Le “cento Sicilie”raccontate!


A CAMPOFIORITO E NEI COMUNI SICANI CON A.G.MARCHESE E GLI STORICI LOCALI I COMUNI RISCOPRONO LA LORO STORIA

Una identita’, che rischiava di essere cancellata, nel millennio dalla memoria corta, pur rientrando tra gli insediamenti di nuova fondazione.

di Ferdinando Russo

E’ partita da Campofiorito(Pa) la sfida dei piccoli comuni a rivedere ,aggiornare,arricchire la storia degli uomini e degli eventi delle città nuove .
E non c’era miglior curatore del medico -letterato e cultore di Storia dell’Arte nell’Università di Palermo, dr.Antonino Giuseppe Marchese, per tentare una prima raccolta di storie locali,partecipate vissute da parte degli estensori, in un aggiornamento temporale ,proposto a studiosi ,intellettuali,tecnici,storici di oltre 20 comuni della Sicilia, per intessere una maglia di confronti e di diversità tra quelle che Bufalino chiamava le “Cento Sicilie”.(1)
Il Presidente della provincia regionale di Palermo, ing.Giovanni Avanti ,ne ha permesso la pubblicazione ,riconoscendo il valore della storiografia locale, “che consente di conoscere,riscoprire e,quindi,valorizzare,le tradizioni,gli usi,i costumi dei nostri padri,i loro ritmi di vita,ma anche le loro speranze e i loro sogni.” (2)
Ed è toccato al compianto arcivescovo Cataldo Naro,al suo inizio della guida della diocesi di Monreale, aprire il convegno ospitato dalla città di Campofiorito, che dalla iniziativa ha tratto interesse e impegni culturali per una presa di coscienza comunitaria della memoria delle origini, quasi a riscoprire le peculiarità del lavoro e della cultura degli antenati e della loro creatività umana,della loro fede religiosa.
Proprio mentre cresce il fenomeno della globalizzazione nelle sue varie dimensioni economiche,sociali e culturali,ha affermato il Presule, e mentre si intensificano i processi di integrazione politica del continente europeo,si riscopre il senso dell’appartenenza alla patria locale e spesso nel quadro più ampio di una riscoperta dell’identità nazionale.”
“ .Per troppo tempo in Italia- ha continuato Naro,-“il sentimento di appartenenza alla stessa nazione è stato soppiantato,almeno ad alcuni livelli della consapevolezza diffusa,da quello dell’appartenenza ai partiti politici e alle grandi famiglie ideologiche: si era democristiani o comunisti,cattolici o anticlericali,socialisti o altro ancora. E ci si ricordava di essere Italiani solo quando si era all’estero o a partire da alcuni elementi, come la cucina o la quadra di calcio.”

E per i 150 anni dell’Unità d’Italia bene ha fatto il sindaco di Campofiorito, in provincia di Palermo ,Giuseppe Sagona, a promuovere ,fuori da ogni ufficialità patriottica formale,
una solenne celebrazione unitaria , legando alla prima presentazione del volume (2) sulle storie locali,a ciò che unisce gli Italiani e come il localismo non debba ottundere l’essenza di una comune civiltà, ma contribuire, con un protagonismo culturale e storico, al comune cammino umano del Paese.
La presentazione degli scritti storici ha avuto così il conforto e la corale presenza della Giunta e di numerosi consiglieri Comunali, l’apprezzamento dell’assessore alla cultura,Mario Milazzo, e degli assessori Pizzo,Gerardi e Bono,del Consigliere della provincia regionale Vallone, in rappresentanza del Presidente Avanti, ,dell’on.Ferdinando Russo, già sottosegretario agli Interni e parlamentare della Sicilia occidentale,e di numerosi storici dei comuni di Giuliana, Ciminna,Villafrati, Contessa Entellina, Vicari, intervenuti ad illustrare il loro apporto.
E la Sicilia da questo studio dedicato ad alcune comunità, conferma una rinata consapevolezza
di proseguire, o riprendere l’indagine storica sull’Isola, partendo dall’investigazione delle realtà locali, per decifrarne le linee di forza, le motivazioni, la cause, che hanno spinto, anche gli stranieri, a visitare ed a scrivere delle vicende ,delle diversità, dei microcosmi dei fattori isolani, che rendono peculiare e significativo il procedere del cammino di questa regione-nazione che si rinnova, nelle sue realtà istituzionali, non tralasciando la memoria dei padri ,rischiando di apparire ostile ai cambiamenti, come in Tomasi di Lampedusa, mentre ingloba tante culture mediterranee e continentali, recependone, spesso i valori ,anche se, talvolta, si tratta di incolti disvalori..
A.G.Marchese, il curatore apripista di questa voluminosa ricerca, stimolatrice quindi di ulteriori integrazioni in progress, per le cento o mille altre realtà, non è nuovo a produrre testimonianze letterarie e comunitarie ed a tracciare ipotesi di futuri lavori storici e ricerche ,non rigidi monotematici, ma coinvolgenti studiosi locali ed esperti di ricerche sul territorio sui temi dei beni culturali, ambientali, geofisici, antropologicici (3).
Basta ricordare la sua vasta produzione di saggi, scritti storici, biografie, scoperte artistiche, che hanno interessato l’area dei monti Sicani e del Belice, si da promuovere azioni conservative ,di restauro e politiche istituzionali quali le Unioni dei Comuni, (del Salso,del Belice,ecc ), il Parco dei Monti Sicani, così come si preannunciano per l’interesse creato dalla recentissima opera “ Insula” (4)
E con l’umiltà che caratterizza gli storici, nell’opera della presente riflessione, il Nostro sceglie di trattare ed offrire il suo apporto, anche metodologico, affrontando come soggetto della sua ricerca un comune tra i più piccoli,”Campofiorito: una new town baronale dela Sicilia occidentale” (cfr,pagg.27-74 del volume ).
E’ questo “un centro del Val di Mazara, nella comarca di Corleone, la cui “licentia populandi” ,rilasciata nel 1655 dal re Filippo IV di Spagna al Marchese della Ginestra(e poi primo principe di Campofiorito)Stefano Reggio Santo Stefano, non ebbe alcuna attuazione concreta, mentre oltre un secolo dopo,nel 1768, avrebbe avuto una realizzazione,seppure parziale,con l’intervento del suoV principe Stefano III Reggio Gravina”.

