Miur,Valutazione dell’IRC e del Comportamento.

Il MIUR fa chiarezza sulla Valutazione dell’Insegnamento della Religione Cattolica e del Comportamento.

  Il Ministero ha fatto chiarezza sul metodo da utilizzare nella valutazione degli studenti; è stata emanata la circolare n°10 prot. 636, con la quale si afferma che “le espressioni valutative siano riportate con voti numerici espressi in decimi“; tutto ciònon si applica  alle valutazioni degli insegnanti di religione, per i quali si specifica che  “continuano ad applicarsi le specifiche norme vigenti in materia“;  nell’insegnamento della religione, infatti, la valutazione riprende ancora oggi  una procedura di derivazione concordataria (art. 4 della  legge n° 824/1930) recepita all’art. 309 del Testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 296.
Quanto alla possibilità per gli insegnanti di religione di esprimere una propria valutazione sul comportamento degli alunni, ribadiamo che non è cambiato nulla rispetto agli anni precedenti. In questi giorni, sono stati diffusi inutili allarmismi a proposito dello “Schema di regolamento per la valutazione degli alunni”, che all’art. 3 comma 6, recita “la votazione sul comportamento, attribuita collegialmente dal consiglio di classe, concorre, come il voto delle altre discipline, alla determinazione della media complessiva dei voti in ogni situazione in tutti i casi previsti dalla norma. Da tale votazione complessiva è escluso l’insegnamento della religione cattolica, ai sensi dell’art. 309 del Testo Unico….”.
Un nostro -inciso- per il fatto che tale “Schema di regolamento” è solo una “bozza” che va ancora rivista e corretta e non ha quindi nessun carattere applicativo, è comunque opportuno sottolineare che la frase “da tale votazione complessiva è escluso l’insegnamento della religioneè riferita alladeterminazione della media complessiva dei voti” e NON alla votazione sul comportamento; infatti all’art. 7 del predetto schema la formulazione chiarisce in modo inequivocabile che “l’insegnamento della religione è utile ai fini del voto del comportamento, dei crediti scolastici e all’ammissione alla classe successiva o all’esame finale di ciclo” .
Allegati:
Circolare Ministeriale n. 10 del 23 gennaio 2009 – Valutazione degli apprendimenti e del comportamento
Bozza Schema di regolamento per la valutazione degli alunni.

http://www.idracireale.org/news.asp?id=349

102 Candeline per la Sig.ra Serafina Criscuoli:Auguri!

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Domani 26 Gennaio 2009,la Signora Serafina Oliveri in Criscuoli,Vallelunghese doc,compirà 102 anni.Augurissimi alla Signora Serafina,ai suoi tre figli e ai suoi tanti nipoti .

 “Ad multos annos”

dal Webmaster di Terra Mia.

Francesco Pignatone….

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Introduzione al diritto comparato delle religioni…

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Questo libro offre una sintetica introduzione in chiave comparata al diritto di tre grandi religioni: ebraismo, islam e induismo. Ciascuno dei tre ordinamenti giuridici è nato e si è formato all’interno di una religione: un imprinting comune che ha lasciato tracce, determinando più o meno profondamente le modalità con cui essi si sono rapportati ai problemi emersi nei relativi contesti sociali e politico-culturali. Dopo aver illustrato i criteri che debbono guidare la comparazione tra differenti diritti religiosi, gli autori forniscono una descrizione essenziale dei tre sistemi, dei loro principi fondativi e dei loro principali istituti. Una lettura utile sotto molti aspetti: conoscere le regole a cui si ispirano i comportamenti dei fedeli delle diverse religioni ha infatti oggi un’importanza che supera i confini dell’interesse scientifico e tocca questioni legate alla coesione sociale ed alla governance delle diversità.


Indice: 

Prefazione

I. Diritti e religioni, di S. Ferrari
II. Gli studi di diritto comparato delle religioni, di S. Ferrari
III. Il diritto comparato delle religioni, di S. Ferrari
IV. Il diritto indù, di D. Francavilla
V. Il diritto ebraico, di A. Mordechai Rabello
VI. Il diritto islamico, di R. Aluffi Beck-Peccoz.

http://www.olir.it/libri/index.php?aut=6&lib=254

Lo spirito dei diritti religiosi…

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IntroduzioneIndice
http://www.olir.it/libri/index.php?aut=6&lib=9

Presentazione
di Silvio Ferrari

Tutte le religioni producono un proprio diritto, cioè un complesso di norme che definiscono i diritti e i doveri dei loro fedeli. 

Questo libro pone a confronto tre diritti “religiosi”, il diritto ebraico, quello canonico e quello islamico, allo scopo di individuarne analogie e differenze. In una società sempre più pluralistica dal punto di vista religioso, è importante capire le radici di tanti comportamenti che a prima vista risultano incomprensibili o sconcertanti perchè estranei al nostro background culturale : la questione del velo, il rifiuto di determinati cibi, il rapporto tra uomo e donna affondano le loro radici in norme che sono in buona parte condivise dalle tre religioni ma che hanno avuto uno sviluppo diverso.

Ricostruire questo percorso (e soprattutto capire perchè è stato diverso) serve sia per prefigurare l’evoluzione di queste tre religioni (verso un futuro sempre più conflittuale oppure verso l’individuazione di punti di incontro e di dialogo?) sia per fornire al legislatore statale strumenti per comprendere, e quindi gestire, le richieste che gli provengono dai fedeli di queste comunità. 

La ricerca mostra che vi è un’area comune a diritto ebraico, canonico ed islamico, determinata dalla origine divina delle loro norme e dal fatto che esse hanno per scopo ultimo la salvezza eterna dei fedeli. Tutto ciò distingue profondamente i diritti “religiosi” dai diritti “secolari” (quelli degli Stati, degli organismi internazionali, ecc.) e da’ ai primi una forza particolare: le norme dei diritti religiosi vengono sovente percepite come comandamenti divini e, talvolta, questa percezione può condurre ad esiti inaccettabili (si pensi al caso dei “martiri” islamici).

