Dalla Sicilia alla Puglia.La Festa di San Giuseppe.

talmus san giuseppe
volantinoSGiuseppe
talmus Sgarbi Musardo
Il volume è stato presentato dal Prof. Vittorio Sgarbi e dal Prof. Rodo Santoro su invito della Delegazione Sicilia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e la TALMUS ART EDITORE il 18 marzo presso la Chiesa di San Nicolò daTolentino, a Palermo
Dalla Presentazione:
“Lo studio di questa particolare festa della tradizione religiosa cristiana è oggi più che mai prezioso perché compendia quella civiltà contadina che oggi rischia definitivamente di scomparire.
Un libro che ne racconta l’origine e l’evoluzione, è un’opera indubbiamente meritoria. Questo, in particolare, oltre al ricco corredo fotografico, costituisce, per il rigore scientifico e per la linearità della scrittura didattica che ne fa un libro di ampia divulgazione, un prezioso contributo alla conoscenza e all’approfondimento di San Giuseppe e dei riti religiosi a lui ispirati
. ” [Vittorio Sgarbi]

Dalla Sicilia alla Puglia la festa di San Giuseppe è una semplice raccolta di santini e immagini sacre riferite al santo di Nazareth? E’ il peregrinare faticoso per paesi e città alla ricerca del misto sacro-profano? E’ l’esercizio retorico culturale per ricostruire feticismi e misticismi profani e poplari? No. E’ la saggezza mirata a rivalutare un culto che è di popolo, che è di piazza, che è di fede, che è cultura, storia e arte, senza confusioni. E’ un capolavoro di immagini e di testi, freschi di stampa, uscito in questi giorni, e concepito da chi ne è stata la curatrice, la dottoressa Vincenza Musardo Talò, per volere di una giovane casa editrice pugliese, la Talmus Art. Il santo degli artigiani, degli operai e dei falegnami; della buona morte e della vita indissolubile chiamata matrimonio, conquista un posto d’onore nella iconografia, ma, anche, nella ripresa e rivalutazione di un culto molto diffuso in due regioni meridionali: la Sicilia e la Puglia. Due realtà lontane, ma affini, definite nel testo “regioni sorelle”, perché di esse è stato colto il senso vero di una appartenenza, di una identità consacrata nella icona di un santo che pulsa nel cuore dei due popoli, segnandone la storia, i ritmi, i passi, l’autenticità di una fede; di un connubio antico, nuovo, moderno, sancito, non solo da quel mare Mediterraneo che unisce, ma dalla sacralità di due mondi che si incontrano sull’altare dell’amore verso lo sposo di Maria Vergine.
Culti isolati, personali e soggettivi, ma, anche comunitari, collettivi nella espressione di Confraternite, sodalizi religiosi, Pie Unioni. Una coralità di cuore che esprime generosità e gratitudine, senza finzioni, senza ipocrisie, senza falsi ed inutili pudori, perché la fede autentica è quella che si manifesta e non quella che viene nascosta o repressa per rispetto umano. In questa opera nuova, non è da sottovalutare il coraggio mostrato da Vittorio Sgarbi, il quale ha saputo leggere i segni di un popolo, della gente autenticamente genuina; ha saputo intercettare le istanze di fede raccolte non in un crogiuolo, non in fazzoletto bagnato di lacrime, ma nello specchio di una vita, perché la vita di Giuseppe è stato specchio di fedeltà, di servizio, di obbedienza, di silenzio, di operosità. A questo meritorio lavoro va il plauso verso i tanti che hanno collaborato con la loro esperienza, con la loro voglia di ricercare, studiare, approfondire, conoscere e far conoscere il valore di un personaggio, staccato dal cuore della storia della Redenzione, per diventare medaglia di ogni singolo credente; di ognuno che ha sentito il bisogno del rifugio sicuro e sereno in colui che protesse nel rifugio del suo cuore immenso, la vita di Maria e di suo figlio, Gesù Cristo. Brevi considerazioni le nostre. Per meglio entrare nel clima di quest’opera, abbiamo affidato il compito alla sua curatrice, Vincenza Musardo Talò, che dobbiamo definire instancabile zelante e zelatrice di una missione.(Giuseppe Massari).

