Lentamente muore….

^ LENTAMENTE MUORE ^
Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni
giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non
rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su
bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno
sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti
all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul
lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza, per inseguire un
sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai
consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi
non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non
fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di
respirare.

Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida
felicità.
(P. Neruda)

Luigi Di Franco:un poeta da scoprire…….

               CANTI DI PIETRALUNA UN INNO ALLA LIBERTA’

 Di Franco Luigi copertina vol poesia 2009

Il poeta Luigi Di Franco* scrive il canto dell’umanità che conquista la libertà

 “Canti di Pietraluna”. Questo il titolo dell’ultima opera di poesia pubblicata dal poeta Luigi Di Franco di Villarosa che è stata presentata al teatro comunale “Vittoria Colonna” di Vittoria (Ragusa) con l’intervento dell’autore e dei docenti universitari Giuseppe Savoca ed Antonio Sichera della facoltà di Lettere dell’Università di Catania. Il poeta Di Franco che ha pubblicato questa sua nuova raccolta, cinquanta “poesie ad un millennio” come egli stesso le definisce, edite  nell’Aprile 2009 dall’Autore Libri di Firenze, ha sottolineato come occorre sempre imparare finché dura l’ignoranza, cioè per tutta la vita, ma proprio là dove la maggior  parte della gente ha l’impressione  che non si faccia nulla di buono occorre ricostruire templi alla virtù del sapere, altrimenti ci resteranno solo suoni inarticolati di barbarie.

L’opera,ultima raccolta di una trilogia che include i  precedenti volumi “Fuochi barocchi” (edito nel 1996) e “Sentieri del Tempo” (edito nel 1999), traccia un consuntivo dell’esistenza e del percorso culturale del poeta che anela ad una nuova dimensione umana e sociale lontana dall’uomo di oggi ma a lui visibile e pertanto realizzabile.

Quelli di “Canti di Pietraluna” sono versi che inneggiano alla libertà umana colta nel suo scioglimento con i vincoli del materiale all’insegna di nuove categorie ontologiche che sempre più affermano il valore dell’uomo inteso come costante essere in divenire.

L’uomo di queste liriche, in quanto misura di tutte le cose, conferisce senso e valore a fatti e luoghi da egli stesso vissuti evitando che la dirompenza della barbarie umana e istituzionale cancelli ogni retaggio culturale per offrire all’individuo non più una condizione di cittadino, quanto quella di ospite della propria terra.

Con quest’ultima raccolta il poeta Di Franco non si presenta più solo come letterato, ma si qualifica come uomo di azione impegnato in prima persona a smascherare le insidie di una politica miope, della volgarità d’animo, della smania di potere. Poesia lirica e civile, dunque, che nasce da una coscienza matura e consapevole del costante annullamento di ogni valore che si sta vivendo e che con la sua poetica parola apre ad ogni tipo di lettore la possibilità di compiere più profonde riflessioni. In una società in decadenza variamente affaccendata in egoistici interessi ciò che pare mancare alle istituzioni e ai vari gruppi dirigenti è la dimensione speculativa del vero, per questo solo una riconquista ed una rivalutazione della cultura umanistica può offrire rinnovate ragioni di riscatto. “Non c’e’ più tempo di cantare…/Non c’e’ più tempo di restare” scrive il poeta. Ed è il suo congedo da un’umanità ormai schiava, ma anche l’esaltazione consapevole della dignità umana che vale per quanti ancora sanno guardare in alto.

