I vescovi calabresi: “La ‘ndrangheta non è cristiana”.

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“Testimoniare la verità del Vangelo” è la nuova nota pastorale diffusa dalla Conferenza episcopale della Calabria

(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 2 GEN – La ‘ndrangheta “è contro la vita dell’uomo e la sua terra. E’, in tutta evidenza, opera del male e del Maligno”. Così si esprime la Conferenza episcopale della Calabria in una pastorale sulla ‘ndrangheta “Testimoniare la verità del Vangelo”. “La ‘ndrangheta non ha nulla – scrivono i vescovi – di cristiano. Attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi e di formule che scimmiottano il sacro, si pone come una forma di religiosità capovolta, sacralità atea e negazione dell’unico vero Dio. “La ‘ndrangheta – scrivono ancora i vescovi nella pastorale presentata stamani a Reggio Calabria dal presidente e dal vice presidente della Cec, mons. Salvatore Nunnari e mons. Francesco Milito – è un’organizzazione criminale fra le più pericolose e violente. Essa si poggia su legami familiari, che rendono più solidi sia l’omertà, sia i veli di copertura. Utilizzando vincoli di sangue, o costruiti attraverso una religiosità deviata, nonché lo stesso linguaggio di atti sacramentali (si pensi alla figura dei ‘padrini’), i boss cercano di garantirsi obbedienza, coperture e fedeltà. Lì dove attecchisce e prospera svolge un profondo condizionamento della vita sociale, politica e imprenditoriale nella nostra terra”.
“Con la forza del denaro e delle armi – sostengono ancora i vescovi calabresi – esercita il suo potere e, come una piovra, stende i suoi tentacoli dove può, con affari illeciti, riciclando denaro, schiavizzando le persone e ritagliandosi spazi di potere. E’ l’antistato, con le sue forme di dipendenza, che essa crea nei paesi e nelle città. È l’anti-religione, insomma, con i suoi simbolismi e i suoi atteggiamenti utilizzati al fine di guadagnare consenso. È una struttura pubblica di peccato, perché stritola i suoi figli”. “L’appartenenza ad ogni forma di criminalità organizzata – è scritto nella pastorale – non è titolo di vanto o di forza, ma titolo di disonore e di debolezza, oltre che di offesa esplicita alla religione cristiana. L’incompatibilità non è solo con la vita religiosa, ma con l’essere umano in generale. La ‘ndrangheta è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale”.
“La Calabria – sostengono ancora i Vescovi – è una terra meravigliosa, ricca di uomini e donne dal cuore aperto ed accogliente, capaci di grandi sacrifici. D’altra parte, però, la disoccupazione, la corruzione diffusa, una politica che tante volte sembra completamente distante dai veri bisogni della gente, sono tra i mali più frequenti di questa nostra terra, segnata, anche per questo, dalla triste presenza della criminalità organizzata, che le fa pagare un prezzo durissimo in termini di sviluppo economico, di crisi della speranza e di prospettive per il futuro”. (ANSA)
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“L’Eucarestia mafiosa”.

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Cos’hanno in comune le organizzazioni criminali e la Chiesa di Roma? Com’è possibile che proprio nelle quattro regioni più devote di Italia – Sicilia, Calabria, Puglia e Campania – siano nati questi fenomeni criminali così feroci?
L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti, opera prima di Salvo Ognibene, affronta il controverso rapporto tra mafia e Chiesa cattolica, una storia che va dal dopoguerra ai giorni nostri. Una storia di silenzi e di mancate condanne che dura da decenni e che è stata interrotta da rari moniti di alti prelati, dall’impegno di pochi ecclesiastici e da alcune morti tristemente illustri come padre Pino Puglisi e don Peppe Diana.
La riflessione prende il via dal tema della ritualità come manifestazione di potere: la processione come compiacenza; l’affiliazione come nuova religione; uomini che indossano la divisa di Dio per esercitare il loro potere in terra. Uomini di morte e di pistola con i santi sulla spalla. La fede di Provenzano nel libro di Dio, la Bibbia, ma anche l’ateismo di Matteo Messina Denaro. Le due facce della mafia nello scontro con i mezzi di Dio. Pur percorrendo la linea già segnata da due grandi studiosi come Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti si presenta con un taglio diverso: non si basa su strutture, non dialoga con i sistemi, ma indaga la realtà di prima mano, interroga i protagonisti di questo dualismo e cattura le ‘voci’, gli esempi concreti del presente per rivalutare la missione e la posizione della Chiesa di oggi. Le voci dei religiosi-testimoni all’interno del libro ripercorrono tutta l’Italia: Monsignor Pennisi; Don Giacomo Ribaudo; Monsignor Silvagni; Don Giacomo Panizza; Don Pino Strangio, Suor Carolina Iavazzo. Preti e suore che hanno preso posizione e hanno fatto del Cattolicesimo, ognuno a modo proprio, uno strumento di lotta alle mafie.
In una nazione in cui l’azione cattolica è ancora fortemente coinvolta nel tessuto politico e sociale, questo lavoro si pone come strumento essenziale di ‘pratica civile’ e di informazione sull’uso della liturgia della fede come strumento di propaganda mafiosa.
Maggiori informazioni nel sito http://www.eucaristiamafiosa.it/

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Indice

Prefazione

1. Storia dei rapporti tra Chiesa, mafia e religione
2. Il Dio dei mafiosi
3. La Chiesa tra peccato, ritardi e giustizia
4. Il Vangelo contro la lupara
5. La voce dei preti
6. Biografie

Salvo Ognibene,
L’eucaristia mafiosa. La voce dei preti

Navarra Editore, Marsala (TP)
Categoria: Saggistica
Anno: 2014
Pagine: 144
Prezzo: 12,00 €
ISBN: 978-88-98865-11-6
Formato: 14×21

Contro Satana.

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All’inizio del 2011 padre Matteo La Grua pronunciò parole profetiche alla giornalista Roberta Ruscica: “Fai in fretta… Vorrei vedere questo libro stampato. Mi resta poco da vivere”. Era vero. Padre La Grua morì pochi giorni dopo, il 15 gennaio, a 97 anni. Nel racconto di una vita tutta dedita a combattere le forze del male, padre Matteo lascia la sua eredità e riflette sull’avvento dei tempi messianici e sulla urgente necessità di conversione dell’umanità intera. E impossibile quantificare miracoli, guarigioni e liberazioni dal demonio da lui operate. Noto e stimato in tutto il mondo, rimase lontano dai riflettori della stampa e dai salotti tv che se lo contendevano. Di sé padre Matteo diceva: “Sono un semplice figlio della Vergine Maria. Sono strumento del Suo grande Amore. Non ho alcun merito”. Eppure i fedeli, a migliaia, facevano attese di ore per assistere alle sue “messe di guarigione” celebrate a Margifaraci, centro di spiritualità sorto a due passi dal cimitero della mafia, quelle fosse comuni in cui furono ritrovate tante vittime della guerra di Cosa Nostra. Uomo di intensa preghiera e di profonda umiltà, ricercato da personaggi famosi e da gente comune, da ricchi uomini d’affari e da poveri sbandati, aprì la porta della sua casa a chiunque avesse bisogno. Questo libro-intervista – da lui fortemente voluto negli ultimi mesi prima di morire – è dedicato a quanti, lontani dall’amore di Dio, sono vittime del demonio.

Cento Passi Ancora…..

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Il volume “Cento Passi Ancora,Peppino Impastato,I Compagni,Felicia,L’Inchiesta” è l’ultima fatica letteraria di Salvo Vitale. Ripercorre,con la forza dei ricordi e dei fatti storicamente accaduti,la vicenda umana e politica di Peppino Impastato,di Cinisi,che è stato barbaramente ucciso dalla mafia nella notte del 9 Maggio 1978.Peppino,militante di Dp,aveva osato puntare il dito contro il boss indiscusso di Cinisi,don Tano Badalamenti,ridicolizzando lui e i suoi “striscia quacina”(seguaci)in pubblico e con l’aiuto di radio AUT.La morte cruenta ed inaspettata di Peppino non scoraggio i suoi compagni che iniziarono a cercare la verità insieme al fratello e soprattutto alla madre di lui:Felicia Bartolotta. Dunque pagine di un diario scritte da chi ha vissuto direttamente questa storia, iniziata subito dopo la morte di Peppino Impastato. Il depistaggio delle indagini, la controinchiesta dei compagni, le vicende processuali, la vita di Radio Aut, la lunga notte di Felicia e la sua ostinata richiesta di giustizia. 22 anni di lotta contro la mafia e uno slogan, scritto in uno striscione portato ai funerali, che ha accompagnato, da allora ad oggi, ogni scelta dei suoi compagni: ”con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”.
Il volume sarà presentato Sabato 17 Gennaio 2015,presso l’auditorium “Maria Grazia Alotta”del Liceo Scientifico “Santi Savarino” di Partinico.Interverranno:la Prof.ssa Chiara Gibilaro,DS del Liceo;le Prof.sse Caterina Brigati e Silvana Appresti; il sostituto procuratore la Dott.ssa Franca Imbergamo;l’autore Prof.Salvo Vitale;Coordinerà i lavori Lorenzo Baldo vice-direttore di Antimafia Duemila.

L’attentato a Parigi…..

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L’attentato di Parigi. L’editoriale di Massimo Introvigne sul “Mattino” di Napoli
L’Europa al buio con la testa sotto la sabbia
Massimo Introvigne (il Mattino, 8 gennaio2015)