Partire per un viaggio – sia pure per immagini e narrati – nel magico labirinto di antichi sapori e colori delle solari regioni di Puglia e Sicilia, le due Terre più fascinose del Mediterraneo, cariche della voce dei secoli e laboratorio interculturale di civiltà lontane…
Viaggiare per antiche e nuove contrade, nella veste di umili pellegrini della cultura, per rivisitare uno dei più ricchi patrimoni di rituali, di cui si adorna la devozione popolare: la festa di S. Giuseppe…
Entrare, con rispetto, nella intima microstoria di tante comunità, che da secoli, con la tenacia della fede e l’umiltà dei semplici, affidano il loro vissuto al patrocinio potente di questo santo Patriarca…
Questi gli obiettivi del presente volume, accostato da studiosi di legittimato spessore scientifico e documentato da un corredo iconografico, proveniente dagli scatti artistici di esperti della fotografia o dalla istantanea e fresca foto-ricordo del devoto visitatore e del turista, unitamente ad alcuni rari esemplari di piccole immagini devozionali, riemersi da prestigiose collezioni private…
E il tutto sapientemente supervisionato dall’occhio “critico” di Vittorio Sgarbi: uno dei più stimati e accreditati studiosi di Estetica, nonché profondo e severo conoscitore dell’Arte, che la contemporaneità possa vantare. Il libro racconta l’origine e l’evoluzione della festa di San Giuseppe dalla Sicilia alla Puglia. Grazie alla ricca dotazione di illustrazioni, al rigore scientifico utilizzato nella descrizione e la linearità della scrittura didattica, il libro è adatto ad un’ ampia divulgazione, ed è un prezioso contributo per far conoscere ed approfondire il culto di San Giuseppe.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Quanto la iconografia dei santini, predisposta da Stefania Colafranceschi, ha contribuito alla buona riuscita dell’impresa?

R. Attraverso un variegato universo di costumanze e tradizioni comuni, il volume legge anche un aspetto delicato e intimo della devozione popolare a san Giuseppe, raccolto e testimoniato nei santini di una volta e magistralmente esemplato nella ricerca di Stefania Colafranceschi. A guardarli, questi minuti miracoli di carta, si coglie il delicato sentire delle folle devote dinanzi a una iconografia certamente popolare, ma capace di un trasporto di emozioni e di fede robusto verso il Santo che dopo Gesù e Maria fu il terzo protagonista del progetto salvifico dell’Altissimo. E voglio anche evidenziare l’impegno e l’attenzione delle confraternite di san Giuseppe, da sempre tese a mantenere e veicolare una devozione fatta di rituali segnici, che accompagnano la religiosità popolare nell’alveo sicuro della liturgia, nel mentre si mostrano degne custodi di un prezioso serto di valori e ideali del vivere umano, tanto magistralmente esemplato nella vita del Santo falegname di Nazaret. Ma, nel complesso, l’intero lavoro di studi e ricerche, depositato e offerto in questo volume, si configura come un’occasione di affettuosa condivisione di tante testimonianze di fede in san Giuseppe, comuni non solo in Sicilia e in Puglia, ma sparse per tutte le strade dell’ecumene, là dove è caro il nome di questo Santo patrono della Chiesa Universale.
(Intervista alla Prof.ssa Vincenza Musardo Talò a cura di Giuseppe Massari).

Volume rilegato con copertina telata e sovracoperta con impressioni in oro.
carta patinata lucida 200gr/mq interamente a colori riccamente illustrato,
208 pag. formato 21×30 e elegante custodia con impressione in oro.
É un regalo per lo studioso e il cultore di tradizioni popolari.
É un regalo per la festa del Papà e uno strumento di promozione turistica

Sommario
Presentazione [Vittorio Sgarbi]
Nota del curatore [V. Musardo Talò]
Parte prima: Sicilia. Terra di san Giuseppe
La festa di san Giuseppe: geografia cultuale in Terra di Sicilia [D. Scapati]
Tra miti e credenze. Patronage giuseppino nelle contrade siciliane [C. Paterna]
I pani merlettati di Salemi, capitale del culto siciliano in onore di san Giuseppe [P. Cammarata]
Pietanze della tradizione nelle tavolate di Vita e dintorni [S. Fischetti e AA.VV.]
Parte seconda: Puglia. Omaggio a san Giuseppe
La Puglia per san Giuseppe. Storia e devozione [V. Fumarola]
A oriente di Taranto, cuore pugliese del culto giuseppino [S. Trevisani]
San Giuseppe nel Salento: riti e tradizioni [E. Imbriani]
Architetture dell’anima: i magici altarini di san Giuseppe [V. Musardo Talò]
Asterischi
Iconografia giuseppina nell’arte colta [V. Sgarbi]
Dalla Sicilia alla Puglia:
le Confraternite di san Giuseppe custodi della religiosità popolare [V. Musardo Talò]
“A Te, o beato Giuseppe…”: il culto di san Giuseppe nei santini [S. Colafranceschi]
Autore :Autori Vari.
presentazione di Vittorio Sgarbi
Edizione: Talmus-Art – 2012
ISBN 9788890546075
Prezzo 54,60 euro

Venerdì santo 2014:Palermo.