Foto prof. Luigi Di Franco

*Luigi Di Franco è nato e vive a Villarosa, in provincia di Enna.  Laureatosi in Filosofia, in Magistero in Scienze Religiose e in Storia Contemporanea, è docente di Filosofia, Storia e Scienze Umane presso i Licei statali. È membro dell’Accademia Internazionale dei Micenei e della Società Filosofica Italiana, nonché dottorando di ricerca in Storia contemporanea all’Università di Catania nella Facoltà di Scienze Politiche.Ha ricevuto diversi riconoscimenti culturali nazionali ed internazionali fra cui: il Primo Premio di Poesia al Premio «Città di Ragusa», nel 1972; il Primo Premio per la Saggistica alla VII edizione del «Premio Letterario Nazionale Isola Bella» a Stresa, nel 1994; a Varsavia (Polonia) il Primo Premio di poesia e saggistica alla XXIV Edizione del «Premio Letterario Internazionale I Migliori dell’Anno», nel 1996; il Premio «Superprestige Spagna ’98» per la poesia, con «Superpremio Messico» per la saggistica, al Premio Letterario Internazionale«Miguel de Cervantes» nel 1998 a Roma-Madrid; è inoltre stato finalista al Premio letterario-editoriale «L’Autore» nel 1998, con la silloge di poesia inedita Sentieri del tempo; il Primo Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri per opere di poesia e saggistica filosofico-letteraria edita, a Roma il 14 dicembre 1999; il «Premio Letterario Internazionale Pirandello 2000» a Luco dei Marsi (AQ); il Primo Premio di poesia al Premio Internazionale «Shakespeare» nel 2001 a Roma; il Premio Internazionale «Cristoforo Colombo» nel 2002 a Madrid-Roma; il Primo Premio per la saggistica e la poesia al «4° Concorso di Saggistica e Poesia Scena Illustrata 2004», a Vietri sul Mare, Salerno, nel 2004. È autore di diversi saggi tra cui L’insegnamento della religione nella storia della scuola italiana (Caltanissetta, 1991); Verità e libertà nell’educazione religiosa (Enna, 1995); La Nostalgia dell’Essere nella poesia di Federico G. Lorca (Roma, 1999); Il “dramma di morte” nella religiosità popolare di Sicilia secondo Leonardo Sciascia (Milano, 2000); Antropologia filosofica e costruzione dell’essere personale (Caltanissetta-Roma, 2000); Dimore della parola nella poesia del Novecento italiano (Roma, 2001); L’Inesauribile filosofia dall’ombra all’essere (Roma, 2001); Caio Giulio Cesare. Scelta e moda culturale nella ricerca storica (Acireale-Roma, 2005); Filosofia ed Abitare Antropologico. La persona iniziativa dell’Essere (Acireale-Roma, 2007); Villarosa prima dello zolfo 1731-1825. Un paese nuovo tra i lumi del potere baronale e il protagonismo borghese nella Sicilia tra ‘700 e ‘800 (Acireale-Roma,2009).Ha pubblicato i volumi di poesia Una terra il mio cuore (Enna, 1993), Fuochi barocchi (Firenze, 1996), Sentieri del tempo (Firenze, 1999) ed ora il volume Canti di Pietraluna (Firenze, 2009).

A Cruna…di Sara Favarò.

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Sara Favarò, nata a Vicari (Pa) , palermitana di adozione, è scrittrice, cantautrice, poetessa, ricercatrice di tradizioni popolari, giornalista e attrice.
Studiosa di tradizioni popolari, poetessa, scrittrice di saggistica e di narrativa, cantautrice, artista e interprete di quegli stessi componimenti da lei amorosamente studiati. Nel 2002 Sara Favarò pubblica un saggio dedicato ai canti popolari siciliani a tema religioso:Natale nei Canti polari siciliani,Poetica spontanea o vulgata catechesi?
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Grande “divulgatrice” di cultura, nel senso migliore del termine. Nel senso, cioè, della riproposizione e diffusione di un patrimonio etnomusicale che -tramandato attraverso i secoli – ora sembra incorrere nell’indifferenza e nell’oblio.
Eppure, si tratta di un patrimonio di musica e poesia estremamente ricco e complesso. Popolare, certamente, con riguardo alla sua diffusione e alle sue infinite varianti. Non già per l’origine. Lo chiarisce l’Autrice, con una bella metafora: “… Le preghiere e i canti popolari religiosi sono come fiumi che scendono a valle dividendosi o arricchendosi tra rivoli ed affluenti, ma che alla foce sono spesso originati da eruditi intelletti …”.
Come Antonio Di Liberto, il canonico di Monreale meglio conosciuto con lo pseudonimo di Binidittu Annuleru, autore del famoso U Viaggiu dulurusu di Maria Santissima e lu Patriarca San Giuseppi in Betlemmi. O Giacomo D’Orsa, colto poeta di Piana dei Greci, vissuto tra il Seicento e il Settecento e autore di un altro importante componi mento poetico natalizio, il Curteggiu di li Pastura a lu Santu Bambinu Gesù, qui pubblicato, come il precedente.
E cosi, tra ricostruzione filologica e disamina storico-critica si snoda l’excursus nel mondo dei canti devozionali della tradizione, con frequenti richiami all’interpretazione esoterica e numerologica – anch’essa, dunque, di matrice colta – delle strofe. Sullo sfondo, emerge l’importante azione di catechesi fra gli strati popolari condotta dalla Chiesa, ancor prima della Controriforma, grazie all’uso del dialetto in canti e drammatizzazioni. Riusciamo cosi a scoprire i canali di comunicazione attraverso i quali si da voce ad una fede semplice, che riflette modi di vita, sofferenze, sogni, delusioni e speranze di un piccolo mondo fatto di contadini, pastori, artigiani. Gli stessi che portano i loro modesti doni al Bambino appena nato, piangendo e scusandosi per la povertà dell’offerta (“… lagrimannu l’offeriu / nun aju autru, amatu Diu”), Gli stessi che si rivolgono a Dio, Gesù e alla Madonna come ad “entità profondamente umane e, come tali, soggette ad emozioni e sentimenti che in ogni caso i fedeli auspicano, cantano, supplicano attraverso la preghiera”,così come scrive l’autrice.
Adesso è la volta di un altro interessante volume denominato A Cruna.
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“Per anni l’autrice ha raccolto materiale sui Rosari siciliani. Ha ascoltato, registrato, consultato e studiato dal punto di vista della ricercatrice delle tradizioni popolari. Tutto il materiale raccolto è stato poi oggetto di comparazione e riportato – comprese le partiture musicali – in questo volume, indispensabile a chi vuole anche semplicemente comprendere quale cultura, quale tradizione si cela dietro una pratica oggi desueta, ma un tempo comune in tutte le famiglie siciliane, sia povere che patrizie: la recita del Santo Rosario.”

