La cucina siciliana!

Nel corso della storia diverse sono state le civiltà che si sono succedute in questa grande e splendida isola: Elimi, Punici, Greci. Normanni, Romani, Arabi, Spagnoli s Francesi hanno lasciato importanti tracce del loro passaggio e la cucina siciliana così colorata, speziata e sfarzosa è strettamente collegata alla vicende storiche, culturali e religiose di tutti questi popoli.
Della civiltà greca rimangono soprattutto la cottura alla griglia, l’uso dell’origano, delle olive e l’ estensivo utilizzo di verdure quali la melanzana, regina della cucina siciliana. Gli Arabi erano un popolo di grandi agricoltori e introdussero in Sicilia la coltivazione della canna da zucchero, del riso e quella degli agrumi.
L’influenza araba si riscontra principalmente nella pasticceria, la cassata stessa,dolce tipico della Sicilia, deve il suo nome dal termine arabo “quas’at” (casseruola) che indica lo stampo di forma rotonda che si utilizza per prepararla. Anche il termine marzapane deriva dall’arabo “mauthaban”. La cultura gastronomica regionale della Sicilia è molto complessa e articolata, ricca di sapori antichissimi e di ineguagliabili profumi. In nessun luogo al mondo la cucina è mai stata cosi “povera ma ricca” nello stesso tempo. Poveri sono gli ingredienti che questa terra e il mare che la circonda offrono così generosamente e ricca invece la fantasia e la varietà. Una cucina, quella siciliana, che è sempre stata una vera tentazione per gli occhi e per il palato, capace di sedurre e soddisfare tutti i gusti dai più classici ai più stravaganti. Una cucina di volta in volta reinterpretata dai popoli che qui lasciavano qualcosa di loro e prendevano qualcosa di questa straordinaria terra.
Una terra che grazie ad uno splendido clima e ad un terreno ricco di minerali favorisce l’agricoltura fornendo prodotti con i quali è un piacere sbizzarrirsi in cucina. Parliamo dei saporitissimi agrumi di Ribera, delle nocciole di Piazza Armerina, dei fichi d’India dell’Etna, delle mandorle d’Avola, dei pistacchi di Bronte, delle lenticchie di Ustica, dei pomodori di Pachino, dei capperi di Pantelleria.
Uno spazio a parte va riservato alla coltivazione di olio e vino. Nell’ isola non c’è provincia da Selinunte alle pendici dell’Etna, dove non si produca olio che è la base della maggior parte dei condimenti, essendo la cucina siciliana quasi totalmente priva di grassi animali. L’olio siciliano è un olio molto ricco, denso, leggermente salato con un retrogusto amarognolo. In tempi recenti si è cominciato a produrre olio nell’isola di Pantelleria dove gli ulivi, della varietà “biancolella”, crescono fra le rocce laviche e danno un olio molto delicato e leggero con retrogusto di mandorla.
La vite è presente nella maggior parte del bacino del Mediterraneo sin dai tempi più remoti e la Sicilia grazie alla temperatura mite, alle colline, alla brezza di mare e al sole caldo risulta il territorio ideale dove farla crescere.
La tradizione vinicola siciliana affonda le sue radici sin dall’ epoca della colonizzazione dei greci che, arrivati a Naxos,(la greca Taormina) si occuparono con dedizione a questa coltura. In seguito grazie agli scambi commerciali dei Fenici, risaputi navigatori e mercanti, i vini siciliani vennero conosciuti in tutto il mondo. La vite in Sicilia fornisce uve per vini forti e densi molto apprezzati che sono il risultato di una produzione di alta qualità tanto che diversi vini siciliani hanno ottenuto la Denominazione d’ Origine Controllata e Garantita (DOCG). La produzione di vini siciliani con uve autoctone va dai secchi bianchi della zona di Alcamo, ai rossi dalla parte meridionale dell’ Isola ai vini tratti da uve passite e molto zuccherine quali il Passito di Lipari e il più famoso Marsala. Il Marsala è un vino molto pregiato conosciuto e apprezzato già nel 1800. Ha alle spalle una lunga storia che non l ha però preservato da un periodo di ombra in cui venne un po’ declassato. La zona di produzione di questo vino è racchiusa nella provincia di Trapani. Il gusto del Marsala può essere dolce liquoroso, semisecco o secco a seconda dell’ anno di invecchiamento e della lavorazione. Vini molto importanti e corposi sono quelli prodotti dalle aziende vinicole dell’area dell’ Etna che comprendono il Bianco, il Rosso e il Rosato. I vini nati sulle pendici del grande vulcano hanno la particolarità di essere ottenuti da uve ricche in nutrienti grazie al terreno lavico.