Vi sono però significative differenze che separano il diritto canonico dal diritto ebraico ed islamico. Le più rilevanti sono:
a) il rapporto con la cultura classica: la filosofia greca ed il diritto romano in particolare. Questo rapporto è molto più diretto nel caso del diritto canonico che in quello del diritto ebraico ed islamico. In particolare il diritto canonico recepisce e fa propria la nozione di diritto naturale, cioè di un diritto che è comune a tutti gli uomini (indipendentemente dalla loro fede religiosa) e può essere conosciuto da tutti attraverso il corretto uso della ragione. Una simile nozione è molto più debole nel diritto ebraico e quasi inesistente in quello islamico. Il diverso impatto che la nozione di diritto naturale ha sulle tre religioni emerge in molti campi. L’idea di un legame universale che unisce tutti gli uomini ancor prima della loro fede religiosa determina per esempio un diverso approccio alla questione dei diritti fondamentali dell’uomo, più agevole oggi per il diritto canonico che per quello islamico. Questa stessa idea rende possibile al diritto canonico contemporaneo accettare la laicità dello Stato, inteso come casa comune di credenti e non credenti che vi possono convivere sulla base del diritto naturale che li accomuna: la debolezza di quest’ultima nozione porta invece il diritto islamico (ed anche ebraico) a preferire altri modelli (per esempio quello del millet, basato sulla coesistenza all’interno di uno stesso Stato di diverse comunità religiose, ciascuna con un proprio diritto, propri tribunali, ecc.).
b) la distinzione tra religione e politica, più netta nel diritto canonico che negli altri due ordinamenti giuridici. Il “date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio” si trova nel Vangelo ma non ha corrispondenza nè nell’Antico Testamento nè nel Corano. Questa differenza -per quanto sia stata interpretata in modo diverso e talvolta contraddittorio nella storia del cristianesimo- ha un impatto profondo sui rapporti tra Stato e religione: nell’Occidente cristiano essa conduce a riconoscere una sfera di legittimità e di autonomia (sia pur relativa) del diritto secolare, agevolando la nascita dello Stato laico; nell’Oriente musulmano (e, in qualche misura anche in Israele) questa autonomia è più debole ed il diritto dello Stato resta concettualmente subordinato al e praticamente impregnato dal diritto islamico (o ebraico). 
c) la secolarizzazione del diritto canonico, molto più marcata che quella del diritto ebraico ed islamico. L’esistenza di una autorità -il pontefice- in grado di prendere decisioni per tutta la Chiesa, la presenza di una istituzione ecclesiastica organica e centralizzata, il fatto che da lunghissimo tempo il pontefice sia anche un sovrano temporale hanno avvicinato il diritto della Chiesa al diritto degli Stati, facendogli assumere alcuni caratteri -il predominio della legge, per esempio- propri dei diritti secolari contemporanei. La comunità ebraica e quella musulmana hanno una struttura reticolare anzichè piramidale, mancano di una gerarchia centralizzata e sono fondate sull’esistenza di molteplici comunità locali, ciascuna con una propria autorità: tutto ciò ha fatto sì che il diritto ebraico ed islamico siano fondati non tanto sulla legge quanto sul consenso dei saggi e della comunità, sulla consuetudine, sulla interpretazione delle norme data dagli esperti di diritto. Dalla fine del Medioevo in poi, questi caratteri si sono progressivamente attenuati nel diritto canonico ma sono rimasti forti negli altri due diritti. In questo senso il diritto canonico è divenuto più moderno ma ha anche perduto parte della sua originalità, appiattendosi sul modello dei diritti secolari: gli altri due diritti invece appaiono tecnicamente più obsoleti, hanno maggiori problemi a confrontarsi con la modernità ma hanno meglio conservato i caratteri propri dei diritti “religiosi”.

Questo libro non autorizza facili ottimismi. Diritto ebraico, canonico ed islamico non sono diversi soltanto perchè le tre religioni ad essi sottostanti sono giunte ad un differente stadio di sviluppo: vi sono anche diversità di fondo, più difficilmente eliminabili perchè connesse alla stessa rivelazione divina su cui ciascuna di esse è fondata. 

Vi è però un punto che merita di essere sottolineato. In un’epoca in cui molti diritti secolari hanno rinunciato a porre il proprio baricentro nella ricerca della giustizia, accontentandosi di una funzione strumentale e subordinata rispetto all’economia ed alla politica, questi tre diritti religiosi continuano ad affermare l’idea che il diritto serva ad indicare agli uomini la verità: un’idea che per certi versi è “pericolosa”, come tutto ciò che ha a che fare con la verità, ma che pone l’unica domanda veramente fondamentale per un giurista. Senza voler imporre a nessuno un “regime della verità”, questo richiamo ad una funzione profetica della giustizia costituisce la sfida che i diritti religiosi lanciano non soltanto alla società secolarizzata di oggi ma anche a se stessi, chiamandosi a trovare un punto di incontro a questo livello così alto e così difficile da raggiungere. 
Premessa

Introduzione

Capitolo I. Introduzione al diritto comparato delle religioni

1. Diritto comparato e religioni: un rapporto difficile (ovvero: perchè non esiste un diritto comparato delle religioni)
2. Sistemi giuridici religiosi?
3. Comparazione, diritto e religioni in una società multiculturale

Capitolo II. Il diritto tra secolarizzazione e ritorno del religioso

1. Diritto, religione e secolarizzazione nel pensiero di Weber e Schmitt
2. La secolarizzazione del diritto nel mondo musulmano ed ebraico
3. Secolarizzazione del diritto e ritorno del religioso
4. Osservazioni conclusive: irrazionalità dei diritti sacri?