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Piana degli Albanesi:Pasqua di Rito Greco-Bizantino,la Domenica delle Palme.

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I riti della Settimana Santa presentano in Sicilia una complessità di contenuti e di simbologie dovute ai numerosi influssi, soprattutto dovuti alla cultura spagnola, dominante tra il XVI ed il XVI secolo, ed ai temi teologici della religiosità controriformista.Tali riferimenti culturali non esauriscono però la complessità e l’importanza di tali riti all’interno delle comunità. Lo scrittore Gesualdo Bufalino ha scritto:
« A Pasqua ogni siciliano si sente non solo spettatore ma attore, prima
dolente, poi esultante, d’un mistero che è la sua stessa esistenza. »
( Gesualdo Bufalino, La luce e il lutto, in “Opere” 1996)
Si evidenzia così come nel mistero della morte e della resurrezione ci siano, nella cultura popolare dell’isola, riferimenti più ampi di quelli seicenteschi, arrivando alla cultura bizantina che rappresenta un sostrato religioso importante e alla memoria dei più antichi riti di una tradizione mediterranea, più antichi di quelli dello stesso cristianesimo.Le diverse manifestazioni si caratterizzano per la grande varietà che assumono nei vari centri dell’isola, diventando elemento caratterizzante della comunità, nonostante i mutamenti sociali e culturali della modernità.Nonostante questa variabilità si possono rintracciare alcuni elementi comuni o quanto meno ricorrenti sotto riportati.
Gli Arbëreshë
La presenza degli italo-albanesi (Arbëreshë) in Sicilia risale alla fine del secolo XV, cioè all’occupazione della penisola balcanica da parte dell’impero ottomano che provocò la prima grande diaspora albanese nel mondo. Esistono tuttora numerose comunità albanesi di antico in¬sediamento (secc. XV – XVI – XVII) distribuite nel Mezzogiorno d’Italia: Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise.Le comunità arbëreshe della Sicilia, allocate nella provincia di Palermo, sono: Contessa Entellina, Mezzoiuso, Palazzo Adriano, Piana degli Albanesi, Santa Cristina Gela. Da oltre cinque¬cento anni esse conservano con grande cura oltre alla lingua, ai costumi e alle tradizioni, il rito bizantino-greco. Lo storico Vito Amico, nel suo “Dizionario topografico della Sicilia”, riporta il nome latino di Plana Graecorum, in italiano “Piana dei Greci”, in siciliano “La Chiana“, anche detta “Piana dell’Arcivescovo” secondo Tommaso Fazello. Il nome di “Piana dei Greci” rimase in uso fino agli anni quaranta del Novecento, quando, in seguito a un regio decreto, dal 30 agosto 1941 venne modificato in “Piana degli Albanesi”. Qualche mese dopo, per decreto della Sacra Congregazione per le Chiese orientali del 25 ottobre 1941, anche ecclesiasticamente il nome di Planen Graecorum venne cambiato in Planen Albanensium, ossia Piana degli Albanesi. Nella seduta del 27 settembre 1947, facendosi portavoce della volontà e “del malcontento degli abitanti”, il consiglio comunale di Piana approvò all’unanimità una delibera che ripristinava la denominazione del paese in “Piana dei Greci”. Ma la prefettura di Palermo non approvò la delibera comunale, in quanto, motivando così la sua scelta, la denominazione di Piana degli Albanesi era considerata la “più esatta storicamente ed etnograficamente”. Gli abitanti di Piana chiamano il paese in lingua arbëreshë Hora (dal greco antico χώρα, khora) termine di origine greca che significa “città”, per sottolineare il fatto che Piana sia la principale tra le comunità greco-albanesi della Sicilia. Per esteso, il nome di Piana in arbëreshë è Hora e Arbëreshëvet, letteralmente “Città degli Albanesi”.