Altro vino rappresentativo siciliano è lo Zibibbo originario dell’ Egitto e diffuso in Italia grazie ai Romani, deve il suo nome al termine arabo “zibibb”, uva secca. E’ disponibile in versione vino Moscato e vino liquoroso.
Oggi i liquori e i rosoli, prodotti seguendo le “ricette della nonna”, sono stati riscoperti dopo un periodo in cui sono stati bistrattati in quanto considerati di poco valore. Sono stati recuperati i liquori di frutta come quello di agrumi, di menta, di susine, di fragole, il famoso nocino e il liquore al caffè. Seguendo antiche ricette dei monaci si producono amari centerbe o il celebre liquore all’ anice.
Non si può parlare di Sicilia senza pensare al profumo dei suoi agrumi. La loro coltivazione ha una storia importante, introdotta in Europa dall’ Oriente intorno al 1100, raggiunge il massimo livello in Sicilia nel XVIII-XIX secolo e dopo le due guerre quando si ebbe un aumento della disponibilità di acqua per l’irrigazione.
In passato il periodo della raccolta degli agrumi equivaleva ad un periodo di grande benessere per tutti, dai padroni che vedevano il risultato dei loro investimenti, ai lavoratori impegnati nella raccolta e nel trasporto dei frutti dorati. Dopo duecento anni gli splendidi e profumatissimi agrumeti siciliani continuano a fornire agrumi di ottima qualità quali clementine, mandarini, limoni, pompelmi, bergamotti e le inconfondibili arance nelle varietà Sanguinello, Ovale, Moro e le succosissime Tarocco.
Le caratteristiche nutritive degli agrumi li rendono uno degli alimenti principali per conservare una buona salute soprattutto per l’alto contenuto di vitamina C. In cucina gli agrumi trovano largo utilizzo, dai dolci per cui vengono usate le scorze candite, alle insalate fino a piatti più elaborati come la gelatina di mandarini o la crema di limoni senza contare che sono un ottimo condimento per piatti di carne e pesce.
Uno degli ingredienti principali della cucina siciliana è sicuramente il cappero cioè il bocciolo del fiore del cappero ancora chiuso. Cresce bene in terreni di origine vulcanica come nelle isole di Salina e Pantelleria. I capperi vengono lavorati e portati sul mercato sotto sale marino, in salamoia e sott’aceto.
Una grande importanza nella tradizione della cucina siciliana rivestono il pane e la pasta, un po’ bistrattati negli ultimi tempi per via delle diete, ma parte importantissima della maggior parte dei pasti di una volta dei quali spesso costituivano il piatto unico.
Il pane fresco di forno si consuma volentieri con l’aggiunta di acciughe, aglio e dell’ ottimo olio d’ oliva mentre, indurito, diventa la base di molte zuppe calde di verdure. Il pane bianco è spesso cosparso di semi di vario genere dal sesamo ai semi di papavero che lo rendono speciale. Infine le pagnotte vengono consumate con ripieni di carne, formaggio o creme dolci di ricotta e pezzi di cioccolato.
La regina indiscussa della cucina siciliana, come peraltro della dieta mediterranea, è sicuramente la pasta; fresca, lunga o corta si presta a molteplici ricette che vanno dal semplice condimento di aglio, olio e peperoncino ai sughi ricchi di ortaggi e verdure dell’ isola, ai formaggi. al pesce e alla carne. Così arricchita la pasta costituisce spesso il piatto principale e unico del pasto.
Condimento ideale e salutare della pasta rimane il pomodoro e in particolare il “pomodoro ciliegino di Pachino”, un piccolo pomodoro a grappolo dall’ inconfondibile profumo.
La zona di produzione di questo tipo di pomodoro è la zona che comprende il comune di Pachino appunto, la zona di Capo Passero e parte dei territori dei comuni di Noto e Ispica.
Questa zona di produzione è caratterizzata dalla vicinanza del mare e quindi da un clima dalle temperature molto alte e sole praticamente tutto l’anno. Le prime coltivazione di pomodoro in questa zona risalgono alla prima metà del 1900 anche se solo nel 2003 ha ottenuto il riconoscimento della certificazione IGP. E’ risaputo che jl pomodoro ha importanti proprietà nutritive tra cui l’ apporto di vitamina A e C, e di potassio. E’ divenuto ormai simbolo della dieta mediterranea e si presta a varie preparazioni dai piatti freschi, alla pizza e naturalmente la pasta.