Il 7gennaio 2015 si è spenta a Parigi una luce sull’Europa, e Dio solo sa quando mai sarà riaccesa. I terroristi – qualunque sia la congrega di tagliagole cui davvero appartengono – hanno mostrato di poter colpire non solo in Iraq o inSiria, non solo nei luoghi nomadi dove si viaggia in aereo o in metropolitana, ma di giorno, in una grande città, nella sede di un giornale, cioè in uno di quei luoghi che ci sembrava potessero godere di un qualche statuto di zona franca. Ma non esistono più zone franche: ogni luogo, ogni uomo, ogni donna è un obiettivo di questa guerra maledetta.
Sì, la luce si è spenta. Si è spenta sui sogni di Hollande,di Obama, dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite, e anche dei nostri politici italiani di potersi permettere di non occuparsi dell’ISIS, del califfo, di al-Qa’ida che si riorganizza e che forse, a un anno dalla rottura con il Califfato, sta riannodando le fila di un grande cartello del Male che raduni tutti i terroristi dell’ultra-fondamentalismo islamico. Ci si illudeva in Francia, ci si illude anche da noi che, se non ci occupiamo dei terroristi, se non mandiamo neppure un soldato a combattere in Medio Oriente o a difendere i cristiani massacrati e crocefissi o le donne della minoranza yazida violentate e vendute come schiave – perché ogni soldato che torna a casa in una bara fa perdere voti al governo che lo ha mandato a combattere – i terroristi ci lasceranno in pace. Ma se noi non ci occupiamo dei terroristi, i terroristi si occupano di noi, e torna a casa in una bara chi è semplicemente andato a lavorare nel centro di una delle nostre capitali. Possiamo condannare, deprecare, firmare appelli, ma le chiacchiere stanno a zero e si combatte il terrorismo solo andandolo a estirpare nei suoi santuari, con gli stivali delle truppe sul terreno e non con la semplice propaganda o i droni di Obama. Altrimenti diamo ragione a Osama bin Laden, il quale sosteneva che tra chi non vuole rischiare di morire e chi ama la morte vince sempre il secondo – e il primo muore comunque.
Sì, la luce si è spenta. Si è spenta su chi non ha capito la lezione di Benedetto XVI a Ratisbona e oltre Ratisbona, che non offendeva affatto l’Islam – chi ha risposto alla satira di «Charlie Hebdo» con gli omicidi è un miserabile farabutto, e tuttavia i discorsi di Papa Ratzinger e le vignette non sono sullo stesso piano – ma lo invitava a riannodare le fila di un dialogo fra fede e ragione partendo dalla sua stessa tradizione, senza rinnegarla ma nello stesso tempo senza rifiutare di vederne gli aspetti oscuri e problematici. Non hanno capito quella lezione i buonisti per cui tutti i musulmani sono amanti della pace, gentili e magari amici degli animali e dei fiori. Ma non l’hanno capita neanche i «cattivisti» che oggi se la prendono con Papa Francesco perché non hanno mai letto Papa Benedetto, il quale affermava anche, il 28 novembre 2006, che il dialogo con i musulmani «non può essere ridotto ad un extra opzionale: al contrario, esso è una necessità vitale, dalla quale dipende in larga misura il nostro futuro».
Sì, la luce si è spenta. Si è spenta sui politicanti estremisti e sciacalli di tutte le risme, i quali sperano di lucrare su queste tragedie per fare i martiri con il sangue degli altri alla ricerca di un miserabile tornaconto elettorale, o per arruolare anche i poveri morti di Parigi in rese dei conti ecclesiastiche che oggi hanno di mira Papa Francesco, accusato di inventare un dialogo con l’islam che invece già Benedetto XVI definiva «non opzionale», cioè obbligatorio.
Mantenere i nervi saldi quando la luce si spegne è molto difficile. Ma chi sa vedere nel buio comprende che la «strategia Francesco» che Papa Bergoglio ha più volte proposto di fronte alle stragi dell’ISIS è l’unico modo ragionevole di rispondere a questa criminale follia. Non è delegando a qualche generale medio-orientale con gli stivali sporchi di sangue la repressione insieme dell’islam politico e dei diritti umani nel suo Paese, e non è strillando in piazza che tutti i musulmani sono terroristi che si disinnesca l’ultra-fondamentalismo assassino. Al contrario, lo si alimenta, e si spengono altre luci. Oriana Fallaci, poco prima di morire, aveva riferito che Benedetto XVI in un colloquio privato con lei aveva definito il dialogo con il mondo islamico «impossibile ma obbligatorio». In giornate come quella di oggi il dialogo sembra davvero impossibile. Ma è solo trovando interlocutori islamici disposti non a rinnegare la propria storia e la propria identità ma a cercare con fatica al loro interno le ragioni per condannare e isolare i terroristi che questi assassini potranno essere davvero sconfitti. È la strategia di Papa Francesco, era la vera strategia di Papa Benedetto. È la strategia più difficile. Ma non ce ne sono altre.
Benedetto XVI ama ricordare un proverbio della sua terra, la Baviera. Quando la luce si spegne si possono fare due cose: maledire l’oscurità, che non serve a nulla, o accendere una fiammella. Oggi ci sembra che anche la fiammella serva a poco. Ma se ognuno di noi accende la sua fiammella, alla fine tornerà la luce. Alla fine non avremo più paura del buio, e potrà perfino capitare che sia il buio ad avere paura di noi.

Presentazione del volume:”De Gasperi uno studio,la politica,la fede,gli affetti familiari.

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Libri, “De Gasperi, uno studio”. Intervista all’autore Giuseppe Sangiorgi: questa Europa è profondamente lontana da quella da lui concepita
La vita e gli ideali di De Gasperi come spunto per analizzare l’Europa di oggi e fare il punto sulla strada ancora da percorrere è filo conduttore che Giuseppe Sangiorgi, 66 anni, giornalista, saggista e segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo, ha proposto nel suo libro, dal titolo ‘De Gasperi. Uno studio’, pubblicato recentemente.
Erano le 2 del mattino del 19 agosto del 1954, 60 anni fa: a Sella di Valsugana, nel Trentino, moriva Alcide De Gasperi. Dagli storici è considerato uno dei più grandi statisti italiani, l’uomo a cui si legano gli anni della ricostruzione dell’Italia dopo la seconda guerra mondiale. Sulla sua figura, il segretario generale dell’Istituto Sturzo, Giuseppe Sangiorgi, ha scritto il libro “De Gasperi, uno studio”, edito da Rubbettino. Alessandro Guarasci lo ha intervistato:
R. – Il messaggio di De Gasperi è duplice. Uno è rivolto, diciamo, alla comunità politica nella sua interezza e questo significa quindi avere una visione della politica prevalentemente di carattere internazionale e capire che la politica interna è un di cui della politica internazionale e non viceversa. E poi c’è il messaggio di De Gasperi rivolto al mondo politico cattolico: i cattolici possono fare semplicemente una politica da cattolici, quindi con un di più di moralità, di onestà, di attenzione alle classi più disagiate, oppure possono fare una politica di ispirazione cristiana, che è un’altra cosa, più complicata, molto più impegnativa e anche molto più affascinante. De Gasperi faceva e ha fatto una politica di ispirazione cristiana, con quella quasi impossibile mediazione tra cielo e terra, tra giustizia divina e giustizia umana.
D. – Secondo lei, De Gasperi che cosa direbbe oggi di questa Europa, molto lacerata e molto fondata sui parametri finanziari?
R. – Che questa è un’Europa estremamente lontana – perché è ancora un’Europa degli Stati – da quella che aveva concepito lui, che era quella degli Stati Uniti d’Europa. Però, avrebbe fatto anche una annotazione positiva: con la Prima Guerra Mondiale e la Seconda Guerra Mondiale l’Europa è stata un immenso campo di battaglia. Oggi, da oltre mezzo secolo, l’Europa è un’enorme area, la più grande area strutturata del mondo, pacifica, che attrae e che espande un’idea pacifica della politica. Stare dentro l’Europa è anche stare dentro un enorme sogno e guai a svegliarsi e a perdere quel sogno lì…
D. – Secondo lei, ci sono delle aree inesplorate nei rapporti di De Gasperi con la Chiesa? Insomma, un rapporto non sempre idilliaco…
R. – E’ stato sempre difficilissimo il rapporto di De Gasperi con la Chiesa, perché De Gasperi compie una trasformazione che la Chiesa non aveva mai accettato fino in fondo fino a quel momento. La Chiesa aveva finalmente condiviso l’idea di una democrazia sociale, ma De Gasperi trasforma l’idea di una democrazia sociale in democrazia politica: è un salto di qualità che la Chiesa ha sempre fatto con una certa difficoltà. Leone XIII aveva parlato sì di democrazia cristiana, ma con un valore sociale e Murri era stato scomunicato perché aveva fatto una prima democrazia cristiana come partito politico. Quell’antico problema è rimasto soprattutto nei rapporti tra De Gasperi e Pio XII. Alessandro Guarasci, Radio Vaticana, Radiogiornale del 19 agosto 2014.
Quale era l’idea di Europa di De Gasperi e come si coniuga con la situazione attuale?
“Il libro è la ricostruzione della vita di De Gasperi ma anche un pretesto per parlare di oggi. De Gasperi è uno dei padri dell’Unione Europea ma immaginava di raggiungere gli Stati Uniti d’Europa. Un traguardo federativo che è ancora lontano, la strada è ancora molto lunga. Emblematico, ai tempi di De Gasperi, il caso della Ced, la Comunità europea della difesa. In Corea la parte comunista aggredisce la parte libera e in Ue molti hanno paura che la Russia possa fare altrettanto. Quindi molti, a partire dai francesi, pensano ad un sistema di difesa comune. Al suo interno il progetto prevedeva un ente sovranazionale. Nel ’54, quando De Gasperi muore, il progetto del Ced naufraga e quello che sembrava essere un grande successo anche di De Gasperi si blocca. Quindi bisogna ripartire da lì, dal superamento dell’Europa degli Stati in favore degli Stati Uniti d’Europa. Questo implica almeno un sistema economico, fiscale e di diritti di cittadinanza civili più omogeneo”.
Cosa è cambiato per l’Italia con il voto alle ultime elezioni europee e cosa potrà fare l’Italia durante il semestre di presidenza?
“Bisogna fare in modo che ci si senta cittadini europei. Questa è la scommessa, questa è la via: chi la segue farà del bene all’Ue. Anche perché l’Europa ha già vinto un sfida, è l’area stabilizzata e pacifica più grande del mondo”.
Come vede l’ascesa degli euroscettici?
“Ogni crisi ha in sè una chance. Anche l’euroscetticismo può essere una chance, una spinta per portare avanti questo progetto. Ovviamente ci deve essere una convenienza per gli Stati, ad esempio in termini di affermazione e opportunità. Lo sforzo delle istituzioni, quindi, è proprio coniugare idealità e convenienza”.
Cosa si aspetta dal premier Matteo Renzi in ambito europeo?
“Mi auguro che porti pochi punti ma che abbiano risvolti concreti. Anche perché se si è attenti alle scadenze il tempo a disposizione è davvero poco. Considerando il mese di agosto, che è tutto fermo, si arriverà ad ottobre. Da qui si capisce come i tempi siano particolarmente stretti. L’ideale sarebbero solo due o tre decisioni. Una di carattere fiscale come un tetto minimo e massimo alla tassazione dei singoli Paesi per evitare disparità così enormi. Il secondo riguarda i diritti di cittadinanza e in particolare l’immigrazione. A fronte di 800 milioni di cittadini in Ue nel 2050 si stima che in Africa ci saranno 3 miliardi di persone. Quindi 3 individui di colore ogni bianco. Sarà la demografia a prendere il sopravvento. Ci vogliono politiche continentali per governare questo cambiamento, interventi sul posto per risolvere i problemi che o si affrontano o ci travolgeranno. Non possiamo fare finta di nulla e chiudere gli occhi”.
“Con la sua vita attraversa tre secoli di storia italiana. Nella prima parte è figlio della pace di Vienna, dell’Ottocento. Infatti è cittadino austriaco ma vuole essere italiano. La seconda parte è pienamente calata nel ‘900 con il ruolo che ha ricoperto per la politica italiana. La terza, invece, attraversa il secolo che stiamo vivendo per la sua idea di Europa. Ha molte cose da dirci in termini di sviluppo e amore per la libertà”.
Sangiorgi, attuale segretario generale dell’Istituto Luigi Sturzo, è stato direttore responsabile del Popolo, presidente dell’Istituto Luce e commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Giornalista, è autore di varie pubblicazioni tra le quali ‘Il romanzo del Popolo’, ‘Piazza del Gesù un diario politico’, ‘Rivoluzione Quirinale’.

“E nessuno lo sappia….”.Per un ricordo di Padre Calcedonio Ognibene.

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La Chiesa di fronte alla criminalità organizzata.

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Intervista a Don Pino Demasi, parroco di Polistena e referente di Libera

(La Redazione di OLIR.it)

Il primo intervento di condanna alla criminalità organizzata dei vescovi calabresi risale al 1975. Che differenza c’è fra la situazione di ieri e quella di oggi? Perché tornare sull’argomento a distanza di quasi 40 anni?

