Fuori dal coro….

Segnalato da Enrico  

 

 

Ciao a tutti. Qualche riflessione a raffica sul dibattito Gelminiano.
 

 

Per arrivare al 7* posto in Europa in quanto alle rilevazioni delle  competenze degli alunni in 4-5 elementare, con soddisfazione, ovvio,per il risultato raggiunto, ci si chiede come gli altri stati ci
riescano con un insegnante unico per classe… e non con il modulo a 2o a 3.
Il tempo pieno non viene abolito, ma sostenuto dai docenti che non faranno piu’ compresenze. Non verranno tagliati i posti dedicati alsostegno.

Oggi dal ministero della Pubblica istruzione dipendono circa 1,1milioni di dipendenti. Un lavoratore pubblico su tre è in Italia  dipendente del ministro Gelmini. Qualche dubbio sull’elevato numero e’lecito averlo.

Il “quaderno bianco” di Prodi non era molto gentile nei confronti della situazione scolastica italiana…

Il maestro unico non sara’ la panacea per i mali della scuola italiana (intanto sara’ affiancato dall’insegnante di lingue, da quello di sostegno, dallo specialista di religione…) certo pero’ che alle scuole ex-medie arrivano ragazzi con una preparazione frammentaria, spezzettata, a “coriandoli” che denotano una confusione di nozioni non un’ unita’ di un percorso di competenze, forse, in parte, dovuta anche alle diverse figure che intervengono nella ex-elementare che nei vari protocolli a moduli sembrano causare questa caotica situazione in entrata alla scuola ex-media. Che gli specialisti, e pluri-maestre aiutino ad affrontare lo specifico delle discipline e’certo, ma forse
e’ mancato (ma e’ una mia particolare e limitata rilevazione) nella figura del maestro prevalente la sintesi, cosi’ da costruire un alunno con una preparazione a flash, ottimo fotografo di particolari
argomenti, ma incapace di un minimo di collage … lascio ai pedagoghi l’approfondimento del tema.

Che i nuovi bisogni sociali richiedano da parte scolastica anche assistenza e vigilanza di alunni sempre piu’ lontani come monte ore dai genitori e’ vero, ma non si comprende perche’ debba essere solo la scuola ad addossarsi tale compito di vigilanza e parcheggio, arrampicandosi sui vetri nella creazione di laboratori, attivita’ extra, progetti multipli e creativi per una permanenza sempre piu’
giocosa e ludica dell’utenza, oopps bambine e bambine, che richiedono invece figure materne e paterne, testimoni di esperienze altre da quelle sperimentabili fra quattro mura scolastiche, e non docenti mimetizzati da parenti gestori di responsabilita’ di altri…. anche questa una problematica necessiterebbe un forum a parte…

Si parla di riduzioni a mera alfabetizzazione strumentale, purtroppo
agli esami di terza media (oltre non ho verificato) si assiste a tragicomiche scenette degne di una Zelig-cultura, con conseguenti giudizi giustificanti la promozione degli alunni, capolavori di
fantasia nella creazioni di ragioni addotte alla promozione.
Forse, il voto, almeno permette la sintesi ed evita faticosi percorsi letterari autoreferenziali.

Lo spirito della riforma … iniziata da qualche legislatura, continua, ma in modo meno barocco, piu’ snello e agile. Che la scuola non e’ un’azienda, va bene, ma non puo’ nemmeno essere un quadro escatologico di armonia celestiale, senza limiti di spesa, di personale e di strutture e non puo’ essere tuttologa, omnicomprensiva, fagocitante e totalizzante l’esperienza di tanti alunni.

Che qualcuno usi le parole della Gelmini per fini nostalgici pre-repubblicani puo’ essere, ma sembra che altri le usino strumentalizzandole per nostalgie sessantottine meno antiche o per
pruriti nostalgici pre-legislatura attuale. Per la cifra democratica  citata nel post, ricordo che i cittadini italiani hanno votato liberamente un programma elettorale di risparmi e che qualsivoglia
sigla sindacale non puo’ sostituirsi alla volonta’ popolare,
favorevole anche ad un eventuale “maestro-unico” (conferme vengono da numerosi sondaggi di varie fonti).

