Tante religioni: qual’ è la verità?


Testo di Massimo Introvigne

Relazione di Massimo Introvigne all’incontro organizzato dalla Pastorale Giovanile della Diocesi di Isernia-Venafro il 6 febbraio 2010 e concluso dal vescovo S.E. Mons. Salvatore Visco

La dittatura del relativismo

La domanda cui mi si chiede di rispondere è duplice: perché affermiamo che la religione cattolica è vera? E perché molti, in questa Europa che fu cristiana, oggi non ci credono più? La prima domanda è, propriamente, apologetica. La seconda richiede una lettura filosofica e teologica, oltre che sociologica, della storia.

Perché la prima domanda abbia un senso, è necessario anzitutto convincersi che esiste la verità e che la ragione umana è in grado di conoscerla. Benedetto XVI lo ha ripetuto più volte: preparata da una «dittatura del razionalismo» c’è oggi una «dittatura del relativismo» (Benedetto XVI 2009b). Questa dittatura c’impone di credere e di affermare che non esiste la verità. E che chi afferma che esiste una verità è fanatico, intollerante e fondamentalista.

Nel suo viaggio del settembre 2007 in Austria Benedetto XVI ha spiegato che la «questione essenziale» oggi non riguarda anzitutto la fede. Riguarda la ragione. Non si tratta di una precedenza ontologica – la fede, che salva, verrebbe prima della ragione – ma cronologica. Se non crediamo che alcune proposizioni possano essere vere, se anzi sosteniamo che non esistono in assoluto affermazioni vere, allora anche tesi come «Dio ci salva» o «Gesù è Dio» non possono essere vere, perché nessuna tesi lo è. Ecco dunque perché si deve partire dalla ragione, e perché ci si trova oggi in una situazione paradossale in cui è la Chiesa a doversi fare carico di difendere la ragione. La grande domanda è, come il Papa ha ricordato a Vienna, se la ragione «stia al principio di tutte le cose e a loro fondamento o no» (Benedetto XVI 2007a). Sulla base della risposta positiva a questa domanda, che nasce dall’eredità greca, dall’ebraismo e dal cristianesimo, si costruiscono propriamente l’Europa e l’Occidente.

Solo se si crede che la ragione sia un principio e fondamento universale si può credere nella verità. Credere, cioè, che alcune tesi e valori siano veri per tutti gli uomini in quanto tali. Mentre oggi si afferma che le tesi e le norme occidentali possono al massimo rivendicare una validità in e per l’Occidente: pretendere che siano «universali» sarebbe solo espressione di «etnocentrismo», d’imperialismo o di razzismo. Anzi, le tesi e i valori non occidentali sarebbero talora più genuini, spontanei e «in armonia con la natura», secondo la prospettiva di buona parte della tendenza New Age, come sottilmente insinua di questi tempi il film Avatar, il film più visto di tutti i tempi, prodigio della tecnologia – certo – ma anche veicolo di propaganda di una religione pagana della natura senza Dio e senza dogmi.

Purtroppo oggi – per citare ancora Benedetto XVI nel suo viaggio in Austria del 2007, tutto incentrato sul tema della ragione – c’è un’ampia parte della cultura europea che pensa che «la ragione sia un casuale prodotto secondario dell’irrazionale e nell’oceano dell’irrazionalità, in fin dei conti, sia anche senza un senso» (ibidem). Nel santuario austriaco di Mariazell il Papa ha mostrato come per l’Europa l’abbandono del primato della ragione porta a una «rassegnazione che considera l’uomo incapace della verità» (Benedetto XVI 2007b).

Dimostrare l’esistenza della verità e la capacità della ragione di conoscerla sono il compito della vera filosofia. È però anche possibile dimostrare storicamente che se non si crede nella verità non si riesce a costruire niente di solido e di buono. A rigore, non si può costruire neppure quella scienza che qualche volta pretende di contestare la filosofia.

Nel celebre discorso che ha tenuto il 12 settembre 2006 a Ratisbona (Benedetto XVI 2006) il Papa parte da un dialogo sulle rispettive religioni che vede contrapposti nel 1391 ad Ankara l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo (1350-1425) e un saggio musulmano (Manuele II Paleologo 2007). Cominciamo così a parlare, secondo il titolo che mi avete assegnato, anche del fondatore dell’islam, Muhammad (c. 570-632), ma il nostro tema per il momento è ancora la ragione.

Infatti nel 1391 certamente Manuele non può discutere invocando il Vangelo o la teologia in una disputa che si svolge di fronte a un pubblico musulmano: propone allora al suo interlocutore di discutere non sulla base della fede, ma della ragione. L’islamico accetta, ma il dialogo non va da nessuna parte perché Manuele e il musulmano hanno due idee diverse della ragione. Per l’imperatore greco la ragione è il fondamento filosofico di tutte le cose. Per il musulmano questo fondamento non esiste – il suo Dio, Allah, «non dipende da nessuno dei suoi atti» ( ibid., 54) e può cambiare ogni minuto le leggi che regolano il mondo, così che ogni conoscenza razionale è incerta e provvisoria.