L’episcopato calabro, forse primo rispetto ad altri episcopati, nel 1975 avvertì l’esigenza di una vera e propria condanna al crimine organizzato, elaborando il documento “L’episcopato calabro contro la mafia,disonorante piaga della società”. Da allora continui sono stati gli interventi di singoli Vescovi e dell’intero episcopato sino all’ultima dichiarazione della sessione primaverile di quest’anno della CEC. E’ stato ed è un cammino tuttora in atto, quello dei Vescovi calabresi, che in un certo qual modo sta andando di pari passo con l’evoluzione del fenomeno ndranghetistico.
Per quanto riguarda la ‘ndrangheta, si è passati, in questi anni, dalla ‘ndrangheta vissuta e percepita solo come organizzazione criminale ad una ‘ndrangheta “liquida” che si infiltra dappertutto e si interfaccia con gli altri sistemi di potere, producendo valori e cultura. Un’organizzazione globalizzata, fatta di famiglie che vivono in tutti gli angoli della terra, capace ormai essa stessa di farsi istituzione.
Gli interventi dei Pastori della Chiesa, dall’altra parte, sono stati innanzitutto di denunzia; man mano che si è andati avanti si è passati dalla semplice denuncia della ‘ndrangheta, come un “cancro”, una zavorra, un triste peso, ad indicazioni pastorali abbastanza puntuali e precise. Interessante il documento del 2007 ”Se non vi convertirete, perirete tut ti allo stesso modo”, dove si mette in evidenza che la ‘ndrangheta è soprattutto un fatto culturale e che per sconfiggerla serve un’azione incisiva che pervada ogni settore della società.
C’è da dire, però, che la ricaduta nella base di questi documenti è stata “timida”. Abbiamo assistito infatti a comportamenti di accondiscendenza nei confronti del fenomeno mafioso, ma anche a fulgidi esempi di contrasto e di grande coraggio e determinazione. E’ mancata però in questi anni una prassi pastorale collettiva e condivisa.

Il documento della Cei del 21 febbraio 2010 “Per un paese solidale. Chiesa italiana e mezzogiorno” afferma (paragrafo 9) che le mafie “non possono essere semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione”.

Come la Chiesa può concretamente educare alla legalità?

Oggi di fronte alla presa di coscienza sempre più diffusa dell’insostenibilità dell’assurdità del costume mafioso, la risposta che la Chiesa è chiamata a dare non può essere quella esclusiva di una denuncia o di una reprimenda. E’ necessario prendere sempre più sul serio il ministero della evangelizzazione e della liberazione affidato alle nostre comunità, partendo dalla presa di coscienza delle nostre responsabilità.
Com’è possibile, infatti, che terre come la Calabria, dove esiste ancora una fortissima presenza della Chiesa, dove la partecipazione popolare alle funzioni ecclesiastiche, alle processioni, alle messe, all’ora di religione è ancora fortissima rispetto ad altri territori, com’è poss ibile che una presenza così forte possa coesistere con uno dei fenomeni più violenti, più crudeli, più illegali, più contrari al bene comune, come quello della ‘ndrangheta?
E poi come abbiamo potuto permettere alle varie associazioni o famiglie mafiose di utilizzare nei loro codici d’onore il linguaggio e i simboli religiosi? O come abbiamo potuto permettere agli uomini di ‘ndrangheta di utilizzare la religiosità popolare e in particolare le sue feste come momento per trovare legittimazione sociale e spesso anche per sancire vincoli, formalizzare spartizioni, stabilire gerarchie, decretare ed eseguire sentenze mafiose? Gli stessi riti religiosi, in alcune situazioni, sono stati oggetto di manipolazione. Attraverso di essi è avvenuto lo sfoggio del potere mafioso.
Ecco questo è lo scandalo da cui dobbiamo partire, per costruire un modello ecclesiologico ed una conseguente prassi pastorale.
Nel documento Chiesa Italiana e Mezzogiorno i Vescovi italiani hanno affermato: «rivendichiamo alla dimensione educativa, umana e religiosa, un ruolo primario nella crescita del Mezzogiorno: uno sviluppo autentico ed integrale ha nell’educazione le sue fondamenta più solide, perché assicura il senso di responsabilità e l’efficacia dell’agire, cioè i requisiti essenziali del gusto e della capacità di intrapresa. I veri attori dello sviluppo non sono i mezzi economici, ma le persone» .
Le Chiese del Sud sono chiamate in questo campo a dare il loro essenziale contributo, con la loro pastorale ordinaria, trasformata in profondità, puntando soprattutto ad un nuovo protagonismo dei laici. Laici maturi, impegnati e responsabili, protagonisti del cambiamento.
Occorre, allora, restituire le comunità cristiane a uno stile pastorale evangelico superando un male atavico delle nostre parrocchie: il dualismo sa cro-profano, secondo il quale quando il fedele varca la soglia del tempio, la sfera della sua vita professionale, familiare, sessuale, civile, ecc., viene lasciata dietro le spalle e diventa importante solo in quanto lettore, catechista, accolito, ministro straordinario dell’eucaristia. Si spoglia della sua veste tra virgolette profana e acquista quella di cristiano. Quando il fedele varca in senso inverso la soglia del tempio ritorna ad essere il professionista di trecento euro a visita, l’amministratore che chiede il pizzo per poter fare andare avanti una pratica o che la fa andare avanti solo per gli amici suoi, il professore svogliato che arriva sempre tardi a scuola, il padre nervoso e distratto che se ne sta tutto il giorno fuori, insomma dentro il tempio siamo nel sacro e ci salviamo l’anima, fuori dimentichiamo di essere membri di una comunità cristiana.
Nel documento Educare alla legalit&a grave; del 1991 l’indicazione che vi è fornita appare chiarissima: «Il cristiano non può accontentarsi di enunciare l’ideale e di affermare i principi generali. Deve entrare nella storia ed affrontarla nella sua complessità, promuovendo tutte le realizzazioni possibili dei valori evangelici e umani della libertà e della giustizia».
Concetti netti, che saldano l’etica dei princìpi e l’etica della responsabilità, la dimensione spirituale con l’impegno civile, e richiamano chi si professa credente ad una coerenza che non ammette intervalli, né accomodamenti.

Basta invitare chi sbaglia al pentimento o bisogna pensare anche a delle sanzioni canoniche come ha fatto, ad esempio, il Vescovo di Acireale che ha emanato un decreto circa la Privazione delle esequie ecclesiastiche per chi è stato condannato per reati di mafia (20 giugno 2013)?

Fermo restando che la conversione per tutti i cristiani passa attraverso un reale pentimento e ravvedimento e che quindi la strada da seguire è quella indicata da Zaccheo “Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho defraudato qualcuno di qualcosa, gli restituirò quattro volte tanto” (Lc. 19,8), io personalmente mi trovo d’accordo con il Vescovo di Acireale sulla necessità di qualche sanzione quando ci troviamo in situazioni in cui manca con chiarezza il ravvedimento ed il pentimento.
E’ un modo questo per superare quel dualismo sacro- profano di cui parlavo prima e per affermare con fermezza e senza tentennamenti che la mafia è una struttura di peccato e che vivere da cristiani è un non vivere da mafiosi, rifiutarsi e sempre più potersi rifiutare di vivere da mafiosi.
Non a caso, Il decreto di Mons. Raspanti si apre c on una citazione dettata da San Giovanni Paolo II nella storica visita alla Valle dei Templi di Agrigento il 9 maggio 1993: “La fede […] esige non solo un’intima adesione personale, ma anche una coraggiosa testimonianza esteriore, che si esprime in una convinta condanna del male. Essa esige qui, nella vostra terra, una chiara riprovazione della cultura della mafia, che è una cultura di morte, profondamente disumana, antievangelica, nemica della dignità delle persone e della convivenza civile”.

Che lei sappia solo la Chiesa calabrese è impegnata nella lotta alla criminalità organizzata oppure questa lotta vede impegnate anche altre conferenze episcopali regionali?

Il cammino di consapevolezza della pericolosità delle mafie e quindi la conseguente ricerca di una pastorale adeguata ha visto in questi ultimi decenni come protagoniste non solo le Chiese di Calabria, ma anche le Chiese del resto del Paese e soprattutto di quelle aree maggiormente interessate al fenomeno mafioso. Le linee direttive dei vari episcopati regionali, dell’episcopato italiano e dei Sommi Pontefici non ammettono ormai più passi e ritorni indietro.
Molto di nuovo anche in questo campo sta nascendo nella Chiesa. L’ascolto del popolo, del suo malessere, della sua soggezione, l’ascolto del grido degli onesti e degli indifesi che reclamano il bisogno di dignità umana e di reale libertà sta scuotendo ormai tutte le chiese, incoraggiate anche da Papa Francesco.
E’ certamente il tempo della speranza, intesa non come un’attesa fatalistica di cambiamento, un appigliarci all’eventualità che accada qualcosa in grado di scacciare, come per incanto, paure e incertezze. E’ Il tempo di quella speranza che ha il volto dell’impegno, del mettersi in marcia (in latino la parola speranza, spes, richiama del resto il termine pes, piede) di quella speranza, stretta parente del realismo, che risveglia il desiderio di reagire, di rialzare la testa.

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Il ministero presbiterale di Cataldo Naro.

A cura del Prof.Francesco Lo Manto docente di storia della chiesa presso la Facoltà Teologica di Sicilia “S.Giovanni Evangelista”Palermo.
estratto Cataldo Naro Lomanto

Sul crinale del mondo moderno…..

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Presentazione del volume di S.E.Rev.ma Mons.Cataldo Naro:

SUL CRINALE DEL MONDO MODERNO,scritti brevi su cristianesimo e politica.

Sul crinale del mondo moderno:cristianesimo e politica.

Sul crinale del mondo moderno.Scritti brevi su cristianesimo e politica.

Lo spazio dei fratelli.

invito_spazio dei fratelli

L’Altro Risorgimento.


Che cosa è stato il Risorgimento? Nella vulgata recepita nei testi scolastici diversi conti non tornano. Uno per tutti: com’è possibile che, in nome della libertà e della Costituzione, i governi liberali decidano la soppressione di tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Roma, quando il primo articolo dello Statuto dichiara il Cattolicesimo «religione di Stato»? Sta di fatto che 57.492 persone vengono messe sul lastrico, cacciate dalle proprie case, private del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto. Non a caso i papi Pio IX e Leone XIII individuano nel Risorgimento un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», messo in atto dalla Massoneria. A centocinquant’anni dall’unità in Italia non solo si stenta ad ammettere questi fatti, documentati nell’evidenza delle fonti, ma si continua, da Nord a Sud, a combattere la comune identità cattolica quasi fosse l’ostacolo che preclude un’autentica coesione nazionale.
L’Autrice – coraggiosa antagonista di ogni ideologia, come spiega mons. Luigi Negri – muove da posizioni controcorrente: perché l’Italia possa riacquistare l’unicità che la caratterizza nella storia ha bisogno di riconoscere il peccato da cui è stata originata, l’attacco frontale alla tradizione cristiana e alla Chiesa cattolica.

L’Introduzione di Angela Pellicciari

«L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia».

L’introduzione dei Promessi sposi è notoriamente una parodia del linguaggio e della cultura seicenteschi ma Alessandro Manzoni, pur sorridendo, intende anche cominciare in medias res, mettendo subito in chiaro la grande importanza della ricerca storica: fare storia significa ridare la vita ad un passato che non si conosce o si conosce male.

1796-1861: ricordando fatti noti e meno noti, questo libro si propone di ricostruire l’ambiente rivoluzionario che caratterizza l’Italia del XIX secolo, senza la pretesa di raccontare tutto ma, almeno, con l’obiettivo di raccontare quello che serve per capire, per «richiamare in battaglia» fatti e persone prigionieri, del tempo certamente, ma soprattutto degli uomini che li hanno voluti tali.

