,volutamente e genialmente fuori scala,al di la di ogni proporzione poiché tutta la historia salutis si conclude con Lui,l’alfa e l’omega, colui che era che è e che viene e che ritornerà e giudicare i vivi e i morti.

Dunque una catechesi attraverso le immagini sacre. Tutto ciò affascinava Mons.Naro e che anch’io condivido naturalmente.

Come storico dell’arte,però,sono particolarmente affascinato dall’aspetto stilistico dei mosaici con delle tensioni di naturalismo,d’espressionismo tipicamente romanze,occidentali. Poi ci sono delle scritte in latino che fanno capire come la lingua latina stia sfarinandosi,stia,in qualche modo,declinando in una lingua nuova. Nella scena del sacrificio di Isacco c’è una bella scritta in latino che dice:estendas manum tuam a puero ,togli la mano da quel ragazzo. E’ già italiano.

Oppure alla fine del diluvio,si vede l’arca che si arena,il patriarca che è uscito e le bestie che escono una ad una e con la scritta:cessato diluvio che dice che la mutazione della lingua latina è già in atto e che la lingua della Chiesa stava sciogliendosi per diventare idioma romanzo.

E’ affascinante la storia musiva del duomo di Monreale perché ci fa capire cos’è l’arte ossia la storia che si fa figura. E la storia è contaminazione,mutazione è compromesso ed è accordo tra culture diverse. Il duomo di Monreale lo testimonia benissimo. Cataldo Naro lo aveva capito. Aveva capito anche,perché non c’è solo la chiesa,c’è quella parte straordinaria che è il chiostro di Monreale.

Nei capitelli del chiostro è presente lo stile romanico classico che viene dalla Francia,da Arles, e il chiostro in quest’epoca non è solo un posto dove si passeggia si sta all’ombra, è molto di più. E’ una specie d’enciclopedia,è speculum mundi è repertorio classico. Vi si possono trovare Ercole,i ciclopi; si possono trovare gli animali,il lupo, la volpe,l’aquila, il leone. Sono tutti animali simbolici,ognuno di loro significa qualcosa. Un grande mistico irlandese scrive:omnis mundi creatura sicut liber aut figura nobis set in simbulo. Ogni cosa di questo mondo,sia un libro o come una pittura ci viene data sotto forma di simbolo. E’,cioè,immagine di se stessa e figura di altre cose. Il leone,ad esempio-lo troviamo anche a Monreale nel chiostro-è figura del diavolo,liberaci dalla bocca del leone recita un inno medievale,ma contestualmente è anche figura di Cristo. Perchè? Perché c’era una leggenda scritta da Plinio il vecchio, nella Naturalis Historia,che poi il medio-evo credette come vera,secondo cui quando i leoncini nascono sono morti. Però,dice Plinio,arriva il leone papà e soffia su di loro e ritornano in vita. Così il leone diventa simbolo di Cristo che porta la salvezza e fa risuscitare. L’allodola che si alza verso il sole dal campo di grano e,quindi,diventa simbolo di Cristo poiché il campo di grano è segno eucaristico.La potenza della simbologia medievale!

Tutto questo per dirvi come una chiesa sia un libro che può parlare,affascinare,insegnare. E questo Mons. Naro l’aveva capito bene. Dunque è questo il motivo della ristampa di questo prezioso volume. Il meticciato ci salverà,lo pensava anche Mons. Cataldo Naro.