Per l’islamico argomentare in base alla ragione significa semplicemente citare fatti empirici. La sua nozione di ragione è meramente strumentale. Come ha mostrato un grande sociologo, Rodney Stark, in diverse sue opere da questa nozione di ragione dell’islam può scaturire una raffinata tecnologia, ma non propriamente una scienza. Se Dio non dispone il mondo secondo ragione, se il reale e le sue leggi possono cambiare continuamente, allora di questo mondo non si può avere una conoscenza scientifica (Stark 2006, 2008).

Munito della sua nozione meramente strumentale di ragione, il musulmano usa nel quinto dialogo (cfr. ibid., 34-35) l’argomento che pensa chiuda la discussione: la prova della superiorità dell’islam sul cristianesimo è che le armate del Profeta stanno vincendo ovunque, e lo stesso impero di Bisanzio è ridotto a uno staterello. Naturalmente tre secoli dopo, quando a partire dalla sconfitta di Vienna nel 1683 i musulmani cominceranno a perdere le battaglie e le guerre, l’argomento potrà essere rovesciato. Ma non è questo il punto. Per Manuele II – e per Benedetto XVI – la vita, i diritti umani e la possibilità di convivere fra religioni diverse sono garantite solo da una fiducia nella ragione come strumento capace di conoscere la verità. Se manca questa fiducia, quale sia la verità è deciso da quali eserciti vincano, e oggi da chi sia più capace di fare esplodere bombe. La verità – e Dio stesso, che è verità – diventano semplici funzioni della violenza.

C’è dunque un argomento storico e pratico contro i relativisti. Questi ogni tanto sostengono che solo il relativismo garantisce la pace. È tutto il contrario: tra persone che credono diversamente solo una nozione comune di verità permette di fissare regole del gioco condivise. Se non c’è la verità non ci sono regole, e chi ha ragione lo decidono le armi e le bombe.

I quattro pilastri dell’Europa

Una volta stabilito che esiste la verità, possiamo chiederci quali sono le verità fondamentali sulla base delle quali viviamo. Dal momento che il mio campo sono le scienze umane, mi è più facile chiedermi quali verità hanno dato forma alla nostra società occidentale. Mi rispondo che sono sostanzialmente quattro: il senso religioso, come modo tipicamente occidentale di porre la domanda sulle origini e sul destino dell’uomo e del mondo; Dio, considerato come l’unica risposta adeguata a questo domanda; Gesù Cristo, mediatore fra Dio e gli uomini; e la Chiesa, come luogo in cui Gesù Cristo si fa continuamente presente e incontrabile nella storia. Per i cattolici, evidentemente, questo schema ha un valore di verità teologica. Ma anche il sociologo o lo storico non cattolico sono obbligati a riconoscere che si tratta di elementi che hanno connotato la visione del mondo occidentale per molti secoli, e che hanno fatto dell’Europa quello che è.

Di nuovo, la filosofia – e la filosofia vera, amava dire un grande filosofo scomparso da pochi giorni, Ralph McInerny (1929-2010), è una sola – può aiutarci a provare che un Dio personale e creatore esiste. Il mondo non si è fatto da sé, così come io non mi sono fatto da solo, anzi è questa la mia esperienza fondamentale autenticamente umana. Negli Stati Uniti, e non solo, un buon numero di scienziati parla del «disegno intelligente»: il mondo è così complicato da non poter essere casuale. Nessuna scienza umana potrebbe creare anche qualche cosa che diamo per scontato come un albero o un fiore, e basterebbe una minima variazione delle condizioni del nostro universo per rendere la vita impossibile, il che rende davvero poco probabile che tutto sia sempre e soltanto casuale. Nella prima puntata di una delle poche serie televisive americane d’ispirazione cattolica, Joan of Arcadia, la protagonista incontra un personaggio che si presenta come Dio. In effetti è davvero Dio, ma comprensibilmente la ragazzina ha qualche difficoltà a crederci. Chiede un miracolo, e Dio le fa vedere un albero chiedendole: «Che ne dici di questo?». «Tutto qui?», ribatte Joan. Ma Dio risponde: «Prova a farlo tu!».

Ho citato Rodney Stark, forse il più autorevole sociologo delle religioni vivente. In un libro in cui annuncia la sua conversione dall’agnosticismo alla fede cristiana, Stark sostiene, da sociologo, che c’è un «disegno intelligente» anche nella società, che non potrebbe funzionare se l’uomo – con tutti i suoi difetti – non fosse creato da Dio e se una provvidenza non regnasse sulla storia. La stessa sociologia delle religioni, la materia di Stark, mostrerebbe una successione di religioni nella storia così ordinata da non potere essere casuale e da mostrare – senza ancora far entrare in gioco la fede – l’eminente plausibilità di un Dio che si rivela e la superiorità della rivelazione in Gesù Cristo e della Chiesa che la custodisce (Stark 2008). Secondo Stark un percorso anche soltanto sociologico mostra la superiorità del monoteismo sul politeismo, di un Dio personale che si rivela su un Dio ozioso o concepito come semplice essenza astratta, di una religione che predica solidi e completi principi morali rispetto a una che si disinteressa di ampi settori della morale come molte versioni del buddhismo e dell’induismo e quasi tutto l’antico paganesimo. Di qui la conversione del grande sociologo al cristianesimo, avvenuta paradossalmente proprio per via sociologica.