L’immagine del Risorgimento che ci è stata tramandata è quella voluta da coloro che lo hanno costruito: i governanti del Regno di Sardegna, innanzi tutto, ma anche tutti gli uomini che ne hanno appoggiato la politica, e, non ultimi, i governi delle potenze alleate che ne hanno reso possibile la realizzazione. Cosa è stato, dunque, il Risorgimento, dal loro punto di vista?

Risorgimento per costoro significa l’agognata riconquista, dopo tanti secoli, dell’unità e dell’indipendenza nazionali, indispensabili per occupare un «posto al sole» all’interno del consesso «civile»; significa la vittoria della libertà sull’oscurantismo, l’arretratezza e la violenza dei governi pontificio e borbonico; significa farla finita con i privilegi e la monarchia assoluta realizzando una monarchia costituzionale dove la legge è uguale per tutti e dove Stato e Chiesa siano liberi ciascuno in casa propria, ma distinti e separati l’uno dall’altra. Nella lettura del Risorgimento tramandataci dai suoi protagonisti ci sono però molti fatti che restano senza spiegazione. Uno per tutti: i Savoia e i liberali sostengono di avere la forza morale dalla loro perché costituzionali e liberali, eppure la formazione del primo governo costituzionale coincide con la sistematica violazione dei più importanti articoli dello Statuto. Non appena ripudiata la monarchia assoluta, per esempio, in violazione del primo articolo che stabilisce «La religione cattolica apostolica e romana è l’unica religione di stato», il governo sardo scatena in Piemonte la prima seria persecuzione anticattolica dall’epoca di Costantino, immediatamente estesa al resto d’Italia dopo l’unificazione. L’1,70% della popolazione di fede liberale (quella che ha diritto di voto) decide la soppressione, uno dopo l’altro, a cominciare dai gesuiti, di tutti gli ordini religiosi della religione di stato. Iniziate nel 1848 dal Regno di Sardegna, le soppressioni sono ultimate dal Regno d’Italia nel 1873, dopo l’annessione di Roma. Un numero davvero ingente di persone, 57.492 fra uomini e donne, tanti sono i membri degli ordini religiosi soppressi, vengono messi sul lastrico, cacciati dalle proprie case, privati del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto.

Tutto in nome della libertà e della costituzione. In questo secolo la storiografia liberale sia laica che cattolica ha dato voce alle dichiarazioni di intenti della classe dirigente risorgimentale ma ha dimenticato i fatti ed ha messo la sordina alla stampa e alla storiografia cattoliche dell’Ottocento col risultato che, oggi, si conoscono solo le ragioni dei liberali, cioè dei vincitori.

Eppure in decine di encicliche ed allocuzioni Pio IX afferma che le cose non stanno come la propaganda liberale vuol far credere. Il papa descrive nel dettaglio quali persecuzioni, violenze e rapine facciano seguito alle sbandierate ragioni di costituzionalità e libertà, e denuncia la lotta senza quartiere che le società segrete, a cominciare dalla Massoneria, conducono in tutto il mondo contro la Chiesa cattolica. La Chiesa ha sempre combattuto contro tanti nemici, questa volta però l’insidia è più grande perché i nemici non combattono a viso aperto ma si dichiarano cattolici e sinceramente devoti al bene della Chiesa.

Pio IX e Leone XIII (e la Chiesa con loro) sono convinti che il tanto decantato Risorgimento sia solo un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», voluto e promosso dalla Massoneria nell’intento di distruggere il potere spirituale usando come grimaldello la fine del potere temporale. Il risveglio del sentimento «nazionale» avrebbe di mira, secondo questo punto di vista, la distruzione dell’universalismo cattolico per soppiantarlo con un potere internazionale di tipo nuovo, al passo con i tempi, radicalmente anticattolico.

Se i papi, e le popolazioni meridionali con loro, hanno qualche ragione nel sostenere che Risorgimento significhi risorgimento del paganesimo e gigantesca rapina ed ingiustizia perché, con la scusa della «pura morale» e della «vera religione», i liberali diventano proprietari con due soldi di tutti i beni sottratti al 98% della popolazione (Chiesa e pubblico demanio), allora ad esser in gioco non è un aspetto marginale della nostra vicenda storica; è qualcosa che ha a che fare con l’essenza stessa del nostro essere italiani, con la nostra identità collettiva.

Se le cose stessero come tutta la letteratura sia cattolica che massonica del secolo scorso non si stanca di ripetere, se fosse vero che la Massoneria scatena in Italia una guerra senza quartiere contro la Chiesa cattolica utilizzando i Savoia e i liberali come testa di ponte, allora gli artefici del Risorgimento sarebbero non i primi italiani ma i primi antiitaliani. Allora la nostra storia unitaria, e non solo quella, andrebbe vista sotto un’altra ottica. E chissà che questa ottica non ci procuri elementi per capire qualcosa di più. Il 18 agosto 1849 Pio IX scrive alla granduchessa Maria di Toscana: sebbene «la tutela del dominio temporale della S. Sede sia in me un dovere di coscienza, pur nonostante è un pensiero assai secondario in confronto dell’altro che mi occupa, di procurare cioè che i popoli cattolici conoscano la verità».Quale è la verità? Questo libro si propone di cercarla.

Angela Pellicciari storica del Risorgimento e del rapporto fra Papi e Massoneria; dottore in Storia ecclesiastica, attualmente insegna Storia della Chiesa nei seminari Redemptoris Mater. Fra i suoi numerosi studi ricordiamo I panni sporchi dei Mille (Liberal) e Leone XIII in pillole (Fede & cultura). Con le Edizioni Ares ha già pubblicato il best seller Risorgimento da riscrivere e il volume I Papi e la Massoneria.

Il giorno della civetta…..


(Quadro denominato “Uomini,mezzi uomini, quaquaraquà”del pittore partinicese Gaetano Porcasi)
Incontro Sciascia

I PRETI E I MAFIOSI.STORIA DEI RAPPORTI TRA MAFIE E CHIESA CATTOLICA.


Il 2 Luglio del 1960,veniva ordinato sacerdote, dall’allora Arcivescovo di Palermo,Cardinale Ernesto Ruffini,don Pino Puglisi.Oggi compirebbe 50 anni di sacerdozio se la mano armata di Salvatore Grigoli non avesse fermato,barbaramente,la sua vita terrena il 15 settembre del 1993.L’omicidio Puglisi ha scosso fortemente le coscienze non fosse altro perché la mafia alzava il tiro contro la Chiesa. Lo stesso delitto Puglisi non può non essere letto come un giudizio di Dio sulla chiesa palermitana in primis e sulle chiese del sud Italia in relazione proprio al lungo legame tra la Chiesa,parte della gerarchia e la mafia. Proprio a questo argomento è dedicata l’ultima fatica editoriale del Prof. On.Isaia Sales dal titolo:”I preti e i mafiosi. Storia dei rapporti tra mafie e chiesa cattolica”.L’interessante ed avvincente volume affronta il tema delle responsabilità della chiesa cattolica nell’affermazione delle organizzazioni mafiose,esaminando l’apporto culturale che direttamente o indirettamente la dottrina della Chiesa ha fornito al loro apparato ideologico. Come spiegare il fatto,si chiede l’autore,che in quattro “cattolicissime”regioni meridionali si siano sviluppate alcune delle organizzazioni criminali più spietate e potenti al mondo?Come spiegare che la maggioranza degli affiliati a queste organizzazioni criminali, con la patente di spietati assassini, si dichiarino cattolici osservanti?Che rapporto c’è tra cultura mafiosa e quella cattolica?Perchè questo rapporto non è mai stato indagato in sede storica e,invece, è stato sempre smentito o sottovalutato?Fino a pochi anni fa la Chiesa ha taciuto sulle mafie e non le ha mai considerate nemici ideologici. Personaggi come Don Ciro Vittozzi,Don Stilo,Don Agostino Coppola,Fra Giacinto sono stati fortemente collusi con essa. E ancora l’attentato a Mons.Peruzzo,l’eremo di Tagliavia,il santuario di Polsi,i frati di Mazzarino:luoghi ed ecclesiastici avvezzi a complicità e compiacenze. Dopo l’assassinio di Don Puglisi il silenzio è stato,in parte,interrotto. Il volume parla di tutto questo senza intenti scandalistici nella forte convinzione dell’autore che senza il sostegno culturale della Chiesa le mafie non si sarebbero potute radicare così profondamente nel sud del paese. Il successo delle organizzazioni mafiose rappresenta un insuccesso della Chiesa cattolica,ma,al tempo stesso,senza una Chiesa realmente e cristianamente antimafiosa la lotta per la sconfitta definitiva delle mafie sarà ancora lunga.Don Pino Puglisi,sacerdote secondo il cuore di Dio e della Chiesa,ha aperto la strada per un cammino di vera conversione e di rescissione dei legami tra Chiesa e mafie:quanti sono disposti a seguirne l’esempio?

Isaia Sales,I PRETI E I MAFIOSI.STORIA DEI RAPPORTI TRA MAFIE E CHIESA CATTOLICA.Saggi B.C.Dalai editore,pp.367.2010.

Le “cento Sicilie”raccontate!


A CAMPOFIORITO E NEI COMUNI SICANI CON A.G.MARCHESE E GLI STORICI LOCALI I COMUNI RISCOPRONO LA LORO STORIA

Una identita’, che rischiava di essere cancellata, nel millennio dalla memoria corta, pur rientrando tra gli insediamenti di nuova fondazione.

di Ferdinando Russo

E’ partita da Campofiorito(Pa) la sfida dei piccoli comuni a rivedere ,aggiornare,arricchire la storia degli uomini e degli eventi delle città nuove .
E non c’era miglior curatore del medico -letterato e cultore di Storia dell’Arte nell’Università di Palermo, dr.Antonino Giuseppe Marchese, per tentare una prima raccolta di storie locali,partecipate vissute da parte degli estensori, in un aggiornamento temporale ,proposto a studiosi ,intellettuali,tecnici,storici di oltre 20 comuni della Sicilia, per intessere una maglia di confronti e di diversità tra quelle che Bufalino chiamava le “Cento Sicilie”.(1)
Il Presidente della provincia regionale di Palermo, ing.Giovanni Avanti ,ne ha permesso la pubblicazione ,riconoscendo il valore della storiografia locale, “che consente di conoscere,riscoprire e,quindi,valorizzare,le tradizioni,gli usi,i costumi dei nostri padri,i loro ritmi di vita,ma anche le loro speranze e i loro sogni.” (2)
Ed è toccato al compianto arcivescovo Cataldo Naro,al suo inizio della guida della diocesi di Monreale, aprire il convegno ospitato dalla città di Campofiorito, che dalla iniziativa ha tratto interesse e impegni culturali per una presa di coscienza comunitaria della memoria delle origini, quasi a riscoprire le peculiarità del lavoro e della cultura degli antenati e della loro creatività umana,della loro fede religiosa.
Proprio mentre cresce il fenomeno della globalizzazione nelle sue varie dimensioni economiche,sociali e culturali,ha affermato il Presule, e mentre si intensificano i processi di integrazione politica del continente europeo,si riscopre il senso dell’appartenenza alla patria locale e spesso nel quadro più ampio di una riscoperta dell’identità nazionale.”
“ .Per troppo tempo in Italia- ha continuato Naro,-“il sentimento di appartenenza alla stessa nazione è stato soppiantato,almeno ad alcuni livelli della consapevolezza diffusa,da quello dell’appartenenza ai partiti politici e alle grandi famiglie ideologiche: si era democristiani o comunisti,cattolici o anticlericali,socialisti o altro ancora. E ci si ricordava di essere Italiani solo quando si era all’estero o a partire da alcuni elementi, come la cucina o la quadra di calcio.”