Il Prof. Antonio Paolucci è nato a Rimini (1939),residente a Firenze è allievo di uno dei massimi storici dell’arte del ‘900 Roberto Longhi e con lui si laurea in storia dell’arte nel 1964 all’università di Firenze.Nel 1969 entra nella carriera direttiva dei beni culturali e ricopre,successivamente, l’incarico di sovraintendente a Venezia e a Roma,quindi a Firenze quella di direttore dell’opificio delle pietre dure e di direttore generale per i beni culturali della Toscana. Dal gennaio del 1995 al maggio del 1996,Paolucci ricopre la carica di Ministro dei beni Culturali italiani del governo presieduto da Lamberto Dini.Il sisma del 1997,segna per Paolucci gli anni più difficili e più impegnativi della sua carriera a causa dei gravi danni subiti dalla basilica di San Francesco ad Assisi che costituiscono una perdita sofferta ad un così grande tesoro. Lo vedo impegnato a dirigere il cantiere di restauro ,nella qualità di commissario governativo, e vive l’esperienza come una realtà della quale si è sempre detto orgoglioso. Paolucci è vice presidente del consiglio superiore dei beni culturali e presidente del comitato scientifico per le mostre d’arte delle scuderie del Quirinale.Consulente del Sindaco di Firenze per i musei civici e accademico dei Lincei. Studioso,con molte pubblicazioni a riguardo, di parecchi artisti del ‘400 e del rinascimento,Piero della Francesca,Michelangelo,Antoniazzo Romano,Luca Signorelli,Benvenuto Cellini.E’ l’attuale direttore dei Musei Vaticani.

Francesco Michele Stabile, Cattolicesimo siciliano e mafia

A cura del Prof.Giampiero Tre Re

Sez.Biblioteca in:

http://terradinessuno.wordpress.com/

LA FORMAZIONE e la SOSTANZA:I CRISTIANI DI FRONTE ALL’ISLAM OGGI.

Convegno organizzato dall’ex ARCIVESCOVO DI MONREALE MONS.CATALDO NARO,DI VENERATA MEMORIA.

Premessa

C’è chi reputa che sia soltanto espressione deIl’entusiasmo di alcuni ingenui. C’è chi pensa che sia il tradimento della propria storia, il segnale di un indebolimento, una dichiarazione di resa. C’è chi sospetta che sia piuttosto un ‘astuta strategia, imposta dalla congiuntura epocale: un machiavellico barcamenarsi tra opportunismo e relativismo. C’è chi rimane invece convinto che sia l’ultima e vera via della pace, una sorta di bandolo nella matassa di sentieri interrotti che il mondo odierno rappresenta. Il dialogo interreligioso, che le Chiese cristiane oggi promuovono, può sembrare tutto e il contrario di tutto.

Del resto gli appartiene per natura un ‘indole controversa che da una parte lo configura come amichevole colloquio e dall’altra parte- costringendolo a passare attraverso l’inevitabile crogiolo del confronto con gli “altri” -può trasformarlo in polemica. Come avviene già a livello semantico quando si traduce il termine greco nel suo corrispettivo latino, il dialogo inteso e praticato come proiezione di sé e del proprio “mondo” in un altro orizzonte concettuale, in un ‘altra tradizione dottrinale, in un ‘altra sensibilità culturale, in un altro universo valoriale — rischia, talvolta, di cambiare i suoi connotali, diventando diverbio. Spesso più o prima ancora che con l’interlocutore, con e stessi: auto- contraddizione. D’altra parte, la conversazione con qualcuno implica sempre la fatica della conversione: o la propria o quella altrui. Oppure — e sarebbe il migliore dei casi, se si riuscisse però a neutralizzare il pericolo del mero sincretismo — quella propria e quella altrui insieme e al contempo. E convertirsi significa più d ‘ogni altra cosa, venire a sapere e accettare qualcosa di nuovo. Questo carattere controverso conferisce al dialogo interreligioso la

radicalità dell’evento. Egli vieta la sicumera dell’ovvietà. Ecco perché già Paolo VI, al n. 60 della sua prima enciclica — l’Ecclesiam suam, promulgata i1 6 agosto 1964—, parlava con realismo, oltre che con ottimismo, di un dialogo con i credenti di altre religioni — sul piano degli «ideali comuni nel campo della libertà religiosa, della fratellanza umana, della buona cultura, della beneficenza sociale e dell’ordine civile» — umilmente e semplicemente «possibile». Un tale dialogo è, secondo Paolo vi, prerogativa e compito della Chiesa, ma resta condizionato dalla risposta ch’esso di volta in volta incontra. Per questo motivo è inaggirabile e ineludibile per la Chiesa e per il cristianesimo, rappresentando la loro vocazione nella storia; eppure proprio lì, dentro la storia, esso rimane soltanto possibile.