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Un’Antologia di rosari siciliani.

E’ forte in Sara Favarò l’esigenza di conservare la tradizione. Quella tradizione che un tempo si tramandava oralmente e che oggi, se non fosse per opere come la sua, finirebbe col cadere nell’oblio collettivo. Nel novero delle sue opere di raccolta e sistematizzazione di testimonianze del passato rientra ‘A Cruna (Città Aperta, pp. 300, euro 25), la prima antologia di rosari siciliani.

È molto raro ma non impossibile, imbattersi ancora oggi, in alcuni piccoli paesi della Sicilia, in gruppi di anziani radunati per calari la cruna (scorrere la coroncina). E sono stati questi anziani, insieme alle centinaia di altri anziani incontrati e intervistati dall’autrice nel corso di trent’anni di ricerche, che le hanno fornito il materiale utile alla stesura della raccolta. Il testo racchiude una ricca rassegna di rosari fedelmente trascritti così come venivano recitati un tempo, la traduzione in italiano e diverse piccole curiosità che gravitano intorno al rito di recitare insieme il rosario.

SANDRA VTALE

LA SICILIA del 22-1 1 —2008 p.32

«A Cruna», prima antologia di rosari siciliani.

PALERMO. (ala) Un ricordo infantile risvegliato da una litania recitata dai nonni materni. Un ritorno alle origini di quella lingua perduta usata per intonare i rosari. Una ricerca meticolosa, durata trent’ anni, ha registrato, trascritto, comparato e tradotto in italiano le preghiere siciliane degli anziani. 11 risultato è A Cruna, la prima antologia di rosari siciliani scritta da Sara Favarò e pubblicata da Città aperta edizioni e presentata all’archivio storico comunale di Palermo, «Una preziosissima indagine sul campo – sottolinea l’ assessore alla Cultura, Giampiero Cannella -,che coniuga aspetti scientifici ed esperienza vissuta, lavoro sulle fonti e contatti con le persone».

In alcuni casi le preghiere sono accompagnate da partiture musicali, «Per non far disperdere il suono delle litanie», spiega l‘autrice. A confluire nella raccolta anche parte del materiale del progetto «Un viaggio nella fantasia nella Valle del Torto e dei Feudi» raccolto dagli studenti di 13 Comuni della Provincia di Palermo che hanno intervistato genitori, zii e parenti per ricostruire preghiere, filastrocche e giochi in siciliano che altrimenti sarebbero andati perduti. Un’iniziativa che ha stimolato la curiosità dei giovani verso le proprie radici. Nei ricordi dell’autrice, andata via da Vicari (il paese

di provenienza) a  11 anni, la recitazione e i ritmi del rosario da parte della famiglia matriarcale al completo, riunita attorno al letto della bisnonna: «Era la Mamà granni, eredità linguistica di grand mère e della Magna Mater dei romani – sottolinea Favarò -, cioè la bisnonna, a dare l’intonazione e a declamare le preghiere, mentre gli altri le rispondevano in coro>. Un compito al quale nessun familiare si sottraeva, a parte il nonno paterno Ciccio «buon cristiano – aggiunge la scrittrice –