“La nascita giuridica di Campofiorito, intesa come Universitas baronale,-scrive Marchese, -sia che la sua costituzione sia avvenuta ex novo, o che abbia fatto uso di preesistenze abitative ,è stata sancita nel 1768, con il riconoscimento al principe Reggio da parte della Curia arcivescovile di Monreale,guidata da mons.Francesco Testa, dello status di parrocchia della chiesetta di Santo Stefano e la nomina del primo parroco arciprete, nella persona del sacerdote Leonardo Schifani da Chiusa..
Il 27 ottobre 1768 si celebra il primo battesimo ed è Stefano il nome in onore sia del Patrono della città,sia del principe.

“Ed è come effettuare il recupero di una identità,- ha affermato ,intervenendo alla presentazione dell’opera Ferdinando Russo, -come riportare alla comunità dei “Campofioritani ,o “bellanuvisi”,o “terranuvisi “,dagli archivi e dalle tele ingiallite di alcuni secoli, dai musei e dalle Sovrintendenze ,dal patrimonio storico-archivistico di Monreale, il fluire della storia umana e religiosa degli antenati di una delle “città nuove”, create cioè ex novo nell’età moderna, assieme ad altri 87 centri siciliani tra il 1593 ed il 1714.”

La cultura urbanistica di questi comuni rurali di nuova colonizzazione, non è comunque esente da legami e ascendenze con la grande cultura europea contemporanea, come afferma M.Renda.(5).

Significativo e moderno il tentativo di denominare questi comuni con sinonimi accattivanti, incoraggianti: Campofiorito,Villafranca,Campobello,Campofranco,Camporeale,Belmonte,Altavilla,
Roccamena, Villafrati.

Attorno a Campofiorito, nascono tentativi di industrializzazione, con la conceria e con la produzione dei materiali di costruzione, la calce ed il gesso,.che rappresenteranno, fino alle soglie degli anni sessanta, una fonte di approvvigionamento dei materiali fondamentali per l’edilizia e non solo per quella povera dei comuni del circondario.

Della nascita della città usufruiscono gli artigiani dei comuni vicini di Bisacquino, Corleone, Chiusa Sclafani, Prizzi, Giuliana, Contessa Entellina, ed i paesi sicani hanno ormai già risorse comuni e maestranze interscambiabili.

Ragioni di sicurezza del latifondo, ragioni di lavoro, di esplosione demografica (vedi Palermo), di ripopolamento, di necessarie produzioni cerealicole, determinatesi dopo il terremoto del 1693 ,stanno alla base di una positiva politica economico-sociale, che investe la Sicilia, in maniera preponderante.