Rispecchiano la realta’ alcune affermazioni lette sul post. Il costo della “buona” scuola e’ enorme, la comunita’ nazionale lo apprezza ma non e’ piu’ in grado di sostenerlo, o meglio e’ una scuola che “fa
paura”, si’ e’ vero, fa paura per il deficit economico che richiede.
Bella e buona (ma ne siamo proprio sicuri…?) ma prossima alla bancarotta. Come finanziare ulteriormente il carrozzone? Nuove tasse? Nuovi tributi? Canoni? Trattenute centrali e/o locali? e/o federali?

Le conquiste civile dell’inserimento dei diversamente abili, la soppressione delle classi differenziali, l’insegnamento individualizzato, poi personalizzato, sono delle colonne che nessuno
vuole abbattere. Il guaio, secondo me, e’ stata la progressiva forzatura che ha portato la scuola a divenire un pentolone dove mettere tutto il disagio sociale, economico, educativo, familiare,
occupazionale, migrante, valoriale, politico ed esistenziale, credendo che la moltiplicazione di compiti, servizi e competenze attribuite ai docenti potessero risolvere con riforme e controriforme piu’ o meno ideologicizzate tutti questi guai.

Colpa dei docenti, colpa dei ministri e dei governi, colpe e peccati  addossati a questo carrozzone multiuso sono state lo sfogo ai mali  italiani. Un minestrone pero’ dai costi inflazionati. Diamo alla
scuola le sue reali funzioni; diamo alla scuola e ai docenti una chiarezza di ruoli e finanziamo la scuola per quello che deve fare come scuola, e non altro che fa in modo confuso, sbragato, con punte di eccellenza e con casistiche degne di youtube.

Penso che la ministra (ma anche altri suoi predecessori) veda quello che vediamo noi tutti i giorni a scuola, in piu’ ha una visione globale emergenziale che e’ quella economica.
Blitz, scippo, trancio … intervento da marine economico? Se il buco in dollari americano sara’ finanziato dall’emissione di 1500 miliardi di  dollari in titoli di stato USA, chi comprera’ quelli italici? Come paghera’ gli stipendi il tesoro? E siamo solo all’inizio. Non si puo’ tacciare un pericolo reale economico di bancarotta come un progetto di ritorno al passato.

Se non si puo’ accusare il 68′ di essere la matrice di tutti i mali della scuola, non si puo’ nemmeno affermare che prima del 68′ faceva tutto schifo (oscurantista e fascista…). La scuola di Barbiana non si puo’ estendere a tutta la penisola e non era l’unico metodo didattico e
pedagogico efficace.

Per il discorso meritocratico (dei docenti) attendiamo semplificazioni piu’ puntuali, non si puo’ giudicare senza parametri oggettivi.

Per la difesa gelminiana al nostro lavoro, mi pare, la motivazione e’ venuta da richieste da parte delle famiglie e dei docenti preoccupati dal tam-tam mediatico sulla figura del maestro unico, panico spropositato non causato dalla ministra ma dai suoi detrattori.

Ovviamente, sono solo riflessioni parziali e meritevoli di emendamenti, non verita’ apodittiche.

 

RITORNO SUI BANCHI DI SCUOLA….

L’Ocse, la Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico di cui fanno parte 30 Paesi del mondo, ha dato i suoi numeri sulla situazione internazionale dell’istruzione nel consueto rapporto, Education at a Glance 2008.

Spulciando tra gli indicatori del Capitolo D non mancano le sorprese degne di attenzione e di attenta riflessione.

