Il Natale dei poeti evento eterno presente.

Presepe
Presepe 1
I versi di Luzi e Turoldo escono dai luoghi comuni sul Presepio per entrare nell’incontro con la Storia.
Testo di Massimo Naro.
estratto Luoghi dell’Infinito

Diocesi di Padova:festival biblico.

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LO SGUARDO DELL’AQUILA.Elementi biografici di Cataldo Naro Arcivescovo di Monreale.

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Sorprendersi dell’Uomo.Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura.

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Don Massimo Naro,giovane teologo della chiesa nissena,direttore del Centro Studi “A.Cammarata” di San Cataldo e docente presso la Facoltà Teologica di Sicilia di Palermo,si propone con un nuovo ed interessante lavoro dal titolo:”Sorprendersi dell’Uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura”,edito dalla Cittadella editrice. I saggi raccolti in questo nuovo volume si propongono di attenzionare,in chiave teologica e ateologica,le domande radicali della letteratura contemporanea in relazione al senso dell’esistenza umana. Il libro raduna saggi dedicati a poeti e narratori che hanno cercato delle risposte alle cosi dette domande radicali. Nella presentazione al testo il Prof.Giulio Ferroni, docente alla Sapienza di Roma,dice che la “radicalità di queste domande è data proprio dal loro essere semplici,dal loro chiamare in causa l’esperienza di tutti quelli che vivono”.Interrogativi semplici, ma al contempo ultimativi, che vertono su questioni forti quali il perché “del vivere e del morire,sulla sete umana di verità e di giustizia,sulla meschine debolezze del potere,sul confronto tra Dio e il dolore innocente,sulla destinazione ultima e vera dell’uomo”.La tesi di fondo sostenuta dall’Autore è la seguente:”la letteratura,sia quella che parteggia per Dio sia quella che grida contro Dio,la letteratura esplicitamente religiosa ma anche quella ateologica,mostra di non poter rimanere senza Dio. Diventa, insomma, un discorso in cui Dio non è nominato esplicitamente e però rimane altrimenti invocato. Così la letteratura e le sue parole rinviano ad un orizzonte-altro, a cui l’uomo non può smettere di anelare”.Per dimostrare ciò,Naro interpella autori noti e meno noti della letteratura dell’otto-novecento che possono essere iscritti,a vario titolo,in ciò che l’autore definisce letteratura “meridiana”:ossia ciò che altrove è stato fatto da filosofi,soprattutto in Sicilia,è stato fatto da letterati.La lettura che Divo Barsotti fa di Leopardi  e quest’ultimo come testimone  della crisi spirituale moderna. La natura poetica della verità,ossia le questioni radicali nella scrittura letteraria dell’inglese John Henry Newman, probabilmente la vetta assoluta del pensiero cattolico post rivoluzione francese. Nato anglicano e convertitosi al cattolicesimo sino a diventare cardinale,Newman è un singolare miscuglio di teologia e letteratura. Per l’autore inglese,Don Massimo parla di autentica “poesia del pensiero” capace di esprimere nelle sue opere “un orizzonte misterioso sorprendentemente presagito oltre che acutamente interpretato,suggestivamente immaginato,ma anche lucidamente interpretato”.A fare da apri pista per gli autori siciliani è Pirandello con le sue  lanterninosofie,facendo reagire le dichiarazioni di fede dello scrittore isolano (“sento e penso Dio in tutto ciò che penso e sento”)con il suo pensiero scettico o di conclamato agnosticismo,lambendo in certi casi l’azzeramento di ogni fede. Prosegue con la  scrittrice, mistica palermitana, Angelina Lanza Damiani,prendendo in considerazione “la terza interpretazione della vita”.Le tematiche della tanatofilia e della tanatofobia,per dirla con Bufalino, attraversano il pensiero poetico siciliano e l’opera dello scrittore ateologo  Sebastiano Addamo e la verità insultante di Pippo Fava,ucciso da Cosa Nostra. L’Italia umile di Carlo Levi  e la poetica profetica di Mario Pomilio. Le domande radicali non si limitano alla sfera esistenziale e religiosa ma sfidano la stessa modernità facendo i conti con il “disinganno cosmico e religioso”,scrive Naro,che l’epoca moderna impone con prepotenza. Due interessanti capitoli conclusivi sono dedicati alla Bibbia come codice della cultura occidentale  e alla Bibbia musiva presente nei mosaici del duomo di Monreale riletta dal poeta Davide Maria Turoldo e dal teologo Romano Guardini.Scrive Naro “Per Turoldo il duomo di Monreale è un «Eden dell’Arte» e i suoi mosaici sono un «mirabile tesoro» che il popolo di Sicilia ha la responsabilità di «custodire» in forza di una vocazione consegnatagli attraverso una storia ormai plurisecolare e nonostante le ombre negative che smorzano lo splendore di questa stessa lunga e grandiosa storia. Si tratta certamente di una vocazione culturale. Ma non solo: il popolo di cui parla il poeta ha, in questi versi, un profilo ecclesiale e perciò la sua vocazione ha anche una ineliminabile qualità cristiana, dipendente proprio dal suo rapporto con il duomo e, nel duomo, con la Parola di Dio che riecheggia figurativamente nei mosaici. La «grazia» e la «virtù» di questo popolo, la sua nobiltà regale più forte di ogni pur suo infamante «crimine», consistono nel suo stare dentro la reggia – che è appunto la basilica costruita nel XII secolo da re Guglielmo II – e nel leggere, dentro la reggia, dentro la basilica, «le storie di Dio» che vi sono raffigurate su uno sfondo immenso di «pietruzze d’oro».

Guardini,scrive Naro, giunse a Monreale nel pomeriggio del giovedì santo del 1929, mentre vi si stava svolgendo la celebrazione liturgica in coena Domini, e vi ritornò il sabato santo, per la messa pasquale. E perciò ebbe la provvidenziale opportunità di vederne lo splendore artistico non nella sua immobilità e intangibilità museale – come di solito accade al turista che vi si reca semplicemente come tale – bensì rivitalizzato dall’azione liturgica alla quale, sin dalla sua costruzione, era stato destinato. Guardini, dunque, non si limitò a visitare il duomo di Monreale. Più radicalmente: lo visse, ne fece esperienza. Percependolo non come cornice materiale ma come parte integrante di un mistero vivente, in cui – per il suo carattere metastorico – ugualmente sono coinvolti gli uomini di oggi insieme a quelli che li hanno preceduti ieri e che hanno loro tramandato il testimone della fede. I profeti biblici e i santi raffigurati negli immensi mosaici monrealesi sembrarono animarsi agli occhi di Guardini, risvegliati dal fruscio dei paramenti sacri e dai canti dell’assemblea, coinvolti nei ritmi della celebrazione, aggregati alla preghiera del vescovo e dei suoi assistenti. Ma, soprattutto, interpellati dallo sguardo dei fedeli, sguardo di contemplazione attraverso cui il mistero si lasciava raggiungere e si rendeva di nuovo presente. Ciò che colpì maggiormente Guardini, secondo la sua stessa testimonianza, fu appunto lo sguardo orante della gente riunita dentro il duomo. «Tutti vivevano nello sguardo» (Alle lebten im Blick), tutti erano protesi a contemplare, scrive affascinato Guardini, intuendo il valore metafisico di quel contemplare: quegli uomini e quelle donne, vivono – più assolutamente: sono – in quanto guardano, vivono e sono perché spalancano i loro occhi sul mistero.

Infine,l’immagine messa in copertina è tratta da una rivista tedesca, negli anni trenta, i terribili anni del nazismo, diretta da Romano Guardini (la rivista si intitolava “Die Schildgenossen”, che significa “gli scudieri”, i portatori di scudo…). L’immagine fu disegnata da Desiderius Lenz, e vuole indicare il modello dell’uomo nuovo, secondo una visione cristianamente ispirata, che la rivista si proponeva di propugnare tra i suoi lettori, docenti e studenti universitari anti-nazisti. Difatti il titolo dell’immagine è “Kanon des menschlichen Kopfes” (Canone del Capo umano, o del Volto umano).

M.Naro,Sorprendersi dell’Uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura,Cittadella Editrice,pp.392,euro 22,80.

Solennità del CORPUS DOMINI.

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

“Se voi dunque siete il corpo e le membra di Cristo, sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: Il Corpo di Cristo, e tu rispondi: Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen” (S. Agostino, Discorso 272).

 

Sul crinale del mondo moderno…..

locandina per Palermo

Presentazione del volume di S.E.Rev.ma Mons.Cataldo Naro:

SUL CRINALE DEL MONDO MODERNO,scritti brevi su cristianesimo e politica.

Per Crucem ad Lucem:buona Settimana Santa.

La Croce

Invito alla lettura della Bibbia.


L’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Benedetto XVI (30 settembre 2010) invita autorevolmente a riflettere sulla Parola di Dio nella Chiesa, a riscoprire la grandezza, la straordinarietà del fatto che Dio si rivela agli uomini: «Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi. Il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso». La conversazione dell’uomo con Dio si realizza anche attraverso le pagine della Sacra Scrittura.
«Umberto De Martino», scrive Michele Dolz nella Prefazione, «offre pagine semplici, per facilitare una lettura intelligibile della Scrittura. Scopo principale del libro, infatti, è invitare alla lettura della sacra pagina, fornendo elementi storici e dottrinali per un’efficace comprensione del testo. Qui non si tratta dell’analisi dei singoli testi biblici quanto del metodo per affrontare positivamente la Bibbia: l’inquadramento storico dei libri, le necessarie precisazioni filologiche e, soprattutto, il rapporto tra i due Testamenti, perché l’Antico Testamento aiuta a comprendere meglio il Nuovo che, a sua volta, illumina l’Antico».
Il volume si compone di tre parti. Nella prima vengono svolte alcune agili considerazioni metodologiche; la seconda parte contiene rapide introduzioni ai libri dell’Antico Testamento; nella terza parte vengono commentati alcuni passi scritturistici, come suggestiva esemplificazione del metodo interpretativo.