che però preferiva stare lontano dalle lunghe orazioni e che mi ripeteva spesso: Monaci e parrini, vinci a missa e stoccaci i rini! (Monaci e preti, assisti alla messa, ma stanne lontano)». Una tradizione linguistica che si è tramandata anche alla morte della bisnonna, ma che stava rischiando di essere smarrita. E così dalla ricerca, primo lavoro sistematico dopo le raccolte di Giuseppe Pitrè, sono emerse alcune scoperte, a partire dalla tipologia dei rosari dell’isola: «Sono diversi – specifica la scrittrice ’ come quello alla Madre Sant ‘Anna, che testimonia quanto l’elemento femminile sia preminente nelle preghiere popolari siciliane>’. E una smentita: che le orazioni siano il frutto di una fede spontanea. «Non furono create dal popolo, ma da chi aveva una profonda conoscenza dei testi sacri-spiega Favarò – ai popolo, in tempi di grande analfabetismo e di forte oralità, il compito di modificarli e diffonderli».

ANTONELLA LOMBARDI

GIORNALE Dl SICILIA 22-11 -2008 p.40

La scia dei tetraedri.Nel mare gastronomico delle egadi.Di Emilio Milana*

Introduzione

La Sicilia è una terra singolare, ricca di storia e di mito, di sereno e di sconvolgente, come i suoi vulcani. Una terra in cui il fascino della millenaria cultura scaturisce dalla perfetta sintesi dei suoi contrasti. Una terra in cui anche i quattro principali sapori legati alla sensorialità dell’uomo — il dolce, l’amaro, il salato e l’acido — giocano in un’altalena di contrapposizioni e apposizioni nel descrivere il mutevole sfaccettarsi del tetraedro del gusto dei Siciliani, fortemente legato al loro temperamento e alla loro antica diversità.

Diceva Thomas Stearns Eliot: “La cultura è ciò che rende degna la vita di essere vissuta e la cucina è una delle sue forme”. Ed è con questo spirito che si vuole vivere, in queste pagine, un’esperienza diversa, quella di ripercorrere, anche se velocemente, quattro millenni di storia osservando le trasformazioni del gusto e del cibo dei siciliani attraverso i cambiamenti della società, dell’economia e a volte della natura, nel segno di un continuum culturale proprio dei discendenti dei Sicani.

Parlare della cucina siciliana è come attraversare la storia dei popoli che si sono incontrati e scontrati nelle acque del Mediterraneo, vero liquido amniotico delle prime civiltà e delle grandi religioni monoteistiche che hanno caratterizzato lo spirito dell’uomo. In questo senso, l’arte culinaria si colloca accanto agli studi delle antichità per ricostruire il percorso dell’uomo fin dal tempo in cui questi iniziò a ridurre la natura alla soddisfazione dei suoi bisogni prima, dei suoi piaceri dopo. Rispetto al patrimonio di reperti e di documenti che si correlano a civiltà ormai storicamente concluse, la cucina continua a essere testimonianza vivente di una realtà che ci accompagna ogni giorno attraverso i sapori, gli odori e i colori.

L’arte culinaria è quanto i Greci definivano col termine gastronomia, vocabolo che secondo un dizionario italiano riporta al “complesso delle regole e delle usanze che sono relative alla preparazione dei cibi”. Tale definizione, tuttavia, appare incompleta se si considera il significato della parola come una funzione del tempo, delle condizioni di vita e della mutevole realtà socioeconomica. Per gastronomia, oggi, può intendersi, in accordo con Slow Food, non solo l’arte di cucinare i cibi, ma anche “l’arte di degustarli, di descriverli e di giudicarli”.

La gastronomia, come arte che prevede delle proprie regole, viene dopo l’alimentazione,che risponde a un’esigenza fisiologica; se questa è, infatti, legata al bisogno di procurarsi un alimento per combattere la fame, quella presuppone il piacere di consumare e gustare il cibo. Non è superfluo, comunque, sottolineare che il piacere non è legato alla condizione socio-economica dell’uomo. Il panino con le panelle1 è quanto di più democratico la cucina della nostra terra abbia inventato, utilizzando elementi semplici che, adeguatamente lavorati, fanno provare lo stesso piacere al palato del ricco e del povero. Il panino con le panelle ha assunto il rango di prodotto gastronomico in quanto, pur nella semplicità della sua preparazione, interessa fortemente la degustazione e il piacere di assaporarlo. La panella era un cibo per poveri, ora è un prodotto gastronomico servito nei ristoranti e nelle rosticcerie più apprezzate.