Intendiamoci: la sociologia non può sostituire la fede. Neppure Stark lo pensa. Tuttavia c’è un test cui possiamo sottoporre le religioni. È la loro conformità al diritto naturale, alla morale naturale. La ragione, a prescindere da qualunque libro sacro, può arrivare a conoscere principi morali quali il ripudio della violenza come strumento per far prevalere le proprie convinzioni filosofiche o religiose, i diritti fondamentali della persona, il valore della vita dal concepimento alla morte naturale, la famiglia monogamica e indissolubile fondata sull’unione di un uomo e di una donna come prima cellula della società. Oggi qualcuno pensa che questi valori «vadano bene per i cattolici», ma non valgano per i non cattolici e i non credenti. Ma non è così. Sono valori di ragione, non di fede. Quando il Papa afferma che la vita umana è tale fin dal concepimento, che l’uccisione dei malati e dei vecchi con l’eutanasia è una forma di assassinio, che la famiglia può svolgere il suo ruolo di cellula fondamentale della società solo se è monogamica ed eterosessuale, non sta enunciando verità di fede, ma verità di ragione. Che l’alimentazione e l’idratazione non siano cure mediche e che sospenderle significhi uccidere non sta scritto in nessun brano di Luca o di Matteo e neppure nel Corano, ma nel libro delle verità di natura che la ragione, se non è offuscata dall’ideologia, è in grado di leggere.

Quelli che Benedetto XVI definisce spesso i «valori non negoziabili» sono tesi di ragione, che il credente ha certo un motivo e forse uno slancio in più per difendere ma che s’impongono a tutti. Del resto, se la Chiesa invita a «non rubare», si dirà forse che si tratta di una norma dei Dieci Comandamenti che vale solo per i cristiani ma che non si può pretendere d’imporre agli altri? Forse i non credenti sono autorizzati a rubare?

Non tutto quello che si trova nelle Sacre Scritture è materia esclusivamente di fede. Nei Dieci Comandamenti Dio ha rivelato verità cui si può arrivare anche con la ragione – benché, naturalmente, trovandole nelle tavole del Decalogo si faccia più in fretta, senza troppo lambiccarsi il cervello. Se invece non fosse così, se non ci fossero regole valide per tutti, si potrebbe anche dire che il cattolico può non spacciare droga ma non può impedire a chi non è cattolico di farlo. Ci sono senz’altro infatti visioni del mondo e culture dove la droga è lecita, e anche fatwā di esponenti islamici ultra-fondamentalisti (l’Afghanistan insegna) secondo cui al musulmano non è lecito consumare droga ma è lecito coltivarla e anche venderla agli infedeli e ai nemici dell’islam, così contribuendo a fiaccarli nel fisico e nel morale. Se ne dovrà concludere che a chi ha una cultura diversa non possiamo imporre leggi contro lo spaccio di droga, altrimenti siamo razzisti ed etnocentrici?

O non dovremo concludere piuttosto che ci sono norme che valgono per tutti, colonne che reggono la società tutta intera? I valori e le verità accessibili alla ragione sono le regole del gioco chiamato società, dopo avere convenuto sulle quali ognuno – cristiano, musulmano o ateo – potrà giocare la sua partita e cercare di vincerla. Ma senza regole non ci sarà nessuna partita.

Se è così, abbiamo un criterio per valutare qualunque religione: la sua conformità alle regole di ragione. E qui il verdetto forse non è politicamente corretto ma è chiaro. Che si tratti del ripudio della violenza, della difesa dei diritti umani fondamentali – compresa la libertà di cambiare religione, che per esempio l’islam non riconosce ai musulmani –, del ripudio senza condizioni dell’aborto e dell’eutanasia, della difesa del matrimonio come istituzione esclusivamente eterosessuale, monogamica e indissolubile, solo la Chiesa Cattolica passa tutti i test. Gli stessi fratelli separati delle altre confessioni cristiane sono in gran parte favorevoli al divorzio, mentre la Chiesa Cattolica fu disponibile a perdere tutta l’Inghilterra piuttosto che accettare il divorzio anche in un solo caso, quello del re Enrico VIII (1491-1547). Parliamo qui naturalmente della Chiesa come istituzione che annuncia una dottrina: anche se i cattolici nella storia non sono sempre stati fedeli ai suoi insegnamenti.

Che cosa è andato storto?

I quattro pilastri del senso religioso, della fede in Dio, in Gesù Cristo e nella Chiesa hanno fatto l’Europa e l’Occidente, e sono il regalo gioioso e benevolo che l’Occidente ha fatto al resto del mondo. Ma oggi sembra che i pilastri tremino. Com’è potuto succedere? Che cosa è andato storto? Nell’enciclica Caritas in veritate Benedetto XVI ci ricorda la più antica delle verità: il male – anche il male sociale, che determina le crisi politiche ed economiche – ha sempre la sua origine nel peccato. «La sapienza della Chiesa ha sempre proposto di tenere presente il peccato originale anche nell’interpretazione dei fatti sociali e nella costruzione della società» (Benedetto XVI 2009a, n. 34).