Capitolo III. Diritto e religione nella tradizione ebraica, cristiana e musulmana

1. I confini del diritto
2. Il diritto nell’economia della salvezza

Capitolo IV. Il diritto divino

1. Diritto divino
2. Diritto divino e diritto naturale
3. Diritto divino e diritto umano (ovvero come modificare una legge immutabile)
4. Le vie del mutamento: legislazione (canonica) e interpretazione (ebraica ed islamica)

Capitolo V Ipotesi di ricerca

1. L’appartenenza religiosa
2. La guida della comunità
3. Diritto religioso vs. diritto secolare

Conclusioni. Che fare?

1. La base di partenza
2. Le prospettive
3. Il percorso

Indice analitico
Indice dei nomi

Il Restauratore nomade….

Il Restauratore nomade amante di arte e gatti.

Felice Dell’Utri,nisseno, è il nuovo conservatore del Museo Diocesano di Caltanissetta,

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creato,nel tempo,da quella straordinaria personalità poliedrica, amante dell’arte sacra, che fu Mons. Giovanni Speciale. A tal proposito confronta i seguenti link:

https://maik07.wordpress.com/2008/09/14/il-museo-diocesano-di-caltanissetta/

https://maik07.wordpress.com/2009/01/04/nel-silenziola-memoriain-ricordo-di-monsgiovanni-speciale/

Felice Dell’Utri è stato allievo ed è collaboratore del Prof. Rosolino La Mattina. Con il Maestro La Mattina  ha lavorato,anche, per la stesura della loro ultima fatica artistico-letteraria, ossia il prezioso volume su Fra Innocenzo da Petralia. https://maik07.wordpress.com/.

Un profilo del Dell’Utri e del suo nuovo incarico è stato tracciato dal Dott. Salvatore Falzone.

Al Dott.Dell’Utri i migliori auguri dal Webmaster del blog Terra Mia,nisseno come Lui.

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FRATE INNOCENZO DA PETRALIA….

FRATE INNOCENZO DA PETRALIA
SCULTORE SICILIANO DEL XVII SECOLO FRA LEGGENDA E REALTA’

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Il libro (formato 21×31, cartonato e con sovracopertina a colori ) è composto di n.112 pagine di testo ed è arricchito da n.51 illustrazioni in b/n e da n.16 tavole a colori fuori testo raffiguranti le sue opere.
Costituisce la prima monografia completa sull’artista siciliano del Seicento, autore di splendidi Crocifissi lignei policromi dalla straordinaria bellezza e dalla possente drammaticità.
Contemporaneo e conterraneo del suo più noto confratello francescano “Frate Innocenzo da Petralia”, lavorò soprattutto nelle Marche e nell’Umbria dove realizzò numerosi Crocifissi, a grandezza naturale, altamente drammatici, come quelli di Loreto (Basilica Santa Casa), Assisi (Convento di S. Damiano), Gubbio (Chiesa di S. Girolamo). Altri suoi Crocifissi si trovano a Pesaro, Fabriano, Ascoli Piceno, Senigallia, Cagli, Gradara, S. Lorenzo in Campo, Porretta Terme, S. Angelo di Brolo, Furnari, Monreale. Due suoi Crocifissi si trovano perfino nell’isola di Malta (Cattedrale di Mdina) – (Chiesa di Santa Maria di Gesù di La Valletta).
Frate Innocenzo da Petralia, di cui si sconoscono al momento il nome al secolo, la data di nascita e di morte, eseguì anche statue di Madonne, Santi, e pregevoli reliquiari. Famosa è la Madonna col Bambino che si conserva oggi nella chiesa di Santa Caterina di Sambuca di Sicilia.
La sua bravura gli permetteva di realizzare un Crocifisso, a grandezza naturale, in soli otto giorni compreso la coloritura.
Il prezioso volume d’arte, oltre a descrivere la vita e l’opera del grande artista siciliano, appartenente all’ordine dei Frati Minori, presenta inoltre alcuni interessanti capitoli come “ La Crocifissione nell’arte”, “ Come si attribuisce un’opera d’arte”, ecc. Nel capitolo dei Contemporanei, ampio spazio è stato riservato a Frate Umile da Petralia (nel volume sono state inserite molte immagini dei suoi Crocifissi fra cui quelli di Petralia Soprana, Bisignano, Salemi) e altri artisti francescani di quell’epoca, fra cui alcuni inediti. Nel volume è menzionato anche Fra Stefano da Piazza Armerina, celebre scultore siciliano del Seicento, autore di celebri Crocifissi , soprattutto a Roma.
Particolarmente ricco di citazioni bibliografiche, il nuovissimo libro del Prof.:

 Rosolino La Mattina,FRATE INNOCENZO DA PETRALIA
Scultore siciliano del XVII secolo – “ fra leggenda e realtà”,
Lussografica Ed.,2009,Euro 33,00

vuole rappresentare lo studio più aggiornato sull’artista che merita un posto di primo piano nella storia dell’arte siciliana del XVII secolo.

L’autore del libro

DI FRONTE AL DOLORE DEGLI UOMINI, ANCHE IL TEMPIO È SECONDARIO…..

DI FRONTE AL DOLORE DEGLI UOMINI, ANCHE IL TEMPIO È SECONDARIO….

Il tempio e il dolore degli uomini. Il tempio come elemento di fuga dalla realtà  e di mistificazione della stessa,oppure come possibilità di uscire da esso per incontrare il dolore umano. Quello della gente del Sud,del casertano, che un Vescovo,proveniente dal nord,ha imparato a condividere e ad amare. Il tempio,per Mons. Raffaele Nogaro, è divenuto “secondario”. Il tempio come trampolino di lancio per evangelizzare le tante povertà,materiali e morali,del sud. Il tempio a servizio degli uomini e delle donne di questo tempo che,spesso,fanno a meno del tempio. Il tempio come luogo del servizio e non di privilegi otonici. Il tempio come apertura per dare qualcosa,di materiale e di spirituale  a chi non ha,piuttosto che come luogo per ricevere regali e prebende. Il tempio come stimolo per un forte impegno nel sociale e non come sinonimo d’immobilismo e di non comprensione della realtà circostante. Il tempio a servizio dell’umanità sofferente,contro i tanti e organizzati mercanti del tempio. Il tempio come “topos” della profezia sul tempo e sugli uomini di questo tempo. Il tempio come annuncio della salvezza che si storia e solidarietà con gli ultimi. Il tempio che ha il coraggio di denunciare, con i criteri evangelici, le tante nefandezze del tempio stesso. “Distruggete questo tempio ed in tre giorni lo riedificherò”.