La Prefazione di Michele Dolz
Tutti oggi leggono – o possono leggere – la Bibbia. La rivoluzione di Lutero, che la voleva in mano a tutti i fedeli, è diventata realtà ordinaria anche tra i cattolici, specialmente dopo gli incoraggiamenti del Concilio Vaticano II. È cambiata radicalmente l’accessibilità al testo sacro: basti pensare che, solo poche generazioni fa, liturgicamente la Parola di Dio veniva proclamata in latino e senza amplificazione, e al popolo si fornivano prediche o riassunti narrativi della storia sacra. La Bibbia – o almeno il Nuovo Testamento – è oggi il libro più venduto e più economico. Ci sono libretti usa e getta, c’è la sconfinata risorsa della rete, abbondano film e strumenti didattici di ogni specie.
Ma questa nuova accessibilità pone subito il problema interpretativo. Lutero lo risolse non risolvendolo: ciascuno si dia la propria interpretazione. Ma la Bibbia è facile e difficile allo stesso tempo. Facile perché Dio è semplice e non si nasconde al cuore umano. Difficile perché i numerosi libri che la compongono sono stati scritti in epoche diverse, da autori diversi, in contesti culturali e linguistici anche molto lontani da noi. Serve pertanto un corredo scientifico che aiuti a inquadrare bene i fatti e gli insegnamenti per meglio comprenderne il significato.
È accaduto, però, che – dietro la spinti dei biblisti protestanti – gli studiosi si siano concentrati sugli aspetti filologici, analizzando con precisione le parole originali, gli stili letterari, la struttura dei libri… con la conseguenza che al normale fedele che legge o ascolta tali maestri, la nuova accessibilità della Bibbia diventa paradossalmente impenetrabilità, dal momento che non può disporre di così raffinati strumenti. «Possibile che la rivelazione di Dio sia raggiungibile soltanto dagli esperti?», si può domandare il lettore. E se per caso gli venisse in mente di leggere i commenti scritturistici dei Padri, si renderebbe conto che essi cercavano di distillare la teologia dei testi, il contenuto salvifico della rivelazione, con i chiarimenti di contorno che erano a loro disposizione.
L’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Benedetto XVI (30 settembre 2010) invita autorevolmente a riflettere sulla Parola di Dio nel suo uso nella Chiesa, per riscoprire la grandezza, la straordinarietà del fatto principale: Dio che si rivela agli uomini. «La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi. Il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso». La conversazione dell’uomo con Dio si realizza anche attraverso le pagine della Sacra Scrittura.
Umberto De Martino offre pagine semplici, per facilitare una lettura intelligibile della Scrittura. Scopo principale del libro, infatti, è invitare alla lettura della sacra pagina, fornendo elementi storici e dottrinali per un’efficace comprensione del testo. Qui non si tratta dell’analisi dei singoli testi biblici quanto del metodo per affrontare positivamente la Bibbia: l’inquadramento storico dei libri, le necessarie precisazioni filologiche e, soprattutto, il rapporto tra i due Testamenti, perché l’Antico Testamento aiuta a comprendere meglio il Nuovo che, a sua volta, illumina l’Antico.
Michele Dolz
Capitolo I
«Lettura biblica & vita cristiana»
di Umberto De Martino
La vita umana si specifica in tante modalità intellettuali e operative; i giorni trascorrono tra il lavoro, la famiglia, lo sport, la distensione, le relazioni sociali, l’interesse politico: ognuno ha le sue attività e i suoi impegni. Tutte le operazioni hanno un valore intrinseco, possono essere opportune o inopportune, buone o meno buone; ogni azione ha una sua finalità materiale o spirituale e molte operazioni possono essere elevate a un piano superiore mediante l’applicazione personale e la grazia divina. La vita cristiana è arricchita dall’incontro personale con Dio, che talvolta è spontaneo e immediato, ma spesso richiede lo sforzo di elevazione dell’anima: una possibilità basilare di tale incontro è offerta dalla lettura biblica. Alcuni conoscono la sacra Bibbia, altri ne hanno solo sentito parlare: a tutti viene suggerito di acquistare dimestichezza con il libro sacro, elemento essenziale per la conoscenza della verità rivelata, della natura di Dio e dei princìpi morali.
La sacra Bibbia ha molte caratteristiche peculiari; in particolare, può essere considerata come la lettera di un padre ai suoi figli. I Padri della Chiesa e il Magistero ecclesiastico frequentemente considerano la sacra Bibbia come una lettera scritta da Dio Padre ai suoi figli, che vivono sulla terra e camminano verso il Cielo. «La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi» (Benedetto XVI, Es. ap. Verbum Domini. 30.9.2010, n. 6).
La lettera è lunga e articolata, densa e profonda, scritta nell’arco di molti secoli, dichiarativa delle grandezze di Dio e orientativa dell’agire morale. La missiva è per tutti, ma non è una lettera circolare: si tratta di una lettera personale, che bisogna leggere per proprio conto. La lettura richiede le opportune precauzioni, affinché il contenuto risulti intellegibile e utilizzabile. La missiva è insolita, perché scritta nel corso dei secoli, con le prime pagine che vedono la luce nella profondità di circa 1.500 anni prima di Cristo e le ultime completate nel primo secolo dopo Cristo.
Inoltre, la lettera risulta pensata e trasmessa in lingue lontane dalla conoscenza comune della mentalità moderna e del tempo attuale: la stesura originale è in ebraico, aramaico e greco antico. Sono considerazioni elementari, che invitano a una lettura prudente, cauta, umile. La distanza culturale, però, non si oppone alla lettura personale, anche nel caso di coloro che non hanno una dotazione scientifica appropriata per cogliere tutta la ricchezza e tutte le sfumature del libro sacro. Chi non conosce le lingue originali o non è addentro alla storia e all’antropologia dei semiti percepirà qualcosa in meno, ma riuscirà a valorizzare il messaggio personale che la rivelazione trasmette a ciascuno.
Lo strumento essenziale per entrare in contatto con le verità divine della sacra Scrittura è la fede, che è la dotazione più comune dei cristiani. Anche quelli che, pur battezzati, dicono di non avere fede, sono pienamente idonei alla lettura efficace della Bibbia se accettano la condizione più semplice di chi ha bisogno di una lettura guidata.
La vita cristiana invita tutti all’incontro personale con Dio, e questo si realizza mediante la preghiera, i sacramenti e la partecipazione diretta alla rivelazione divina contenuta nella sacra Bibbia. La figura veterotestamentaria di Dio creatore talvolta risulta un po’ lontana per l’uomo moderno, ma la figura di Gesù Cristo è vicinissima all’uomo del nostro tempo. Anzi, «in Cristo la religione non è più un “cercare Dio come a tentoni” (cfr At 17, 27), ma risposta di fede a Dio che si rivela: risposta nella quale l’uomo parla a Dio come al suo Creatore e Padre; risposta resa possibile da quell’Uomo unico che è al tempo stesso il Verbo consustanziale al Padre, nel quale Dio parla a ogni uomo e ogni uomo è reso capace di rispondere a Dio» (Giovanni Paolo II, Let. ap. Tertio millennio adveniente, 10.XI.1994, n. 6).
La religione è la virtù che consente all’uomo di dare a Dio qualcosa, con la gratitudine di chi ha ricevuto e riceve tutto dal Creatore. La religione è l’insieme delle operazioni che costituiscono la risposta umana alla rivelazione divina. L’uomo ha la possibilità di incontrare il Signore personalmente e questo si verifica nel dialogo con Gesù; la vita cristiana non è esclusivamente un insieme di regole di comportamento, ma è un progressivo incontro con Dio. La conversazione di Dio con ogni donna e con ogni uomo ha la sua premessa nella divina rivelazione, la risposta dell’uomo si snoda a partire da ciò che Dio ha manifestato di sé stesso. La Bibbia porge la manifestazione di Dio e l’uomo, quando desidera conversare con Dio, non può fare a meno di conoscere quanto Dio ha voluto trasmettere nella sua lettera.
La stesura della Bibbia si realizza poco a poco: Dio si manifesta e scrittori determinati (agiografi) mettono per iscritto quanto Dio trasmette. Dio ha parlato nel corso della storia ebraica e uomini concreti hanno ricevuto il messaggio divino; alcuni hanno scritto quello che veniva manifestato a loro o ad altri. Così, è stata registrata la cronaca degli avvenimenti dell’Esodo e sono stati riportati gli eventi principali della vita di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il profeta Isaia ha vissuto la sua esperienza personale dell’incontro con Dio e ha lasciato una relazione ampia di tutta la sua attività profetica. E tanti altri agiografi hanno fissato nei loro libri la parola di Dio dalle origini fino alla venuta di Cristo.
La Scrittura offre questo dato: Dio ha parlato nei tempi antichi mediante i profeti e, nei tempi della Redenzione, il messaggio divino è stato completato e concluso da Gesù Cristo. Il libro unico della Bibbia è l’insieme di tanti libri, che contengono sempre la parola di Dio e, nella rispettiva specificità, manifestano l’impronta dell’agiografo, del tempo e del luogo di composizione.
Il Magistero docente, nei secoli della vita della Chiesa, ha sempre raccomandato un ampio utilizzo della sacra Bibbia e, in modo specifico, l’ultimo Concilio si è espresso così: «Il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3, 8) con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo” (san Girolamo). Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l’uomo; poiché, “quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini” (sant’Ambrogio)» (Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei verbum, 18.XI.1965, n. 25).
Umberto De Martino

Sul crinale del mondo moderno.Scritti brevi su cristianesimo e politica.

Lo spazio dei fratelli.

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L’Altro Risorgimento.


Che cosa è stato il Risorgimento? Nella vulgata recepita nei testi scolastici diversi conti non tornano. Uno per tutti: com’è possibile che, in nome della libertà e della Costituzione, i governi liberali decidano la soppressione di tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Roma, quando il primo articolo dello Statuto dichiara il Cattolicesimo «religione di Stato»? Sta di fatto che 57.492 persone vengono messe sul lastrico, cacciate dalle proprie case, private del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto. Non a caso i papi Pio IX e Leone XIII individuano nel Risorgimento un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», messo in atto dalla Massoneria. A centocinquant’anni dall’unità in Italia non solo si stenta ad ammettere questi fatti, documentati nell’evidenza delle fonti, ma si continua, da Nord a Sud, a combattere la comune identità cattolica quasi fosse l’ostacolo che preclude un’autentica coesione nazionale.
L’Autrice – coraggiosa antagonista di ogni ideologia, come spiega mons. Luigi Negri – muove da posizioni controcorrente: perché l’Italia possa riacquistare l’unicità che la caratterizza nella storia ha bisogno di riconoscere il peccato da cui è stata originata, l’attacco frontale alla tradizione cristiana e alla Chiesa cattolica.

L’Introduzione di Angela Pellicciari

«L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia».

L’introduzione dei Promessi sposi è notoriamente una parodia del linguaggio e della cultura seicenteschi ma Alessandro Manzoni, pur sorridendo, intende anche cominciare in medias res, mettendo subito in chiaro la grande importanza della ricerca storica: fare storia significa ridare la vita ad un passato che non si conosce o si conosce male.

1796-1861: ricordando fatti noti e meno noti, questo libro si propone di ricostruire l’ambiente rivoluzionario che caratterizza l’Italia del XIX secolo, senza la pretesa di raccontare tutto ma, almeno, con l’obiettivo di raccontare quello che serve per capire, per «richiamare in battaglia» fatti e persone prigionieri, del tempo certamente, ma soprattutto degli uomini che li hanno voluti tali.

L’immagine del Risorgimento che ci è stata tramandata è quella voluta da coloro che lo hanno costruito: i governanti del Regno di Sardegna, innanzi tutto, ma anche tutti gli uomini che ne hanno appoggiato la politica, e, non ultimi, i governi delle potenze alleate che ne hanno reso possibile la realizzazione. Cosa è stato, dunque, il Risorgimento, dal loro punto di vista?