Quando entra nella vita sociale e nella storia il peccato originale si manifesta come peccato attuale. Una scuola di pensiero cattolica – che, certo accanto ad altre scuole, ha influenzato diversi documenti del Magistero sociale – è quella detta contro-rivoluzionaria. Ha questo nome perché nasce con la critica della Rivoluzione francese, anche se non si limita a sterili nostalgie del passato e analizza in profondità la crisi della coscienza europea, che è ben più antica del 1789. In una classica formulazione – quella del pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) – questa scuola descrive la scristianizzazione dell’Europa come un processo, che chiama Rivoluzione, intendendo con questa parola non un evento storico specifico ma la rottura dei legami religiosi, politici, economici e morali che tenevano insieme l’Europa cristiana. Lo schema distingue quattro Rivoluzioni che attaccano l’ordine naturale e cristiano cercando di spezzare prima i legami religiosi con la Riforma protestante (I Rivoluzione), poi i legami politici con la Rivoluzione francese (II Rivoluzione), quindi i legami economici con la Rivoluzione comunista (III Rivoluzione), infine i legami micro-sociali della famiglia, quelli fra madre e figlio con l’aborto e perfino quelli dell’uomo con sé stesso e interni al corpo umano con la droga e l’ideologia di genere (IV Rivoluzione: cfr. Corrêa de Oliveira 2009). Il gesto del medico abortista che taglia il cordone ombelicale non per la vita ma per la morte simboleggia in un modo che più tragicamente eloquente non potrebbe essere l’opera della Rivoluzione, che non sopporta i legami e li distrugge.

Ritroviamo l’eco delle tesi degli autori contro-rivoluzionari in un celebre discorso di Pio XII (1939-1958) del 1952. Si tratta del discorso Nel contemplare agli Uomini di Azione Cattolica d’Italia, del 12 ottobre 1952, dove il Papa si serve di una formula che descrive la sequenza dell’allontanamento dell’Occidente dalla verità cattolica precisamente attraverso tre tappe: «Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato» (Pio XII 1952).

«Cristo sì, Chiesa no» è inteso da Papa Pio XII con riferimento alla rottura protestante, che nega la continuità della missione di Gesù Cristo nell’unica Chiesa cattolica. Ma all’interno del mondo protestante ci sono gruppi radicali che vanno anche oltre. Vi è infatti chi sostiene che la Chiesa è talmente corrotta che non è più possibile riformarla ma soltanto rifondarla. In genere questa rottura ecclesiologica è accompagnata da innovazioni teologiche radicali rispetto alla tradizione cristiana. Gruppi come i mormoni o i Testimoni di Geova portano alle estreme conseguenze la rottura ecclesiologica, che diventa anche teologica, proponendo nuove dottrine e nuove scritture. Così perdiamo la Chiesa, che è uno dei pilastri essenziali ed è la sola istituzione in grado di definire e quindi difendere costantemente nella storia le verità e i valori morali naturali e cristiani.

«Dio sì, Cristo no» è propriamente lo slogan del deismo illuminista, che diventa rapidamente l’ideologia anche della massoneria moderna fondata a Londra nel 1717. Dio c’è, si dice, ma ne sappiamo pochissimo e certamente non si è incarnato in Gesù Cristo. Questo deismo porta qualche volta a riscoprire culti dell’antichità pagana, «reinventati» in un modo più o meno fantastico (egizi, greci, romani); altre volte porta all’incontro con le religioni orientali e a clamorose conversioni d’intellettuali europei al buddhismo o all’induismo. La presenza di occidentali entusiasti dell’Oriente non sfugge a esponenti importanti delle religioni orientali, che – anche come reazione organizzata alle missioni cristiane nei loro Paesi – iniziano a promuovere vere e proprie «contro-missioni» che arrivano fino all’invasione di guru e maestri orientali che vediamo in America e in Europa ai nostri giorni.

Oggi è «politicamente corretto» parlare solo degli aspetti positivi delle religioni orientali. Certo, esse manifestano una certa religiosità naturale e sono meno lontane dalla verità rispetto all’ateismo. È anche comprensibile che si sia riluttanti a parlare male, in particolare, del buddhismo a fronte delle persecuzioni che subisce da parte del comunismo cinese in Tibet o del regime social-comunista in Birmania. Tuttavia la verità non si deve tacere. Un sacerdote cattolico convertito dall’induismo, che aveva a lungo praticato giungendo a diventare segretario di un guru molto famoso come il Maharishi Mahesh Yogi (1918-2008), il maestro dei Beatles, don Joseph-Marie Verlinde, stabilisce una distinzione fondamentale fra mistiche naturali e mistica trascendente, che è poi la distinzione stessa fra l’esperienza religiosa induista e buddhista, analoga (ma non identica) a quella di certi movimenti occidentali di matrice esoterica e della nuova religiosità, e l’esperienza religiosa cristiana. Quest’ultima «orienta verso un Dio personale, in vista di un incontro che si espande in una comunione d’amore rispettando l’alterità» (fra Dio e l’uomo: Verlinde 1988, 77). L’«altra» esperienza invece porta a rientrare sempre più profondamente in se stessi, fino a rimanerne prigionieri in un «narcisismo senza Narciso» (ibid., 81: la formula è del missionario e indologo francese don Jules Monchanin, 1895-1957).