Ha salutato la “sua gente” l’ultimo giorno del 2008 il vescovo di Caserta Raffaele Nogaro, che, proprio lo scorso 31 dicembre, ha compiuto 75 anni e ha quindi presentato, secondo la norma canonica introdotta da Paolo VI le sue dimissioni, dopo 26 anni di ministero episcopale, 18 dei quali trascorsi a Caserta, dove arrivò il 20 ottobre 1990.

Un commiato che, al di là delle tanto scontate quanto formali parole di circostanza, è stato salutato con grande sollievo dai politici locali e dai poteri forti – sia legali che illegali – della città, in questi anni più volte sferzati da un vescovo schierato sempre dalla parte degli ultimi e per nulla incline a compromessi buonisti dettati da ragioni di opportunità o di galateo istituzionale. Basti pensare, limitandosi solo agli ultimi anni, alle battaglie condotte da mons. Nogaro, insieme a molti casertani, per la restituzione ai cittadini del Macrico – una ex area militare di 33 ettari di proprietà dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero da anni al centro di tentativi di speculazioni edilizie architettate da palazzinari ed enti locali (v. Adista nn. 9/01; 9, 11, 13, 15, 43, 51, 63, 73/07 e 65/08 – e contro l’apertura della nuova discarica illegale di “Lo Uttaro” (v. Adista nn. 31, 33, 37/07; 5 e 13/08) o alle parole forti del vescovo contro la discriminazione (v. Adista n.70/08), la camorra (v. Adista nn. 35 e 71/08) e la corruzione politica (v. Adista n.19/08).

E da pastore che “ama la sua gente” ha appena dato alle stampe un volumetto – Ho amato la mia gente – che è contemporaneamente testamento spirituale e bilancio di oltre un quarto di secolo di episcopato. Pubblichiamo di seguito le pagine dedicate alla Chiesa, alla nonviolenza, alla carità e alle “responsabilità verso la camorra”.

 

HO AMATO LA MIA GENTE

di Raffaele Nogaro

La mia Chiesa

(…). 1) La comprensione incondizionata dell’uomo

Più che una “dittatura del relativismo”, che potrebbe compromettere ogni ricerca della verità, oggi si avverte uno “spaesamento dei valori” (diritto, doveri, giustizia, libertà, educazione, rispetto, sicurezza sociale, pace).

L’atteggiamento della Chiesa di fronte a queste realtà è molteplice. È la spettatrice critica di fronte ai processi della società, e magari diventa arcigna e violenta di fronte ai fenomeni giudicati degenerativi della società. Si pensi come il “magistero” ha inteso la “modernità”. Essa è stata pensata come una deformazione delle coscienze, quando poteva tradursi in una grande educazione di umanità. È comprensibile la diffidenza che la Chiesa ha verso la ricerca scientifica? Forse la Chiesa non ha mai voluto ammettere il “date (rendete) a Cesare quel che è di Cesare” e il “date a Dio quel che è di Dio” (Mt. 22, 21). (…). Attualmente la Chiesa sembra voler essere l’“autovelox” della morale. Sta nascosta dietro l’angolo e quando la cultura sfreccia e magari sembra violare, per eccesso di velocità, soprattutto i temi della morale, eleva sanzioni (…).

La Chiesa certamente deve condurre gli uomini alla vita vera. Ma come fa la madre. Ella non insegna, ma educa, costruisce, con infinita comprensione, con uno spirito di riconciliazione senza limite. La sua non è sterile constatazione, o peggio controllo (“inquisizione”), ma sempre lievito, fermento di vita, promozione.

L’umanità è comunque sofferente e bisognosa, al di là di ogni forma di peccato, e la Chiesa, con l’unica sua verità, che è la misericordia di Cristo, ripete: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò” (Mt. 11, 28). Il cap. 15 di Luca potrebbe essere il “manifesto” del comportamento della Chiesa. Narra le parabole della pecora smarrita, della dramma perduta e del figlio prodigo. Si capisce in questo manifesto cosa significhi comprendere e amare l’essere umano che è sempre così debole. I primi sette versetti del capitolo sono di una emotività eccelsa ed estrema. “Pantes oi telonai cai oi amartoloi – Tutti i pubblicani e i peccatori vanno da lui”. L’appuntamento di “tutte” le persone sregolate è da Gesù. È comprensibile lo scandalo delle persone rette, i farisei e gli scribi. E Gesù, “umile di cuore” anche con loro, dice: “Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?”. No, nessuno userebbe questo criterio pastorale. Ma Gesù insiste e sostiene di essere nella gioia solo quando ritrova la pecora. E a conferma della arditezza del suo amore, senza parametri umani: “Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”.

 

2) La “Cattolicità”

Deus vult omnes homines salvos fieri – Dio vuole che tutti gli uomini vengano salvati” (1 Tm. 2,4). È evidente l’affermazione biblica, perché, con l’“incarnazione”, Dio si fa uomo in ogni uomo. “Non fa preferenze di persona” (At. 10, 34). Anzi “ogni uomo a qualsiasi popolo appartenga” è bene accetto a Dio” (At. 10, 34). La consegna agli Apostoli, dopo la risurrezione, è: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc. 16, 15). Probabilmente l’assicurazione: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt. 28, 20) viene fatta per garantire che la sua Chiesa “avrà le porte sempre aperte” (Ap. 21, 25), per accogliere tutte le genti.