E nella storia appare un contributo innovativo a modificare l’assetto fondiario e culturale, come
sottolinea Marchese ,citando una ricerca del giornalista Dino Paternostro (6) “pe r effettuare la presenza di sempre più numerosi abitanti, infatti, il Principe procedette al frazionamento delle terre e alla loro concessione, tanto che gli enfiteutica da 46, che erano nel 1774, aumentarono a 133 nel 1811 e a 146 nel 1817.Le rimanenti terre vennero condotte in gabella ed affidate ad un unico affittuario”.
Ora però vogliamo invitare i lettori e gli amministratori comunali ad utilizzare per le Biblioteche comunali e per le scuole il volume al nostro esame.
Tra i Comuni coinvolti nelle ricerche ricordiamo sommariamente:
Montemaggiore Belsito (contributo di Giovanni Mendola), Calamonaci (con le maestranze e la sua economia,l’esempio che riporta Giovanni Moroni),Villafrati e Cefalà Diana (dello studioso Giuseppe Oddo (9), Marineo, Il barone e il popolo (Antonino Scarpulla), Serradifalco (Alberico Lo Faso ), Monforte San Giorgio (Giuseppe Ardizzone Gullo), Chiaramonte e Monterosso nel 1593 (Gianni Morando)), Ventimiglia di Sicilia (Arturo Anzelmo), Montalbano (Alfio Seminara).

Ed ancora, Prizzi (Carmelo Fucarino), Caltabellotta (Angela Scandagliato), Acquedolci e Capo D’Orlando (Antonino Palazzolo), Cammarata (Domenico De Gregorio), Campofranco (Giuseppe Testa). Per la Val di Noto (Marisa Buscemi), per Sciacca (Ignazio Navarra), Polizzi (Vincenzo Abbate), Alcara Li Fusi (Angela Mazzè), Bivona (Antonino Marrone),Castelbuono(Rosario Termotto).

La ricerca non poteva non toccare anche Enna , Tortorici, Petralia Sottana, Isnello, Contessa Entellina (Calogero Raviotta), Palazzo Adriano (Antonino Cuccia). .

Ci riserviamo ,pertanto, di presentare gli altri comuni interessati a questo storico evento librario,.scusandoci con gli storici locali, che hanno collaborato allo studio originale e ricapitolativo di quanto finora conosciuto solo dagli esperti e degli addetti ai lavori e non citati in questa nota.
.
La ricerca spazia ,infatti, nel territorio dell’intera Sicilia e merita informazioni e riflessioni attente di apprezzamento per gli studiosi e per la fatica immane del curatore .

Torneremo sull’argomento ,quando i sindaci e il presidente della Provincia regionale di Palermo G.Avanti presenteranno ufficialmente la meritevole pubblicazione.

Ferdinando Russo
onnandorusso@libero.it

1)G.Bufalino,Nunzio Zago,Cento Sicilie ,testimonianze per un ritratto,La Nuova Italia editrice,
Scandicci,Firenze 1993

2)A,G.Marchese (a cura),L’isola ricercata,inchieste sui centri minori della Sicilia secoli XVI-XVIII,Atti del Convegno di studi (Campofiorito,12-13 aprile 2003-Provincia Regionale di Palermo

3) A.G.Marchese, Insula ,Ila Palma Mazzone Produzioni dicembre 2009 (vedi anche Orizzonti Sicani aprile 2010)

4)F.Russo ,I centenari di A.G.Marchese vivono a Giuliana in http://www.google.it e in http://www.maik07.wordpress.com

5)M.Renda I nuovi insediamenti del 600 siciliano.Genesi e sviluppo di un comune (Cattolica Eraclea,in M.Giuffrè (a cura di) Città nuove di Sicilia,Palermo 1979

6)D.Paternostro,Campofiorito:nato dal sogno di un principe il primo giorno di Primavera,dattiloscritto del 1991,Archivio comunale di Campofiorito,p.5

9)G.Oddo,Lo sviluppo incompiuto,Storia di un comune agricolo della Sicilia occidentale,Villafrati 1596-1960,Palermp1986

Villarosa prima dello zolfo(1731-1825)….

Villarosa 1731-1825

 

di

LUIGI DI FRANCO*

Di Franco

Il volume presenta per la prima volta le origini ed il primo sviluppo della vicenda storica della città nuova di Villarosa (1731-1825), comune siciliano dell’interno dell’isola, che nasce e si sviluppa nel contesto della realtà della Sicilia tra metà ‘700 e primo ‘800 determinando una specifica situazione socio-politica che attraversa l’età borbonica nell’epoca della rivoluzione francese, dell’età della monarchia amministrativa e delle riforme istituzionali.