E per i 150 anni dell’Unità d’Italia bene ha fatto il sindaco di Campofiorito, in provincia di Palermo ,Giuseppe Sagona, a promuovere ,fuori da ogni ufficialità patriottica formale,
una solenne celebrazione unitaria , legando alla prima presentazione del volume (2) sulle storie locali,a ciò che unisce gli Italiani e come il localismo non debba ottundere l’essenza di una comune civiltà, ma contribuire, con un protagonismo culturale e storico, al comune cammino umano del Paese.
La presentazione degli scritti storici ha avuto così il conforto e la corale presenza della Giunta e di numerosi consiglieri Comunali, l’apprezzamento dell’assessore alla cultura,Mario Milazzo, e degli assessori Pizzo,Gerardi e Bono,del Consigliere della provincia regionale Vallone, in rappresentanza del Presidente Avanti, ,dell’on.Ferdinando Russo, già sottosegretario agli Interni e parlamentare della Sicilia occidentale,e di numerosi storici dei comuni di Giuliana, Ciminna,Villafrati, Contessa Entellina, Vicari, intervenuti ad illustrare il loro apporto.
E la Sicilia da questo studio dedicato ad alcune comunità, conferma una rinata consapevolezza
di proseguire, o riprendere l’indagine storica sull’Isola, partendo dall’investigazione delle realtà locali, per decifrarne le linee di forza, le motivazioni, la cause, che hanno spinto, anche gli stranieri, a visitare ed a scrivere delle vicende ,delle diversità, dei microcosmi dei fattori isolani, che rendono peculiare e significativo il procedere del cammino di questa regione-nazione che si rinnova, nelle sue realtà istituzionali, non tralasciando la memoria dei padri ,rischiando di apparire ostile ai cambiamenti, come in Tomasi di Lampedusa, mentre ingloba tante culture mediterranee e continentali, recependone, spesso i valori ,anche se, talvolta, si tratta di incolti disvalori..
A.G.Marchese, il curatore apripista di questa voluminosa ricerca, stimolatrice quindi di ulteriori integrazioni in progress, per le cento o mille altre realtà, non è nuovo a produrre testimonianze letterarie e comunitarie ed a tracciare ipotesi di futuri lavori storici e ricerche ,non rigidi monotematici, ma coinvolgenti studiosi locali ed esperti di ricerche sul territorio sui temi dei beni culturali, ambientali, geofisici, antropologicici (3).
Basta ricordare la sua vasta produzione di saggi, scritti storici, biografie, scoperte artistiche, che hanno interessato l’area dei monti Sicani e del Belice, si da promuovere azioni conservative ,di restauro e politiche istituzionali quali le Unioni dei Comuni, (del Salso,del Belice,ecc ), il Parco dei Monti Sicani, così come si preannunciano per l’interesse creato dalla recentissima opera “ Insula” (4)
E con l’umiltà che caratterizza gli storici, nell’opera della presente riflessione, il Nostro sceglie di trattare ed offrire il suo apporto, anche metodologico, affrontando come soggetto della sua ricerca un comune tra i più piccoli,”Campofiorito: una new town baronale dela Sicilia occidentale” (cfr,pagg.27-74 del volume ).
E’ questo “un centro del Val di Mazara, nella comarca di Corleone, la cui “licentia populandi” ,rilasciata nel 1655 dal re Filippo IV di Spagna al Marchese della Ginestra(e poi primo principe di Campofiorito)Stefano Reggio Santo Stefano, non ebbe alcuna attuazione concreta, mentre oltre un secolo dopo,nel 1768, avrebbe avuto una realizzazione,seppure parziale,con l’intervento del suoV principe Stefano III Reggio Gravina”.

“La nascita giuridica di Campofiorito, intesa come Universitas baronale,-scrive Marchese, -sia che la sua costituzione sia avvenuta ex novo, o che abbia fatto uso di preesistenze abitative ,è stata sancita nel 1768, con il riconoscimento al principe Reggio da parte della Curia arcivescovile di Monreale,guidata da mons.Francesco Testa, dello status di parrocchia della chiesetta di Santo Stefano e la nomina del primo parroco arciprete, nella persona del sacerdote Leonardo Schifani da Chiusa..
Il 27 ottobre 1768 si celebra il primo battesimo ed è Stefano il nome in onore sia del Patrono della città,sia del principe.

“Ed è come effettuare il recupero di una identità,- ha affermato ,intervenendo alla presentazione dell’opera Ferdinando Russo, -come riportare alla comunità dei “Campofioritani ,o “bellanuvisi”,o “terranuvisi “,dagli archivi e dalle tele ingiallite di alcuni secoli, dai musei e dalle Sovrintendenze ,dal patrimonio storico-archivistico di Monreale, il fluire della storia umana e religiosa degli antenati di una delle “città nuove”, create cioè ex novo nell’età moderna, assieme ad altri 87 centri siciliani tra il 1593 ed il 1714.”

La cultura urbanistica di questi comuni rurali di nuova colonizzazione, non è comunque esente da legami e ascendenze con la grande cultura europea contemporanea, come afferma M.Renda.(5).

Significativo e moderno il tentativo di denominare questi comuni con sinonimi accattivanti, incoraggianti: Campofiorito,Villafranca,Campobello,Campofranco,Camporeale,Belmonte,Altavilla,
Roccamena, Villafrati.

Attorno a Campofiorito, nascono tentativi di industrializzazione, con la conceria e con la produzione dei materiali di costruzione, la calce ed il gesso,.che rappresenteranno, fino alle soglie degli anni sessanta, una fonte di approvvigionamento dei materiali fondamentali per l’edilizia e non solo per quella povera dei comuni del circondario.

Della nascita della città usufruiscono gli artigiani dei comuni vicini di Bisacquino, Corleone, Chiusa Sclafani, Prizzi, Giuliana, Contessa Entellina, ed i paesi sicani hanno ormai già risorse comuni e maestranze interscambiabili.

Ragioni di sicurezza del latifondo, ragioni di lavoro, di esplosione demografica (vedi Palermo), di ripopolamento, di necessarie produzioni cerealicole, determinatesi dopo il terremoto del 1693 ,stanno alla base di una positiva politica economico-sociale, che investe la Sicilia, in maniera preponderante.

E nella storia appare un contributo innovativo a modificare l’assetto fondiario e culturale, come
sottolinea Marchese ,citando una ricerca del giornalista Dino Paternostro (6) “pe r effettuare la presenza di sempre più numerosi abitanti, infatti, il Principe procedette al frazionamento delle terre e alla loro concessione, tanto che gli enfiteutica da 46, che erano nel 1774, aumentarono a 133 nel 1811 e a 146 nel 1817.Le rimanenti terre vennero condotte in gabella ed affidate ad un unico affittuario”.
Ora però vogliamo invitare i lettori e gli amministratori comunali ad utilizzare per le Biblioteche comunali e per le scuole il volume al nostro esame.
Tra i Comuni coinvolti nelle ricerche ricordiamo sommariamente:
Montemaggiore Belsito (contributo di Giovanni Mendola), Calamonaci (con le maestranze e la sua economia,l’esempio che riporta Giovanni Moroni),Villafrati e Cefalà Diana (dello studioso Giuseppe Oddo (9), Marineo, Il barone e il popolo (Antonino Scarpulla), Serradifalco (Alberico Lo Faso ), Monforte San Giorgio (Giuseppe Ardizzone Gullo), Chiaramonte e Monterosso nel 1593 (Gianni Morando)), Ventimiglia di Sicilia (Arturo Anzelmo), Montalbano (Alfio Seminara).

Ed ancora, Prizzi (Carmelo Fucarino), Caltabellotta (Angela Scandagliato), Acquedolci e Capo D’Orlando (Antonino Palazzolo), Cammarata (Domenico De Gregorio), Campofranco (Giuseppe Testa). Per la Val di Noto (Marisa Buscemi), per Sciacca (Ignazio Navarra), Polizzi (Vincenzo Abbate), Alcara Li Fusi (Angela Mazzè), Bivona (Antonino Marrone),Castelbuono(Rosario Termotto).

La ricerca non poteva non toccare anche Enna , Tortorici, Petralia Sottana, Isnello, Contessa Entellina (Calogero Raviotta), Palazzo Adriano (Antonino Cuccia). .

Ci riserviamo ,pertanto, di presentare gli altri comuni interessati a questo storico evento librario,.scusandoci con gli storici locali, che hanno collaborato allo studio originale e ricapitolativo di quanto finora conosciuto solo dagli esperti e degli addetti ai lavori e non citati in questa nota.
.
La ricerca spazia ,infatti, nel territorio dell’intera Sicilia e merita informazioni e riflessioni attente di apprezzamento per gli studiosi e per la fatica immane del curatore .

Torneremo sull’argomento ,quando i sindaci e il presidente della Provincia regionale di Palermo G.Avanti presenteranno ufficialmente la meritevole pubblicazione.

Ferdinando Russo
onnandorusso@libero.it

1)G.Bufalino,Nunzio Zago,Cento Sicilie ,testimonianze per un ritratto,La Nuova Italia editrice,
Scandicci,Firenze 1993

2)A,G.Marchese (a cura),L’isola ricercata,inchieste sui centri minori della Sicilia secoli XVI-XVIII,Atti del Convegno di studi (Campofiorito,12-13 aprile 2003-Provincia Regionale di Palermo

3) A.G.Marchese, Insula ,Ila Palma Mazzone Produzioni dicembre 2009 (vedi anche Orizzonti Sicani aprile 2010)

4)F.Russo ,I centenari di A.G.Marchese vivono a Giuliana in http://www.google.it e in http://www.maik07.wordpress.com

5)M.Renda I nuovi insediamenti del 600 siciliano.Genesi e sviluppo di un comune (Cattolica Eraclea,in M.Giuffrè (a cura di) Città nuove di Sicilia,Palermo 1979

6)D.Paternostro,Campofiorito:nato dal sogno di un principe il primo giorno di Primavera,dattiloscritto del 1991,Archivio comunale di Campofiorito,p.5

9)G.Oddo,Lo sviluppo incompiuto,Storia di un comune agricolo della Sicilia occidentale,Villafrati 1596-1960,Palermp1986

ROSARIO LA DUCA:GUIDA AGLI SCRITTI.

PRESENTATO IL SOGNO di ROSARIO LA DUCA IL MUSEO DELLA CITTA’ DI PALERMO NEL SAGGIO BIBLIOGRAFICO DI FRANCESCO ARMETTA.

di Ferdinando Russo

L’istituzione della “Cattedra per l’Arte cristiana in Sicilia-Rosario La Duca “, presso la Facoltà Teologica di Sicilia ,voluta e promossa dall’arcivescovo metropolita Ecc.za mons.Salvatore Romeo ed aperta con le prolusioni dei proff. H.Pfeiffer e C.Valenziano ,ha preceduto la presentazione del volume di Franco Armetta sull’imponente lascito culturale dell’ing.La Duca sulla città di Palermo,ora scientificamente e organicamente raccolto. Si è dato così l’avvio all’inaugurazione di una di una stagione di attività della cattedra con una serie di eventi organizzati dal Preside dell Facoltà Prof.Don Rosario La Delfa, con la prima pubblicazione del voluminoso saggio di Armetta, docente e segretario della Facoltà dal titolo ,”Rosario La Duca,Guida agli scritti “(1). Si tratta di significativi contributi offerti dalla Chiesa di Sicilia alla Settimana nazionale della Cultura.