Riservare il cristianesimo alla civiltà occidentale è tradire il Vangelo. Rivendicare le “radici cristiane” dell’Europa rischia di compromettere l’universalità del Vangelo. Il Vangelo è incarnazione attiva presso tutte le genti. Le quali sono chiamate ad esprimere il loro volto cristiano (cf. Mt. 28, 19). Gli Apostoli non sono mandati per dare alle genti un cristianesimo occidentale, ma per affidare a tutti il Vangelo quale sorgente di originalità. Il messaggio del Vangelo rimane genuino e originale presso tutti i popoli: “Costoro che parlano sono tutti Galilei. E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto, e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio” (At. 2, 7-11). (…).

 

3) L’Unità

L’unità di tutto il genere umano ha per fondamento il Vangelo. Dio si è incarnato in ogni uomo, rendendo ognuno di noi uguale al fratello. Non c’è umanità, pertanto, senza l’amore del fratello. Il quale ha tutti i diritti al mio amore, perché “nessun uomo è profano o immondo” (At. 10, 28). L’unità, in realtà, non si fa con la dottrina, non si fa con i principi, non si fa con una religione codificata, ma soltanto con l’amore.

Amos Oz riferisce un aneddoto: “Avevo dato all’amico un appuntamento al bar. Assolsi ad un piccolo impegno d’urgenza e subito raggiunsi l’amico. Con mia sorpresa vidi già seduto accanto a lui un signore dal nobile aspetto. Con qualche gesto impercettibile chiesi all’amico chi fosse. Quegli, con fare circospetto, mi disse: mi pare tanto che sia Dio. Mi sedetti accanto e, parlando, anch’io ebbi l’impressione che fosse Dio. Volli allora togliermi una curiosità. Dissi: da noi qui ci sono tante religioni: la cristiana, l’ebraica, la musulmana. Qual è quella vera? Rispose: non lo so; io non sono religioso. Sono venuto sulla terra per amare gli uomini e per salvarli”.

Invece il confronto religioso diventa facilmente violenza, dalla lotta contro gli Albigesi alle “crociate”.

Francesco nella Regula non bullata (cap. 16) ha una pagina di grande significato: “I frati coraggiosi vadano presso gli infedeli e, presentandosi come cristiani, si mettano a servizio di tutti senza mai contrasti e dispute”. Incantato dalla sua figura, il delegato papale di Damietta Jaques De Gratry riferisce che Francesco si presentò al sultano “sine armis et sine argumentis philosophicis, ma solo con l’amore di Cristo”.

Giovanni XXIII, veramente ispirato, nel discorso di apertura del Concilio, chiedeva a Dio che questo evento portasse alla costituzione dell’unica famiglia umana, “all’unità dei cristiani tra loro, all’unità dei cristiani con gli uomini di altre religioni, all’unità dei credenti con i non credenti”. L’occasione attuale della miscelatura di tutti i popoli, occidentali e arabi, cinesi e indiani, cristiani e musulmani, offre ai discepoli di Cristo la possibilità di effondere tutto l’amore di Cristo, fino alla costruzione della “Pacem in terris”.

 

4) La Carità

La carità è la Chiesa: “charitas Christi urget nos”. I tre Vangeli sinottici sono il poema della carità di Gesù. Gesù è sempre in attività, per guarire tutti gli ammalati, per dare conforto a tutti i bisognosi. Sta volentieri con le persone anonime, con le “folle”, che non hanno qualificazioni sociali, che “sono come pecore senza pastore”, e prova pietà per loro: “misereor super turbam”. Le folle sono particolarmente bisognose, sono di solito affamate. E Gesù provvede loro con la “moltiplicazione dei pani”. (…). La Chiesa pensa oggi alle “masse affamate” del mondo? Oggi, il dramma dei popoli, Iraq, Sudan, ha riscontro nella Chiesa?

Gesù scombina anche i rigorosi precetti della legge mosaica, per andare incontro alle necessità dell’uomo: “Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato”. Con gli Apostoli Gesù percorre tutte le strade della Palestina, non per andare a formare cenacoli e gruppi di preghiera, né per andare a costruire chiese e sinagoghe, ma per “cercare e salvare ciò che era perduto” (Lc. 19, 10). Sembra quasi trascurare il culto e anche la catechesi, quando raccomanda: “Se fai l’offerta all’altare e ti ricordi che il fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì l’offerta, corri a riconciliarti con il fratello, poi torni e fai l’offerta all’altare” (Mt. 5, 23-24). Di grande provocazione è il suo identificarsi con il “Buon Samaritano” e trascurare il sacerdote e il levita, ma anche il “dottore della legge”, al quale dice in pratica che non sono necessari né il tempio, né la Torah, quando invece indispensabile è agire come il Samaritano (Lc. 10, 25-37).

Incandescente per me è l’episodio del “battesimo”. Egli, l’innocenza di Dio, vuole purificarsi come gli altri, apparire un peccatore tra i peccatori. È chiaro allora che non c’è un reietto che non sia Lui, non c’è una vittima che non sia Lui, non c’è uno straniero che non sia Lui, non c’è un disperato che non sia Lui (cf. Mt. 25).

 

5) Oscuramento di Cristo

È certo che credere nel Dio annunciato da Gesù, un Dio umile e nascosto, dischiude problemi nella Chiesa, alla ricerca del suo compito e della sua autorità. Il rischio della Chiesa di cambiare l’originalità dell’istituzione è grandissimo e sempre incombente. Da discepola e testimone del Risorto, essa si fa interprete, vicaria e sostituta di Dio. Si pone come unica titolare e depositaria del divino sulla Terra.

Gesù aveva proclamato la “giustizia superiore” delle “beatitudini”, vincendo le tentazioni della ricchezza, del prestigio e del potere. La Chiesa invece preferisce tenere in disparte Gesù e sacralizzare questi beni (“La leggenda del Grande Inquisitore”).

L’irrilevanza di Gesù è caratterizzata da quasi tutta la modernità. E sembra esplicita nella Chiesa. Nelle recenti dispute con i legislatori italiani e spagnoli e con i costituenti europei, la Chiesa fa appello alla biologia, alla natura, alla storia, alle tradizioni culturali, alla precauzione politica, non al Vangelo. Anzi ci tiene ad affermare che la sua dottrina, la verità di cui è custode, corrispondono a una visione razionale e umana a tutti comune. La trascuranza di Cristo sembra così evidente. Ma “sine me nihil potestis facere” (Gv. 15, 5). E questo oscuramento del Cristo è la ragione di tutti i nostri smarrimenti.