Il teologo svizzero Hans Urs von Balthasar, a questo proposito, ha scritto — nel primo volume della sua Theodramatik — che il cristianesimo si sviluppa in forza di un vero e proprio «principio dialogico». Esso, cioè, scaturisce dal colloquio pneumatico intrattenuto — nell’eternità dell’Agape trinitaria — dal Padre col Figlio suo. E si innesta nella storia comune degli uomini come prolungamento e culmine dell’alleanza di questo stesso Dio d’amore, al cui cospetto la terra sacra dell’obbedienza — lì dove l’uomo è chiamato ad ascoltare, a inchinarsi e a togliersi i calzari — può essere anche il luogo della risposta, lo spazio riservato al comprendere, al prendere posizione, persino alla possibilità di opporre un rifiuto. Se il «colloquium salutis», di cui ha parlato Paolo VI per introdurre appunto il discorso sul valore del dialogo interreligoso, è già l’umile tradursi dell’eterna Agape entro i limiti e i rischi della possibilità storica, anche la propensione e la disponibilità del cristianesimo a dialogare con le altre religioni non può esimersi dai ritmi e dalle movenze del dialogo — e in un certo senso dell’agone — agapico intra ed extra trinitario. Allora il dialogo che gli uomini intrattengono tra di loro entra «in una luce tutta nuova»: esso, secondo Balthasar, finisce per esprimersi in «rapporti continui, convergenti e divergenti. . .; punti di vista diversi si aprono a vicenda … . Si fanno molte esperienze gli uni con l’aiuto degli altri, ci si urta e disturba a vicenda, si impara ad accentuare il proprio punto di vista, ad assimilarsi il punto di vista altrui, cose incomprensibili ed ostiche si illuminano come da sé alla luce altrui o appaiono quanto meno come “punto di vista sostenibile”; i maestri imparano dagli scolari e i padri dai figli. Ciò che si arriva così a sapere non è più una merce, si fonde alla persona consapevole, lo si divide l’uno con l’altro». Il dialogo, perciò, si configura come «l’atteggiamento che si apre a un nuovo ascolto e che lascia che l’altro abbia valore in quanto altro, anche là dove momentaneamente non si vede più ho cosa ci sia da dire». In questo coacervo,o di relazioni, di contatti e di scambi, permane tuttavia la minaccia della rottura, «là dove — spiega Balthasar — nessuna parola viene più concessa, nessuna offerta di sé più aiuta, dove crollano i ponti di ogni possibile comprensione, l’odio, il fanatismo, la gelosia, l’estrema estraniazione innalzano muri insuperabili, dove è possibile ancora solo tacere, perché ogni ulteriore discorso ingrandirebbe la distanza e cadrebbe come una scintilla sulla polvere da scoppio». Qui Balthasar riprende e argomenta il realismo di Paolo VI. E’ spiega in che senso il dialogo non è affatto alcunché di scontato ma è una possibilità aperta da ogni lato, dal suo inizio al suo esito.

Da una parte il dialogo resta sempre aperto nel suo esito: «Non ogni nodo annodato si scioglie nella parola e nella controparola, qualcosa di più alto può rivelarsi che sopraffà coloro che parlano, ne siano o non ne siano consapevoli. Un evento che rimane ignoto a entrambi.. .può offrire la chiave che apre il loro rapporto. Una risoluzione maturata nel silenzio, un ‘azione muta conduce i discorsi oltre se stessi, crea il punto definitivo, scopre l’inizio invisibile, sradica gli alberi fattisi apparentemente enormi e li trapianta nuovi in un ‘altra regione». Si tratta del compimento che sta qualitativamente oltre — benché non sempre altrove — rispetto alla storia, nelle mani e nel grembo di Dio.