Affianca la pasta il riso, importato in Europa dall’Oriente, anche se più che come primo piatto, come nel nord Italia, viene usato come base per crocchette, arancinj e dolci.
Essendo la Sicilia circondata da tre mari non può che utilizzare in abbondanza per la sua cucina i prodotti ittici presenti in gran quantità lungo la costa catanese, nella zona delle isole Eolie ed Egadi. Allo straordinario “pesce azzurro” (sarde, acciughe, sgombri, pesci spada e tonni) si
aggiungono dentici, orate, gamberi, scampi, aragoste e astici.
Il pesce spada, ritenuto il re dei pesci, si presta a diverse preparazioni e si può gustare crudo in carpaccio, cotto al forno, in umido o fritto, costituisce sempre un ottimo secondo piatto genuino e leggero.
Il tonno che si pesca con tecniche che seguono tradizioni e metodi tramandati dagli arabi, soprattutto nell’isola di Favignana nel trapanese, dove ha sede la tonnara più grande d’ Europa, era considerato la carne dei poveri in quanto non si buttava mai via nulla. Come il pesce spada, il tonno è cucinato in vari modi, grigliato, fritto, cotto al forno o lessato e viene conservato affumicato o sott’olio. Con le uova di tonno si ottiene la bottarga da gustare grattugiata sulla pasta. Il tonno siciliano è più magro rispetto ai tonni pescati nel nord Europa ed è quindi indicato anche nell’ alimentazione dei più piccoli. Una della più caratteristiche ricette a base dì tonno è il ragù, tipico piatto della tradizione culinaria trapanese.
Le oggi famose zuppe di pesce sono un’ eredità degli Spagnoli, cariche di sapori e condite in vari modi risultano sempre un piatto ricco e molto apprezzato da tutti. Mentre il cuscus di pesce oggi piatto tipico del trapanese è decisamente di origine araba anche se nel nord Africa è molto più consumato il cuscus di carne.
La carne bovina non ha un grande impiego nella cucina siciliana in quanto i pascoli sono sempre stati scarsi e quindi le carni non risultavano particolarmente pregiate.
Si consumano maggiormente carni di ovini, suini, pollame e conigli più facili da allevare un po’ ovunque. La cottura della carne è molto varia, come per il pesce, si va dalla semplice e veloce cottura alla griglia fino alle lunghe cotture in tegame in umido arricchite da verdure e spezie. Una valida alternativa ai secondi di pesce o carne e senza dubbio costituita dai formaggi che sono il frutto dell’ antica e ricca tradizione casearia siciliana che impiega latte vaccino, di pecora e di capra per la produzione di ricotta, primo sale, pecorino, provola e caciocavallo. I primi dati storici che riportano notizie sul formaggio siciliano risalgono ai tempi del mondo greco classico.
I formaggi siciliani sono caratterizzati da un’ alta qualità che li distingue. E’ un alimento molto importante a livello nutritivo in quanto fornisce calcio, proteine e fosforo necessari all’ organismo umano.
Vista l’ alta percentuale di calorie e di colesterolo contenuta nei formaggi stagionati è auspicabile non associano ad altri cibi ricchi in proteine animali come uova e carne. Elencare tutte le varietà di formaggio prodotto in Sicilia è un’ impresa alquanto difficile, si va dai formaggi pregiati come il “fiore sicano”, al “maiorchino” di latte di pecora a quelli più conosciuti e diffusi come il “ragusano” dop, un formaggio a pasta filata che si ottiene dalla lavorazione del latte intero di mucche della razza modicana allevate allo stato brado. Spesso al latte vengono aggiunte spezie quali il pepe in grani o lo zafferano come nel caso del Piacintinu, formaggio di pecora tipico della zona di Enna o del caciocavallo ragusano proposto in versione naturale o con aggiunta di pepe. Per arricchire alcuni pecorini si usano invece i pistacchi. Tra i formaggi non va dimenticata la ricotta, un formaggio fresco ricavato da latte vaccino o di pecora che deve il suo nome al fatto che gli ingredienti vengono cotti due volte appunto “ricotti”. La ricotta viene consumata in svariati modi: da sola, come base di molti dolci tipici siciliani e della famosa “pasta alla Norma” nella versione salata.