Bisogna ancora convenire con Slow Food che il fenomeno della globalizzazione ha omologato e impoverito i gusti, condizionati come siamo dall ‘immagine del cibo più che dall’ alimento che la pubblicità ci propone, a danno dell’educazione alimentare e della stessa conoscenza di ciò che mangiamo. Fortunatamente, in controtendenza, sta crescendo l’interesse per il recupero delle tradizioni culinarie, espressione di un tentativo comune di riappropriarci del patrimonio di valori, di intelligenza, di abilità, che distingueva le civiltà passate e ne segnava il grado di evoluzione. La scelta alimentare non è un fenomeno legato alla classe sociale, ma alla cultura: vi sono ricchi che mangiano malissimo, meno ricchi o poveri che riescono a gustare piatti sani e saporiti, tramandati da uno stile secolare di scelta, di abbinamento e di preparazione.

La ragione di circoscrivere l’interesse culinario a un’area così ristretta della Sicilia, che fu dei Sicani e degli Elimi, sta nel desiderio di ritrovare e conservare le essenzialità locali di quest’arte che, di fatto, non è mai stata unitaria su tutto il territorio siciliano, avendo assunto espressioni e stili profondamente legati alle diversità delle genti che l’hanno popolata. Ne è un esempio la pasta con le sarde, oggi servita con immagine e gusto differenti a seconda che ci si trovi a Trapani, a Palermo o a Messina.

Il motivo, poi, di considerare solo il pesce, come elemento conduttore centrale, è dovuto alla peculiarità geografica della zona considerata, alla netta predominanza dell’attività pescatoria su quelle praticate dalla popolazione locale, a partire già dall’età arcaica, e alla profonda sensibilità verso i prodotti del mare, mostrata dai cuochi e dai gastronomi siciliani dell’antichità greca e latina prima, del Medioevo e Rinascimento dopo. Il contenuto si articola in tre sezioni, separatamente sviluppate in tre volumi: la prima dà una “sintesi storico-culturale” dell’evoluzione culinaria siciliana con diretti collegamenti a tematiche fondamentali, come la pasta e il vino; la seconda è la vera e propria sezioneculinaria, costituita da una raccolta di ricette di primi piatti, secondi e contorni ripescati nell’uso e nella pratica comune, nei ricordi degli anziani e nei documenti rinvenuti un po’ ovunque, arricchite da note e riferimenti alle possibili lontane origini; la terza presenta un ricco insieme di profili di pesci commestibili, tipici del mare egadiano, con una breve descrizione delle caratteristiche morfologiche, biologiche e gastronomiche.

Si sono voluti, inoltre, esprimere in “siciliano”2 le espressioni e gli idiomi locali, nel rispetto della conservazione della cultura d’origine, in cui la lingua è l’amalgama, l’anima della cultura stessa e della gente che l’ha creata perché, come ha scritto Ignazio Buttitta,

 

Un populu diventa poviru e servu

quannu ci arrobbanu la lingua

addutata di patri:

é persu pi sempri.

 

(Un popolo diventa povero e servo

quando gli rubano la lingua che gli fu data dai padri:

è perso per sempre.)

 

1 Le panelle sono una sorta di frittelle, sottili e di forma triangolare, fatte con un impasto di farina di ceci e acqua. Spolverate con pepe nero e sale vengono tradizionalmente consumate all’interno di un morbido panino. Come antipasto vanno gustate da sole.