Luigi Di Franco individua come caratteri originari di questa realtà il potere baronale, le pratiche religioso-devozionali della  civiltà contadina, che nel secondo ‘700 fondano l’identità collettiva locale e sviluppano una dinamica di emancipazione dalla feudalità e di libertà morale dalla materialità, cui seguirà nei primi decenni Ottocento l’ascesa dell’élite borghese e una promozione di tutte le dimensioni della vita civile. Il saggio storico si articola in tre parti. La prima ’l’ambiente storico’ inquadra il territorio e analizza la triplice convergente azione, nell’edificazione e nel popolamento della città nuova di Villarosa, della casata nobile dei Notarbartolo, della gerarchia ecclesiastica e delle famiglie immigrate. La seconda ‘potere religioso e identità popolare’, utilizzando un’interpretazione antropologica per definire l’identità popolare, individua i processi di crescita sociale e descrive la rottura della trama feudale e l’emergere di un nuovo bisogno di Stato nella locale comunità. La terza ‘dal feudo al protagonismo borghese’ delinea l’affermazione del protagonismo borghese nella società locale impegnata a definire il proprio sviluppo tra economia e politica nel primo Ottocento.

Il volume presenta un caso storico esemplare di analisi dei meccanismi che trasformano una realtà provvisoria e frammentata non solo in una comunità solidale e stabile ma in un nuovo microcosmo storico dove le varie condizioni di vita esprimono il passaggio dall’ancien regime al nuovo protagonismo del ceto borghese tipico dei primi decenni dell’Ottocento. Un territorio socio-politico non è mai luogo neutro, tanto che sia i processi economici che i vari aspetti delle trasformazioni socio-antropologiche rendono possibile la rappresentazione della storia di una società.  La narrazione storiografica  del volume attraversando emblematicamente gli spazi, i segni e le memorie di una collettività operante tra i lumi del potere baronale ed il protagonismo borghese afferma la centralità del processo economico-sociale nel continuo ristrutturarsi storico di ogni comunità civile.

*Luigi Di Franco è nato e vive a Villarosa, in provincia di Enna.  Laureatosi in Filosofia, in Magistero in Scienze Religiose e in Storia Contemporanea, è docente di Filosofia, Storia e Scienze Umane presso i Licei statali. È membro dell’Accademia Internazionale dei Micenei e della Società Filosofica Italiana, nonché dottorando di ricerca in Storia contemporanea all’Università di Catania nella Facoltà di Scienze Politiche.

Ha ricevuto diversi riconoscimenti culturali nazionali ed internazionali fra cui: il Primo Premio di Poesia al Premio «Città di Ragusa», nel 1972; il Primo Premio per la Saggistica alla VII edizione del «Premio Letterario Nazionale Isola Bella» a Stresa, nel 1994; a Varsavia (Polonia) il Primo Premio di poesia e saggistica alla XXIV Edizione del «Premio Letterario Internazionale I Migliori dell’Anno», nel 1996; il Premio «Superprestige Spagna ’98» per la poesia,con «Superpremio Messico» per la saggistica, al Premio Letterario Internazionale «Miguel de Cervantes» nel 1998 a Roma-Madrid; è inoltre stato finalista al Premio letterario-editoriale «L’Autore» nel 1998, con la silloge di poesia inedita Sentieri del tempo; il Primo Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri per opere di poesia e saggistica filosofico-letteraria edita,a Roma il 14 dicembre 1999; il «Premio Letterario Internazionale Pirandello 2000» a Luco dei Marsi (AQ); il Primo Premio di poesia al Premio Internazionale «Shakespeare» nel 2001 a Roma; il Premio Internazionale «Cristoforo Colombo» nel 2002 a Madrid-Roma; il Primo Premio per la saggistica e la poesia al «4° Concorso di Saggistica e Poesia Scena Illustrata 2004», a Vietri sul Mare, Salerno, nel 2004.

È autore di diversi saggi tra cui L’insegnamento della religione nella storia della scuola italiana (Caltanissetta, 1991); Verità e libertà nell’educazione religiosa (Enna, 1995); La Nostalgia dell’Essere nella poesia di Federico G. Lorca (Roma, 1999); Il “dramma di morte” nella religiosità popolare di Sicilia secondo Leonardo Sciascia (Milano, 2000); Antropologia filosofica e costruzione dell’essere personale (Caltanissetta-Roma, 2000); Dimore della parola nella poesia del Novecento italiano (Roma, 2001); L’Inesauribile filosofia dall’ombra all’essere (Roma, 2001); Caio Giulio Cesare. Scelta e moda culturale nella ricerca storica (Acireale-Roma, 2005); Filosofia ed Abitare Antropologico. La persona iniziativa dell’Essere (Acireale-Roma, 2007); Villarosa prima dello zolfo 1731-1825. Un paese nuovo tra i lumi del potere baronale e il protagonismo borghese nella Sicilia tra ‘700 e ‘800 (Acireale-Roma,2009).