Il “dulcis in fundo” della cucina è rappresentato dai dolci che risvegliano il massimo del piacere del gusto e soprattutto i dolci siciliani che sono tutti molto ricchi e quindi rappresentativi di questo “vizio”. I dolci siciliani esprimono tutto il colore e la fantasia dei siciliani, colori che si ritrovano nei paesaggi, nei mercati e nei famosissimi carretti.
In nessuna altra regione d’ Italia esiste una così grande varietà di dolci come in Sicilia. Il dolce nasce come “pane speciale” per giorni speciali ed è il simbolo della festa, di occasioni particolari, di una cerimonia e in genere è legato alle varie ricorrenze dell’ anno.
Gli arabi hanno lasciato in Sicilia l’arte della cassata e della pasta di mandorle associate al piacere dei colori vivaci e ai profumi intensi quali il gelsomino.
Ai greci si deve l’uso di miele e di ricotta per la preparazione di molti dolci tra cui i famosissimi cannoli. I Bizantini amavano in particolare i profumi intensi di cannella e vaniglia mentre dai francesi viene la passione per il cioccolato.
Fra gli ingredienti più importanti per i dolci siciliani è bene ricordare la frutta secca e in particolare le mandorle i pistacchi.
Mandorli divenuti famosi sono quelli di Agrigento festeggiati verso la fine di Febbraio con la “sagra del mandorlo in fiore” che segna l’inizio della primavera. Nella zona della Valle dei Templi sono coltivate e conservate come patrimonio genetico più di 200 varietà di mandorlo, alcune in estinzione. Grande centro di produzione di mandorle è senza dubbio Noto, in provincia di Siracusa. dove si coltiva la famosa mandorla d’Avola, dalla forma ovale regolare, perfetta per la produzione di confetti. I pistacchi sono stati introdotti fra le coltivazioni in Sicilia dagli Arabi e nella zona di Bronte. ai piedi dell’ Etna trovano un terreno ricco di minerali ìdeale per la loro crescita. Verso la fine di Settembre il pistacchio di Bronte, che ha ottenuto il riconoscimento DOP, si festeggia con una importante sagra dove si possono assaggiare le varie specialità culinarie ottenute da questo frutto, dal pesto per condire la pasta, alla crema dolce spalmabile.
L’ abbondanza di frutta secca nella regione, soprattutto di mandorle, permette la preparazione della pasta reale fondamentale per la lavorazione della coloratissima “frutta martorana” tradizionale specialità tramandata dalle monache del Convento palermitano della Martorana appunto. Altro grande favoloso dolce tipico di cui le uniche depositarie della ricetta sono le monache di clausura del Monastero agrigentino di Santo Spirito, è il cuscus dolce. La frutta secca costituisce inoltre 1’ ingrediente base della preparazione di biscotti, latte di mandorla e degli splendidi torroni nella versione morbida o croccante ricoperti o meno di semi di sesamo o glassa.
Grande importanza riveste anche la forma di alcuni dolci come ad esempio la “mezzaluna” cioè la luna, introdotta in Sicilia dagli Arabi, che la ritenevano di buon auspicio. Di questa forma sono i ravioli dolci ripieni di mandorle, cacao. farina di ceci e scorza di limone e i pasticciotti di pasta frolla ripiena di cedro.
Il cerchio rappresenta da sempre il simbolo della completezza ed eternità e da questo nascono dolci importanti come tutta una serie di torte e crostate tra i quali primeggia naturalmente la cassata.
Da ricordare fra i dolci tipici della tradizione siciliana è senza dubbio il cioccolato di Modica preparato con l’antica ricetta azteca qui arrivata dall’ America grazie ai grandi dominatori spagnoli. Si presenta come un cioccolato molto scuro e ruvido in cui sono incastonati cristalli di zucchero intatti. Fra i dolci siciliani più noti riveste un’ importanza particolare il gelato conosciuto in tutto il modo per l’unicità dei suoi sapori e della sua morbidezza come il gelato alla rosa, al gelsomino, alle fragoline di Noto, ai fichi d India, alla cannella. al mandarino e ai frutti di gelso.
Il gelato in Sicilia viene gustato già a colazione come ripieno di una fragrante brioche accompagnata da una ricca granita al caffè con panna. Il turista di ritorno da un viaggio in questa splendida isola che è la Sicilia, porterà con sé un grande ricordo di storia. Arte, natura ma anche un buonissimo ricordo della splendida cucina siciliana.
Foto di:Giuseppe Terranova e Michele Vilardo.