Verlinde richiama l’espressione «enstasi», che lo storico delle religioni Mircea Eliade (1907-1986) distingue rigorosamente dall’estasi: nell’«enstasi» si entra sempre di più in se stessi – e ci si chiude a ogni possibile trascendenza –, mentre nell’estasi ci si apre al di fuori di sé verso un Dio trascendente. Verlinde cita, al riguardo, un brano dell’indologo francese Jean Varenne (1926-1997) secondo cui il neologismo coniato da Mircea Eliade va usato per tradurre l’espressione indiana samadhi, a proposito della quale «la traduzione “estasi”, che è talora stata proposta, è del tutto erronea. Lo yogi in stato di samadhi non “esce” affatto da se stesso, non è “rapito’ come lo sono i mistici; esattamente al contrario rientra completamente in se stesso, si immobilizza totalmente per l’estinzione progressiva di tutto quanto causa il movimento: istinti, attività corporale e mentale, la stessa intelligenza» (ibid., 71).

Beninteso, le tecniche sono le più varie – e l’induismo non è identico al suo scisma di successo, il buddhismo –; ma l’esperienza rimane sempre «enstatica» e non veramente estatica. Nel 1989 la Congregazione per la Dottrina della Fede, preoccupata per la diffusione di tecniche derivate dal buddhismo e dall’induismo anche in ambienti cattolici, pubblicò la lettera Orationis formas dove s’invita fra l’altro a non confondere l’«assoluto senza immagini e senza concetti» del buddhismo con il Dio cristiano (Congregazione per la dottrina della fede 1989, n. 12).

Questa religiosità che vorrebbe sostituire il cristianesimo non riesce peraltro a incidere sulla società e abbandona la politica alle ideologie. Ne nascono gli orrori della modernità, a partire dal Terrore della Rivoluzione francese in cui il filosofo illuminista tedesco Immanuel Kant (1724-1804) – che pure di fronte agli avvenimenti di Francia si era inizialmente illuso – vedeva, in un brano ricordato da Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi, il regno dell’«Anticristo», «fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo», e «la fine (perversa) di tutte le cose» (Benedetto XVI 2007c, n. 19).

«Finalmente il grido empio: Dio è morto; anzi: Dio non è mai stato». La Rivoluzione si disvela come ripudio di Dio anzitutto nelle ideologie del XX secolo. Il comunismo, come ha ricordato Benedetto XVI nel suo viaggio del settembre 2009 nella Repubblica Ceca, instaura una «dittatura basata sulla menzogna» (Benedetto XVI 2009c), fa cadere l’Europa Orientale in un «lungo inverno» (Benedetto XVI 2009d), e mostra a quali assurdità giunge l’uomo quando esclude Dio dall’orizzonte delle sue scelte e delle sue azioni» (Benedetto XVI 2009e). Questa ideologia senza Dio – ha detto il Papa il 4 dicembre 2009 parlando al concerto offerto in suo onore dal presidente della Repubblica Federale Tedesca in occasione dei vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino – ha determinato, negando la differenza essenziale fra il bene e il male, «una lunga e sofferta notte di violenza ed oppressione per un sistema totalitario che, alla fin fine, conduceva in un nichilismo, in uno svuotamento delle anime. Nella dittatura comunista, non vi era azione alcuna che sarebbe stata ritenuta male in sé e sempre immorale. Ciò che serviva agli obiettivi del partito era buono – per quanto disumano poteva pur essere» (Benedetto XVI 2009f).

Anche dopo la caduta del comunismo, peraltro, non manca chi propone ideologie senza Dio, una cultura senza Dio e perfino religioni o spiritualità senza Dio come il New Age, dove qualche volta ritorna un fondo buddhista ma coniugato con l’ecologismo, il ritorno del paganesimo, la magia.

Il New Age non nega solo Dio. Rifiuta spesso anche la religione, preferendo parlare di «spiritualità» e negando che il modo in cui l’Occidente ha posto storicamente la domanda sul sacro sia ancora valido. Infatti l’Occidente ha concepito la sua relazione con il sacro come un discorso, mentre ci sarebbe spazio solo per un percorso. Quello del New Age è un relativismo integrale e apparentemente insuperabile: tutto quanto può essere formulato è dichiarato di per sé non autentico. E tuttavia la diffusione di questi presunti cammini di pace e di amore si accompagna quasi sempre a forme gravemente irrispettose del diritto naturale, che propagandano l’aborto, l’eutanasia, il rifiuto della nozione naturale di famiglia. Oggi non c’è fiera del New Age dove non compaiano gli stand degli attivisti dell’eutanasia e del matrimonio omosessuale.