Le iniziative ,che si collegano all’apertura dei Musei diocesani ed all’orario flessibile di chiusura delle chiese, per i fedeli ed i visitatori, auspicato e realizzato dal volontariato e dalle confraternite laicali, non appaiono cosi’ isolate e provvisorie , mentre non sono nuove le pubblicazioni del Centro per lo studio della storia e della cultura della Sicilia “Mons.A.Travia “, che cura la collana Storia e cultura di Sicilia, poichè sviluppano un programma scientifico-culturale di offerte alla comunità.
Tra queste l’annuncio dell’imminente pubblicazione del “Dizionario enciclopedico dei Pensatori e dei Teologi di Sicilia dei secoli:XIX e XX “, in cinque volumi ,anch’essa curata dal prof. Francesco Armetta. (2)

Le citate manifestazioni rappresentano le espressioni piu’ vivaci e significative, di una chiesa locale, che vede i suoi laici e i religiosi impegnati in attività scientifiche e culturali, volte alla comunità e sviluppatesi attorno alla ormai apprezzata Facoltà teologica di Sicilia, che ha registrato la sua crescita nell’area mediterranea ed i suoi servizi , attraverso i contributi e la guida dati da illustri presidi, quali C.Valenziano, S.Di Cristina, C.Naro,A. Raspanti .ed ora La Delfa sostenuti, nella loro fatica, dagli illuminati Pastori e Gran Cancellieri della Facoltà: Pappalardo, De Giorgi e Salvatore Romeo.

Ed è indicativa notare la partecipazione del laicato intellettuale isolano alla vitalità culturale ecclesiastica e teologica della chiesa, nell’ambito promozionale della ricerca e dell’amore per i beni culturali delle città, come è emersa alla presentazione del volume di F.Armetta da parte dello storico dell’Arte e pubblicista, prof Sergio Troisi, del prof.Francesco Lo Manto, della direttrice della Biblioteca della Facoltà, prof.Francesca Massaro ,dal prof.C.Scordato e dall’instancabile autore, presenti e intervenuti all’inaugurazione della nuova collana di ricerche proposta i istituita proprio dalla Cattedra R.La Duca.

La scelta del Prof.Rosario la Duca- ,laico ,e inizialmente non credente (termine forse improprio se si riflette sull’opera, la vita e la decisione) ,di legare alla Facoltà Teologica di Sicilia il destino della sua ricerca storica e del patrimonio culturale da lui amorevolmente raccolto, conservato e valorizzato- è descritta nella presentazione del saggio dal preside della facoltà La Delfa.

Come si evince dal volume di Armetta, il prof ing.Rosario la Duca testimonia il significativo e recente gesto di un laico della Chiesa di Palermo, con -un atto coraggioso del “credere”, che tutto in ultimo abbia un senso-,o come soleva ripetere il prof.La Duca al cugino Gaetano Lo Manto,”del credere in chi veramente crede” mentre dichiarava in una nobile intervista a G.Bonanno.sulla Facoltà Teologica:”Gli uomini che la dirigono e che vi insegnano credono veramente nella cultura.”

Questo storico”anomalo” ,come lo ha definito il Prof.Troisi, ha amato la città di Palermo ,come i suoi figli illustri ( Salomone, G.Pitrè, E.Onufrio, Gaston Vuiller, Luigi Natoli, Basile, Culotta, Urbani, Mignosi, Mangano, Fatta , Petix, Sinagra, Mazzamuto, Crifò, Albanese, Averna, Caramella, Riccobono, Palumbo ) senza legami di rigida appartenenza con le correnti storiche del tempo, con la passione civile per mettere a servizio degli altri tutte le sue conoscenze.. .

Con il suo gesto verso la Facoltà Teologica ,infatti, Rosario La Duca, come ha ricordato La Delfa, nella citata presentazione,-permette che la conoscenza da lui perseguita non si esaurisca in se stessa o in lui medesimo, ma continui nella comunicazione agli altri con le sue intuizioni, con la ricerca di “ulteriorità” della storia e con l’intuizione che la storia non possa contenere da sola la sua domanda.
Culturale e religiosa diventano così non semplici sinonimi l’uno dell’altro,ma condizioni ultime dell’essere di una domanda dinanzi alla sua risposta.
L’atto di Rosario la Duca ,anche nella sua esemplare decisione e fiduciosa magnificenza, non è e non resterà isolato..
Ha precedenti eloquenti, basta ricordare il Fondo Caramella , accompagnato,di recente, dal gesto della sorella del Prof.Antonino Castagnetta, la sig.ra Cav.Rosa, di consegnare il patrimonio librario del fratello, docente e filosofo rosminiano dell’Università di Palermo ,e già dirigente dell’Azione Cattolica, alla Biblioteca della facoltà di Teologia..
Né vanno dimenticate l’ azione testamentaria del prof.Benedetto Messina ,artista multiforme di Monreale ,(4) tra i fondatori dell’UCAI e del Serra Club , che ha donato, attraverso la Caritas, parte del suo patrimonio ai ragazzi e molte sue opere museali al Comune; le mostre dei soci dell’UCAI di Palermo ,su opere ispirate dal Vangelo e dalle condizioni sociali dei quartieri periferici, presentate in molte città della Sicilia; l’iniziativa della giornalista Giulia Di Maggio Sommariva di donare i diritti della pubblicazione- del volume “Palermo cento chiese in ombra”(5) al Seminario Arcivescovile; la mostra della Galleria Studio 71 della Via Crucis degli artisti palermitani,.
che hanno offerto le loro opere di ispirazione religiosa al Museo diocesano.Ed è questo un sentirsi pienamente Chiesa di tanta parte del “laicato “post conciliare ,responsabilizzato dalla gerarchia nelle attività culturali e artistiche e anche in quelle civili, come sarà presto evidenziato dall’enciclopedia di F.Armetta (3) ,la cui pubblicazione è stata annunciata per il 17 Giugno. Il dizionario rappresenta,infatti, un imponente documento culturale su 1000 autori , 160 collaboratori ,programmato e curato dal Nostro, in anni di lavoro e di ricerche a servizio della città di Palermo,quasi primo emulo dell’insegnamento di La Duca, per costruire il futuro dell’Isola , ricordando il suo passato e quello dei suoi pensatori ,filosofi,teologi, spiriti eletti e creativi. E la Sicilia con la sua Palermo, sconosciuta, dimenticata, “felice”,con “la città perduta”,e passeggiata”,(titoli di sue opere 2001-2003), segreta, “cercata”, ammirata ,denigrata e disamata spesso da molti suoi concittadini, la Sicilia del poeta Ignazio Buttitta, e di Albanese, di Cottone, di Muccioli, Crifò, Mazzamuto, e dei contemporanei :Elio Giunta, G.Giacopelli, A.Gerbino, N.Romano,T.Romano, F.Luzzio, N.Alongi, A.G.Marchese, N.Balletti, F.Alaimo, Bonfiglio, N.D’Aquila, F.Vitali, O.Campanella, con una storia tante volte dilapidata ,con il sacco e lo scempio di opere, luoghi, monumenti, scritti, archivi, con le magnifiche tele “incarcerate” nei palazzi della giustizia o della burocrazia, o depositate nei magazzini delle Sovrintendenze, acquisterà una identità più complessa, stratificata, ritroverà testimonianze e valori e formerà un tessuto culturale di conoscenze apprezzabili,di speranze,su cui costruire il futuro.
Lo voleva La Duca., con i suoi allievi, con gli estimatori, presenti alla manifestazione in suo onore, M.Silvestri, S.Butera, S.Di Prima, P.Balistreri, F.Russo, F.Magno, S.Cambria, C.Barbera, Vacca, Lima, Scuderi, Riccobono, Antonia ,Giuseppa, Olga e Salvatore Armetta, G.Lo Monte, U.Russo, E.Guccione e tanti docenti della Facoltà.

Nel volume di Armetta troviamo ora l’indice commentato, nelle diverse tipologie, delle ricerche di La Duca : scritti di denuncia e di amore , progetti, documenti, stampe, introduzioni, presentazioni, prefazioni disegni, bibliografie,monografie e opuscoli, articoli pubblicati in riviste,in opere collettanee, nel” Giornale di Sicilia”,e nel “L’Ora”, curatele di opere,note di risposta agli alunni delle scuole cittadine .E qui,scrive Armetta,-la risposta è quella di un grande spirito educativo,di uno che ama la sua città e che trova i modi opportuni per farla amare anche ai giovani-.

Ora resta l’invito e la curiosità a ripercorrere e rileggere :“La Cartografia generale della città di Palermo e antiche carte della Sicilia(1975),Palermo ieri e oggi, (1990-1997) ,Il repertorio bibliografico degli edifici religiosi di Palermo,Gli edifici entro le mura e fuori le mura (1994-1997).

Armetta ci introduce e ci conduce, con gli scritti di La Duca ,a scoprire la città, ad amarla,offrendoci una guida della “città fantasma”, (ironia di La Duca), ma ricca, completa,.osservata in ogni suo angolo,strade, ,piazze, chiese, conventi ,ville, mercati, teatri,
da un analista scrupoloso,da un ingegnere di talento,da un figlio amoroso che non vuole piangere sulle rovine della storia ma far rivivere tutte le opere della creatività umana .

Ed infine il Nostro autore ci fa conoscere, nel suo magnifico saggio, il sogno che R.La Duca gli confida e che ha inseguito per decenni : il sogno progettuale del “Museo della Storia della città “per prenderne tutti coscienza con la comprensione del presente per realizzare il cammino di sviluppo sostenibile.

Ad altri, la realizzazione. Gli assessori delle istituzioni locali e regionali delle Settimane della Cultura non saranno insensibili alle provocazioni progettuali che attendono ora promotori ed esecutori .

Nella Biblioteca di R.La Duca ,custodita ora nel Fondo bibliotecario omonimo ,dalla Facoltà Teologica ,sono attesi studenti e ricercatori delle Università per l’esame dei numerosi ulteriori inediti , di architettura religiosa ,di toponomastica, di bibliografia delle città siciliane, ed altri scritti utili ad evitare il dissesto delle città di domani.
Il curatore degli scritti , Armetta che li ha raccolti, con la passione dello scienziato, del filosofo,del teologo, ne sarà orgoglioso e li accompagnerà con le sue opere e pubblicazioni, che già consegnano agli studiosi ed agli operatori culturali il cammino del pensiero di un “laicato” presente nella Chiesa di Sicilia e non sempre conosciuto e stimato..

Ferdinando Russo
onnandorusso@libero.it .

1)F.Armetta ,Rosario La Duca,Guida agli scritti,Salvatore Sciascia Editore,Caltanissetta,Febbraio 2010-

2)Centro per lo studio della storia e della cultura di Sicilia, della Facoltà Teologica di Sicilia,,Notiziario N.4,dicembre,2006

3)F.Armetta, Dizionario Enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia Secc.XIX e XX,in cinque volumi ,Caltanissetta-Roma,2010

4)F.Russo ,Benedetto Messina in http://www.Vivienna.it aprile 2010, e http://www.google.it

5)G.Sommariva Cento Chiese in ombra,FlaccovioPalermo

6)S.Troisi in Repubblica,Aprile 2010

7)F.Russo,Pietro Mazzamuto ,I due ladri, Memeo, Il diavolo e l’Olio Santo,in CNTN -Annate -2003-2004-2005-2006-2007,e in particolare in Anno VI,n.19,gennaio http://www.vivienna.it,www.google.it; http://www.yuotube.com alla voce Pietrp mazzamuto

8)E.Giunta ,La mia città ,pirali,Firenze,2006

9)G.Bonanno ,Intervista a Rosario la Duca, in Dimensione Sicilia,Anno2, N.1, Gennaio 84

Bruno Ridulfo:il sindaco pittore di Corleone.