Risorgimento per costoro significa l’agognata riconquista, dopo tanti secoli, dell’unità e dell’indipendenza nazionali, indispensabili per occupare un «posto al sole» all’interno del consesso «civile»; significa la vittoria della libertà sull’oscurantismo, l’arretratezza e la violenza dei governi pontificio e borbonico; significa farla finita con i privilegi e la monarchia assoluta realizzando una monarchia costituzionale dove la legge è uguale per tutti e dove Stato e Chiesa siano liberi ciascuno in casa propria, ma distinti e separati l’uno dall’altra. Nella lettura del Risorgimento tramandataci dai suoi protagonisti ci sono però molti fatti che restano senza spiegazione. Uno per tutti: i Savoia e i liberali sostengono di avere la forza morale dalla loro perché costituzionali e liberali, eppure la formazione del primo governo costituzionale coincide con la sistematica violazione dei più importanti articoli dello Statuto. Non appena ripudiata la monarchia assoluta, per esempio, in violazione del primo articolo che stabilisce «La religione cattolica apostolica e romana è l’unica religione di stato», il governo sardo scatena in Piemonte la prima seria persecuzione anticattolica dall’epoca di Costantino, immediatamente estesa al resto d’Italia dopo l’unificazione. L’1,70% della popolazione di fede liberale (quella che ha diritto di voto) decide la soppressione, uno dopo l’altro, a cominciare dai gesuiti, di tutti gli ordini religiosi della religione di stato. Iniziate nel 1848 dal Regno di Sardegna, le soppressioni sono ultimate dal Regno d’Italia nel 1873, dopo l’annessione di Roma. Un numero davvero ingente di persone, 57.492 fra uomini e donne, tanti sono i membri degli ordini religiosi soppressi, vengono messi sul lastrico, cacciati dalle proprie case, privati del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto.

Tutto in nome della libertà e della costituzione. In questo secolo la storiografia liberale sia laica che cattolica ha dato voce alle dichiarazioni di intenti della classe dirigente risorgimentale ma ha dimenticato i fatti ed ha messo la sordina alla stampa e alla storiografia cattoliche dell’Ottocento col risultato che, oggi, si conoscono solo le ragioni dei liberali, cioè dei vincitori.

Eppure in decine di encicliche ed allocuzioni Pio IX afferma che le cose non stanno come la propaganda liberale vuol far credere. Il papa descrive nel dettaglio quali persecuzioni, violenze e rapine facciano seguito alle sbandierate ragioni di costituzionalità e libertà, e denuncia la lotta senza quartiere che le società segrete, a cominciare dalla Massoneria, conducono in tutto il mondo contro la Chiesa cattolica. La Chiesa ha sempre combattuto contro tanti nemici, questa volta però l’insidia è più grande perché i nemici non combattono a viso aperto ma si dichiarano cattolici e sinceramente devoti al bene della Chiesa.

Pio IX e Leone XIII (e la Chiesa con loro) sono convinti che il tanto decantato Risorgimento sia solo un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», voluto e promosso dalla Massoneria nell’intento di distruggere il potere spirituale usando come grimaldello la fine del potere temporale. Il risveglio del sentimento «nazionale» avrebbe di mira, secondo questo punto di vista, la distruzione dell’universalismo cattolico per soppiantarlo con un potere internazionale di tipo nuovo, al passo con i tempi, radicalmente anticattolico.

Se i papi, e le popolazioni meridionali con loro, hanno qualche ragione nel sostenere che Risorgimento significhi risorgimento del paganesimo e gigantesca rapina ed ingiustizia perché, con la scusa della «pura morale» e della «vera religione», i liberali diventano proprietari con due soldi di tutti i beni sottratti al 98% della popolazione (Chiesa e pubblico demanio), allora ad esser in gioco non è un aspetto marginale della nostra vicenda storica; è qualcosa che ha a che fare con l’essenza stessa del nostro essere italiani, con la nostra identità collettiva.

Se le cose stessero come tutta la letteratura sia cattolica che massonica del secolo scorso non si stanca di ripetere, se fosse vero che la Massoneria scatena in Italia una guerra senza quartiere contro la Chiesa cattolica utilizzando i Savoia e i liberali come testa di ponte, allora gli artefici del Risorgimento sarebbero non i primi italiani ma i primi antiitaliani. Allora la nostra storia unitaria, e non solo quella, andrebbe vista sotto un’altra ottica. E chissà che questa ottica non ci procuri elementi per capire qualcosa di più. Il 18 agosto 1849 Pio IX scrive alla granduchessa Maria di Toscana: sebbene «la tutela del dominio temporale della S. Sede sia in me un dovere di coscienza, pur nonostante è un pensiero assai secondario in confronto dell’altro che mi occupa, di procurare cioè che i popoli cattolici conoscano la verità».Quale è la verità? Questo libro si propone di cercarla.

Angela Pellicciari storica del Risorgimento e del rapporto fra Papi e Massoneria; dottore in Storia ecclesiastica, attualmente insegna Storia della Chiesa nei seminari Redemptoris Mater. Fra i suoi numerosi studi ricordiamo I panni sporchi dei Mille (Liberal) e Leone XIII in pillole (Fede & cultura). Con le Edizioni Ares ha già pubblicato il best seller Risorgimento da riscrivere e il volume I Papi e la Massoneria.

I Valori straordinari della nostra civiltà.