Per fortuna e per grazia, anche se noi trascuriamo il Signore, egli viene a noi incontro. “Gesù in persona si accosta a me e con me cammina” (Lc. 24,15). E mi confida: “Ecco, io sto alla tua porta e busso. Se tu ascolti la mia voce e mi apri la porta, io vengo da te, ceno con te e tu con me” (Ap. 3, 20).

 

6) Il “principio speranza”

“Noi diamo ragione della speranza che palpita nel nostro cuore”, perché abbiamo il Vangelo. E il Vangelo è tutta la speranza. Il Vangelo è una proiezione infinita di luce, è l’apertura e la libertà della vita, è “pieno di immortalità”. “Gesù è colui che vive e più non muore” (Ap. 1, 18). È lui il destino dell’uomo e quindi è la sua speranza infinita. Anche la Chiesa non ha nessuna verità da dare. Ha unicamente l’“amore eterno” (Ger. 31, 3), da comunicare a tutti. (…).

 

Esercizi di nonviolenza

– L’evangelizzazione oggi sembra asfittica. Occorre annunziare di nuovo le Beatitudini e il Magnificat. Se Gesù ci chiede di superare le tentazioni della ricchezza, del potere, del prestigio, il Magnificat ci assicura che lui rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili.

– Recuperare la memoria del Concilio: non dimenticare le salutari avanguardie che hanno aperto nuovi percorsi; riconoscere, come papa Giovanni XXIII, che “Ecclesia sempre reformanda”; proclamare il valore dell’Ecumenismo ad ogni costo; credere nella scelta preferenziale dei poveri; la solidarietà della Gaudium et spes: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (n. 5.1).

– Superare la neutralità: un giovane non può rimanere neutrale tra dittatura e democrazia, tra libertà e fascismo, tra pace e guerra, tra obiezione di coscienza e militarismo, tra accoglienza degli stranieri e razzismo.

– Recuperare la memoria dei Profeti: don Mazzolari, don Milani, p. Balducci, p. Turoldo, p. Dossetti, La Pira, Lazzati, Bachelet, Moro, Dorothy Day, M.L. King, mons. Romero, mons. Camara… È necessario raccontarli per poterli rivivere.

– Resistere ai “vitelli d’oro”: consumismo, telecrazia…, non rifiuto acritico, ma ragionato. Reagire al neo-nazismo, al neo-liberismo, alla xenofobia, al nazionalismo. Combattere l’integralismo e difendere la laicità della politica.

– La libertà. È una parola difficile e non deve creare equivoci. A me hanno insegnato ad amare questa parola Gandhi, Martin Luther King, Oscar Romero e Madre Teresa di Calcutta. Libertà non è liberismo sfrenato, è liberazione dall’oppressione, dalla tirannia, difesa del pluralismo, della tolleranza, dell’ascolto, del dialogo. Libertà è difesa delle minoranze politiche, religiose, culturali, sociali, etniche.

– Educazione alla condivisione delle risorse, alla redistribuzione delle risorse, per ridurre il fossato Nord-Sud, per affrontare la questione dei flussi migratori inarrestabili.

– Impegno di lotta senza quartiere contro le mafie e le camorre. Rivoltarsi contro le sottoculture dell’illegalità. Studiare catechismi di solidarietà.

– Rifondare il sindacato di tutti, non solo dei “protetti”, ma anche degli “esclusi”.

– Lotta per la libertà dell’informazione. Impegno per la crescita delle voci non omologate, locali e nazionali. Sostenere l’informazione libera e la comunicazione conviviale.

– Scelta di campo per i poveri. Non solo interiore, teologica, emotiva, ma concreta sul territorio. (…).

– Accoglienza dell’altro. Dell’immigrato e del rom. Questi dovrebbero essere accolti non dalle polizie, ma dalle amministrazioni locali o da istituzioni a ciò preposte. (…).

 

Amo la mia gente con le opere di Misericordia

Gesù è l’uomo per gli altri. Anch’io, suo apostolo, devo essere l’uomo per gli altri.

Sono personalmente convinto che oggi la Chiesa sia fortemente ancorata alla liturgia e alla evangelizzazione e meno sensibile alla carità, all’amore verso tutti gli uomini. Sogno una Chiesa piena di vangelo, che rende Gesù visibile dovunque. Gesù parla poco di questioni morali, mentre la sua condotta sembra “eccessivamente” misericordiosa. Non insiste mai sui precetti e sulle ideologie giustificatrici. Presentandosi come “Figlio dell’uomo”, non appare certo come il Dio dei poteri, delle istituzioni e dei sistemi, che creano le vittime e gli sfiduciati. Ma sta con coloro che piangono e che “hanno fame e sete di giustizia”. Non cerca i grandi templi, con lo scopo di onorare Dio, ma gli bastano “lo spirito e la verità” (Gv. 4,23).

Oggi una Chiesa autoreferenziale confonde facilmente i suoi fini con i suoi interessi. Sembra si debba pensare che Dio è nella Chiesa e pertanto il mondo esista per servire la Chiesa e questa per difendere ad ogni costo se stessa. Invece Dio è nel mondo e la Chiesa esiste per servire il mondo, creato da Dio e amato, e redento e perdonato da Lui. Questo mondo è il nostro mondo, è quello che Dio ci ha dato da amare. Non siamo qui per giudicarlo, ma per annunciargli il Vangelo, cioè la salvezza e la felicità. Per Gesù i sabati, i templi, le filatterie, i precetti diventano totalmente secondari di fronte al dolore degli uomini. Gesù lascia le curie del potere e va nell’“orto”, dove egli suda il sangue dei poveri. L’opzione della Chiesa dovrebbe ancora essere il predicare un cristianesimo di sequela, piuttosto che un cristianesimo di consumo. Non si può pensare che con più praticanti si salvano più uomini.