Il percorso rivoluzionario di progressiva negazione della Chiesa, del ruolo di Gesù Cristo, di Dio e del senso religioso non contempla nessun lieto fine. Ma – in questa fine della corsa che è il nostro XXI secolo – può forse darci una scossa salutare e convincerci che sì, esiste la verità, e sì, esistono anche verità religiose, dunque errori e perfino orrori religiosi, una religione vera e tante religioni a diverso titolo false. Dire questo non comporta violare la libertà religiosa di nessuno. Questa si riferisce ai rapporti tra le religioni e lo Stato laico moderno, che non deve interferire nel processo di formazione della convinzione religiosa. Ma – come afferma l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in veritate – «la libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali» (Benedetto XVI 2009a, n. 55). Oggi la tesi relativista forse più diffusa è che tutte le religioni sono uguali. Io ho la mia religione, si dice, tu hai la tua, solo i fanatici pensano che una religione sia vera e l’altra falsa. Il Papa ci dice – a scandalo dei pavidi e dei buonisti – che non è così.

Per utilizzare una metafora calcistica – che naturalmente è mia, non di Benedetto XVI – lo Stato laico moderno, che si dichiara incompetente in materia religiosa, può svolgere solo un ruolo di arbitro. Gli arbitri non scendono in campo, né – neppure nei casi più estremi di arbitri «venduti» – cercano di segnare nella porta di una delle due squadre in campo. Ma i giocatori sì. Una volta garantita l’imparzialità dell’arbitro, la Chiesa rivendica il suo diritto e dovere di giocare la partita per vincerla. Non c’è contraddizione, ma distinzione di ruoli fra arbitro e giocatori. Lo Stato non può interferire nel processo di adesione a una dottrina religiosa. La Chiesa ha la missione di organizzare questo processo, aiutando a esercitare un «discernimento» (ibidem) perché per chi non è relativista non è affatto vero che «tutte le religioni siano uguali». Tanto deve mostrare oggi un’apologetica attenta alla storia.
Riferimenti
Benedetto XVI. 2006. Discorso ai rappresentanti della scienza, Aula Magna dell’Università di Regensburg [Ratisbona], del 12-9-2006, disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Benedetto XVI. 2007a. Incontro con le autorità e con il corpo diplomatico di Vienna, Hofburg, Vienna, del 7-9-2007. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Benedetto XVI. 2007b. Omelia della Santa Messa per l’850° anniversario della fondazione del Santuario di Mariazell, Mariazell (Austria), dell’8-9-2007. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Benedetto XVI. 2007c. Lettera enciclica Spe salvi sulla speranza cristiana, del 30-11-2007. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Benedetto XVI. 2009a. Enciclica Caritas in veritate, del 29-6-2009. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Benedetto XVI. 2009b. Discorso all’Udienza Generale, 5-8-2009, San Giovanni Maria. Vianney, il Santo Curato d’Ars. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Benedetto XVI 2009c. Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo verso la Repubblica Ceca (26 settembre 2009). Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Benedetto XVI 2009d. Celebrazione dei Vespri con Sacerdoti, Religiosi, Religiose, Seminaristi e Movimenti Laicali (Cattedrale dei Santi Vito, Venceslao e Adalberto di Praga, 26 settembre 2009). Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Benedetto XVI 2009e. Santa Messa nell’Aeroporto Tuřany di Brno (27 settembre 2009). Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Benedetto XVI. 2009f. Discorso al termine del Concerto in onore del Santo Padre Benedetto XVI, offerto dal Presidente della Repubblica Federale di Germania, S.E. il Sig. Horst Köhler, in occasione della ricorrenza del 60mo della fondazione della Repubblica Federale di Germania e nel 20mo anniversario della caduta del muro di Berlino, del 4-12-2009. Testo diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede.
Congregazione per la dottrina della fede. 1989. Lettera ai vescovi della Chiesa Cattolica Orationis formas, su alcuni aspetti della meditazione cristiana. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano.
Corrêa de Oliveira, Plinio. 2009. Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Edizione del cinquantenario (1959-2009) con materiali della «fabbrica» del testo e documenti integrativi, a cura di Giovanni Cantoni. Sugarco, Milano.
Manuele II Paleologo. 2007. Dialoghi con un musulmano. VII discussione. Testo critico greco e note a cura di Théodore Khoury, con traduzione italiana di Federica Artioli a fronte. Edizioni Studio Domenicano – Edizioni San Clemente, Bologna – Roma.
Giovanni Paolo II. 1999. Discorso all’udienza generale del 18-8-1999. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato .
Pio XII. 1952. Discorso «Nel contemplare» agli uomini di Azione Cattolica d’Italia, del 12-10-1952. In Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XIV, pp. 353-362.
Stark, Rodney. 2006. La vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza. Trad. it. Lindau, Torino.
Stark, Rodney. 2008. La scoperta di Dio. L’origine delle grandi religioni e l’evoluzione della fede. Trad. it. Lindau, Torino.
Verlinde, Joseph-Marie. 1998. L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère. Saint-Paul, Versailles.