Ha pubblicato i volumi di poesia Una terra il mio cuore (Enna, 1993),Fuochi barocchi (Firenze, 1996), Sentieri del tempo (Firenze, 1999) ed  il volume Canti di Pietraluna (Firenze, 2009).

Luigi Di Franco,Villarosa prima dello zolfo.Un paese nuovo tra i lumi del potere baronale e il protagonismo borghese tra il ‘700 e l’800.Ed.Bonanno,2009.

Verità e Libertà nell’Educazione Religiosa.

In questi giorni, che hanno visto l’ennesimo attacco all’IRC,all’ identità cattolica del popolo italiano e ad un mai dismesso antilcericalismo becero di stampo risorgimentale,ho preso tra le mani un “volumetto”,datato 1995,dal titolo:VERITA’ E LIBERTA’ NELL’EDUCAZIONE RELIGIOSA. A scriverlo, a suo tempo,un intellettuale nato,cresciuto e vivente nell’entroterra siciliana,il Prof.Luigi Di Franco,personalità di grande spessore culturale seppur poco conosciuta. L’autore,di cui mi onoro essere amico da molto tempo,già allora “profetizzava” la situazione attuale:ossia il tentativo,mai sopito, di mettere a tacere,una volta e per tutte,l’educazione religiosa,nella scuola pubblica,poichè essa è foriera di Verità e Libertà che aiutano l’uomo e l’alunno a raggiungere una pienezza di umanità. Meglio spingere le giovani generazioni a consumare spinelli,cannabis,cocaina,eroina ed alcolici di ogni genere….a vivere una vita affettivo-sessuale dissoluta,ma di Verità e Libertà meglio non parlarne. Meglio porre in essere una “educazione” nozionistica ed efficentista,ma non personalista!

Vi sottopongo la premessa al volume,leggendo la quale,spero,vi possiate rendere conto di quanto urgente sia ritornare a parlare della necessità della educazione religiosa nella scuola che trasmette verità e libertà.

L

di

Luigi Di Franco

L1

INTRODUZIONE

 

“SOCIETÀ COMPI ESSA”, “POSTMODERNO” “FORMA VIVENTE”

 

Oggi è diventato rischioso anche il solo parlare di ‘educazione’ e non è raro sentire parlare invece di “fine dell’educazione” e, quindi, di “fine della pedagogia” (1).

Da un lato c’è il rischio di ridurre ogni riflessione pedagogica ad un gioco verbale, dall’altro di lasciare sprovvisto di ogni indicazione di senso, nella duplice accezione di “direzione” e di “significato”, per la sua vita di oggi e di domani.

La nostra società “disordinata” mostra la crisi di ogni funzione educativa e in essa sembra venuto meno “ l‘incanto” kantiano del cielo stellato sopra di me e della legge morale in me. Da qualche decennio anche in Italia viviamo in una società “postmoderna” definita cioè dal fatto di venire “dopo” l’età moderna, di cui si denunciano i limiti e le illusioni, piuttosto che dalla fiducia in determinati valori o prospettive future.

Caratteristica delle società postmoderne è la tendenza allo sviluppo e alla crescita di un progetto, fondato più su una “visione del mondo” e della vita che su precise e fondate istanze morali.

Eppure resta vero, proprio in questo contesto, che nessuno dei moderni critici della religione e della morale religiosa ha dimostrato in maniera convincente e definitiva che la fede in Dio è soltanto una proiezione dell’uomo (Feuerbach), o è soltanto oppio del popolo (Marx), o sia soltanto un sentimento dei deboli (Nietzsche), oppure è solo una regressione allo stato infantile (Freud).

In crisi radicale è entrata, infatti, la società borghese moderna con la sua fiducia nella ragione e con la sua fede nel progresso.

“Postmoderno” è allora una chiave interpretativa che può comprendere in senso lato tutto ciò che distingue il nostro presente dalle esperienze della modernità ormai superata. Così le nuove modalità ristrutturanti del “postmoderno” se per un verso aprono nuovi orizzonti di crescita, di responsabilità, di speranza, per un altro verso, socialmente più inglobante, ci lasciano in balia dei condizionamenti sociali dominanti, specie attraverso i mass media, indirizzando verso un’omologazione consumistica e pragmatistica.

Non è che vengano negati i grandi principi, ma essi vengono relegati su uno sfondo poco rilevante per la realtà quotidiana, dove invece conta realmente solo ciò che si può manipolare. In questo contesto la religione ha un senso solo in quello scenario di cui parla Garelli (2) che è il mondo e l’uomo.

Si ha una specie di spaccatura dell’identità di ciascuno fra un “paladino” della fede, che con I. Calvino potremmo dire “inesistente”, il quale proclama grandi principi, civili-ecologici-religiosi, e un “barone rampante” dei bisogni, dei desideri e dei consumi, per nulla disposto a modificare il modello di vita praticato, pure del tutto incoerente rispetto ai principi professati.