Se non esagero, vorrei proporre oggi una Chiesa di frontiera. La frontiera è fuori dal tempio. La frontiera è un luogo esposto. È il luogo degli arrivi e delle partenze. È il luogo dell’imprevisto, dell’inedito. È il luogo dell’originale. È il luogo dell’uomo sempre nuovo e sempre in attesa di una patria. Ma è anche il luogo di Cristo. Non si può pensare qualcosa di più urgente e di più precario della Capanna della sua nascita.

La Chiesa è artigiana della pace, non solo della pace dei cuori, ma anche della pace che passa attraverso l’azione politica. Deve pregare per la pace, ma anche difendere l’uomo dal dominio incontrollato delle istituzioni e delle corporazioni, che rischiano di renderlo puro strumento della loro volontà di potenza. Deve intervenire per allargare gli ordinamenti democratici, che esprimono la sovranità popolare, per rendere attiva sempre la libertà personale. Deve difendere l’uguaglianza tra gli uomini, impedire lo sfruttamento di una sull’altra, di un popolo su un altro e combattere apertamente l’onnipotenza del capitale e del profitto, della mafia e della camorra. Deve denunciare quelle scelte politiche che procurano la corsa agli armamenti e deve sostenere il disarmo progressivo. Deve solidarizzare con coloro che pongono gesti di doverosa protesta: obiezione di coscienza, marce per la pace, giudizi di illegalità per le spese militari. Deve combattere l’autoritarismo, le forme molteplici di violenza, la chiusura ideologica. L’esaltazione dei condottieri, il disprezzo per i vinti, il culto della razza, la magnificenza della patria, l’eurocentrismo non sono certamente elementi che rendono maturo e idoneo l’uomo del villaggio globale.

La denuncia delle inadempienze radicali degli uomini e delle intollerabili povertà di certe categorie sociali non è sufficiente. È necessario che la Chiesa difenda i diritti e le attese dei poveri e dei bisognosi, intervenendo nelle forme più attente ed efficaci. Gesù con la “moltiplicazione dei pani” nutre le folle e le fa vivere nella speranza. La Chiesa o è carità o è falsità. La Chiesa è sempre e solo amare la gente. (…).

 

Responsabilità verso la Camorra

La camorra, in Campania, impedisce le riforme strutturali, indispensabili per organizzare la speranza del futuro. Procura le dimissioni di ogni imprenditoria intelligente e produttiva. Una politica che crea progetti, stabilisca obiettivi, dia la spinta alla soluzione dei problemi è impensabile. E le dirigenze di ogni tipo confondono facilmente il bene comune con l’interesse privato. Il degrado, il sottosviluppo e la disoccupazione fanno sì che l’emigrazione dei giovani volenterosi sia enorme. I talenti migliori salgono al Nord, privando le nostre terre di quella propulsività fatta di promozione e di progresso.

Ritengo che, in particolare nel meridione, la Chiesa deve esercitare la sua forza istitutrice di etica e di civiltà. Purtroppo, l’esempio fulgido di un don Peppino Diana, che viene ucciso dopo quel documento salutare,Per amore del mio popolo non tacerò, rimane ancora controllato e isolato. Le gerarchie ecclesiastiche sono molto preoccupate di difendersi dai nemici “ideologici”, massoni, comunisti, laicisti di ogni genere, e sottovalutano l’inquinamento morale e civile causato dai poteri illegali. I camorristi, che pure sradicano il Vangelo dal cuore della nostra gente, negando ogni forma di amore del prossimo, diventano facilmente promotori delle iniziative della ritualità religiosa e della collettività. Proteggono un certo ordine stabilito, e quindi vengono corteggiati dalle istituzioni. E, per un falso amore di pace, la Chiesa tace.

(…) La storia della Campania, come la sua cronaca contemporanea, non si spiega senza tenere nel debito conto l’influenza della Chiesa. Si osserva quindi che le espressioni religiose, soprattutto quelle enfatiche, e la camorra non sono due fenomeni indipendenti. Fortunatamente non si arriva mai alla complicità. Non si può tuttavia rimanere in disparte, scaricando la realtà criminale alla competenza dello Stato.

L’esercizio del potere nel mondo della camorra si prefigge l’infiltrazione nelle istituzioni per gestirle in maniera privatistica e clientelare. E se la camorra diventa mentalità di popolo, il messaggio d’amore di Cristo non può avere vita. Per cominciare, nelle parrocchie si devono superare supporti che possono configurarsi come camorristi: gli atteggiamenti autoritari, la violenza di un potere costituito, la precettistica morale imposta come inquisizione delle coscienze, la mancanza di democrazia nella gestione comunitaria, gli accordi unidirezionali che producono i gruppi fra loro conflittuali. La Chiesa è di tutti ed è essenziale che si mantenga libera dal potere politico e di casta, e lasci trasparire lo stile di un servizio incondizionato all’uomo, “senza preferenze di persone” o di categorie sociali. Insisto perché nelle parrocchie si faccia il catechismo della legalità.

http://www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=43748

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uomini contro la Mafia.

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Nel silenzio…la memoria.In Ricordo di Mons.Giovanni Speciale.