“DITTATURA DEL RELATIVISMO”: STORIA DI UNA FRASE CLAMOROSA.

di ANTONIO SOCCI

Viene dal cardinale Giuseppe Siri in una straordinaria intervista del 1970 dove preconizza la necessità per la Chiesa di guardare agli uomini della Chiesa dell’Est europeo…

 

C’è un’espressione – “dittatura del relativismo” – pronunciata dal cardinale Ratzinger il 18 aprile 2005, alla messa “pro eligendo romano pontefice”, che è passata alla storia e che entusiasmò anche laici come Giuliano Ferrara e Marcello Pera. Sintetizza il pensiero del cardinale bavarese sul momento che viviamo ed è anche il “programma” per il quale proprio lui fu scelto come nuovo papa.
Le sue parole suonavano così: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via”.
Aggiungeva: “Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. ‘Adulta’ non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo”.Da lui viene “il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità”. L’espressione “dittatura del relativismo” ha un precedente clamoroso (chissà se Ratzinger lo conosceva e vi si è ispirato): fu coniata infatti dal cardinale Giuseppe Siri, arcivescovo di Genova, uno degli uomini più autorevoli della Chiesa da Pio XII a Giovanni Paolo II (nel 1975 fu l’autore di una memorabile “Nota per il clero” sul “progressismo” che fa letteralmente a pezzi il cattoprogressismo).

Siri – che è stato fra i papabili più quotati in ben quattro conclavi – nel 1970 dette una intervista a “Renovatio”, la rivista che aveva fondato, alla cui direzione aveva chiamato don Gianni Baget Bozzo (da lui stesso ordinato). Sarebbe interessante sapere se proprio don Gianni era l’intervistatore, certamente ha la paternità del titolo di quella straordinaria conversazione che fu “La dittatura dell’opinione” (nel testo del cardinale è chiamata anche dittatura del relativismo). Va detto, en passant, che testi del genere, insieme ai libri del cardinale, meriterebbero di essere ripubblicati, per la forza profetica e la profondità che hanno (ma l’editoria sembra orientata solo su teologi e cardinali “progressisti”).

Alcune perle da quell’intervista. “Gli uomini si ritengono liberi: è questa loro opinione, di essere liberi perché è scritto nei testi giuridici, il massimo momento e manifestazione della loro servitù. In realtà molti vivono sotto una dittatura: la dittatura dell’opinione”.

Spiega ancora Siri: “La prima e fondamentale dottrina del potere di questo mondo è l’affermazione: non c’è verità… La differenza principale tra ‘civitas mundi’ e ‘civitas Dei’ non sta sul contenuto, ma sull’esistenza della verità. Se non c’è nulla di vero, allora l’unico principio che conta è l’utile”.

La diagnosi del prelato prosegue: “Il dramma è che tanti non capiscono nulla del loro tempo. L’uomo è oppresso dalle potenze di questo mondo, dai loro miti. La Chiesa non è con il mondo: la Chiesa è con l’uomo, essa è la voce della libertà che nasce dallo Spirito Santo. La Chiesa non può essere là dove regnano le forme ciniche o quelle eversive e nichiliste dei padroni di questo mondo e di questo tempo…” Siri giudica “la cultura di massa asservita ad interessi ben precisi”, essa “rappresenta una selezione precisa di un’immagine d’uomo senza profondità perché senza spirito”. Uomo quindi “manipolabile da un efficace sistema di persuasori occulti”. Con la collaborazione di “quei teologi della cultura di massa che hanno lanciato lo slogan della morte di Dio con il medesimo tipo di diffusione di un prodotto commerciale”.

Esiste, anche in teologia, una tecnica per sostituire alla verità l’opinione? Siri la vede nell’ “attuale pubblicistica religiosa, letteraria, filosofica”. La “tecnica del relativismo” diventa molto efficace, spiega il prelato, specialmente “riducendo ogni questione dottrinale negli schemi di destra e di sinistra. Tutto si relativizza, tutto diviene questione di opinione e mezzo di potere”.

Più avanti aggiunge: “il relativismo è la condizione per la manipolazione dell’uomo”, per la “mitizzazione del suo comodo e della sua utilità: che è la via della sua servitù, della sua tristezza, della sua angoscia, della sua noia, della sua follia”. Ed è qui che insorge “il problema della salute mentale come un problema dell’uomo d’oggi” prodotto dal “disordine dello spirito” della cultura dominante. Che paradossalmente si presenta come “un’ideologia del benessere”.

Essa trasmette “un’immagine dell’uomo senza profondità e senza significato, dell’uomo senza spirito e senza Dio” ed “è diffusa oggi da una catena imponente di mezzi di diffusione del pensiero, che impongono con la forza del loro apparato la loro immagine del mondo come se fosse la realtà stessa… L’uomo viene così condotto alla disperazione, perché il piacere, colto giorno per giorno, svanisce giorno per giorno”.

In questa profetica intervista – datata 1970 – Siri considera già il problema ecologico in questa prospettiva spirituale: “Il potere delle tenebre conduce l’uomo alla morte… il deterioramento del pianeta, dell’aria, dell’acqua, conduce l’umanità al suicidio. Ma chi imporrà legge agli interessi, alla caccia del lucro?”.