Sincretismo religioso cattolico….

      -Cristo Pantocratore,Duomo di Monreale-


    Gv 1,1In principio era il Verbo,
    il Verbo era presso Dio
    e il Verbo era Dio.
    2Egli era in principio presso Dio:
    3tutto è stato fatto per mezzo di lui,
    e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che
    esiste.
    4In lui era la vita
    e la vita era la luce degli uomini;
    5la luce splende nelle tenebre,
    ma le tenebre non l’hanno accolta…
    9Veniva nel mondo
    la luce vera,
    quella che illumina ogni uomo.
    10Egli era nel mondo,
    e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
    eppure il mondo non lo riconobbe.
    11Venne fra la sua gente,
    ma i suoi non l’hanno accolto.
    12A quanti però l’hanno accolto,
    ha dato potere di diventare figli di Dio:
    a quelli che credono nel suo nome,
    13i quali non da sangue,
    né da volere di carne,
    né da volere di uomo,
    ma da Dio sono stati generati.
    14E il Verbo si fece carne
    e venne ad abitare in mezzo a noi;
    e noi vedemmo la sua gloria,
    gloria come di unigenito dal Padre,
    pieno di grazia e di verità.

    15Giovanni gli rende testimonianza
    e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi:
    Colui che viene dopo di me
    mi è passato avanti,
    perché era prima di me”.
    16Dalla sua pienezza
    noi tutti abbiamo ricevuto
    e grazia su grazia.
    17Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
    la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
    18Dio nessuno l’ha mai visto:
    proprio il Figlio unigenito,
    che è nel seno del Padre,
    lui lo ha rivelato.

    Inserisco,ben volentieri,un’ulteriore riflessione del Dott.Federico Lenchi atta a sviscerare quella “miniera inesauribile” che è il saggio del teologo Vito Mancuso:”L’anima e il suo destino”. Ringrazio il Dott.Lenchi per questo spirito di servizio alla Verità e all'”intellectus fidei”,ossia ad una fede pensata,spesso messa a repentaglio da forme subdole di sincretismo religioso atte a sminuire la portata delle grande verità del cristianesimo.L’opera del Dott.Lenchi è,altresì,meritoria perchè si inserisce in un contesto culturale,come quello odierno,caratterizzato anche dal relativismo religioso.

    Di Federico Lenchi

Lo spunto, oggi, Santo Stefano, mi è offerto ancora una volta da quella miniera inesauribile che è il saggio “L’anima e il suo destino” di Vito Mancuso.

Perché dico “miniera inesauribile”? Perché è fonte di continue discussioni non con chi si dice agnostico, non con chi si professa ateo ma, al contrario con chi frequenta la Chiesa e si accosta regolarmente ai sacramenti, in altre parole con chi si considera Cattolico a tutti gli effetti pur ritenendo il suo un cattolicesimo più maturo, più autentico, in altre parole, parafrasando Prodi, un cattolicesimo adulto.
Ora in cosa consista questa maggior maturità è presto detto, in quanto si articola in questi tre convincimenti presi, pari pari, dal libro in questione:
1) i dogmi sono un’invenzione della Chiesa, confezionati ad arte nel corso dei secoli;
2) la Chiesa medesima è un’invenzione umana alla cui costituzione Cristo non aveva mai pensato;
3) Cristo non ha mai affermato di essere Dio.
Parto da quest’ultima affermazione che risulta subito di facile contestazione in quanto è evidente che chi la sostiene ha fatto una lettura troppo affrettata e superficiale dei Vangeli.

Noi sappiamo infatti che quando Mosè chiede a Dio di rivelargli il suo nome per poterlo riferire agli Israeliti, Dio così gli risponde:

“Dirai agli Israeliti: Io sono mi ha mandato a voi” (Esodo, cap.III, vv.13-15).

Vediamo ora, nei Vangeli, come Gesù presenta sè stesso:

Fin d’ora ve lo dico prima che accada, affinche’, quando accadra’,crediate che Io sono” (Gv. 13,19-20) ;

“Se non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati” (Gv.8,24);

“Quando avrete innalzato il figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono” (Gv. 8,28);

“ In verita’ vi dico prima che Abramo fosse, Io sono “ (Gv. (,58 );

“ Chi cercate?Gesu’ di Nazareth.Io sono. Appena disse Io sono indietreggiarono e caddero a terra” (Gv. 15, 5.6.8.).