DI MASSIMO INTROVIGNE

Una circostanza veramente felice ci porta a riflettere sul Vercelli Book a pochi giorni dalla visita in Gran Bretagna di Benedetto XVI. Infatti, il Vercelli Book è un testo essenziale per comprendere le radici cristiane dell’Inghilterra. Risale al decimo secolo ed è uno dei quattro più antichi codici poetici in inglese, essenziali per lo studio della formazione di questa lingua, senza che si possa dire con certezza quale di questi quattro testi sia il più antico. La presenza a Vercelli di questo libro, casuale o se si preferisce provvidenziale, è dovuta a un intreccio di strade che portavano monaci e pellegrini dalla lontana Gran Bretagna a Roma e ritorno, già di per sé un elemento che mostra l’unità spirituale dell’Europa del Medioevo. Il Vercelli Book è una prova particolarmente eloquente, che ancora oggi possiamo vedere e consultare, delle radici cristiane della Gran Bretagna e dell’Europa. I temi che tratta sono profondamente religiosi e cristiani, e nello stesso tempo profondamente britannici ed europei. Le storie dei santi e dei primordi della Cristianità intrecciano elementi biblici e altri che derivano dai poemi epici celtici, non giustapposti ma fusi insieme armonicamente. Dalle pagine del Vercelli Book esce viva una cultura che è insieme celtica e cristiana, formata nei monasteri, e che ci ricorda come alle radici greche, romane e bibliche dell’Europa se ne aggiunga, a formare la Cristianità, una quarta, anglo-germanica e appunto celtica, che non va mai trascurata.
In qualunque Paese di tradizione cristiana si siano recati, il venerabile Giovanni Paolo II (1920-2005) e Benedetto XVI sempre hanno insistito sul fatto che le origini e la storia di questo Paese sono segnate dall’opera dei santi. Infatti, «le antiche nazioni dell’Europa hanno un’anima cristiana, che costituisce un tutt’uno col “genio” e la storia dei rispettivi popoli, e la Chiesa non cessa di lavorare per mantenere continuamente desta questa tradizione spirituale e culturale» (Benedetto XVI, 2010d).
Benedetto XVI è tornato sistematicamente nel suo recente viaggio al tema della «lunga storia dell’Inghilterra, così profondamente segnata dalla predicazione del Vangelo e dalla cultura cristiana dalla quale è nata» (Benedetto XVI 2010c), e delle «profonde radici cristiane che sono tuttora presenti in ogni strato della vita britannica» (Benedetto XVI 2010a). Il Papa ha richiamato il ruolo essenziale svolto per la nascita delle nazioni che compongono la Gran Bretagna dai «monaci che hanno così tanto contribuito alla evangelizzazione di queste isole. Sto pensando ai Benedettini che accompagnarono Sant’Agostino [di Canterbury, 534-604] nella sua missione in Inghilterra, ai discepoli di San Columba [521-597], che hanno diffuso la fede in Scozia e nell’Inghilterra del Nord, a San Davide [ca. 512-601] e ai suoi compagni nel Galles» (Benedetto XVI 2010b).
E nel secolo successivo all’epoca d’oro dei santi inglesi, il settimo, il Papa evoca la figura del benedettino san Beda il Venerabile (672-735), dalla cui testimonianza preziosa ricaviamo qualche notizia sui primi grandi poeti cristiani in lingua inglese, Cynewulf e Caedmon, i cui testi più antichi ci sono conservati nel Vercelli Book: Il destino degli Apostoli, Elena e forse Andreas per Cynewulf, Il sogno della croce per Caedmon, senza peraltro che le attribuzioni siano del tutto sicure. Certo invece è che questa altissima poesia nasce come si è accennato dall’incontro fra l’epica celtica e la lettura della Bibbia nei monasteri, nell’epoca d’oro del primo cristianesimo inglese.
«Fu l’impegno dei monaci nell’imparare la via sulla quale incontrare la Parola Incarnata di Dio che gettò le fondamenta della nostra cultura e civiltà occidentali» (Benedetto XVI 2010b). In Inghilterra il Papa ha specificamente richiamato il suo discorso del 12 settembre 2008 al Collège des Bernardins a Parigi (Benedetto XVI 2008), da molti giudicato uno dei grandi discorsi del suo pontificato insieme a quello del 12 settembre 2006 all’Università di Ratisbona che lo precede esattamente di due anni. Al Collège des Bernardins il Papa fa notare che le radici cristiane dell’Europa sono, più precisamente, radici monastiche.
Le «radici della cultura europea» si trovano nei monasteri, i quali «nel grande sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione di popoli e dai nuovi ordini statali che stavano formandosi» non solo conservano «i tesori della vecchia cultura» ma insieme ne formano una nuova (ibid.). Per la verità, i monaci non avevano come scopo la cultura: «si deve dire, con molto realismo, che non era loro intenzione di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio» (ibid.). Non si trattava però di una ricerca senza bussole né di «una spedizione in un deserto senza strade» (ibid.). Al contrario, «Dio stesso aveva piantato delle segnalazioni di percorso» e dato ai cercatori una via: «la sua Parola», consegnata agli uomini nelle Sacre Scritture (ibid.).
La cultura dei monaci era così necessariamente una «cultura della parola», e i monaci avevano bisogno di studiare le «scienze profane», a partire dalla grammatica, non perché coltivassero la scienza per la scienza ma perché per la loro ricerca di Dio avevano bisogno di comprendere la Scrittura, e questo non poteva avvenire senza le scienze. Benedetto XVI cita ripetutamente lo storico benedettino dom Jean Leclercq, O.S.B. (1911-1993), per il quale nell’esperienza dei monaci del Medioevo désir de Dieu e amour des lettres procedevano necessariamente insieme. Così, ogni monastero aveva sempre una biblioteca e una scuola, perché senza questi strumenti era impossibile prepararsi e preparare a comprendere la Parola di Dio e quindi cercare Dio. Dunque, anche se lo scopo dei monaci non era creare la cultura europea di fatto essi furono condotti a crearla e a trasmetterla alle generazioni successive.
Per comprendere bene la Parola di Dio e per annunciarla i monaci dovevano studiare il greco, il latino, la cultura biblica e anche le tradizioni dei popoli in mezzo ai quali vivevano e cui dovevano annunciare il Vangelo. Nasce qui quel grande dialogo fra tradizione culturale celtica e sapienza biblica della cui espressione in forma poetica il Vercelli Book è eloquente testimone. Si pensi al primo poema del Vercelli Book, Andreas. Qui sant’Andrea, il santo patrono della Scozia la cui crux decussata o croce diagonale, su cui fu martirizzato, costituisce la bandiera scozzese ed è parte della bandiera britannica detta Union Jack, cerca di salvare il collega apostolo san Matteo che è stato rapito dai cannibali Mirmidoni. Del leale equipaggio della sua nave – un tipico comitatus, o gruppo di uomini, come s’incontra tanto spesso nella letteratura celtica e britannica – fanno parte un timoniere e due marinai, che sono in realtà Gesù e due angeli sotto mentite spoglie. Ma sant’Andrea non lo sa, e annuncia loro il Vangelo. Gesù ne è così soddisfatto che gli concede prima il dono dell’invisibilità, grazie al quale sant’Andrea riesce a penetrare nelle terre dei Mirmidoni, poi la forza – quando è scoperto – di resistere alle loro torture e infine di convertire i cannibali al Vangelo e liberare san Matteo. Anche questo poema ci fa vedere come nasce l’Europa nei monasteri: le radici della storia sono greche e derivano dagli Atti di Andrea nel quarto secolo, con un’ovvia eco dell’Odissea di Omero, ma la materia è rielaborata con l’andamento fiero e quasi militare delle epopee celtiche, su una base che rimane quella della Bibbia e della storia della salvezza cristiana.
E il messaggio è cristiano. I Mirmidoni che si cibano della carne degli uomini rappresentano, come il drago ucciso da san Giorgio, il paganesimo con i suoi sacrifici umani e con tutti i suoi aspetti oscuri che il cristianesimo sconfigge e incatena. Ma i Mirmidoni non sono il drago, cioè Satana: sono uomini, vittime del drago. Sant’Andrea dunque li sconfigge, ma non li distrugge: li converte. Così fa il cristianesimo europeo, che non distrugge l’eredità precristiana ma la purifica dai suoi aspetti inaccettabili e, convertendola, la preserva e ne fa una componente del tessuto dell’Europa.
Non potendo citare tutti i testi del Vercelli Book, vorrei fare almeno un riferimento a Elena, capolavoro di Cynewulf che vi appone anche la sua firma, una classica storia di inventio di una reliquia, anzi della reliquia per eccellenza, la Santa Croce, da parte di sant’Elena (ca. 250-330), madre dell’imperatore Costantino (272-337). L’episodio è storico, come la grande passione di sant’Elena per le reliquie, ma il poema è deliziosamente anacronistico, perché mette in scena nella Gerusalemme dei tempi di Costantino gli Unni e i Franchi. Sant’Elena è trasfigurata in una tipica eroina della mitologia celtica. Arriva a Gerusalemme alla testa di un’armata e compie diverse azioni eroiche e meritorie per ritrovare la Vera Croce, compresa la conversione di quello che emerge come il suo principale oppositore, l’ebreo Giuda. Alla fine di una ricerca davvero epica, in cui Satana stesso ostacola l’intrepida Elena, si scoprono non una ma tre croci, e nessuno sa quale sia quella di Gesù Cristo. Sono poste sopra un morto, e solo la Vera Croce lo fa risorgere. La Elena guerriera e nordica si trasfigura in una zelante ed eloquente predicatrice della verità del cristianesimo.
Forse il testo del Vercelli Book che ha avuto la maggiore influenza nella formazione della cultura britannica è The Dream of the Rood, talora tradotto come «Il sogno della croce». Rood è il legno dell’albero da cui è tratta la Vera Croce, oggetto di una visione in cui il legno stesso appare, parla e racconta la storia della crocefissione dal punto di vista della Croce stessa. Ora, un albero che vive e parla è un elemento tipico del folklore celtico, e se ne ritrovano le tracce ancora nell’opera di John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973). Ma i tentativi moderni di ridurre The Dream of the Rood a un testo pagano non possono che fallire. Lo specifico albero da cui è tratta la Vera Croce è eminente per il suo rapporto con la Passione di Gesù Cristo, e il suo messaggio annuncia Cristo crocifisso e destinato a risorgere, non gli alberi o un mito pagano della natura. Contrapporre la radice celtica e quella cristiana del poema è, anche qui, un errore. I due elementi vivono e compongono un gioiello della poesia europea proprio in quanto stanno insieme.
Porzioni di The Dream of the Rood sono incise sulla croce di Ruthwell, un’opera dell’arte anglo-sassone dell’ottavo secolo che è una vera Biblia pauperum e corrisponde a un vasto programma catechistico sviluppato attraverso le immagini. È significativo che la croce sia stata distrutta da protestanti iconoclasti nel 1664, i quali però provvidenzialmente non ne dispersero i pezzi, così che nel secolo XIX è stato possibile il restauro dell’opera che oggi si trova nella chiesa scozzese di Ruthwell.
Il Vercelli Book non contiene solo poesia. C’è anche prosa: in particolare, una vita di san Guthlac di Croyland (673-714), un santo tuttora molto venerato nell’Inghilterra Orientale. San Guthlac ci richiama a un’altra radice del cristianesimo inglese ricordata da Benedetto XVI nel suo viaggio, quella regale e nobiliare. Rivolgendosi alla regina Elisabetta II il Papa così si è espresso: «I monarchi d’Inghilterra e Scozia erano cristiani sin dai primissimi tempi ed includono straordinari Santi come Edoardo il Confessore [1002-1066] e Margherita di Scozia [1045-1093]. Come Le è noto, molti di loro hanno esercitato coscienziosamente i loro doveri sovrani alla luce del Vangelo, modellando in tal modo la nazione nel bene al livello più profondo. Ne risultò che il messaggio cristiano è diventato parte integrale della lingua, del pensiero e della cultura dei popoli di queste isole per più di un millennio. Il rispetto dei vostri antenati per la verità e la giustizia, per la clemenza e la carità giungono a voi da una fede che rimane una forza potente per il bene nel vostro regno» (Benedetto XVI 2010a).
San Guthlac, nobile guerriero imparentato con re degli antichi popoli inglesi e maestro di futuri re come Etebaldo di Mercia (?-757), conclude – come altri nobili inglesi di quell’epoca – la sua vita diventando monaco, nutrendosi – come ci assicura il Vercelli Book – di pane ed acqua e vestendosi di sole pelli di animale. A riprova dell’intreccio culturale di cui il libro è testimone, il testo di Vercelli deriva da una più antica Vita Sancti Guthlaci in latino, quasi contemporanea al santo e per questo particolarmente attendibile. Insieme, la duplice vita di san Guthlac come guerriero e come monaco ci richiama alla complessità delle radici dell’Europa, la cui identità è stata difesa contro tanti nemici, con le armi e con i libri. In questo senso, la riflessione sulle radici monastiche e regali della cultura europea costituisce un nuovo richiamo a riscoprire quel segreto dell’Europa, l’armonia fra fede e ragione, fra religione e vita civile che già era al cuore del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona.
Riferimenti
Benedetto XVI. 2008. Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins. Discorso del Santo Padre, Parigi, 12-9-2008.Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/6d9grq.
Benedetto XVI. 2010a. Visita a Sua Maestà la Regina e incontro con le Autorità nel Parco del Palazzo Reale di Holyroodhouse a Edimburgo, del 16-9-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/326oxo3.
Benedetto XVI. 2010b. Incontro con il mondo dell’educazione cattolica nella cappella e nel campo sportivo del St Mary’s University College a Twickenham (London Borough of Richmond), del 17-9-2010. Indirizzo agli insegnanti ai religiosi. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/3xlcshd.
Benedetto XVI. 2010c. Celebrazione Ecumenica nella Westminster Abbey (City of Westminster), del 17-9-2010. Parole introduttive nella recita dei Vespri. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/38438hj.
Benedetto XVI. 2010d. Il viaggio apostolico nel Regno Unito, Udienza generale in Piazza San Pietro, del 22-9-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/34qjaxw.

Un Islam senza burqa è possibile, lo dicono i mussulmani europei.