Peraltro “la dittatura dell’opinione in cui viviamo si ripercuote anche nella vita ecclesiastica… Oggi, ogni teologo che passi per iconoclasta, liberatore, innovatore, è subito captato da un’editoria compiacente, che diffonde per tutti i canali dei mezzi di massa questo dissenso confortevole, questa iconoclastia per amor del comodo e del successo. Il divismo di teologi, di scrittori, di figure della protesta: ecco un dolore, una sofferenza per la Chiesa di oggi: coloro che denigrano il passato della Chiesa per affermare che è proprio dal rinnegamento di esso che la Chiesa riemergerà più autentica”.

Siri riconosce che “la presente situazione della Chiesa è una delle più gravi della sua storia, perché questa volta non è la persecuzione esteriore a impugnarla, ma la perversione dall’interno. Più grave”. Parla perfino di “coloro che usano della loro funzione ecclesiastica per sovvertire la Chiesa”. Parla di abusi nella liturgia e dell’ideologia ecumenista. Afferma: “La cosa più urgente è restaurare nella Chiesa la distinzione tra verità ed errore”. Ma aggiunge: “ci sono tanti segni, che indicano che i demolitori della Chiesa hanno fatto il loro tempo”.

E qui ha un’intuizione che è “profetica”: bisogna guardare agli uomini della Chiesa dell’Est, quella provata dalla persecuzione comunista: “Noi siamo in un tempo di prova e nei tempi di prova è più facile vedere la tenebra che la luce. Ma la luce è presente: la potenza stessa della tenebra è un mezzo di purificazione… Noi sappiamo che il Signore conduce le cose in bene… La nostra umana debolezza, l’isolamento, il senso di sconfitta apparirà cambiato dalla potenza di Dio, in segno della gloria della sua città…”.

Ecco la “profezia” di Siri: “Ho sempre notato che in genere gli errori teologici derivano da inquinamenti marxisti. È una storia lunga. Ma finora non ho trovato sulla mia strada uomini cosi puri nella fede come quelli che hanno esperimentato nella vita quella teoria. Sono stati vaccinati”.

Otto anni dopo il Conclave chiamerà al papato proprio un uomo dall’Est, che addirittura abbatterà il moloch dei sistemi comunisti con la forza di una testimonianza inerme. Siri diceva nel 1970: “Nel momento in cui tutto umanamente sembra perduto, allora è il tempo dello Spirito Santo: che conduce al nulla i potenti di questo mondo e trova vie impensate per mostrare agli uomini la divinità della Chiesa, della sua opera di santificazione e di santità”.

Così è stato.

 
 

 

 

Emergenza Educativa di Luigi Negri*

In questi tempi dominati dalla dittatura del relativismo, tempi in cui le generazioni adulte si sono trovate lentamente espropriate dalla loro cultura, si è generata una forte incomunicabilità fra mondo adulto e mondo giovanile per cui educare ed educarsi è divenuti un’emergenza in ogni ambito, da quello familiare, a quello scolastico, a quello sociale.
Gli interventi di S. E. Mons. Negri, vescovo di San Marino – Montefeltro, raccolti in questo libro marcano un tragitto di esperienza e di riflessioni sul come e sul perché educare, dichiarandolo possibile e urgente per tutti, perché, come detto in prefazione, “per il suo percorso di vita, di amicizie, di vissuti fraterni di appartenenza, di esperienza ecclesiale, di insegnamento, Mons. Negri ha ben presente che educare diviene la grande sfida per ricondurre l’io alla coscienza di sé e del suo impegno nel mondo cioè di sapere perché vive, da dove viene e a cosa è destinato”.

*NEGRI LUIGI

S.E. Mons. LUIGI NEGRI nasce a Milano il 26 novembre 1941. Al liceo Berchet incontra Mons. Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, di cui diventerà stretto collaboratore. Laureatosi in Filosofia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, diventa assistente alla cattedra di Filosofia Teoretica presso la stessa università. Nell’ottobre del 1967 entra nel Seminario Diocesano di Milano e il 28 giugno 1972 riceve l’ordinazione sacerdotale.
È stato docente di Introduzione alla Teologia e di Storia della Filosofia presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ha pubblicato circa trenta volumi ed una quarantina di saggi. Ha avuto incarichi di insegnamento alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, di Lugano e al Seminario Vescovile di Albenga. Il 17 marzo 2005 è stato eletto alla sede vescovile della diocesi di San Marino-Montefeltro e il 7 maggio 2005 nel Duomo di Milano ha ricevuto l’ordinazione episcopale per le mani del card. Dionigi Tettamanzi, degli arcivescovi mons. Carlo Cafarra e mons. Paolo Romeo, nunzio per l’Italia e San Marino, e di altri venti vescovi italiani e stranieri. Ha fatto ingresso solenne in diocesi a Pennabilli il 22 maggio 2005. È presidente della Fondazione Internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero Sociale della Chiesa che ha sede nella Repubblica di San Marino.