Nelle “Post-Modernità” non vi è più spazio per una verità che vada oltre l’ambito del pragmatico e della metodologia scientifica.

Emerge solo un “pensiero debole” che si limita a spiegare o interpretare i linguaggi non più intesi come “struttura della ragione”, ed “espressione della verità” ma solo come accadimenti storicamente qualificati.

Se il pensiero moderno ci aveva espropriato delle coordinate spaziali del mondo, lasciandoci “senza casa”, il pensiero debole del postmoderno tende ad espropriare anche delle coordinate temporali, cioè di quella “casa” che è esperienza dell’uomo, intesa come storia, sia nel senso idealistico-hegeliano che in quello materialistico-marxiano.

Nel tempo postmoderno si spegne pure la fede nelle ideologie divenute anche scientificamente incredibili, da quando il sapere appare retto dalle esigenze dell’informatica che deludono ogni domanda di fondamento della conoscenza.

Viene meno l’ideologia del progresso ma solo in quanto sostituita dall’obiettivo della massima funzionalità. La complessità della società attuale cerca per sè una legittimazione solo “performatica”, basata cioè soltanto sull’efficienza, sul rapporto ottimale fra input e output. Così ogni referente “metanarrativo”, o “visione del mondo”, è reputato vano ed inutile e l’incredulità verso ogni legittimazione metanarrativa diventa la caratteristica della complessità di una società che liquida nella paradossale eliminazione di ogni funzione legittimante la condizione stessa dell’uomod’oggi, che nonostante un’enorme acquisizione di sapere conosce sempre meno se stesso.

Mentre le conoscenze tecniche si allargano diminuisce l’autonomia dell’uomo come individuo e la sua indipendenza di giudizio come persona.

L’uscita dalla modernità si annuncia come un abbandono di tutti i valori. “Dopo” Nietzsche, “dopo” la volontà di potenza, non è più possibile proporre valori:ogni valore si ridurrebbe infatti in quest’ottica a pura “volontà di potenza”. Ne deriva un crescente “sovraccarico funzionale” dell’individuo, per il quale la “complessità” circostante diventa sempre più simile, come ci dice Horkheimer, ad una “macchina che ha gettato a terra il conducente e corre cieca nello spazio”(3).

Eppure l’attuale stagione dell’uomo più che mai gravita intorno alla questione della sua autonomia e fondazione, al problema cioè di trovare un “centro d’unità” pur nel complesso articolarsi delle problematiche teoriche, pratiche ed operative.Da qui l’esigenza di inscrivere la ricerca pedagogica nel quadro aperto e non chiuso di una filosofia dell’educazione e di una teologia pedagogica che evidenziano nell’atto della “visione” la struttura teoretica fondamentale della conoscenza umana. L’uomo, infatti, è una “forma vivente”, li è possibile individuare il volto autentico ed integrale delle determinazioni essenziali della umana creatura. “Vivente forma d’essere, in quanto rappresenta la struttura della sua concreta esistenza. Vivente forma di valore, in quanto esprime come quest’ente dev’essere, per essere pienamente sè stesso e perciò conforme al proprio valore” (4).

Per questo il concetto di “Formazione” (Bildung) è irriducibile per chi voglia percorrere il processo educativo avendo sempre presente, proprio con via fenomenologica, l’atto vivente della conoscenza umana che è dinamica relazionalità ontologica dell’uomo all’essere.

Nell’uomo, percezione, azione e divenire, si attuano in una dinamica popolare: dall’esterno all’interno, dall’interno all’esterno. Questa vivente iniziativa dello spirito umano è il fattore portante della strutturazione (della forma vivente umana. Ed essendo questa dinamica “polare” – esterno/interno – un progredire e un superamento, si fa “polarità fra regno di natura e dimensione spirituale. Lo spirito in quanto tale trascende l’orizzonte della natura. In quanto persona, esso possiede sè stesso nella coscienza, nella libertà e nella azione” (5).

Lo spirito che è in sè e per sè esce “nella” e “con” la natura da sè per a sè ritornare, divenendo, così, intimo alla natura in una dinamica nuova: quella della libertà. Ecco perché “la forma vivente dell’uomo … trova il proprio ultimo fattore portante nell’iniziativa dello spirito: conoscenza, libertà e azione” (6). Il “valore” dell’uomo è espresso da quell’originalità irripetibile che è data nell’essenza indicata dal “nome”, sigillo dello spirito personale.

L’essenza dell’uomo “può essere nominata … poiché dal momento della sua fondazione e creazione,ontologicamente cioè, riceve un nome ed è chiamata.