BRUNO RIDULFO
IL SINDACO PITTORE DELL’AZIONE CATTTOLICA
DA RICORDARE NELLA SETTIMANA DELLA CULTURA
UNA PROPOSTA PER UNA MOSTRA ANTOLOGICA ALLA MEMORA DEL SINDACO E ARTISTA AUTODIDATTA PER BISOGNO E VOCAZIONE

di Ferdinando Russo

La settimana della cultura, promossa nel Paese, aprendo musei e monumenti, spesso chiusi o non visitabili, o pienamente fruibili, stimola ogni realtà o istituzione locale ad una riflessione sui patrimoni artistici nascosti o comunque non ancora divenuti coscienza diffusa delle identita, e del valore delle eredità delle opere lasciate da molti spiriti eletti.
Su costoro non può e non deve cadere l’indifferenza delle comunità.Da qui la proposta per una mostra antologica alla memoria di Bruno Ridulfo, sindaco e artista autodidatta, per bisogno e vocazione.

Ammirevoli in questo senso il Convegno promosso, nelle terre sicane e del Belice a Campofiorito, dal sindaco Giuseppe Sagona e dallo storico A.G.Marchese sul patrimonio storico e identitario delle piccole comunità e la Giornata dedicata a Antonino Ferraro, organizzata a Castelvetrano dal sindaco Pompeo e dall’Assessore Calcara, nel quattrocentesimo anno dalla morte dell’artista e nel quadro delle celebrazioni Ferrariane, proposte da docenti e studiosi delle opere lasciate nel territorio siciliano dalla dinastia dei Ferraro, come è avvenuto a Corleone, per la statuaria religiosa in legno e prossimamente è prevedibile a Burgio, a Caltabellotta, a Mazara, a Trapani .
Ed è proprio la recente manifestazione di Corleone che ci porta, durante la settimana della cultura, a segnalare agli amministratori di questa città ed ai proprietari di sue opere un artista che non va dimenticato: Bruno Ridulfo (1929-1998) .
E’ stato un pittore molto amato dai corleonesi, che ne conservano i quadri, andati sempre a ruba nelle mostre organizzate in Italia ed all’estero, ed il suo ricordo permane nelle istituzioni culturali e tra le associazioni degli emigranti con le mostre a NewJork, in Svizzera e in Germania.
Quando la fama delle sue pitture raggiunse l’estero, negli ultimi anni della sua attività, avvenne che nell’estate di ogni anno arrivavano nella sua abitazione di Corleone i galleristi d’oltre oceano ed acquistavano in blocco tutta la sua produzione.

Era ricercata dagli emigranti del corleonese e non interessava il prezzo d’acquisto.
Più volte gli proposi un’antologica delle sue opere migliori e l’invito a fotografare i quadri che allestiva, ma l’umiltà di certi artisti non ammette l’autoesaltazione e non riuscivo a strappargli che qualche catalogo stampato in fretta, come in fretta percorreva la sua esistenza.
Ridulfo partecipò, da protagonista, negli anni ottanta del secolo scorso, alle Mostre della Cooperativa “Mediterranea Arti”, organizzate a Palermo nella Biblioteca regionale di Casa Professa, a Giuliana nel Castello di Federico II, a Campofiorito, a Corleone, ad Altofonte, e promosse dagli Architetti Vittorio Noto, Pippo Romeo, Angelo Mulone, Giangaspare Russo, Angelo Rocca, Enrico Ortoleva, Francesco Parisi, Salvatore Emmolo, Enza Orestano, Nicola Ribaudo, aiuto sceneggiatore di “Cinema paradiso”, dal maestro Massimo Crivello e da Patricia Falcone ().
Le opere, che Ridulfo ha lasciato sono ora in possesso dei nipoti Cutrone (Antonino e Giuseppe) e Ridulfo, dei suoi numerosi amici, sparsi in ogni parte del mondo e padre Calogero Giovinco, nel suo peregrinare tra gli emigrati, non è detto che non ne recuperi alcune, per la sua ammirevole attività Museologica dell’area sicana e del Belice.
Il comune di Corleone non farebbe torto alla sua tradizione artistica d’essere patria di Giovanni Naso, di Giuseppe Vasi, di Santo Governali, Di Gaetano Ferina e in epoca a noi più recente di Pippo Rizzo (1897-1964) se allestisse,con le istituzioni scolastiche e le associazioni culturali locali, dopo il decennale dalla scomparsa, un mostra alla memoria di Bruno Ridulfo , certamente gradita a quanti hanno avuto la possibilità di acquistare un suo quadro o di averlo avuto in regalo, come spesso capitava, ai suoi amici per battesimi, cresime e matrimoni, per esporlo in una mostra antologica alla memoria.
Solo una tela con il “Cristo crocefisso” conservava nel suo salotto di Corleone, attestato pubblico della sua fervida fede centrata su Cristo e del culto corleonese per “U Signori r’à Catina”.
Ridulfo è stato anche, per un breve periodo, sindaco della brava gente, del popolo, del mondo cattolico del corleonese.
Fu molto stimato,come laico credente, dagli arcivescovi Carpino, Romano, Catarinicchia, Bommarito, Bacile.La sua sindacatura del Comune di Corleone è raccontata da Dino Paternostro nel saggio “L’antimafia sconosciuta-Corleone 1893-1993” e nelle cronache di Città nuove (2).
Apprendiamo che quella passione e scoperta vocazione per la pittura, da autodidatta, forse è una via di fuga, quando il suo impegno nella politica comunale gli tolse la possibilità di avere un reddito minimo.
Gli era stato congelato, per aspettativa non retribuita, lo stipendio d’impiegato al Banco di Sicilia, nella sua città natale.
Il nostro non era fatto per la politica, ma per la riflessione, per l’arte, per la meditazione, per la vita religiosa, per la testimonianza, da laico credente. Per la sua comunità auspicava da sindaco “un riscatto morale e culturale”, negli anni difficili di Corleone.
Mons.Alfonso Bajada, recentemente scomparso. Si dedicava con passione alla formazione dei ragazzi della Gioventu’ cattolica, nella Parrocchia della Chiesa Madre, ma già allora era deciso, volitivo, impegnato nell’apostolato.
In estate partecipava a S.Maria del Bosco alle “Tre Giorni” di studio e preghiera ed ai campi scuola, organizzati dalla GIAC, nei locali del Seminario estivo dell’Archidiocesi.
Vi facevano capolino da assistenti con Mons.Calogero Di Vincenti, decano di Bisacquino, Bajada, Marchisotta, Cuccì, Bommarito, Catarinicchia, Pasquale Bacile e da relatori Emanuele Romano, Giuseppe Petralia, Francesco Carpino e dirigenti locali dell’Azione Cattolica, Li Calsi, Contorno, Lombino, Pioppo, Colletti, Di Giorgio, Lo Grasso, Viola, Clesi.
Apprendevamo le prime nozioni della Dottrina Sociale della Chiesa.
Meditavamo su come costruire nel corleonese città più umane, non violente, pacificate, colte, amanti delle arti e della santità. Nella Corleone del dopoguerra, la guerra interna continuava ed il san Leoluca e Bernardo e tutti gli altri, scolpiti nella statuaria d’Antonino Ferraro e dei suoi emuli, sembrava l’avessero abbandonata.
A Ridulfo erano vicini il giovane prof.Mario Mancuso, compagno delle lunghe passeggiate nel corso, dalla Piazza a San Leoluca, e talvolta Salvatore Mangano, anche lui con la passione per i santi locali ed ancora Leoluca Pollara,autore di un saggio su “L’Addolorata”, Biagio ed Ernesto Governali, le sorelle Patti, Don Domenico Piraino, il maestro Comaianni, il giornalista Nonuccio Anselmo, il prof.Giuseppe Governali.
La Gioventù dell’azione Cattolica di Monreale sarebbe stata diretta dalla operosa, entusiasta guida di Ridulfo .Dopo Ridulfo, dai suoi collaboratori: Rino Terranova, Pino Viola, Piero Terzo, Domenico Cavarretta,(Ficuzza),Ignazio Marretta (Prizzi)e da Salvatore Mangano,(Corleone), già presenti nella GIAC degli anni sessanta e settanta.
I primi anni sessanta ci videro impegnati con Bruno Ridulfo, oltre che nell’Azione Cattolica di Carlo Carretto e Mario Rossi, nelle ACLI di Livio Labor con S.Migliaccio, M.Nuara, N.Alongi, S.Serio, Pippo Vitale, Gaetano e Salvatore Liardo, Totuccio Terranova, Elio Russotto, e cresceva in noi la disponibilità a recuperare, per allargare gli spazi della democrazia, attorno ai valori del cristianesimo, nella politica del paese, quanti apparivano lontani dall’esperienza democratica, a volte, per nostre inettitudini, infingardaggini, inesperienza civica, non eccelse testimonianze, rigidità ideologiche.
Ridulfo, tra noi, è stato un profetico “apripista” nei rapporti della DC con le componenti socialiste di Corleone e dovette dimettersi, per quella scelta, da laico responsabile, da presidente dell’Azione cattolica della diocesi di Monreale.Inventore della lista dei cattolici democratici di Corleone “Rinnovamento cittadino”, era un cattolico molto vicino alla curia arcivescovile di Monreale, scrive un giornalista di valore suo concittadino, (1) che l’aveva voluto presidente diocesano dell’Associazione Cattolica; un uomo irrequieto, che rimase affascinato dal nuovo clima, che si respirava nella Chiesa sotto la guida di Giovanni XXIII>.
“Anticipando ciò che sarebbe avvenuto a livello regionale e nazionale “, si battè per sperimentare a Corleone l’apertura della maggioranza ai socialisti. La sera del 14 maggio ‘61 fu uno dei primi sindaci del centro-sinistra d’Italia, eletto con i voti della DC, del PSI, dell’UCS(i cristiano sociali)e di una Lista civica.<Pur in assenza dei comunisti, che si erano astenuti, ”scrive Dino Paternostro, ”lo scandalo fu grande nel mondo cattolico corleonese, ancora di più, fuori”.
La prima breve esperienza di sindaco si sarebbe conclusa presto. Il 7 Gennaio ‘62 Bruno Ridulfo si presentava dimissionario da consigliere comunale per la forte opposizione di tre esponenti democristiani della Giunta da lui presieduta (Liggio, Lisotta e Verro).
Mi fu vicino nella competizione elettorale nazionale del ‘68, alla mia prima presenza in politica, con Alongi, Migliaccio, Cimino, Cinà, La Greca, Nuara, Orlando, Alessi, Maltese, Zacco, Mangano, Contorno, D’Asaro, Purpura, Maniaci, Montadoni, Clesi, Canzoneri, Caruso, Ribisi, Mocciaro, Messeri, Milazzo, Pollichino, Giaccone, G.Tomasino.
Fummo, sin da allora, simpatizzanti del gruppo politico di Carlo Donat Cattin e di Vittorino Colombo. Organizzatori, sulla scia di Pastore, della corrente delle forze sociali della DC, poi Forze Nuove, in Sicilia con G.Conte, N.Muccioli, E.Primavera, G.Gerbino, G.Sinesio, G.Vitale, E.Russotto, L.Preti, F.Morgante, G.Maniaci, V.Purpura, M.Carlino, D.Alessi, S.Serio, N.Cavallaro.
E per una città più umana (Alongi a Palermo sperimentava, con alcuni giovani aclisti, il movimento Città per l’Uomo), ma Ridulfo era ora assorbito dalla scoperta della nuova vocazione artistica e continuava a dipingere le sue tele, a lanciare messaggi per l’ambiente, per la natura, per l’acqua, tanto necessaria alle campagne, che raccoglieva nei laghi sognati, trasposti nelle tele, ed esposti nelle sale comunali, come speranze di lavoro, di sviluppo e di innovazione in agricoltura.
Era tornato in Banca, dopo l’esperienza d’amministratore comunale e per noi non era più il politico, ma il pittore dei tramonti, dei paesaggi naturali, esplosione di vita, il laico cattolico fervente e generoso, il cantore della vita che muta ad ogni stagione.
Nel suo orizzonte pittorico: I Pini rossi al tramonto per il sole ed il sangue sparso nelle campagne della strada provinciale Palermo Corleone Agrigento, i boschi verdi di Ficuzza, le greggi di Rocca Busambra e di Godrano, (il paese del poeta Giardina, del critico d’arte Carbone, dove avrebbe fatto sosta da Parroco Don Pino Puglisi), il paesaggio nevoso di Chiosi, nelle cui vicinanze insedia un suo laboratorio pittorico, le agavi della Sicilia ambiziosa, superbe della non curanza ed i campi gialli, rossi, azzurri di fiori senza colture ,delle brevi primavere del territorio dei Sicani.
La vita di Ridulfo, da giovanissimo educato nell’azione cattolica, era stata cadenzata dagli studi classici al liceo Guido Baccelli di Corleone (dove insegnavano G.Colletto, V.Mancuso, P.Mondello, G.Spatafora, G.Di Giorgio, ) e poi da quelli universitari presso la Facoltà di Legge di Palermo e quindi dal lavoro presso il Banco di Sicilia.
Lavoro, azione cattolica e poi, come sport intellettuale, quando anche il bisogno lo aiutò a scoprire la vocazione dell’arte pittorica, l’amore per il bello, per i cieli sereni, confusi con il mare, a dare speranza e serenità al lavoro duro e faticoso d’ogni giorno, a quello dei custodi dei greggi, che amava dipingere tra siepi di ginestre fiorite.
Sant’Agostino e San Tommaso i suoi autori preferiti. La sua filosofia, il Creato e la fede nel Creatore, la sua vita l’incontro con il suo prossimo, generoso e dialogante, le sue ferie a visitare
I sacerdoti che gli erano stati vicini ed ora erano pastori in diverse diocesi.
Ammirava a Monreale presso il centro della diocesi che frequentava, gli studi e l’attività del maestro pittore Benedetto Messina, che aveva conosciuto nell’azione cattolica, assieme a Bino Li Calsi, Pino Viola, Franco Mortillaro, Mario Cinà, Ferdinando Russo, Giovanni Labruzzo, Antonio Vaccaro, Pino Giacopelli, Salvatore Mangano, Francesco Riccobono, Rocco Campanella, Ignazio Sgarlata, Nino Mancuso, Domenico Cavarretta, Vincenzo Ciacciofera, e con loro, Greco,Terzo,Terruso, Vaglica, Mortilaro, Sirchia, artisti, poeti, musici, saggi e coraggiosi amministratori.
Apprezzava il maestro Pippo Rizzo, suo compaesano, adoratore della legalità, che racchiudeva e rappresentava nei carabinieri in divisa, il presidio della sicurezza e dell’ordine ed il giovane concittadino Biagio Governali, scultore di valore, che nelle piazze dell’Isola ricordava gli emigranti ed i santi del nostro tempo, ed era presente, senza gelosie, ma con consigli e richiami alle mostre dei giovani artisti corleonesi suoi emuli.
Rivedere in una mostra antologica, nella sua Corleone, una parte delle sue opere, per iniziativa dell’amministrazione di cui è stato un solerte appassionato operatore culturale e politico, sognatore di una nuova primavera e di un progetto di libertà e di partecipazione, faticosamente portato avanti,sarà un invito ad apprezzare e scoprire maggiormente il lavoro dell’artista che c’è in tutti noi, nascosto come, per anni, in Bruno Ridulfo e che può svelarsi nel bisogno, come nell’impegno, di ciascuno un contributo alla scoperta a fare ciò a cui si è vocati.
E quanti sono in possesso di opere dell’artista corleonese potranno farsi promotori e collaboratori di una tale timida proposta.
Terramia può anche in tale occasione partecipare alla settimana della cultura segnalando al Comune di Corleone ed all’associazionismo di detta città quanti tra i lettori hanno conosciuto il laico dell’azione cattolica che visse per l’arte e per l’impegno religioso e sociale.