Ma pure esaminando i Vangeli sinottici possiamo giungere alle stesse conclusioni ovvero che Gesu’ sapeva di avere oltre alla natura umana anche quella divina. Infatti e’inutile ricordare che il nome di Dio, e ce lo dice Lui stesso, e’ “Io sono colui che e’ “ ovvero, in forma breve, “ Io sono”.
Parlando in questo modo e con tale autorita’ Gesu’, senza alcun dubbio, asseriva la sua Divinita’
Questo, sempre che si voglia credere ai Vangeli ed agli evangelisti.
E’ opinione comune presso alcuni teologi, e tra questi naturalmente Mancuso, che il racconto della
Scrittura vada interpretato e quindi rivisto in maniera sostanziale.
Secondo tali Autori se essi, i Vangeli, vengono letti attentamente ci mostrano infatti un’interessante processo di idealizzazione dell’immagine di Gesù.
In altre parole, passando dal primo vangelo di Matteo all’ultimo di Giovanni, è possibile scorgere la trasformazione subita da quest’Ultimo, a opera degli evangelisti, che lo porta da anonimo carpentiere nazaretano a semidio in carne umana..
In altri termini, secondo tali studiosi, i vangeli sono un dono, ma anche un prodotto della Chiesa e per conoscerne e valutarne la portata, i reali contenuti e nello stesso tempo i limiti, le lacune o le carenze bisognerebbe sapere da quali preoccupazioni erano animate le comunità da cui sono sorti e gli intenti dei rispettivi autori che hanno curato i testi. Ecco allora affacciarsi il vero nodo della questione che possiamo definire come il “soggettivismo”degli autori sacri. Ecco il punto cui si vuole arrivare: Dio ha sì, ispirato gli Evangelisti, ma questi hanno rielaborato la rivelazione secondo le proprie convinzioni, le proprie aspettative, le proprie emozioni umane, il proprio carattere e
soprattutto le proprie convenienze. Verrebbe da dire: nulla di nuovo sotto il sole. Ecco che riaffiorano le teorie del modernismo del Loisy. Questi nella sua opera principale e più discussa “I Vangeli sinottici” (1907-1908), presenta i Vangeli come creazione della Chiesa, contestando a quest’ultima di aver voluto presentare la morte e la resurrezione di Cristo come fatto storico in realtà mai avvenuto per cui lo scopo del Vangelo è rimasto lo scopo della Chiesa di cui Gesù , si badi bene, non volle assolutamente essere il fondatore. L’esegesi biblica di Loisy si ispirava a criteri marcatamente razionalistici e conduceva inevitabilmente alla negazione del soprannaturale.
In ultima analisi i redattori dei Vangeli avrebbero operato una gigantesca trasformazione eliminando, completando, trasformando le fonti originarie e imprimendo in tal modo al racconto della vita del Messia ed alla formulazione del suo insegnamento il segno della dottrina paolina e della apologetica della primitiva comunità cristiana. Ora, alcuni di questi cosiddetti teologi, si spingono oltre, affermando che è molto probabile che Gesù fosse sposato perché tale era la condizione normale nella società giudaica e perché Gesù era un uomo con tutte le emozioni ed i sentimenti dei comuni mortali.
Solo successivamente, soprattutto in virtù della catechesi di Paolo si trovò sconveniente presentare Gesù come vittima della porneia e schiavo quindi dei sensi a cui il matrimonio era rimedio. Due erano fondamentalmente le categorie: quelle dei vergini, spiritualmente vicini agli angeli e quella degli sposati legati alla carne a cui, appunto, Gesù non poteva essere ricondotto. Da cui ne derivava una assoluta, necessaria negazione del suo stato matrimoniale cosa, per secoli, riuscita molto bene alla Chiesa. Se Gesù diceva infatti di essere venuto da Dio, si poteva legittimamente presentarlo come unito carnalmente con una donna?
Ma senza scomodare i teologici appartenenti a certi schieramenti vediamo cosa dice Dan Brown nel “Codice da Vinci”:
1) La Chiesa dei primi Concili avrebbe offerto, manipolandola, un’immagine di Gesù.
2) Discordante da quella testimoniata dalle fonti storiche originarie in questo sostenuta in modo decisivo dall’imperatore Costantino che puntò sul “cavallo più favorito” , il cristianesimo, per consolidare l’unità dell’impero.
3) Come conseguenza si arrivò ad una deificazione di Cristo che al contrario era visto dai suoi primi seguaci come un uomo grande e potente, ma pur sempre un profeta mortale.
4) Questa operazione teologica ne comportò un’altra nei confronti dei Vangeli in maniera da escludere dagli stessi gli aspetti prettamente umani per esaltare quelli esclusivamente divini.
5) Tra gli aspetti umani vi era certamente quello relativo al matrimonio con la Maddalena che non si limitò ad essere di tipo spirituale ma reale tanto da essere sancito persino da un figlio.
6) La Maddalena, in quanto sposa e madre di un figlio di Gesù, non poteva che far ombra alla gerarchia che si sentiva l’erede e la continuatrice dell’opera di Cristo.
7) Per queste considerazioni la gerarchia si sentì costretta a ricorrere al rimedio di etichettarla come prostituta cancellando altresì le prove del matrimonio con Gesù di cui appunto nei vangeli canonici non vi è accenno.
Fin qui Dan Brown.