A 15 anni gli studenti italiani stanno sui banchi di scuola per 1089 ore all’anno di curricolo obbligatorio (33 ore in media alla settimana), contro una media europea che va da un minimo di 763 ore di curricolo obbligatorio ad un massimo di 902 (nell’Ocse da 706 a 910): 22/23 ore settimanali in media in Europa, contro le 33 in Italia.

In Italia le classi, tra scuola statale e non statale, sono composte mediamente da 18,4 alunni nella primaria e da 21 nella scuola secondaria, contro una media europea di 20,2 nella primaria e 22,7 nella secondaria. Nella scuola elementare, classi meno numerose le troviamo solo il Islanda, Slovenia, Lussemburgo e Russia.

Il rapporto insegnante/alunno vede l’Italia attestarsi su numeri bassi: 10,7 alunni per docente nella primaria e secondaria, contro una media europea di 14,5 nella primaria e di 11,9 nella secondaria. Per fare un esempio specifico, in Finlandia la media è di 15,0 nella primaria, 12,9 nella secondaria.  

Bassini anche gli stipendi degli insegnanti italiani (e lo si sapeva) se raffrontati a quelli dei colleghi europei. All’inizio della sua carriera un insegnante elementare percepisce circa 24 mila dollari l’anno (16.800 euro) che sono diventati 35.600 alla fine della carriera (25.000 euro); un docente di scuola superiore parte con 26.000 dollari (17.500 euro) e matura uno stipendio di circa 40.900 (28.700 euro) alle soglie della pensione. In Europa mediamente si percepisce di più: da un minimo di 28.500 dollari ai 46.700 per gli insegnanti elementari al top della carriera; da un minimo di 31.700 ad un massimo di 53.000 dollari per gli insegnanti di scuola secondaria superiore.

Se proprio volete diventare ricchi, andate in Lussemburgo: all’insegnante di scuola primaria si riconoscono da un minimo di 50.000 dollari all’inizio della carriera, ai 102.000 circa quando lo stesso è al vertice; all’insegnante di scuola superiore le cose vanno ancora meglio: si varia dagli oltre 72.000 dollari (3.800 euro per 13 mensilità) ai quasi 126.000 (6.800 euro sonanti al mese).

E veniamo ad un punto critico: quanto tempo l’insegnante dedica all’insegnamento in classe? Questo indicatore ci condanna agli ultimi posti nella graduatoria. Secondo i dati Ocse, nella scuola primaria italiana le ore di effettivo insegnamento sono 735 all’anno, mentre nella secondaria, di primo e secondo grado, sono mediamente 601.

La media europea presenta i seguenti numeri: nella scuola primaria le ore di insegnamento effettivo sono 806, mentre nella secondaria sono 672 (scuola media) e 634 (superiore). Ma abbondano le eccezioni. In Finlandia si insegna dalla cattedra per un tempo scuola ancora più basso: 673 nella primaria; 589 nella media; 547 nella superiore.

Negli Stati Uniti, l’eccesso opposto, le ore di insegnamento trascorso in classe sono ben 1.080 in tutti e tre gli ordini di scuola (una media di 6 ore al giorno) mentre al docente è chiesto di restare a scuola per altre 250/280 ore l’anno. Buona la paga Usa, anche se non eccezionale.

Quali le conclusioni?

Da noi lavorano più gli alunni degli insegnanti, dato che è più il tempo speso dai ragazzi nelle aule che non il tempo dedicato a impartire loro un insegnamento curricolare.

Complici le troppe discipline e la mancanza, almeno alle superiori, di una distinzione tra curricolo obbligatorio e curricolo opzionale.

Se si vuole innalzare la qualità della scuola italiana, specie nella fascia degli alunni quindicenni, una strada da perseguire è quella dell’incrocio tra tempo trascorso in aula e offerta di insegnamenti fondamentali da parte dei docenti. È necessario riqualificare il tempo scuola, già a partire dalla scuola primaria, riducendo all’essenziale discipline e ore d’insegnamento e aumentando qualità e densità degli insegnamenti.