Lo spirito è creato come singolo; in quanto tale, riceve il suo nome; da Dio” (7).

Ecco perché è da sottolineare l’importanza decisiva della “formazione” per il futuro di una civiltà dell’uomo che sia libero e realizzato nella vita dell’amore.

Ogni interpretazione non riduttiva dell’umano, né naturalistica né storicistica, non può non portare alla percezione dell’immagine integrale dell’essenza umana e della sua dimensione etico-religiosa. La riflessione su questo tema, svolta con e tramite un percorso meta-didattico, è l’oggetto del presente saggio.

Ciò oggi pare più che mai urgente per contribuire ad adeguare l’esperienza del fenomeno pedagogico alla “pienezza” di quella forma vivente che è nell’uomo di ogni tempo, la libertà.

Quando si considerano processi didattici e problematiche educative spesso ci si dimentica di colui che dovrebbe essere il vero protagonista nell’educazione: l’alunno e la sua formazione. Cioè la “forma” vivente che è la persona, ogni persona, che cerca di incontrare il mondo ed il suo senso.

Riflettere sul perché non si dia ai vari protagonisti del processo educativo e scolastico la possibilità di un credibile intervento che non vada oltre il mero contributo socio-politico è un segno di come senza una “veritativa fondazione” i vari curricula educativi siano destinati solo al “flatus vocis”.

L’educazione religiosa non è “indottrinamento ideologico”; infatti sia dallo studio delle fonti curricolari (antropologiche, epistemologiche, psicopedagogiche, sociali e teologiche), sia dallo studio degli obiettivi e delle finalità dell’educazione e sia dalle funzioni (dell’insegnamento di Religione si configura l’identità educativo-culturale dell’area curricolare di Religione. Questa perciò si qualifica in quanto fenomeno e patrimonio storico-culturale e soprattutto in quanto sistema metanarrativo esplicitante e formante universale “forma vivente” dell’uomo. Occorrono, allora, “percorsi di fondazione” per contribuire a far chiarezza sulla gestione dell’area educativa religiosa. In particolare occorre il coinvolgimento, oltre che di alunni e genitori, soprattutto degli educatori perché possano intervenire nella completa formazione dei propri educandi. Pertanto le pagine che seguono a costoro, in nodo particolare, sono dirette. E’ alla processualità educativa della persona ed ad una filosofia e teologia dell’educazione che la persona realizza nella riflessione, che si è inteso ancorare l’argomento del presente saggio.

La situazione dell’uomo mostra da un lato che ‘l’umanità è più di una struttura intellettuale: essa è una realtà personale, che invoca una connessione suprema, un ‘appartenenza suprema” (8).

Dall’altro il bisogno di verità che è nell’uomo non è una domanda ma una risposta, perché il chiamato è l’uomo, “Dio è in cerca dell’uomo, e la vita è una cosa che esige una risposta … L’essere dell’uomo è oggetto (Iella conoscenza e della sollecitudine divina” (9).

Ecco perché, prima ancora di ogni valutazione metodologica, dimensione religiosa e dimensione culturale non sono “alternative” ma anzi strettamente complementari” nel realizzarsi dell’educazione religiosa della persona.

La possibilità della fede in Dio anche nella cultura postmoderna ha il volto dell’autentico ruolo liberante per l’uomo. La fede si mostra così forte che orienta il futuro, che dilata la fiducia nella vita e nella solidarietà promuovendo lo sviluppo spirituale dell’uomo proprio perché esperienza di liberazione della persona nelle varie circostanze della sua vita.

La “visione del mondo” non sorge nell’uomo come autonoma e soggettiva posizione ma è già dinanzi al sè un orizzonte, un paesaggio e un contesto entro cui realizzarsi.

Educare religiosamente significa, allora, aiutare l’educando a scoprire quell’orizzonte e quella circostanza in cui la sua forma continuamente si realizza in pieno e per sempre.

E’ lo spazio del significato il luogo della cultura religiosa e questo spazio si vede e si vive solo grazie ad un’educazione. Infatti “l’esistenza umana nel suo complesso non è strutturata in modo che in essa siano rapportate tra loro entità già complete nell’essere [.,..]. Gli uomini sono invece coinvolti nel divenire; sono quindi entità che permanentemente determinano se stesse” (10).