Si noti però che queste sono teorie già fatte proprie da certa cultura massonica che sostiene Gesù essere stato discepolo Esseno, (e fin qui può essere, come ipotizza anche Benedetto XVI nel suo recente libro “Gesù di Nazaret”) sposato con la Maddalena nel cui ventre (Sacro Graal) fu generata una discendenza (stirpe reale francese dei Merovingi) e con la quale visse fino a tarda età, contraddicendo la leggenda che lo voleva morto in croce.
Quest’ultimo fondamentale punto lo ritroviamo anche nella religione musulmana, per non parlare dell’eresia marcionita, ecc…
Da queste premesse si sviluppa la seconda parte del saggio del teologo P. Ortensio da Spinetoli, noto per un commento al Vangelo di Luca, teso a dimostrare che il tentativo di Dan Brown di mostrarci “un Gesù più autentico, più vicino all’uomo che a Dio non è una colpa, ma sempre un merito” (sic, pag. 31).
Questo tentativo, giusto nella sostanza, è però, sempre secondo P.Ortensio, sbagliato nel metodo, in quanto si basa sui “vangeli apocrifi” spesso poco attendibili e non su quelli canonici, che meglio possono far luce sulla vita privata di Gesù (pag. 32 ).

Siamo così arrivati, partendo dal terzo, al primo punto di discussione, quello che vuole i dogmi un’invenzione della Chiesa e non invece un’illuminazione dello Spirito Santo.
I “cattolici adulti” grazie ai vari Mancuso,traggono linfa al loro convincimento che i dogmi siano in realtà invenzioni per le anime semplici, quelle intellettualmente e culturalmente meno dotate.
Come può, uno spirito intellettualmente libero, si chiedono, credere al diavolo, all’Inferno,alla verginità della Madonna, alla Transustanziazione. Passi la Consustanziazione ma la
Transustanziazione proprio no!
E in perfetta buona fede si credono Cattolici!.
Sono convinti che si debba vivere e predicare un Vangelo ripulito dai pregiudizi , dagli orpelli e dalle manipolazioni operate , a proprio vantaggio, dalla Chiesa Cattolica nel corso dei secoli.
Chiesa che sin dalle origini voleva un potere, inizialmente spirituale e poi anche temporale. Un Vangelo basato sull’essenziale e incentrato quasi esclusivamente sulla misericordia di Dio, ovvero il vero Vangelo di Gesù.
l resto, come ho già detto, in buona misura, invenzioni della gerarchia.
Ma questa Chiesa, alla fine, Gesù l’ha veramente voluta?
Siamo così arrivati all’ultimo punto.
E a proposito di chiesa come e’ sorta e su mandato di chi? Perche’ si dice che il Cristianesimo l’abbia fondato San Paolo e non Gesu’ medesimo?Questi, nel corso di tutta la sua vita, non si stancava di ripetere che Lui era la via che porta alla salvezza (non mi soffermo qui a riportare le varie citazioni che tutti conosciamo ) per cui se ci vole
va salvare bisognava passare attraverso la sua dottrina ed insegnamento.
Belle parole: ma Lui non scrisse nulla, ne’da vivo fece scriver nulla. Ha pero’ detto di andare a predicare e a diffondere il Vangelo:
“ chi ascolta voi ascolta me …” .
Ecco la nascita della Chiesa come Lui l’ha concepita e voluta;
tramandare il messaggio di salvezza attraverso la comunita’ dei fratelli suoi discepoli.
Ai tempi di Gesù, non c’erano i mezzi di comunicazione del giorno d’oggi. Se uno voleva comunicare qualcosa non aveva né telefono, né internet o televisione, nè satelliti.
L’UNICO MEZZO DI COMUNICAZIONE era prendere un uomo, che veniva chiamato “shalìah”, dargli le opportune istruzioni e comandi e mandarlo là dove si voleva che il messaggio giungesse.
Nel caso di un re, lo shalìah agiva con tutta l’autorità del re. Quello che diceva lui era come se ’avesse detto il re medesimo da cui il detto al tempo di Gesù: “Lo shalìah di un uomo è come l’uomo stesso”.
Ora la traduzione di “shalìah” è “apostolo”, più precisamente “plenipotenziario”, cioè colui che ha ricevuto la pienezza dei poteri.
E tale appaiono gli Apostoli.