L’Eparchia
Il 26 ottobre 1937 con la Bolla Pontificia “Apostolica Sedes” veni¬va istituita l’Eparchia (Diocesi) di Piana degli Albanesi che corona¬va secoli di aspirazioni e di fatiche da parte dei siculo-albanesi perché venissero riconosciuti nella fede, nella storia, nella cultura.L’Eparchia comportava un’autonomia giuridica della comunità religiosa dei cinque paesi che allontanava definitivamente sospetti, controlli, limi¬tazioni all’espressione della loro identità religiosa e culturale: e dava la possibilità di poter recuperare la prassi liturgica e giuridi¬ca della grande tradizione bizantina. Nel 1960, in un clima di grande apertura ecumenica, passavano sotto la giurisdizione dell’Eparchia di Piana anche le parrocchie di rito latino presenti nei paesi arbëreshë di Sicilia. La Diocesi conserva un patrimonio religioso di grande interesse culturale che si sposa splendidamente con la ricca e millenaria cultura della Sicilia costituendo un’ “isola nell’isola”.Seguire le celebrazioni liturgiche nelle chiese bizantine è, davvero, come trovarsi in un’isola dove ci si ritrova ad ascoltare canti che echeggiano l’antico idioma dei figli di Omero e dei soldati di Skanderbeg; a contemplare le icone dorate segni dell’Invisibile; a seguire le movenze ieratiche dei papàs nei paramenti riccamente trapunti d’oro che innalzano le lodi al Signore.
Rito greco-bizantino
Il rito di Piana degli Albanesi si differenzia dalle altre Chiese di Sicilia e costituisce l’eredità più importante della Chiesa orientale di Bisanzio, da dove si propagò sino alle terre più periferiche dell’Impero Romano d’Oriente molto prima che gli Albanesi le lasciassero, costretti a fuggire. Per la particolarità di esso, infatti, e per l’uso della lingua greca nelle celebrazioni liturgiche il paese fu chiamato in passato Piana dei Greci. La forte caratterizzazione si riferisce particolarmente alla modalità, ai simbolismi, alle forme solenni e grandiose delle celebrazioni e delle sacre funzioni; e assieme alla lingua e ai costumi, il rito costituisce il tratto più importante dell’identita arbëreshe. Ancora oggi gli splendori greco-ortodossi sono rievocati nei solenni Pontificali, dalla ricchezza dei paramenti sacri indossati dal gran numero di celebranti, i quali ripetono gli antichi gesti carichi di simbolismo; e dai particolari canti che sono tra i più incontaminati ed antichi. .Gli Uffici divini sono più lunghi e solenni; al canto dei salmi si alternano lunghe letture di testi biblici; allo stare in piedi, le prostrazioni profonde; ai colori dorati dei paramenti, quelli rossi e quelli violacei; alle musiche gioiose, quelle meste e solenni. In questo contesto maestoso, tutto ha un significato: i gesti, i canti, le processioni, i fiori, i profumi, gli incensi. Il clero della comunità è organizzata in un’Eparchia retta da un Eparca che viene designato dalla Sede Pontificia e ha rango di vescovo. Nelle cerimonie più solenni veste paramenti del tutto simili ai vescovi ortodossi come il tipico copricapo (mitra) e il pastorale (ravhdes) sormontato da due teste di serpente contrapposte che si fronteggiano, simbolo della prudenza evangelica. I sacerdoti (papàs) portano, in genere, i capelli lunghi con la coda (tupi), indossano abitualmente il tipico copricapo cilindrico nero (kalimafion) e hanno la barba lunga. Per il cristiano di rito bizantino la ricchezza di simbolismi non è altro che un mezzo di conoscenza semplice ed immediato di Dio. Le sacre liturgie sono quelle scritte dai padri della Chiesa Greca: quella di San Basilio per il primo di gennaio, la sera della vigilia di Natale (Krishtlindje) e dell’Epifania (Ujët e pagëzuam) a conclusione del digiuno, le domeniche di Quaresima (E Dielljat të Kréshmët) e il giovedì e il sabato santo; quella di San Giovanni Crisostomo nelle altre occasioni. Le manifestazioni religiose si svolgono lungo tutto l’anno, ma raggiungono il loro culmine nella celebrazione della Settimana Santa (Java e Madhe), evento religioso di fortissima spiritualità, il più grande avvenimento del calendario bizantino. In essa, infatti, trova giustificazione tutto il discorso escatologico e ogni motivo di speranza, come canta il famoso inno del Christos anesti (Cristo è risorto): «Cristo, con la sua morte, ha sconfitto la morte, e ai morti che giacevano nelle tombe ha dato la grazia della vita».