 

2 Il siciliano oggi si deve ritenere una Lingua Regionale o minoritaria ai sensi della Carta Europea delle Lingue Regionali o minoritarie, che all’Art.l afferma che per lingue regionali si intendono “le lingue che non sono dialetti della lingua ufficiale dello Stato”. La Carta è stata approvata il 25 giugno 1992 ed è entrata in vigore il 10 marzo 1998. L’Italia l’ha firmata il 27giugno 2000. Inoltre, l’industrial Standard Organization (ISO), l’ente internazionale che si occupa di problemi di normalizzazione, nel 2005 ha nconosciuto il siciliano come “lingua’ codificandola come ISO 639-3: scn. Pur essendo parlato da circa dieci milioni di persone in tutto il mondo, il siciliano, oggi, non viene insegnato nelle scuole e non viene nemmeno praticato nella vita pubblica, dove viene soppiantato da una specie di versione dialettale dell’italiano, con vistose mutuazioni grammaticali e fonetiche dal siciliano. “Perché non parli siciliano a tuo figlio? — fu chiesto a una madre marettimara che si esibiva tronfia in questo nuovo linguaggio.— Perché non voglio che si trovi male a scuola come mi sono trovata io” — fu la risposta. E sulla base di queste “profonde convinzioni” un altro dialetto del siciliano, quello marettimaro, sicuramente si avvierà nel desolante e malinconico percorso dell’estinzione, verso lo sradicamento dalla propria identità culturale. Un popolo in fondo, come ha già detto qualcun altro, è soprattutto ciò che entra ed esce dalla sua bocca. Cibo e parole.

 

*Emilio Milana,egadiano,ingegnere optoelettronico.Velista,vive a Bologna.

Se (If) di Rudyard Kipling

SE…

(lettera al figlio, 1910)

Se riesci a mantenere la calma quando tutti

intorno a te la stanno perdendo, e te ne fanno una colpa;

Se sai aver fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te

tenendo però nel giusto conto i loro dubbi;

Se sai aspettare senza stancarti di aspettare,

o essendo calunniato non rispondere con calunnie,

o essendo odiato, non dare spazio all’odio,

senza tuttavia sembrare troppo buono

nè parlare troppo saggio;

Se sai sognare senza fare dei sogni i tuoi padroni;

Se riesci a pensare senza fare dei pensieri il tuo fine;

Se sai incontrarti con il Successo e la Sconfitta

e trattare questi due impostori allo stesso modo;

Se riesci a sopportare di sentire la verità che tu hai detto

distorta da imbroglioni che ne fanno una trappola per ingenui;

o vedere le cose, per le quali hai dedicato la vita, distrutte,

e umiliarti a ricostruirle con i tuoi strumenti ormai logori;

Se sai fare un unico mucchio delle tue vittorie,

e rischiarlo in un sol colpo a testa o croce,

e perdere, e ricominciare di nuovo dall’inizio

senza mai lasciarti sfuggire una parola su quello che hai perso;

Se riesci a costringere il tuo cuore, i tuoi nervi, i tuoi polsi

a sorreggerti anche dopo molto tempo che non te li senti più,

e così resistere quando in te non c’è più nulla

tranne la Volontà che dice loro: “Resistete!”;

Se sai parlare con i disonesti senza perdere la tua onestà,

o passeggiare con i re senza perdere il comportamento normale;

Se non possono ferirti nè i nemici nè gli amici troppo premurosi;

Se per te contano tutti gli uomini, ma nessuno troppo;

Se riesci a riempire l’inesorabile minuto

dando valore a ogni istante che passa;

tua è la Terra e tutto ciò che vi è in essa,

e – quel che più conta – tu sarai un Uomo, figlio mio!

[Rudyard Kipling]

IF

If you can keep your head when all about you

Are losing theirs and blaming it on you,

If you can trust yourself when all men doubt you

but make allowance for their doubting too,

If you can wait and not be tired by waiting,

Or being lied about, don¹t deal in lies,

Or being hated, don¹t give way to hating

And yet not look too good, nor talk too wise:

If you can dream – but not make dreams your master,

If you can think – but not make thoughts your aim;

If you can meet with Triumph and Disaster

And treat those two imposters just the same;

If you can bear to hear the truth you¹ve spoken

Twisted by knaves to make a trap for fools,

Or watch the things you gave your life to, broken,

And stoop and build them up with worn-out tools

If you can make one heap of all your winnings

And risk it all on one turn of pitch-and-toss

And lose, and start again at your beginnings

And never breathe a word about your loss;

If you can force your heart and nerve and sinew

To serve your turn long after they are gone,

And so hold on, when there is nothing in you

Except the Will which says to them: ³Hold on!²

If you can talk with crowds and keep your virtue,

Or walk with kings, yet not lose the common touch,

If neither foes nor loving friends can hurt you;

If all men count with you, but none too much,

If you can fill the unforgiving minute

With sixty seconds¹ worth of distance run

Yours is the Earth and everything in it,

And, what is more, you¹ll be a Man, my son!