di Valentina Colombo

«La libertà è uno dei più preziosi doni che i cieli abbiano dato agli uomini» disse don Chisciotte a Sancho. Parole sacrosante del genio Cervantes che mi sono venute in mente alla lettura delle dichiarazioni del Patriarca di Venezia Angelo Scola riguardo alle iniziative anti-burqa nella sua regione, in particolare, e alle legislazioni restrittive in Francia e Belgio. “La libertà religiosa è integrale o non è. Non si può rinunciare a questo principio. La questione del velo verrebbe affrontata in modo più equo all’interno del normale ambito sociale piuttosto che con una legge” ha dichiarato Scola.
A questo punto bisogna innanzitutto chiarire che il burqa, o niqab o velo integrale che dir si voglia, non è un obbligo religioso islamico, ma semplicemente il frutto di una interpretazione errata e integralista dei testi religiosi. Non sarebbe un precetto islamico nemmeno il velo semplice, o hijab, poiché quest’ultimo termine ricorre solo una volta nel testo coranico con il semplice significato di “cortina”, tenda che doveva separare le mogli di Maometto dagli estranei presenti nella loro abitazione. Se così stanno i fatti risulta evidente che non si tratta più di libertà religiosa, bensì di libertà di imporre, se vista dalla parte degli uomini, ciò che la religione non prevede. Non si tratta più di libertà religiosa, bensì la libertà di indossare, se vista dalla parte delle donne, un simbolo ideologico e politico, ma che non ha nulla a che fare con l’islam.
Tutto ciò si evince anche da quanto sta accadendo nel mondo islamico stesso. Molto esplicita è stata la sentenza della corte costituzionale del Kuwait dell’ottobre 2009. Ebbene quando alcuni deputati conservatori hanno sollevato la questione che due delle quattro deputate, ovvero Rola Dashti e Aseel al-Awadhi, non erano velate – e il riferimento qui era il hijab non il niqab – e che quindi contravvenivano alla legge elettorale che prevedeva che chiunque entrasse in parlamento dovesse vestire in conformità alla sharia, la Corte costituzionale ha stabilito che la Costituzione garantisce totale libertà personale e non discrimina in base al genere e alla religione e che quindi le due deputate avevano tutto il diritto di esercitare la loro funzione a prescindere dal fatto che indossassero o meno il hijab in quanto ciò non inficia la loro appartenenza o meno all’islam. Si è trattato di una sentenza storica il cui punto di partenza è lo stesso del cardinale, ma il risultato direi è opposto.
In Europa si considera il velo – integrale o parziale – un simbolo religioso, mentre nel mondo islamico, soprattutto nel caso del velo integrale, si vuole sottolinearne la non “islamicità”. A riguardo è interessante ricordare altri due fatti, l’uno accaduto in Italia l’altro sempre in Kuwait. Nel maggio scorso a Novara una donna con il velo integrale è stata multata con un’ammenda di 500 Euro perché si è rifiutata di farsi riconoscere, ovvero di togliersi il velo, dalle forze polizia, considerando la richiesta un oltraggio alla propria persona. Ebbene, pochi giorni prima in Kuwait, ribadisco paese dove il velo integrale è molto diffuso, compare su uno dei quotidiani più diffusi, il Kuwait Times, un articolo in cui si discute sulla liceità o meno per le donne con il velo integrale di guidare l’auto.
Nell’articolo vengono riportate alcune dichiarazioni, tra cui quella della ventisettenne Latifa al-Ajmi che sottolinea che il niqab non le impedisce assolutamente di guidare in tutta tranquillità, ma al contempo ricorda che “quando ci sono posti di controllo e i poliziotti mi chiedono di mostrare il viso per verificare la corrispondenza della mia persona con la fotografia della patente, lo faccio. E’ una necessità, devono sapere chi guida l’auto”. La ragazza ribadisce altresì che il niqab non ha alcun legame con la religione. Questi fatti dovrebbero fare riflettere chi, come il cardinale Scola, confonde la libertà religiosa con la libertà di indossare il niqab.
Di recente alcuni locali del litorale mediterraneo nei pressi di Alessandria d’Egitto, alcuni ristoranti e circoli del Cairo, hanno vietato l’ingresso alle donne non solo con il niqab, ma anche con il velo. D’altronde questi locali negli anni Cinquanta e Sessanta erano frequentati solo da donne e uomini del tutto simili ai frequentatori dei locali pubblici di Roma e Parigi. Anche in Siria il Ministro dell’Educazione superiore, Ghiyath Barakat, pochi giorni fa ha espresso l’intenzione di vietare l’ingresso nelle università siriane alle studentesse con il velo integrale poiché “i nostri studenti sono nostri figli e non li lasceremo cadere nella morsa di idee e usanza estremiste”.
Forse sono queste le notizie e le persone che il cardinale Scola dovrebbe ascoltare e sulle quali dovrebbe riflettere. E si accorgerebbe altresì che l’islam “moderato” – termine che sostituirei volentieri con islam liberale e democratico – esiste e che non è, come ha dichiarato nello stesso intervento alla Reuters, rappresentato da “pochi intellettuali occidentalizzati le cui riflessioni possono essere molto interessanti, ma raramente sono espressive del fenomeno musulmano che riguarda un miliardo di persone”. Direi che un ministro siriano sarà tutto fuorché un intellettuale occidentalizzato, che un gestore di uno stabilimento balneare di Alessandria d’Egitto sarà tutto fuorché un intellettuale occidentalizzato. E’ vero i musulmani sono un miliardo e trecento milioni, ma proprio per questo e proprio perché l’islam non prevede un rapporto mediato tra l’uomo e Dio, potremmo per assurdo trovarci d’innanzi a un miliardo e trecento milioni di islam diversi.
Perché mai dovremmo “demonizzare” i musulmani liberali al pari degli estremisti islamici che li vorrebbero morti in quanto apostati? I musulmani liberali e democratici non sono solo intellettuali, ma sono attivisti che si adoperano per proteggere le donne vittime di violenze e abusi, persone che lavorano e che hanno una famiglia e le cui priorità non sono la moschea o il velo, ma uno stipendio a fine mese, una casa e una vita serena. Quando il cardinale afferma che “Quando una comunità musulmana chiede uno spazio per la costruzione di una moschea, si dovrà verificare concretamente se questa richiesta è proporzionata al bisogno effettivo della comunità, quanto grande è la comunità che lo richiede e chi la rappresenta” cade in un ennesimo tranello. A quale comunità si riferisce? Si riferisce forse alle pseudo “comunità islamiche” che non sono altro che associazioni onlus? Si riferisce alla mitica e inesistente umma?
Sarebbe il caso di aprire finalmente gli occhi e comprendere che nell’islam non esiste un’autorità, che nessuno può rappresentare i musulmani, che ciascuno rappresenta solo se stesso. Sarebbe il caso di comprendere che non dobbiamo fare riferimento ai “musulmani europei”, cui tanto si rivolge Tariq Ramadan, bensì a tutti coloro che si sentono “europei musulmani”. Questi ultimi esistono e ribadisco non sono solo “intellettuali occidentalizzati”, ma persone che condividono i nostri valori e che come
Gamal Bouchaib, leader del movimento dei musulmani moderati in Italia, a proposito del burqa dicono a chiare lettere: “”Nonostante certi personaggi invochino il diritto alla libertà religiosa, scambiando quella che è un’usanza tribale e medievale per un precetto religioso, non siamo disposti a cedere a questo ricatto. Queste persone sono rimunerate dagli estremisti che comprano a suon di denaro il silenzio e la compiacenza. Il burqa rappresenta il simbolo più visibile di una strategia politica tesa a diffondere la visione integralista dell’islam. Se l’Europa non lo comprende subito, presto sarà troppo tardi”. Forse il cardinale Scola farebbe bene ad ascoltare queste persone, i veri musulmani e non i rappresentati di un inesistente “unico e vero” islam.

Ricerca sull’Italia religiosa: da cattolica a genericamente cristiana.

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Il futuro dell’Italia religiosa ha il profilo di un paese che da cattolico diviene genericamente cristiano. Un’indagine condotta da Paolo Segatti, docente di Sociologia politica presso l’Università di Milano, per la rivista Il Regno mostra che il processo di secolarizzazione in Italia non si è fermato, bensì ha prodotto un accentuato pluralismo nei modi di vivere il rapporto con la religione: i tratti che compongono l’identità religiosa degli italiani evidenziano una coerenza reciproca piuttosto debole, come debole risulta la loro capacità di orientare opinioni coerenti sul magistero e sui temi del dibattito pubblico. Paradossalmente, per quanto la Chiesa come istituzione occupi una posizione d’indubbio rilievo e goda di grande credibilità presso molti, tuttavia non mostra una netta capacità d’indirizzo sulle opinioni degli italiani sui temi che esulano dalle questioni strettamente spirituali. Nel volgere di una generazione, i cattolici in Italia cesseranno di essere una maggioranza.
P. Segatti, G. Brunelli,Ricerca de Il Regno sull’Italia religiosa: da cattolica a genericamente cristiana,Regno-att. n.10, 2010, p.337

Il volto anticristiano di George Orwell.


GEORGE ORWELL E I
«CATTOLICI ADULTI»
di Giovanni Romano

Un aspetto forse poco conosciuto ma niente affatto marginale nell’opera di George Orwell è la sua polemica antireligiosa. A differenza di un intellettuale laico della statura di Thomas Mann, egli non vide mai nel cristianesimo un antidoto o un argine alla marcia dei totalitarismi nel ventesimo secolo. Al contrario, lo considerò sempre qualcosa di alienante, una scappatoia mistica dai problemi di questo mondo, la consacrazione di rapporti sociali iniqui. Questa ostilità e incomprensione fu simboleggiata in modo memorabile dal personaggio del corvo Mosè nel suo capolavoro La fattoria degli animali, ma aveva radici assai più lontane. Già a diciassette anni, com’ebbe a scrivere molto tempo dopo, la lettura del libro di Winwood Reade The Martyrdom of Man1 lo influenzò profondamente in senso anticristiano, e lungo tutta la sua vita avrebbe continuato ad attaccare la religione fino a culminare in una sorta di drammatica «trilogia atea» in cui criticò in Swift il negatore della perfettibilità umana (Politics vs. Literature,1946), in Tolstoj il moralista (Lear, Tolstoj and The Fool, 1947) e il santo in Gandhi (Reflections on Gandhi, 1949).
Quanto al cattolicesimo, la sua ostilità era pressoché totale. Come per molti inglesi figli dello scisma anglicano, ai suoi occhi la Chiesa era una potenza straniera e pericolosa, covo della reazione, nemica della libertà di pensiero e alleata naturale delle dittature fasciste. Tale era la sua avversione che, quando andò a combattere in Spagna, assistette senza batter ciglio alla demolizione delle chiese di Barcellona e agli sfregi sulle tombe cristiane, non fece cenno alcuno all’eccidio di Barbastro dove pure si era recato più volte, e arrivò persino a protestare perché gli anarchici avevano deciso di risparmiare la Sagrada Familia di Gaudí2! I cattolici britannici erano guardati con profondo sospetto, considerati quasi un corpo estraneo alla nazione per la loro fedeltà «ultramontana», e più di una volta Orwell li assimilò tout court agli stalinisti tanto nei metodi quanto nella mentalità. Uno dei suoi bersagli preferiti era naturalmente Chesterton, al quale però riconosceva bravura e coraggio morale. A livello più propriamente letterario non risparmiò critiche a T.S. Eliot, tanto da insinuare che la conversione ne aveva sminuito i talenti artistici, e si permise di liquidare Assassinio nella Cattedrale come «un intrico di vermi vivi nelle budella delle donne di Canterbury».3

L’anima? Una struttura
Sarebbe ingiusto tuttavia pensare che Orwell fosse solo un laicista monomaniacale, incapace di apprezzare il valore delle opere letterarie che non collimassero col suo pensiero. Una delle sue poesie preferite, alla quale dedicò una splendida recensione, era Felix Randal di Gerald Manley Hopkins.4 Altrettanto fuorviante sarebbe ritenere che non si ponesse gli stessi interrogativi coi quali si confrontavano le coscienze religiose del suo tempo. È sua, anzi, l’immagine forse più potente che mai sia stata usata per descrivere la devastazione spirituale dell’uomo moderno:

Leggendo il libro brillante e deprimente di Malcolm Muggeridge Gli anni Trenta, mi sono ricordato di un tiro piuttosto crudele che una volta giocai a una vespa. Stava succhiando della marmellata dal mio piattino, e io la tagliai in due. Lei non se ne accorse, e continuò tranquillamente il suo pasto, mentre un rivoletto di marmellata le colava dall’esofago tagliato. Fu solo quando cercò di volare via che si rese conto della cosa spaventosa che le era accaduta. Lo stesso è accaduto all’uomo moderno: gli è stata asportata l’anima, e c’è stato un periodo – vent’anni, forse – in cui non se n’è accorto.5

Lo scontro con la religione non era nella diagnosi o nelle domande, ma nelle risposte. Per Orwell, l’asportazione dell’anima era un’operazione assolutamente necessaria, perché secondo lui era una sovrastruttura che mascherava i «reali» rapporti economici tra ricchi e poveri. Fu una delle poche volte in cui seguì ciecamente l’ortodossia marxista, anche se cercò di temperarla con un richiamo etico tanto nobile quanto insanabilmente contraddittorio: «Dobbiamo essere figli di Dio, anche se il Dio del Libro di Preghiere non esiste più6».
Uno scritto in cui Orwell portò alle estreme conseguenze il suo modo di pensare fu una disputa molto paradossale che ebbe a sostenere dalle colonne del Tribune con una lettrice che al giorno d’oggi si potrebbe grossomodo definire una «cattolica adulta». Ma lasciamo la parola all’Autore:

Qualche settimana fa, una lettrice cattolica del Tribune scrisse per protestare contro una recensione di Mr. Charles Hamblett. Lei obiettava contro le osservazioni a proposito di santa Teresa e san Giuseppe da Copertino, il santo che una volta volò intorno a una cattedrale portando un vescovo sulle spalle. Io risposi, difendendo Mr. Hamblett, e ho ricevuto un’altra lettera ancora più indignata. Questa lettera solleva delle questioni importanti, e almeno una di esse mi sembra meritevole di discussione. […].
La sostanza della lettera della mia corrispondente è che non importa se santa Teresa e il resto della compagnia volassero per l’aria o meno: quello che importa è che «la visione del mondo di santa Teresa ha cambiato il corso della storia». Questo sono disposto ad ammetterlo. Avendo vissuto in Oriente ho sviluppato una certa indifferenza ai miracoli, e so bene che avere delle fissazioni o anche essere pazzo nel senso letterale della frase è compatibile con quel che si può chiamare grossomodo il genio. William Blake, per esempio, secondo me era un pazzo. Giovanna d’Arco era probabilmente una pazza. Newton credeva nell’astrologia, Strindberg credeva nella magia. I miracoli dei santi, tuttavia, sono una questione secondaria. Dalla lettera della mia corrispondente è anche evidente che persino le dottrine più centrali della religione cristiana non devono essere accettate in senso letterale. Non ha importanza, per esempio, nemmeno se Gesù Cristo fosse esistito o meno. La figura di Cristo (mito, o uomo, o dio, non importa) trascende in tale misura tutto il resto che io vorrei soltanto che ognuno la prendesse in considerazione, prima di rifiutare quella impostazione di vita.7

Dura lezione di «realismo»
A parte il tono antipatico di degnazione verso i cristiani, equiparati a dei creduloni superstiziosi, tutto sembra procedere lungo i binari di un normale dibattito culturale tra un credente e un ateo. La lettrice cattolica – una donna presumibilmente colta, intelligente, «al passo coi tempi» – ha cercato di venire incontro il più possibile al suo interlocutore, mettendo in evidenza i «valori comuni» sui quali «non si può non essere tutti d’accordo». Ma sfortunatamente per lei si imbatterà in una delle più dure lezioni di realismo che un ateo abbia mai somministrato a certo cattolicesimo «spiritualista»:

Cristo, dunque, può essere un mito, o può essere stato soltanto un essere umano, o la versione che ne danno i vari Credi può essere vera. Così arriviamo a questa posizione: il Tribune non può prendersi gioco della religione cristiana, ma l’esistenza di Cristo, per aver negato la quale innumerevoli persone sono state bruciate, è una faccenda tutto sommato irrilevante.8

Contro l’ingenua astrattezza della sua interlocutrice, Orwell ripropone la questione in tutta la sua perentoria gravità. Solo un fatto può avere la dignità di stare dentro la storia come segno decisivo di contraddizione. E l’articolo prosegue implacabilmente:

Ora, è questa la dottrina cattolica ufficiale? La mia impressione è che non lo sia. […] Padre Knox9 definisce specificamente «orribile» l’idea che non importa se Cristo fosse realmente esistito o meno. Ma quello che la mia corrispondente dice troverebbe un’eco in molti intellettuali cattolici. Se parlate con un cristiano riflessivo, cattolico o anglicano, vi ride in faccia perché siete così ignoranti da supporre che qualcuno abbia mai preso alla lettera gli insegnamenti della Chiesa. Questi insegnamenti – vi vien detto – hanno un significato del tutto differente che voi siete troppo rozzi per capire.10

Pare di sognare: un ateo dichiarato che somministra lezioni di schietta ortodossia! È una pagina sulla quale dovrebbe riflettere seriamente più di un intellettuale cattolico oggi, specie quando si confonde il «dialogo» col mettere tra parentesi le proprie convinzioni, e ancor di più quando si toglie al cristianesimo il suo carattere peculiare di avvenimento. Fu facile a un realista come Orwell cogliere e smascherare questa inconsistenza. È significativo che le rare volte in cui egli assunse un tono cordiale e rispettoso verso la religione, fu perché si trovò di fronte a dei credenti per i quali la fede era un’evidenza che entrava tangibilmente nella vita. Un esempio è la già ricordata recensione a Felix Randal, ma un esempio ancora più importante è un appunto per il romanzo A Smoking-Room Story, rimasto incompiuto a causa della morte. La vicenda doveva essere ambientata tra i passeggeri a bordo di una nave britannica di ritorno dall’Estremo Oriente. Apparentemente si tratta di un ritorno a Burmese Days, la sua prima grande prova narrativa. Il protagonista introverso, riflessivo e disadattato, il rapporto di attrazione-repulsione con l’Oriente sono gli stessi, ma c’è un elemento nuovo, mai comparso prima nei suoi romanzi: la presenza di un gruppo di cattolici, per la precisione frati francescani di ritorno da una missione. È guardando a loro che al protagonista (e forse allo stesso Orwell) sfugge un’ammissione d’importanza capitale:

I suoi sentimenti nei confronti della Missione. Soprattutto, noia. Rifuggire dall’austerità. Ma sensazione immediata che in essa è presente qualcosa che mancava nella sua vita.11

Un’osservazione stupefacente
Per chi conosce l’opera di Orwell, che fino a pochi mesi prima della morte aveva pensato e in parte attuato una «controffensiva» contro gli scrittori cattolici attraverso la stroncatura del romanzo The Heart of the Matter di Graham Greene, che provava una tale repulsione verso Péguy da sentirsi fisicamente a disagio quando lo leggeva (segno tuttavia che qualcosa in lui lo colpiva profondamente), che irrise il cristianesimo come un pugnale nascosto dentro un crocifisso12, questa è un’osservazione a dir poco stupefacente. Era stato facile controbattere le ingenuità e le approssimazioni della lettrice cattolica del Tribune. A livello più alto, era stato altrettanto facile obiettare a Chesterton, Péguy, Greene. Ma non era possibile obiettare di fronte a un’evidenza che riguardava in modo così diretto e stringente la sua vita. Non sapremo mai come si sarebbe svolta questa intuizione nel corso del romanzo, se sarebbe stata mantenuta o confutata, ma il solo fatto di averla posta è significativo.
Orwell conobbe, o volle conoscere, il cristianesimo unicamente come dottrina e teoria, ma non ebbe mai la fortuna d’incontrarlo attraverso un’amicizia tangibile, testimoni in carne e ossa. Il soggettivismo protestante e lo scetticismo laico lo avevano tagliato fuori dalla concretezza dell’avvenimento cristiano. Quel frammento così importante rimase in fondo al cassetto, apparentemente senza eco. Di lui ci resta l’immagine di uno scrittore coraggioso e profondamente onesto, ma la sua onestà non fu sufficiente ad avvicinarlo al cuore della dimensione religiosa dell’esistenza. Mai questo intrepido difensore della libertà alzò la sua voce per difendere chi veniva perseguitato a causa della sua fede. Non si sa quanto fossero contenti i cristiani che soffrivano nei Gulag a vedersi paragonati al corvo Mosè.

Giovanni Romano

1 Cfr Review: The Martyrdom of Man by Winwoord Reade, 1946. In The Collected Essays, Journalism and Letters of George Orwell (d’ora in poi CE), volume IV, Harmondsworth 1984, p. 147.
2 Homage to Catatonia, Harmondsworth 1975, p. 52 e 203. Sugli sfregi alle tombe cristiane, si veda p. 79.
3 Cfr Review – Burnt Norton, East Cocker, The Dry Salvages by T.S. Eliot, 1942, CE II, pp. 273-274.
4 Cfr The Meaning of a Poem, 1941, CE II, p. 158s.
5 Notes on the Way, CE II, p. 30. Il corsivo è mio.
6 Ibidem, p. 33. Il riferimento è naturalmente al Book of Common Prayer.
7 As I Please, Tribune, 3 marzo 1944, CE III, p. 124s.
8 Ivi.
9 Ronald Knox (1888-1957) convertito dall’anglicanesimo, noto polemista e opinionista, fu sacerdote cattolico e cappellano all’Università di Oxford.
10 As I Please, cit., p. 125. Il corsivo è mio.
11 Frammenti del romanzo mai scritto, n. 21, in Orwell – Romanzi e saggi, Milano 2000 (a cura di Guido Bulla), p. 1.625. Il corsivo è mio.
12 Extracts from a Manuscript Note-Book, CE IV, senza data, p. 574.

COSA SIGNIFICA ESSERE LAICI.


Il tema della laicità è diventato,in questi anni,oggetto di incessanti dibattiti e di scontri accaniti,sullo sfondo di una strumentale quanto dannosa opposizione tra posizioni laiche e quelle cattoliche.I grandi nemici della verità-il materialismo,l’individualismo e,soprattutto,il relativismo,spingono l’uomo verso risposte sempre più arbitrarie e soggettive a questioni vitali,che riguardano il senso stesso dell’esistenza umana:la vita,la morte,la dignità della persona umana,l’educazione,il rapporto tra Stato e Chiesa….In questo quadro la risposta cristiana è considerata mera espressione confessionale,spogliata del suo valore universale e del suo alto contenuto antropologico.In verità,nessuna religione,come il Cristianesimo,ha saputo porre l’uomo al centro,nella sua piena dignità e responsabilità.Giuseppe Savagnone si accosta al tema con un atteggiamento corretto,prudente ma non riduttivo,rispettoso della complessità delle materie,capace di esplorarne la ricchezza al tempo stesso umana e cristiana. Il laico, dunque,è colui che vuole riportare al centro la speranza,per sconfiggere il nichilismo contemporaneo,usando l’arma del dialogo in ogni conflitto;lottare sul fronte della vita,difendendo la dignità dell’uomo di fronte alla nascita e alla morte,ma anche nelle tappe intermadie;combattere il relativismo e la secolarizzazione;lavorare in vista dell’educazione;vivere nella comunità degli uomini e comprendere il giusto rapporto tra questa e la Chiesa;ispirare l’impegno politico alla ragionevolezza e alla validità del bene comune della città terrena;lasciare che il punto di vista altrui lo metta in discussione,nella consapevolezza dei propri limiti e nella capacità di percepire la diversità come ricchezza.

Giuseppe Savagnone,COSA SIGNIFICA ESSERE LAICI.Una risposta nel segno dello Spirito Santo.Ed.Rinnovamento nello Spirito,2010.

La Messa è finita?


La Messa è finita? Quanti italiani vanno effettivamente a Messa o frequentano regolarmente un altro culto religioso? La maggioranza delle indagini è condotta mediante sondaggi. Ma quanti di coloro che affermano di andare a Messa ci vanno poi per davvero? La diocesi di Piazza Armerina – che comprende grossi centri come Enna e Gela e altri più piccoli, e dove i dati non sono eccessivamente inquinati dalla presenza di turisti –, costituisce un “caso medio” ideale per rispondere alla difficile questione. In questa ricerca, unica in Italia per ampiezza di rilevamenti e minuziosa analisi dei dati, coloro che dichiarano nell’indagine di avere una pratica settimanale o più che settimanale – non solo cattolica – sono il 33,6%, mentre i frequentatori rilevati di Messe cattoliche nel week-end prescelto sono il 18,5%. Sarebbe sbagliato – spiegano gli autori della ricerca – considerare il primo dato “falso” e il secondo “vero”. Chi afferma di andare a Messa esprime già un’identificazione religiosa chiara, di cui non si può non tenere conto. L’immagine più adeguata è dunque quella dei cerchi concentrici, dai dominicantes contati alla porta delle chiese ai praticanti dichiarati, e da questi a quel 92,2% degli intervistati che si dichiara comunque cattolico. Ma la storia non finisce qui. Le minoranze religiose infatti in Italia sono spesso più presenti di quanto appaia a prima vista. Una seconda parte della ricerca ha portato a rilevare una per una le numerose minoranze – dai musulmani ai pentecostali e ai Testimoni di Geova – presenti sul territorio: il 3,5% della popolazione, che va aggiunto ai dati precedenti, in una zona dove solo il 3,3% degli intervistati si dichiara non credente.