Una sfida che implica la revisione dell’impianto complessivo dell’offerta formativa, specie della secondaria di secondo grado, mediante la distinzione tra insegnamenti obbligatori e altri scelti facoltativamente dalle famiglie.

Argomenti correlati:

SCUOLA/ Non di soli fannulloni è fatta la nostra classe docente

http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=5327

ISTRUZIONE/ Dall’Ocse l’ennesima conferma: la nostra scuola spende molto, e male

http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=5245

Il Rapporto Ocse(in Inglese)

http://www.ilsussidiario.net/openlink.htm?http://www.oecd.org/document/9/0,3343,en_2649_39263238_41266761_1_1_1_37455,00.html

ELOGIO DELLA PAZIENZA…


Si discute in questi giorni di graduale apertura delle scuole del decreto legge n.137 del ministro Gelmini emanato il 1° settembre.

Voto in condotta (con il 5 in pagella si boccia), ritorno dei voti nella scuola primari a e secondaria di primo grado, insegnante unico nella scuola primaria e permanenza dei libri di testo in una classe per almeno 5 anni: queste alcune delle novità più importanti.

La società sostanzialmente applaude, la scuola e i suoi addetti protestano. In particolare i sindacati scuola dei docenti minacciano tempesta. Perché?

Nonostante i decreti delegati e l’enfasi posta sulla partecipazione delle famiglie all’avventura educativa è ,in gran parte fallita; la scuola è un ambito fortemente autoreferenziale, tanto che, per fare un esempio, le valutazioni in uscita dei ragazzi dalla scuola superiore non si accordano con determinati standard sui quali l’università e il mondo del lavoro possano concordare.

Da qualche tempo, tuttavia, complici le rilevazioni internazionali Ocse-Pisa, la scuola italiana è finita sul banco degli imputati ed è sottoposta ad una impietosa e talvolta ingenerosa lettura dall’esterno.

Se ne sono, in questo modo, evidenziate le manchevolezze di tipo strutturale: l’eccessivo centralismo, la mancanza di flessibilità nella determinazione degli orari, i troppi insegnanti rispetto al numero degli alunni, i docenti trattati tutti alla stessa stregua.

Quando il ministro Gelmini dichiara che la scuola non è né uno stipendificio né un ammortizzatore sociale esprime comprensibilmente questo tipo di ottica, cioè guarda la scuola con gli occhiali della società di cui si fa interprete e si pone una domanda ovvia: perché a tante risorse spese (l’Italia è uno dei paesi dell’ Ocse che più investe sulla istruzione) non corrisponde una qualità del tutto soddisfacente (anzi decisamente bassa)?

Le misure adottate o che dovrebbero esserlo (appunto: introduzione di criteri di merito nella valutazione degli alunni e dei docenti, revisione dello status degli insegnanti, riduzione degli organici e maestro unico) intendono ristabilire il primato dell’efficacia dell’offerta formativa rispetto a quello della genericità della sua erogazione.

In linea di principio sui provvedimenti annunciati o prossimi a venire non colgono gli addetti ai lavori né impreparati né in atteggiamento di pregiudiziale opposizione. Anzi: sono anni che insistono, insieme ad altri, sulla necessità di rendere la professione docente più capace di rispondere alla domanda che proviene dalla società civile, in un quadro di  autonomia sostanziale delle scuole e di revisione dello stato giuridico dei docenti.

Questo accade solo perché un soggetto che accetta anzitutto per sé la sfida dell’educazione è aperto alla realtà e attento a trovare possibilità e soluzioni anche nei momenti di difficoltà.

È chiaro, tuttavia, che occorre ribadire un metodo, consistente nel dare forza a chi (insegnanti, genitori, alunni) la scuola la sta facendo perché animato da una reale passione educativa.

Occorre, in altri termini, che l’esigenza di un sistema di istruzione più efficace poggi le proprie ragioni sulla esperienza di una scuola in atto.

Occorre la pazienza di saper guardare, senza fretta e troppa precipitazione perchè ciò sia possibile.