Preghiera al SS.Crocifisso in lingua siciliana.

Statue lignee del SS.Crocifisso e di Maria SS.Addolorata presenti nella chiesa oratoriale del SS.Crocifisso di Vallelunga Pratameno (CL).

su segnalazione di Salvatore da Salemi.
Prighiera
Addinucchiatu ‘nterra
a li pedi di ’sta cruci,
pregu a tia Cristu
pi darimi un segnu di paci.
Ti pregu cu amuri,
dammi fidi comu all’atri,
pi cridiri a tia Signuri
e l’Onniputenti Patri.
‘Nchiuvatu,
cu la curuna di spini ‘n’testa
n’sanguliatu, fragellatu,
ti ficiru la festa.
Oh! Cristu nuddu
di tia appi pietà;
t’ammazzaru
nun canuscennu la virità.
La Matruzza
a lì tò pedi chianciva,
cu li lacrimi
li chiaghi ti vagnava.
Dispirata a mani giunti
gridava: nun muriri!
Sarva ’stu munnu,
nun t’inni jiri!
La luci di lu suli ‘ntra jornu,
tuttu ‘nsemmula s’astutà,
lu celu si vistì di niuru,
tuttu lu munnu trimà.
Lu poviru Crucifissu
sfinutu, senza sciatu,
isà l’occhi ‘ncelu
e lu Patri ha ‘mpluratu.
Lampi, trona,
acqua e ventu;
l’occhi chiudisti;
pi tutti fù un turmentu.
Mortu ti scinneru di la Cruci
c’un linzolu e dù scali a lu latu
‘mbrazza ti piglià la povera Matri
stringennuti a lu cori scunsulatu.
Sistimatu ‘nta lu sipolcru
l’Addulurata Matri la facci ti vasà,
facennusi la cruci dissi:
sia fatta la tua volontà.
Dopo tri jorna a Gerusalemmi
ci fù un gran scumpigliu
gridavanu tutti:
abbriviscì lu figliu!
“Gesù mortu ammazzatu
è risuscitatu”
Ora sedi a la destra
di lu Patri tantu amatu.
Ti ringraziu Cristu ca mi pinzasti
la fidi ca nun avia tu mi dasti.

Poesia del Poeta Giuseppe Cardella

CIRCUITI INTERIORI DI ALESSIA TORRES.

Presentato a Palermo,presso la libreria Kalòs,il volume di poesie della poetessa Alessia Torres.

Alla manifestazione hanno presenziato,unitamente ad un numeroso pubblico,il pittore Gaetano Porcasi,l’artista Vincenzo Pirrotta e il consigliere provinciale Vincenzo Di Trapani.

Diceva Benedetto Croce:

“Non se ne può dire niente tranne che riconoscerla”.

La poesia

Ma cos’è mai la poesia?

Più d’una risposta incerta

è stata già data in proposito.

Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo

come alla salvezza di un corrimano.

Wislawa Szymborska

 

 Il Volume riporta come copertina un dipinto del pittore Prof.Getano Porcasi “La Bocca della Verità”.

 

Che cos’è la verità?
Un abisso che si veste di metafore,
il lungo abbandono del cuore
in attesa di un segno finale,
quel soffio che salva
come un grido di sollievo.
Nel volgere ignoto
di un respiro di luce
l’ultima conoscenza
pare scandire:
la morte,
la vita.

 

Ardea Montebelli.

 

La poesia è una unità inestricabile di qualcosa che potremmo chiamare in senso lato emotività – e che comprende la nostra reazione e relazione con il mondo -, e qualcosa che invece si può definire arte, tecnica (nella lingua greca i due termini finiscono con il coincidere). la sua permanenza nel tempo dipende dall’efficacia di questa articolazione. 

potremmo dire dunque, innanzitutto, che non è poesia un prodotto sbilanciato sul versante emotivo o su quello della tecnica. nel primo caso si tratta di un semplice sfogo, nel secondo di una costruzione razionalistica.

la storia della letteratura non serba memoria di questi generi, che possono rimanere al massimo tra i ricordi di famiglia o nelle raccolte di cose curiose o bizzarre

Nella poesia tutto è essenziale, non c’è nulla di superfluo. la prosa si svolge in passaggi articolati secondo una logica che può tornare sui suoi passi, approfondirsi riprendendo il tema, precisando e vivacizzando con aggettivi e avverbi, divagando e ornando, superando la misura, gonfiandosi e perdendosi in rivoli minori. la poesia si brucia nell’attimo, ha un’incandescenza fulminante che non ammette indugi inutili ne ritardi nell’effetto. non è poesia un testo inessenziale, prolisso, logorroico. la ridondanza è nemica del poeta, può stroncarne precocemente la carriera.