Presentazione su “Avvenire”, 6 giugno 2010
«Indagine porta a porta. Quella delle chiese» – Intervista a Massimo Introvigne di Laura Malandrino (Avvenire, 6 giugno 2010)

Fare la conta alle porte delle chiese. È il valore aggiunto e originale dell’ultima indagine del Cesnur, la seconda in Italia che si avvale di questo metodo dopo una ricerca analoga nel territorio veneziano pubblicata nel 2006. A livello mondiale solo altri due esempi: la Polonia che da trent’anni ogni anno pubblica uno studio di questo genere e due pubblicazioni negli Stati Uniti. Per capire meglio di cosa si tratta ne parliamo con Massimo Introvigne, direttore del Centro Studi sulle nuove religioni (Cesnur), curatore dell’indagine assieme a Pier Luigi Zoccatelli.

Com’è nata l’idea di questo progetto?
Oggi il tema dell’over-reporting, ovvero che la partecipazione dichiarata ai riti religiosi è maggiore di quella effettiva, è al centro di un dibattito scientifico internazionale – risponde Introvigne –. In questo contesto la «conta» delle persone nei luoghi di culto porta un dato nuovo e significativo, che tuttavia deve essere letto non buttando via gli altri.

Perché proprio la diocesi di Piazza Armerina?
La scelta di questo territorio è stata determinata da due fattori: si tratta di un’area non eccessivamente ‘inquinata’ dalla presenza di turisti che comprende grossi centri come Enna e Gela e altri più piccoli, e quindi che bene costituisce il ‘caso medio’ ideale per rispondere alla difficile questione. Inoltre nel 2008 lo stesso territorio era stato oggetto di una indagine sul pluralismo religioso dalla quale era emerso che l’area rappresenta un caso forse unico non solo nel contesto siciliano e nazionale ma probabilmente europeo per la presenza di ben 28 realtà religiose di minoranza pari al 3,5% della popolazione praticante, contro la media nazionale del 2,1%. Basti pensare alla comunità di pentecostali a Gela che ricorda contesti tipici del continente ibero-americano; senza dimenticare il caso storico della presenza valdese a Riesi.

Quali metodi sono stati utilizzati per il rilevamento dei dati?
Da una parte le indagini telefoniche per rilevare il dato di partecipazione dichiarata. Dall’altra, verificato l’orario dei culti in un weekend dato, circa duecento collaboratori sul campo hanno rilevato le presenze alle porte dei luoghi di culto cattolici presenti nel territorio misurando così la partecipazione effettiva con quella dichiarata.

Cosa è emerso dall’indagine?
Che c’è uno zoccolo duro del 18,3% che era in chiesa la domenica delle rilevazioni, seguito dalla cerchia dei praticanti dichiarati (30,1%), da quella di quanti si dichiarano praticanti non regolari (51,4%) e infine dalla cerchia dei cattolici che si sentono tali, che pratichino o no (92,2%). Al riguardo ci tengo a sottolineare che sarebbe sbagliato considerare un dato vero e l’altro falso. Chi afferma di andare a Messa esprime già un’identificazione religiosa chiara, di cui non si può non tenere conto.

Nel cuore della Sicilia la Messa non è finita
di Laura Malandrino (Avvenire, 6 giugno 2010)Chiese, cappelle, edicole votive, in alcune località anche moschee e templi di altri culti. Basta percorrere i paesini e le città della Sicilia per rendersi conto di come qui la religione sia una componente essenziale della vita e della cultura. Non un semplice museo a cielo aperto. E a dimostrarlo sono i numeri.

Pratica religiosa, parole e realtà
Nella Sicilia centrale il 33,6% dichiara una pratica religiosa settimanale, non solo cattolica. Togliendo il 3,5% di fedeli di altre religioni – dove il numero dei praticanti è la quasi totalità trattandosi per lo più di neoconvertiti – i cattolici che dicono di andare a Messa tutte le settimane sono il 30,1%. Un dato che sale al 51,4% se si allarga il cerchio a quanti si dichiarano praticanti non regolari e al 92,2% se si contano i cattolici che dichiarano di sentirsi tali, anche se nelle 75 parrocchie della diocesi di Piazza Armerina in una domenica-tipo di fine novembre sono stati contati presenti nelle chiese solo il 18,3%.
Sono i dati, in anteprima per Avvenire, emersi dall’indagine “La Messa è finita? Pratica cattolica e minoranze religiose nella Sicilia Centrale” condotta dal Centro Studi sulle nuove religioni (Cesnur) in collaborazione con la diocesi di Piazza Armerina che saranno presentati domani ad Enna. Uno studio per verificare le credenze e le appartenenze attraverso la frequenza ai riti religiosi fondamentali che, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, sono la partecipazione alla Messa domenicale e l’accostarsi alla comunione e alla confessione almeno una volta l’anno.

Pasqua, Eucaristia e Riconciliazione
«Non una semplice raccolta quantitativa ma un lavoro sociologico per conoscere lo spaccato demografico e religioso del territorio inteso come ambiente antropologico – spiega il vescovo di Piazza Armerina, Michele Pennisi –. Anche se la ricerca ha una sua esigenza conoscitiva di carattere scientifico e un suo valore autonomo, infatti, essa può essere utile come punto di partenza per gli appartenenti alle varie confessioni religiose, ed in modo particolare per i nostri operatori pastorali, per monitorare la situazione religiosa dei vari paesi in vista di una programmazione pastorale organica che parta dall’analisi della realtà per puntare ad una nuova evangelizzazione che si apra al dialogo ecumenico e tenga presente l’importanza del giorno del Signore e dei sacramenti dell’Eucaristia e della penitenza o riconciliazione». In particolare per quanto riguarda il precetto pasquale dall’indagine emerge che il 71,1% lo osserva per la comunione e il 56,7% per la confessione, a cui si aggiunge il 10,9% che dichiara di confessarsi a distanza di anni.

Fra movimenti e confraternite
In relazione al sesso l’analisi dei dati evidenzia una maggioranza femminile sia nella frequenza alla Messa domenicale che nell’accostarsi alla comunione. Tuttavia non mancano vicariati dove la percentuale degli uomini supera la media diocesana del 13%, come Butera dove raggiunge il 28,3%, Gela (15,3%), Enna (15,2%) e Valguarnera (16,7%). Come suggerisce l’indagine a Gela questa maggiore partecipazione maschile si può attribuire alla presenza di nuovi movimenti ecclesiali come il Cammino neocatecumenale, mentre ad Enna alla presenza di 15 confraternite con circa 2.500 aderenti.

L’informazione aiuta a scegliere
A completare il quadro tracciato dall’indagine altri due dati: nel territorio diocesano ogni anno in media «oltre il 98% degli alunni sceglie l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole e una percentuale analoga firma per l’8 per mille alla Chiesa cattolica – spiega il vescovo Pennisi – grazie ad una campagna di informazione sull’uso delle somme destinate alla nostra diocesi e di sensibilizzazione che vede coinvolti commercialisti, ragionieri e tutti i patronati sindacali».

L’INIZIATIVA
Domani a Enna la presentazione”La Messa è finita? Pratica cattolica e minoranze religiose nella Sicilia Centrale” . È il titolo dell’indagine condotta dal Cesnur in collaborazione con la diocesi di Piazza Armerina e il contributo dell’Assessorato dell’istruzione e della formazione professionale della Regione Siciliana che sarà presentata domani alle 17 nell’aula magna del rettorato dell’Università Kore a Enna Bassa. Un volume pubblicato da Salvatore Sciascia editore che si chiude con un articolo di Augusto Gamuzza sulla presenza dell’islam organizzato nella diocesi siciliana. Alla presentazione interverranno il vescovo di Piazza Armerina, Michele Pennisi, il direttore del Cesnur Massimo Introvigne e il vice direttore Pier Luigi Zoccatelli, Alberto Maira del Cesnur Sicilia, il rettore dell’Università Kore Salvo Andò, il presidente dell’ateneo siciliano Cataldo Salerno e il preside della facoltà di Scienze economiche e sociali Giacomo Mulè. (L.Mal.)

Massimo Introvigne, sociologo e storico delle religioni di fama internazionale, vice-presidente dell’APSOR (Associazione Piemontese di Sociologia delle Religioni) e reggente nazionale vicario di Alleanza Cattolica, è autore di quaranta volumi e di oltre cento articoli pubblicati in riviste accademiche internazionali sulla nuova religiosità, il pluralismo religioso contemporaneo e il magistero pontificio. È fondatore e direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni. Ha diretto insieme a PierLuigi Zoccatelli la monumentale enciclopedia Le religioni in Italia.

PierLuigi Zoccatelli, vicedirettore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, è membro della sezione “Sociologia della Religione” dell’Associazione Italiana di Sociologia e della ESSWE, la European Society for the Study of Western Esotericism. Autore di numerosi libri e articoli su riviste scientifiche internazionali in materia di religiosità contemporanea, i suoi scritti sono stati pubblicati in undici nazioni e sette lingue.

Dare a Cesare ciò che è di Cesare…..


«Dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio»: dagli inizi della civiltà cristiana questa frase ha significato la rivoluzione più importante nella storia delle istituzioni, ma anche la più difficile da realizzare. Ancora oggi parlare di Stato laico e di libertà della Chiesa, e tradurre in pratica tali concetti, significa muoversi su un terreno ricco di insidie e di contraddizioni. Per affrontare questi temi attualissimi, Ombretta Fumagalli Carulli sceglie la via del discepolo medievale che, mettendosi ‘sulle spalle del gigante’, vede meglio e più lontano. In questo caso ‘il gigante’ è l’autorevole tradizione giuridica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con i suoi prestigiosi maestri: Vincenzo del Giudice, Orio Giacchi, Giuseppe Dossetti. Così, dopo avere ricordato l’apporto della dottrina canonistica, sono tre le piste di ricerca proposte: l’emergere dell’idea laica nella storia europea, la posizione dello Stato italiano, le nuove frontiere dell’Europa. Alla nascita e alla storia dello Stato laico, dal Medioevo alla Rivoluzione francese, è dedicato il primo capitolo. Sulla base delle categorie storico-giuridiche così costruite, viene poi focalizzato il rapporto tra Stato italiano e fenomeno religioso. Dopo brevi cenni sui modelli di Stato – liberale e fascista – precedenti l’età democratica, sono affrontati i problemi che laicità e libertà pongono allo Stato democratico. A causa delle ambiguità presenti nelle nostre leggi e della lentezza dell’iter parlamentare, a produrre diritto è spesso la Corte costituzionale. A essa perciò è riservato ampio spazio, in particolare rispetto all’emersione della libertà religiosa istituzionale a fianco di quella individuale e collettiva. Nel terzo capitolo l’orizzonte si amplia dall’Italia all’Europa, completando il quadro dei problemi e le prospettive di ulteriori evoluzioni. Dalla CSCE, oggi OSCE, alla Costituzione europea viene analizzato il consolidamento della libertà religiosa istituzionale e il ruolo delle religioni nella costruzione dell’Europa unita.
Il risultato è uno studio importante, che illumina la grammatica e le sintassi giuridiche e istituzionali di un tema controverso e affascinante, e «riprende le fila di un lungo discorso» per svilupparne le conseguenze, sia attuali sia rivolte al futuro che è per noi oggi l’Europa.