Il rito differenzia l’Eparchia di Piana degli Albanesi dalle altre Chiese di Sicilia e costituisce l’eredità più importante della Chie¬sa orientale di Bisanzio. La forte caratterizzazione si riferisce non alla sostanza delle ce¬lebrazioni e delle sacre funzioni, ma alle loro modalità e forme. Assieme alla lingua, il rito costituisce il tratto più importante del¬l’identità della comunità arbëreshe. La conservazione, sia del rito che della lingua, ha del miracolo¬so se si pensa che sono sopravvissuti entrambi per oltre cinque secoli. La loro salvaguardia è un impegno sentito e costante a tutti i livelli, civili e religiosi, delle comunità. Gli Arbëreshë, pertanto, sono un’enclave di cultura orientale in pieno occidente ed un modello di integrazione (etnica, linguistica e religiosa) di grande attualità. Questa cultura è un unicum irrepetibile ed un patrimonio internazionale da tutelare.
La Settimana santa
La Pasqua per le comunità italo-albanesi di rito greco-bizantino è la ricorrenza centrale, dalla cui data dipendono le altre feste. Rappresenta la festa delle feste, e i riti della Passione, della morte e della Resurrezione di Gesù vengono vissuti secondo la ricca simbologia orientale. Molto suggestiva è l’intera Settimana Santa (Java e Madhe). Il programma delle celebrazioni prende il via il venerdì precedente la Settimana Santa, quando si celebra la resurrezione di Lazzaro con il Projasmena (Messa dei presantificati) e il canto di Lazzaro (kënga e Lazërit) per le vie del paese. Particolarmente suggestiva e coinvolgente è la celebrazione della Domenica delle Palme (E Dillja e Rromollidhet) a Piana degli Albanesi, che ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme su un asino da parte dell’Eparca e la benedizione delle palme e dei rami d’ulivo. Il Giovedì Santo si celebra la lavanda dei piedi durante la quale l’Eparca lava i piedi ai papàdes proprio come Cristo fece con i suoi Apostoli; mentre il Venerdì Santo gli uffici delle lamentazioni (Vajtimet), canti funebri a cui partecipano tutti gli abitanti di Piana degli Albanesi, la processione che attraversa tutto il paese accompagnata dai canti evangelici, in lingua greca e albanese, che narrano la passione di Cristo. Il Sabato santo avvengono i battesimi (pagëzimet) per immersione, si tolgono i veli neri dalle chiese e suonano a festa le campane per annunciare la Risurrezione di Cristo (të Ngjallurit e Krishtit). Dalla notte del Grande Sabato, poi, si intona il celebre “Christos Anèsti” (Cristo è risorto). Nella Domenica di Pasqua, per il Solenne Pontificale di Pasqua (Pashkët), l’inno della Resurrezione viene cantato ripetutamente durante l’Officio dell’Aurora (órthros) dell’innografo bizantino Giovanni Damasceno. Segue la liturgia di S. Giovanni Crisostomo officiata dai Concelebranti avvolti nei preziosi paramenti sacri. A Piana degli Albanesi il Pontificale si conclude con uno splendido e folto corteo di donne in sontuosi costumi tradizionali arbëreshë, che, dopo aver partecipato ai sacri e solenni riti, sfila per il Corso Kastriota raggiungendo la piazza principale. Al termine del corteo, in un tripudio di canti e colori, viene impartita la benedizione seguita dalla distribuzione delle uovo rosse, simbolo della nascita e della rinascita.Le manifestazioni religiose si svolgono lungo tutto l’anno liturgico ma raggiungono il loro culmine,appunto, nella celebrazione della Settimana Santa (Java e madhe). Java e madhe, al di là della solennità e della magnificenza delle celebrazioni nel rito bizantino-greco, rimane soprattutto un evento di carattere religioso di fortissima spiritualità e costituisce uno degli eventi religiosi, culturali, e turistici di maggior rilievo nel calendario delle manifestazioni della Provincia di Palermo. L’Eparchia di Piana degli Albanesi cura le funzioni religiose che iniziano la Domenica delle Palme (Rromollidhet), con la caratteristica processione, nel caso di Piana degli Albanesi, guidata dall’Eparca che, avvolto nel manto, a dorso di un asinello attraversa il corso principale del paese fino alla Cattedrale di S. Demetrio dove si celebra la Divina Liturgia e la Be¬nedizione delle Palme. Le funzioni continuano poi durante l’arco di tutta la Settimana e raggiungono momenti di forte suggestione nella solenne liturgia del Giovedì Santo, con l’Ufficio della Lavanda dei piedi e la processione del Venerdì Santo. Molto interessante è l’ Orthros di Pasqua con il Christòs anesti (Cristo è risorto) presso le chiese principali delle comunità dove il giorno di Pasqua con la celebrazione del Solenne Pontificale conclude la Settimana Santa. Un folto corteo femminile nel costume tradizionale, a Piana degli Albanesi, dopo avere partecipato ai sacri riti attraversa il corso principale. Tradizione e folclore, nell’occasione, si fondono perfettamente tra loro.