Ma l’incandescenza della forma e della forza emotiva non fanno della poesia un prodotto astorico, librato in dimensioni inattingibili. anzi, il verso è profondamente inserito nella storia: della tradizione e dell’innovazione, da una parte, e della vita con la sua urgente e spesso aggressiva e lacerante attualità, dall’altra. ciò comporta che la poesia non è mai un atto solipsistico o autistico, l’espressione di una sensibilità raffinata ma autotrofa: l’autore, al contrario, deve fare sempre i conti con le strutture formali che l’hanno preceduto o lo affiancano e con gli eventi che segnano la vita di ogni essere umano consapevole.

La poesia non risponde a un’utilità pratica: non bisogna chiederle niente. semplicemente s’insinua nella nostra mente e vi si deposita, cominciando ad agire con la sua logica diversa, feconda nella misura in cui non corrisponde alle aspettative consuete, ma apre orizzonti nuovi e imprevedibili di senso. Ogni volta che vorremmo appiattire significati e significanti sul discorso che potremmo chiamare diurno, dimenticando che la poesia è fondamentalmente figlia della notte, ci collochiamo fuori di ogni possibilità di comprensione.

 

 

 

ALESSIA TORRES, nata a Palermo (Ottobre 1969), laureata in Lingue e Lett. Straniere Moderne, docente di Inglese e Francese e libera professionista, ha sempre coltivato la passione per la Poesia. Ha preso parte a vari Cenacoli di poesia a Roma. dove ha vissuto negli ultimi anni, ottenendo svariati riconoscimenti e tuttora collabora con alcune riviste letterarie nazionali. Ha partecipato a vari concorsi letterari ottenendo significativi consensi. Alcune sue poesie sono state pubblicate su antologie contemporanee.

Poetessa assai raffinata e di animo alquanto sensibile, le sue liriche rievocano emozioni, atmosfere, sogni, scenari interiori, paesaggi ed intensi sentimenti che quasi si personificano. Infatti nei versi, che riesce a comporre con grande valentia, è impossibile non avvertire quell’etereo alone di magico che percorre trasversalmente tutta la Grande Poesia e che fa vibrare le più segrete corde dell’animo coinvolgendo totalmente il lettore.

Alla passione per la poesia unisce una altrettanto grande passione per la Fotografia con la quale ha partecipato a Concorsi e Mostre Foto grafiche a Roma ed altrove.

Il suo poliedrico talento artistico si esprime anche nella Danza: è infatti una validissima danzatrice di Tango Argentino.

 

L’autrice racconta il suo mondo attraverso fotogrammi della sua vita, del suo essere e del suo Io più profondo. Frammenti vibranti di vita, pezzi frementi di un infinito puzzle che, come in un caleidoscopio, mutano prospettiva e destinazione. Ogni poesia è l’istantanea appassionata di un’emozione, ed è notevole proprio la capacità della poetessa nella descrizione intensa dei suoi stati d’animo, a volte con leggere pennellate d’acquerello, altre con pesanti colpi di scalpello, che ce li consegnano intatti permettendoci di rivivere insieme a lei quei momenti nel modo in cui lei li ha vissuti, con viva partecipazione perché il lettore entra “in risonanza” con l’autrice, vibrando con la sua stessa frequenza.

L’augurio è quello che la sua inesauribile vena creativa ci continui a regalare altre “fotografie” dell’anima, altri “specchi” in cui riflettere l’immagine di noi stessi e di chi abita nel nostro cuore.

Karin Trapanese

 

Alessia è una donna piena di vita e sentimento che rivela attraverso i suoi versi. Nelle sue poesie sa esprimere, con notevole garbo e con tono leggero, attimi di vita ed emozioni, lasciando suggestive impressioni nella mente e nel cuore di chi ne legge i versi e che, pertanto, ne rimane inevitabilmente coinvolto.

Stefania Goffi

 

Filtrate luci e suggestive atmosfere di pathos.

Alessia, servendosi di misteriosi obiettivi, va all’estrosa ricerca dei sogni, simbolo della bellezza e del trionfo della vita.

Gino Speciale (1923-2004) pittore e poeta