Infatti Gesù da loro pieni poteri quando compare agli Apostoli la sera di Pasqua: “ Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” ( Gv 20,21) e ancora “Chi ascolta voi, ascolta me, chi disprezza voi, disprezza me” (Lc 10,16).
Fino ad arrivare al testo fondamentale “ E io ti dico che tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16 ss).
Quest’ultima affermazione offre lo spunto per un’ultima breve riflessione sul primato di Pietro.
Sarebbe lungo riportare tutti i brani in cui di fatto Gesù conferisce a Pietro l’incarico di rappresentarlo in terra quale vicario estendendo tale incarico anche ai suoi successori, i futuri Papi.
Mi limiterò però ad alcune brevi considerazioni sul riconoscimento che le varie Chiese che si andavano costituendo riconoscevano ai successori di Pietro.
Possediamo una lettera risalente al 95 dopo Cristo scritta dal papa S. Clemente Romano ai Corinzi.
Con tale lettera il papa vuole ristabilire la pace nella Chiesa di Corinto, fondata direttamente da San Paolo, ed ai tempi molto importante. Tale Chiesa era piu’ antica di quella romana e certamente alcuni suoi membri avevano conosciuto l’apostolo Paolo. Eppure si rivolgono al papa e chiedono che sia lui a dirimere la controversia. E si badi che Costantino ed il concilio di Nicea erano di la’ da venire.
In verita’, come scrive lo storico DUCHESNE “ la Chiesa di Roma si sentiva fin d’allora in possesso di quella autorita’ superiore e straordinaria che non cessera’ mai di rivendicare “.
San Clemente interviene un’altra volta in un’altra questione, ma non si limita a scrivere, manda anche suoi incaricati.
E come reagiscono queste Chiese? Tutte obbediscono. Nessuna protesta. Settant’anni dopo il vescovo di Corinto, scrivendo a papa Sotero, ricordera’ che la lettera di Clemente veniva ancora letta
con devozione nelle assemblee liturgiche.
I padri greci e latini hanno fatto numerose edizioni e traduzioni di questa lettera tanto che e’ stata addirittura inserita nel codice Alessandrino della Bibbia.
Per cui: 1) il vescovo di Roma era consapevole di avere autorita’ su tutta la Chiesa;

2) tutta le Chiese gli riconoscevano questa autorita’.

Abbiamo un’altra incredibile testimonianza, una lettera scritta verso il 107 da sant’Ignazio di Antiochia morto martire e destinata alla Chiesa di Roma. E’ un testo famoso in cui tra l’altro vi leggiamo: “… alla Chiesa che ha anche la presidenza nel luogo della regione dei Romani ( quae etiam praesidet in loco regionis Romanorum), degna di Dio, degna d’onore, degna di benedizione, degna di lode, degna di essere esaudita, adorna di candore, posta a presiedere alla carita’, depositaria della legge di Cristo, portante il nome del Padre…”
Con S. Ignazio siamo all’inizio del secondo secolo, neanche 100 dopo la morte di Gesu’, e gia’ cominciano i primi pellegrinaggi a Roma per attingere alle sorgenti di quella che era considerata la vera fede.
E via via, altre testimonianze che elevano Roma come la regola suprema della Chiesa universale per
cui essere d’accordo con la Chiesa di Roma e’ garanzia di verita’, essere in disaccordo sicuro segno d’errore.
Si veda, ad esempio , la lettera di S. Ireneo a papa Vittore e la testimonianza del vescovo Abercio.
Concludo con la consapevolezza di non aver detto quasi nulla sull’argomento.
Del resto stiamo riferendoci a 2000 anni di storia impossibili da delineare in poche pagine.
Come considerazione finale posso aggiungere che i più tenaci e subdoli nemici della Chiesa sono presenti proprio al suo interno.
Cosa aspettarci allora se il comandamento di Gesù di andare e predicare il vangelo sembra arrivato a un punto morto dato che esso, non solo non viene accettato dai popoli asiatici e da quelli di fede
musulmana, ma perfino rifiutato per non dire osteggiato da chi ha avuto la grande fortuna di averlo appreso sin da bambino?
In moltissimi paesi, lo sappiamo essere cristiani è un delitto e convertirsi al cristianesimo una colpa da punire con la pena di morte.
Pensare che queste popolazioni accettino di aderire alla fede in Cristo, è obiettivamente utopistico.
Ma quello che è impossibile all’uomo non è impossibile a Dio.
Forse, chi giunge nei nostri Paesi per trovare un lavoro e una vita più dignitosa, forse, un giorno roverà qualcosa di infinitamente più grande e importante.
Federico Lenchi