Nel silenzio… la memoria

 

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Introduzione

    Don Giovanni Speciale è stato uno dei sacerdoti diocesani che, incontrato il Padre don Divo mentre era Rettore del Seminario di Caltanissetta, seppe fare una felice sintesi tra la propria vita di prete diocesano e la proposta totalizzante della Comunità – cosa non facile, in verità. Quando conobbe il Padre, don Giovanni aveva meno di cinquant’anni: aveva molti impegni in Diocesi, e molte cose di cui occuparsi, ma anche piena maturità e freschezza: gli piacquero immediatamente la Comunità e il Padre, nel quale ritrovava le cose che anch’egli possedeva: cultura, amore alla Bellezza, spirito di preghiera. Aderì immediatamente, e si consacrò senza esitazioni, intuendo che avrebbe trovato nella Comunità quella sintesi, quell’equilibrio, quella visione di vita interiore che evidentemente cercava da tempo.
    Parlò di questa scoperta a giovani sacerdoti amici, e subito dopo la consacrazione invitò il Padre a Caltanissetta per farlo conoscere ad altri sacerdoti. II Padre andò, e altri sacerdoti entrarono in aspirantato: tra questi anche il giovane don Cataldo Naro, che sarebbe diventato poi Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, poi Arcivescovo di Monreale.
    Proprio in quegli anni don Giovanni cominciò a pensare che forse la sua vita poteva addirittura essere con il Padre a Casa San Sergio a Firenze. Egli aveva un incarico di responsabilità e prestigio in Diocesi: era Rettore del Seminario, ed era inserito in tante altre attività diocesane… Ma il pensiero di Casa San Sergio e della vita del IV ramo cominciò a diventare un tarlo per lui. II Padre avrebbe desiderato il suo arrivo, ma trattandosi di un sacerdote diocesano, occorreva naturalmente il pieno consenso del Vescovo: avrebbe egli lasciato partire il suo Rettore?
    Conserviamo a Casa San Sergio alcune lettere, risalenti a quegli anni, in cui don Giovanni Speciale manifesta a don Divo tutto il suo combattimento interiore: vuole venire, non vuole, dubita, chiede al Padre preghiere… Quello che avvenne, alla fine, lo sappiamo: don Giovanni restò in Diocesi a Caltanissetta. Evidentemente il suo posto era lì, insieme al suo Vescovo e con la sua gente, anche se in seguito, di tanto in tanto, parlava con un certo rimpianto di questa scelta.
    Iniziò allora da quel momento un periodo di stretta collaborazione con il Padre sul campo della predicazione di esercizi spirituali e ritiri in Comunità. In quegli anni non c’erano i sacerdoti della vita comune, come oggi: il Padre si trovava solo a dover visitare le Famiglie e a tenere i corsi di esercizi spirituali estivi, tant’è vero che in quegli anni c’era un solo corso di esercizi spirituali durante l’anno. Ebbene, don Giovanni si mise di grande impegno a predicare in varie parti di Italia, e in Sicilia a tenere giornate di ritiro per la “Comunità dei figli di Dio”. Divenne anche consigliere e direttore spirituale di diversi consacrati della Sicilia Centrale. Tanti di noi hanno conosciuto don Speciale proprio in questa veste di predicatore di esercizi spirituali, e tutti possono testimoniare l’aderenza del suo pensiero a quello del Padre Fondatore, la linea di assoluta fedeltà alla Comunità. Don Divo non si fidava molto di altri sacerdoti che venissero a predicare in Comunità… sapeva che ognuno ha il proprio taglio, che può portare fuori anche senza cattiva volontà; ma di don Giovanni si fidava ciecamente, sapendo che il cuore di don Speciale era davvero tutto nella Comunità. Di lui si poteva fidare, e non sbagliava.
    L’ultima volta che ho visto don Giovanni Speciale fu nello scorso maggio, quando mi trovavo ad Alcamo, vicino a Trapani, per la visita alla Comunità locale. Mi avevano già avvisato che don Giovanni stava male e che stava peggiorando, e sentii il bisogno di andare a trovarlo non soltanto come singola persona, ma per ringraziarlo a nome di tutta la Comunità per il bene da lui profuso così gratuitamente e generosamente per tanti anni. Appena mi vide, si commosse. Mi disse ancora una volta tutto il suo affetto per la Comunità, per il Padre don Divo e, intuendo che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro, volle quasi ripetere la sua consacrazione con me, come a confermare definitivamente e per sempre la sua appartenenza a questa Famiglia e il suo amore per la Comunità.
    I tre aspetti di don Giovanni Speciale come precursore della comunità sacerdotale e redattore di uno statuto per i sacerdoti; grande collaboratore del Padre negli anni in cui non vi erano sacerdoti, fino a pensare di andare a vivere con lui a Casa San Sergio; predicatore instancabile per tanti anni di corsi di esercizi spirituali e ritiri in Comunità, sono caratteristiche che fanno di don Giovanni Speciale una figura indimenticabile per la nostra storia e la nostra vita di Comunità.
    Voglio concludere questo mio ricordo con un’immagine di don Giovanni Speciale, che mi rimarrà impressa per sempre. Eravamo a Milano al convegno organizzato dal Centro San Fedele, nell’inverno di due anni fa; tre relatori: don Speciale, che doveva parlare del pensiero di don Divo Barsotti nella teologia del ‘900; padre Castelli, gesuita, cui era stato affidato il tema del rapporto del Padre con la letteratura; e il sottoscritto che aveva come tema la spiritualità di don Divo Barsotti.
    Don Speciale parlò per secondo, dopo di me. Mentre io avevo davanti a me qualche foglio con alcuni pensieri scritti, che mi servivano come traccia, don Giovanni invece parlò a memoria… Fin qui, niente di particolare; quello che invece mi sorprese, quasi da non voler credere, fu che egli citava a memoria e in maniera perfetta dei lunghi passi degli scritti del Padre: brani tratti dai diari, lunghe frasi… tutto a memoria! Io stesso se devo citare il Padre scrivo la frase e la leggo, ma don Speciale no: tutto a mente. Aveva tutto dentro, il pensiero del Padre che voleva citare era stampato dentro: egli non doveva fare altro che leggerlo nel cuore e ripeterlo con le labbra. Stupefacente!
    Tale era la conoscenza e l’amore che don Giovanni Speciale aveva per don Divo Barsotti e per la Comunità. Questo dobbiamo imparare da lui, perché questa è l’eredità più grande che ci lascia.

p. Serafino Tognetti

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Consuntivo Scuola 2008.

UN ANNO DI SCUOLA DALLA  A ALLA Z

Fatti, avvenimenti e persone – Consuntivo del 2008


A cura di TUTTOSCUOLA

http://www.tuttoscuola.com/

Storia della Mafia.

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