Ferdinando Russo
onnandorusso@libero.it

1)D.Paternostro,L’antimafia sconosciuta Corleone (1893-1993,Prefazione di Luciano Violante-Editrice la Zisa,1994

2)F.Russo ,Patricia Falcone in http://www.vivienna.it, del 2009.o in http://www.google.it alla voce Patricia Falcone ed in http://www.maik07.wordpress.com

3)G.Cerasa in La repubblica del 6-10-85)

4)D.Paternostro,Città nuove-Corleone-Il giornale on.line della zona del Corleonese

5)F.Russo ,in Benedetto Messina in http://www.google.it ,in http://www.vivienna.it

6)F.Russo , Nelle terre sicane e del Belice alla ricerca di un grande artista in http://www.orizzontisicani.it

Quello di cui abbiamo bisogno è una giustizia a noi impossibile.

di Julián Carrón

Caro direttore,
mai come davanti alla dolorosissima vicenda della pedofilia tutti abbiamo sentito tanto sgomento.
Sgomento dovuto alla nostra incapacità di rispondere all’esigenza di giustizia che veniva fuori dal profondo del cuore.

La richiesta di responsabilità, il riconoscimento del male fatto, il rimprovero degli errori commessi nella conduzione della vicenda, tutto ci sembra totalmente insufficiente di fronte a questo mare di male. Niente sembra bastare. Si capiscono, così, le reazioni irritate che abbiamo potuto vedere in questi giorni.

Tutto questo è servito per mettere davanti ai nostri occhi la natura della nostra esigenza di giustizia. È senza confini. Senza fondo. Tanto quanto la profondità della ferita. Incapace di essere esaurita, tanto è infinita. Per questo è comprensibile l’insofferenza, perfino la delusione delle vittime, anche dopo il riconoscimento degli errori: nulla basta per soddisfare la loro sete di giustizia. È come se toccassimo un dramma senza fondo.
Da questo punto di vista, gli autori degli abusi si trovano paradossalmente davanti a una sfida simile a quella delle vittime: niente è sufficiente per riparare il male fatto. Questo non vuol dire scaricarli della responsabilità, tanto meno della condanna che la giustizia potrà imporre loro. Non basterà neanche scontare tutta la pena.

Se questa è la situazione, la questione più bruciante – che nessuno può evitare – è così semplice quanto inesorabile: «Quid animo satis?». Che cosa può saziare la nostra sete di giustizia? Qui arriviamo a toccare con mano tutta la nostra incapacità, genialmente espressa nel Brand di Ibsen: «Rispondimi, o Dio, nell’ora in cui la morte m’inghiotte: non è dunque sufficiente tutta la volontà di un uomo per conseguire una sola parte di salvezza?». O, detto con altre parole: può tutta la volontà dell’uomo riuscire a realizzare la giustizia a cui tanto aneliamo?

Per questo anche quelli più esigenti, più accaniti nel pretendere giustizia, non saranno leali fino al fondo di se stessi con la loro esigenza di giustizia, se non affrontano questa loro incapacità, che è quella di tutti. Se questo non accadesse, soccomberemmo a una ingiustizia ancora più grave, a un vero “assassinio” dell’umano, perché per poter continuare a gridare giustizia secondo la nostra misura dovremmo far tacere la voce del nostro cuore. Dimenticando le vittime e abbandonandole nel loro dramma.

Nella sua audacia disarmante è stato il Papa, paradossalmente, a non soccombere a questa riduzione della giustizia a una misura qualunque. Da una parte, ha riconosciuto senza tentennamenti la gravità del male commesso da preti e religiosi, li ha esortati ad assumersi le loro responsabilità, ha condannato il modo sbagliato con cui è stata gestita la vicenda per paura dello scandalo da parte di alcuni vescovi, esprimendo tutto lo sgomento che provava per i fatti accaduti e prendendo dei provvedimenti per evitare che si ripetano.
Ma, dall’altra parte, Benedetto XVI è ben consapevole che questo non è sufficiente per rispondere alle esigenze di giustizia per il danno inferto: «So che nulla può cancellare il male che avete sopportato. È stata tradita la vostra fiducia, e la vostra dignità è stata violata». Così come il fatto di scontare le condanne, o il pentimento e la penitenza dei fautori degli abusi, non sarà mai sufficiente a riparare il danno arrecato alle vittime e a loro stessi.

È proprio il suo riconoscimento della vera natura del nostro bisogno, del nostro dramma, l’unico modo per salvare – per prendere sul serio e per considerare – tutta quanta l’esigenza di giustizia. «L’esigenza di giustizia è una domanda che si identifica con l’uomo, con la persona. Senza la prospettiva di un oltre, di una risposta che sta al di là delle modalità esistenziali sperimentabili, la giustizia è impossibile… Se venisse eliminata l’ipotesi di un “oltre”, quella esigenza sarebbe innaturalmente soffocata» (don Giussani). E come il Papa l’ha salvata? Appellandosi all’unico che può salvarla. Qualcuno che rende presente l’aldilà nell’aldiqua: Cristo, il Mistero fatto carne. «Egli stesso vittima di ingiustizia e di peccato. Come voi, egli porta ancora le ferite del suo ingiusto patire. Egli comprende la profondità della vostra pena e il persistere del suo effetto nelle vostre vite e nei vostri rapporti con altri, compresi i vostri rapporti con la Chiesa».
Fare appello a Cristo, dunque, non è cercare un sotterfugio per scappare davanti all’esigenza della giustizia, ma è l’unico modo di realizzarla.
Il Papa si appella a Cristo, evitando un scoglio veramente insidioso: quello di staccare Cristo dalla Chiesa perché troppo piena di sporcizia per poterlo portare. La tentazione protestante sempre è in agguato. Sarebbe stato molto facile, ma a un prezzo troppo alto: perdere Cristo. Perché, ricorda il Papa, «è nella comunione della Chiesa che incontriamo la persona di Gesù Cristo». E per questo, consapevole della difficoltà di vittime e colpevoli a «perdonare o essere riconciliati con la Chiesa», osa pregare perché, avvicinandosi a Cristo e partecipando alla vita della Chiesa, possano «arrivare a riscoprire l’infinito amore di Cristo per ciascuno di voi», l’unico in grado di sanare le loro ferite e ricostruire la loro vita.

Questa è la sfida davanti alla quale siamo tutti, incapaci di trovare una risposta per i nostri peccati e per quelli degli altri: accettare di partecipare alla Pasqua che celebriamo in questi giorni, l’unico cammino per veder rifiorire la speranza.

Tratto da:Repubblica del 4-04-2010.