Ombretta Fumagalli Carulli si è laureata in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1966. Dal 1975 è titolare di cattedra universitaria (Diritto canonico e Diritto ecclesiastico) prima all’Università di Ferrara, poi all’Università Cattolica di Milano, dove insegna tuttora. Eletta al Consiglio Superiore della Magistratura, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, dal 1993 più volte fa parte del Governo italiano. Dal 2003, nominata da Giovanni Paolo II, fa parte dell’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali. Visiting professor in diverse Università europee e membro di società scientifiche e di comitati di riviste giuridiche, è autrice di numerose pubblicazioni in diritto canonico, storia della Chiesa, ordinamento giudiziario, procedura penale, diritto costituzionale italiano, diritto ecclesiastico, diritto di famiglia, magistero sociale della Chiesa, diritto processuale civile. Segnaliamo: Intelletto e volontà nel consenso matrimoniale in diritto canonico (Vita e Pensiero, Milano 1974); I fondamenti religiosi dell’Assolutismo in Bossuet (Milano 1975); Il matrimonio canonico dopo il Concilio (Milano 1978); Società civile e società religiosa di fronte al Concordato (Vita e Pensiero, Milano 1980); Giustizia inquieta (Milano 1990); Il Governo della Chiesa universale e i diritti della persona (Vita e Pensiero, Milano 2002).

INDICE

Prefazione IX

Introduzione: Chiesa e Stato nella concezione canonistica 3
La concezione dualistica 3
Il principio di sovranità: «a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio» 9

I. Lo Stato laico: nascita e formazione dell’idea 15
1. Dal pluralismo medievale al monismo assolutistico 15
1.1. Medioevo 16
1.2. Rinascimento 17
1.3. Contributo luterano 18
1.4. La frattura della società europea e lo Stato pacificatore 24
2. Lo Stato assoluto 26
2.1. La dottrina del «diritto divino dei re» 26
2.2. Il sistema giurisdizionalista 27
2.3. La Chiesa di fronte all’Assolutismo: in particolare la Chiesa gallicana 29
3. Verso lo Stato laico: i fattori della deconfessionalizzazione 32
3.1. Crisi della coscienza europea 32
3.2. Le origini del movimento europeo contro l’Assolutismo 33
3.3. Le direttive del movimento rivoluzionario europeo contro l’Assolutismo 36
3.4. L’ambiente morale, intellettuale, politico e sociale del Settecento 37
3.5. Quale laicità: Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, Costituzione civile del clero, legislazione antireligiosa, Concordato napoleonico 42
II. Lo Stato italiano tra laicità e libertà 49
1. I modelli di Stato precedenti l’età democratica 49
1.1. Lo Stato liberale 49
1.2. Lo Stato fascista 55
2. Lo Stato democratico 64
2.1. Principi e valori della Costituzione repubblicana 64
2.2. Contro la proposta di abrogazione del Concordato Lateranense: l’attuazione del pluralismo religioso 66
2.3. L’abrogazione formale del confessionismo: quale Stato laico? 68
2.4. Il «principio supremo» della laicità dello Stato 71
3. La libertà religiosa: le confessioni 73
3.1. Le confessioni religiose tra eguale libertà ed interlocuzione con lo Stato 73
3.2. Principio pattizio e identità religiosa 76
3.3. III richiamo ai Patti Lateranensi nell’art. 7, c. 2 80
3.4. L’Accordo di revisione concordataria: «Patto di libertà» 82
3.5. Recuperi di sovranità dello Stato: matrimonio e provvedimenti in materia spirituale e
disciplinare 86
3.6. L’Intesa 93
3.7. Laicità dello Stato: attenuata? 96
4. La libertà religiosa: i cittadini 98
4.1. La questione dell’ateismo 99
4.2. Libertà religiosa e status civitatis 100
4.3. I limiti alla libertà religiosa 102
4.4. L’ampliamento interpretativo del diritto di libertà religiosa 104

III. Religioni e libertà religiosa di fronte all’Europa 115
1. La dimensione transnazionale della libertà religiosa 115
1.1. L’apporto dell’Europa 116
1.2. La CSCE e la libertà religiosa 119
1.3. La discriminazione contro le religioni ed i loro appartenenti 122
1.4. La posizione della Santa Sede 124
2. Fenomeno religioso e convivenza europea 126
2.1. Le Chiese di fronte al processo di integrazione europea 127
2.2. Gli Stati di fronte al processo di integrazione europea 129
3. Chiese e libertà religiosa nel processo di integrazione europea 131
3.1. Dal Trattato di Maastricht al Trattato di Amsterdam 133
3.2. La Carta dei Diritti Fondamentali, il Consiglio di Laeken e la Convenzione 135
3.3. Il Preambolo della Costituzione ed il silenzio sulle radici cristiane 137
3.4. L’eredità religiosa tra valori e principi costituzionali 140
3.5. L’eredità religiosa cristiana 143
3.6. Il presunto contrasto con l’integrazione di altre confessioni 145
3.7. Status delle Chiese e dialogo con esse 148

Ombretta Fumagalli Carulli,A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio.Laicità dello Stato e libertà delle Chiese. Vita e Pensiero ,pp. 168 – 2006.

Che confusione:sarà perchè ti amo!!


Ora di religione, non di catechismo

Ieri sul Sole 24 Ore è stato pubblicato un interessante articolo di Sergio Luzzatto dal titolo “Ora di religione, non di catechismo” nel quale l’autore notava una contraddizione in alcune attività del ministero. La prima è l’esultanza del ministro per la sentenza della Cassazione che dichiarava legittimo il ruolo dell’IRC nell’attribuzione del credito scolastico in sede di scrutinio, e la seconda è la riunione del Comitato paritetico Miur-Ass. Biblia del 13 maggio dopo che, il 29 marzo, gli stessi Miur e Ass. Biblia avevano sottoscritto un Protocollo d’intesa sull’insegnamento della Bibbia a scuola in modo laico, aconfessionale e interculturale senza interferire con l’IRC. Nota Luzzato che “è a questo punto che le due notizie giunte da Viale Trastevere vanno sommate l’una all’altra, e pongono un problema. Oppure, quanto meno, evidenziano un paradosso. È il paradosso per cui il ministro Gelmini può cantare vittoria per l’ora di religione che obbligatoriamente va calcolata nei crediti scolastici, e insieme può riconoscere – promuovendo una lettura aconfessionale della Bibbia in orari diversi della didattica – che quell’ora di religione non è altro (giusto il Concordato) che un’ora di catechismo”. La quaestio è più vecchia del mondo:ora di religione come catechismo o come cultura religiosa?Il rinnovo del concordato del 1984 ha spostato l’asse della disciplina IRC sulla cultura religiosa mutuata dai principi del cattolicesimo poiché quest’ultimi fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano. Evidentemente non è bastato tutto questo tempo per metabolizzare,dentro e fuori il mondo cattolico,il nuovo statuto epistemologico della disciplina IRC,poiché in tanti continuano a considerarla come un momento,a voler essere buoni,di evangelizzazione delle giovani generazioni creando così una sempre maggiore marginalizzazione della disciplina a confronto con le altre discipline scolastiche.
A differenza di Luzzatto a me non fa molto scalpore che il ministero si contraddica nei suoi atti: è dal 1929 che ci si contraddice in materia di insegnamento di religione. Quello che mi preoccupa è l’idea che ha dell’IRC, e di noi IdR, l’Associazione Biblia, che ha tra i suoi membri anche eminenti biblisti e uomini di cultura cattolici. L’intenzione e l’obiettivo educativo di Biblia è ottimo, fare della Bibbia un libro conosciuto e studiato a scuola, ma va perseguito nonostante l’IRC o anche con il suo pur limitato supporto? L’IRC è un’ostacolo o una risorsa? Il fatto che il nostro insegnamento sia confessionale, nei contenuti anche se non negli obiettivi, lo rende meno serio nella conoscenza della Bibbia? La formazione biblica degli IdR conseguita negli ISSR o nelle Facoltà di Teologia è mancante di qualcosa perché confessionale? È catechistica? Certo qualche problema c’è se qualche idr (caso sporadico?) dice ai suoi allievi niente che poco di meno che la Bibbia andrebbe imparata a memoria così come il Corano.Certo,una tantum,qualche controllo a qualche mente inquieta,seppur pluri-laureata,non farebbe male.La grande soddisfazione personale,che credo di poter condividere con migliaia di colleghi sparsi nella penisola,è quello di aver contribuito a fare amare l’IRC ai tantissimi giovani che la scelgono non per avere il credito scolastico alla fine dell’anno,sarebbe troppo riduttivo e altremodo offensivo,ma per potersi confrontare,per poter apprendere,conoscere la cultura religiosa,i valori etico-morali del cristianesimo a confronto con altri sistemi religiosi di significato. Dunque la tanta confusione che regna è ripagata dal grande “amore” dei giovani per l’IRC:provare per credere o,una volta tanto,credere senza provare!A proposito di Bibbia,della sua diffusione e conoscenza dal punto di vista storico,culturale,esegetico,spirituale,spesso si alza l’ingegno e si invita taluni idr a farsi promotori di tale iniziativa nelle parrocchie con la grave affermazione che c’è scarsa conoscenza dei testi sacri. Vera,purtroppo l’affermazione,ma di chi è la responsabilità?Come si porta avanti la c.d. “pastorale biblica” nelle parrocchie?E si è a conoscenza che il compito principale degli IDR è essere e fare gli IDR a scuola?Compito per cui sono “mandati” dal Vescovo e pagati dallo Stato!Il compito degli IDR non è fare i “tappabuchi” nelle lacune pastorali di realtà extra scolastiche. Dunque ci si chiarisca le idee e la smetta di pensare che gli IDR siano alla mercè,ai dictat del dittatore di turno.Le logiche fasciste e parafasciste sono finite unitamente a quelle del ricatto. La pastorale bilbica,nelle parrocchie va portata avanti da tutta la comunità ecclesiale soprattutto per arginare,oltre che l’ignoranza in materia,il fondamentalismo biblico di matrice geovista.
Speriamo solo che tra i membri del comitato scientifico di Biblia non si condividessero le conclusioni di Luzzatto nel suo articolo: “In fondo, è come se il ministro ammettesse così che l’ora di religione non coincide con l’ora della Bibbia. E così facendo, il nostro ministro della Pubblica istruzione rende omaggio – forse senza saperlo – a una tradizione ultrasecolare dell’Italia cattolica: al bronzeo principio della Controriforma secondo cui un conto è saper leggere i testi sacri, tutt’altro conto è essere buoni cristiani. Ma entrambe le cose, secondo il ministro, dovranno “fare media” il giorno degli scrutini, se non proprio il giorno del Giudizio universale”.

link articolo Luzzatto: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-05-23/religione-catechismo-081000.shtml?uuid=AYHbxCsB
link protocollo d’intesa: http://www.istruzione.it/getOM?idfileentry=538505
link comunicato stampa riunione Commissione paritetica: http://www.biblia.org/comunistampa.pdf