Dall’altra parte, il dialogo resta aperto a monte, radicato in quello che Balthasar chiama il «mistero interiore della soggettività»: si tratta dell’importanza incancellabile dell’identità credente del cristiano, che il teologo elvetico descrive come «un abitare in se stessi per poter poi uscire da se stessi», come il «possedere l’interna ricchezza di un carattere» e l ‘” affermare una originalità e solitudine maggiore per poter essere un dono nella comunicazione».

Se di dialogo si vuole discutere, dunque, si deve parlare anche di identità che, rimanendo fedeli e coerenti a se stessi, pur si confrontano reciprocamente Anche il dialogo interreligioso, in tale ottica, si profili come incontro e confronto fra alterità che mantengono intatti i loro tratti specifici e costitutivi e che si pongono in un rapporto di tipo frontale. La frontalità, in questo caso, non si riduce ad una polemica presa di distanza, ma costituisce la possibilità di vedere il profilo oggettivo delle identità che dialogano. L’incontro e l’integrazione che, comunemente, vengono proposti come la soluzione più urgente al problema dei fondamentalismi di matrice religiosa, possono davvero avvenire solo se si conoscono e si riconoscono nitidamente i contorni delle rispettive identità credenti a confronto, la valenza della loro alterità e, al contempo, della loro non-incompatibilità.

Ma anche può essere raggiunta a partire dalla conoscenza di sé. Conoscscersi e conoscere sono,sul piano del confronto interreligioso,due dinamiche che si accompagnano e si co-implicano sempre a vicenda. Per superare così, con prudenza ed intelligenza, antichi rifiuti inappellabili e nuove chiusure intolleranti fra differenti tradizioni culturali e religiose.

I saggi raccolti in questo volume frutto di un convegno intitolato Cristiani di fronte all’islam oggi, tenutosi a Poggio San Francesco, in diocesi di Monreale, nei giorni 3-4 Luglio 2004 — studiano appunto l‘importanza dell’ ‘identità cristiana nell ‘orizzonte del dialogo interreligioso e del confronto culturale con l’islam. Questo si è imposto all’attenzione degli organizzatori del convegno sia per la sua importanza di portata globale, attualmente ridondante attraverso i media di tutto il mondo a causa delle recrudescenze terroristiche e belliche che si sono innescate in tanti posti a partire dall ‘11 settembre 2001; sia perché trova in Sicilia, per motivi storici e per la collocazione geografica dell ‘Isola, un significativo banco di prova del suo contatto con l‘Occidente di tradizione cristiana, venendo a fare i conti oltre che con gli avvenimenti del presento anche con una lunga e complessa memoria, che ha il respiro ampio dei secoli.

….. il convegno …. ha voluto mantenere un taglio metodologico, per offrire un contributo scientifico alla didattica della religione cattolica nelle scuole e alla prassi pastorale della Chiesa monrealese. Ha inteso così segnalare, agli operatori pastorali e agli insegnanti di religione cattolica, l’importanza di alcune domande fondamentali riguardanti l’islam, preso in considerazione dal punto di vista della fede cristiana e messo in rapporto anche con l’ebraismo come pure con il pluralismo culturale contemporaneo. In questo senso ha tentato di rendere ragione della necessità di inquadrare l’Islam all ‘interno di un ‘ermeneutica rispettosa delle differenze e della peculiarità in questione, sia per leggere cristianamente l‘islam stesso-mentre se ne propone lo studio scientifico,secondo il suo specifico impianto categoriale e dottrinale— sia, quindi, per dotare chi l’osserva in una prospettiva cristiana di strumenti interpretativi e di informazioni che lo mettono in grado di confrontarsi oggi con esso in modo consapevole ed efficace dal punto di vista culturale oltre che propriamente religioso…….

MASSIMO NARO