Solo corrispondendo alla chiamata e uscendo “fuori da sè” l’uomo forma se stesso nella verità e con la verità. Ed a questo l’educazione religiosa deve portare. Così tutta la storia biblica non esprime solo la misericordia di Dio ma anche il suo impegno a favore della creatura documentando l’interesse di Dio per l’uomo. E questi, “immagine di Dio”, è in grado di entrare in rapporto con il suo Creatore e con il mondo delle cose e degli uomini perché creatura capace di trascendere nella relazionalità il proprio io. Vocazione dell’uomo è vivere in relazione vitale con quella  “Forma” che oltrepassando la sua singola soggettività si dispiega nella molteplice realtà senza però mai coincidere con essa. Quando “la varietà ed il mutare delle opinioni sulla verità, l’adesione a differenti dottrine ed anche di apparenza contraddittoria invita all’incredulità” (11), ciò accade perché non siamo più in grado di entrare in rapporto con i significati veritativi della realtà.

Al contrario, “il presupposto minimo di ogni storia è che il soggetto di cui parlo possa essere compreso. Ebbene: non lo si può comprendere sino a che non si dispone di qualche dimensione di verità” (12).

Pertanto la consapevolezza della verità è il primo dato da cui partire. E in particolare come già ha indicato Ortega y Gasset “per gli antichi, realtà, essere, significava “cosa”; per i moderni, essere significava “interiorità, soggettività”; per noi essere significa “vivere” – per tanto è intima relazione con sè e cori le cose” (13). Per questo l’uomo può vivere la propria forma vivente solo incontrando quel mondo che comunica la forma vivente che è il “fondamento”. Indicare questa scoperta e vivere con certezza  questa decisione, che fa entrare nella sicura verità è il compito permanente dell’educazione religiosa.

 (1) H. GIESECKE, La fine dell’educazione, Anicia, Roma, 1990.

(2) Vedi F. GARELLI, La religione dello scenario, Il Mulino, Bologna, 1986.

(3)M. HORKEIMER. Eclisse della ragione, Einaudi, Torino, 1969, p.113.

(4) R. GUARDINI, Fondazione della teoria pedagogica, in, IDEM, Persona e

libertà. Saggi di fondazione della teoria pedagogica, La Scuola, Brescia, 1987. p. 69.

(5) IBIDEM, p. 71.

(6) IBIDEM, p. 71.

(7) IBIDEM, p. 72.

8) A. J. HESCHEL, Chi è L’uomo?, Rusconi, Milano, 1976, p. 103

(9) IBIDEM, pp. 104-105.

(10) R. GUARDINI, Fede – Religione – Esperienza. Saggi Teologici, Morcelliana, Brescia, 1984, p. 200

(11) J.ORTEGA Y GASSET,Que es filosofia? Ed.Revista de Occidente en Alianza Editorial Madrid,1993,p.15.

(12) IBIDEM, p. 21.

(13 )IBIDEM, p. 176.

Luigi Di Franco,Verità e Libertà nell’Educazione Religiosa,ed.Il Lunario,1995.

Luigi Di Franco:un poeta da scoprire…….

               CANTI DI PIETRALUNA UN INNO ALLA LIBERTA’

 Di Franco Luigi copertina vol poesia 2009

Il poeta Luigi Di Franco* scrive il canto dell’umanità che conquista la libertà

 “Canti di Pietraluna”. Questo il titolo dell’ultima opera di poesia pubblicata dal poeta Luigi Di Franco di Villarosa che è stata presentata al teatro comunale “Vittoria Colonna” di Vittoria (Ragusa) con l’intervento dell’autore e dei docenti universitari Giuseppe Savoca ed Antonio Sichera della facoltà di Lettere dell’Università di Catania. Il poeta Di Franco che ha pubblicato questa sua nuova raccolta, cinquanta “poesie ad un millennio” come egli stesso le definisce, edite  nell’Aprile 2009 dall’Autore Libri di Firenze, ha sottolineato come occorre sempre imparare finché dura l’ignoranza, cioè per tutta la vita, ma proprio là dove la maggior  parte della gente ha l’impressione  che non si faccia nulla di buono occorre ricostruire templi alla virtù del sapere, altrimenti ci resteranno solo suoni inarticolati di barbarie.

L’opera,ultima raccolta di una trilogia che include i  precedenti volumi “Fuochi barocchi” (edito nel 1996) e “Sentieri del Tempo” (edito nel 1999), traccia un consuntivo dell’esistenza e del percorso culturale del poeta che anela ad una nuova dimensione umana e sociale lontana dall’uomo di oggi ma a lui visibile e pertanto realizzabile.

Quelli di “Canti di Pietraluna” sono versi che inneggiano alla libertà umana colta nel suo scioglimento con i vincoli del materiale all’insegna di nuove categorie ontologiche che sempre più affermano il valore dell’uomo inteso come costante essere in divenire.

L’uomo di queste liriche, in quanto misura di tutte le cose, conferisce senso e valore a fatti e luoghi da egli stesso vissuti evitando che la dirompenza della barbarie umana e istituzionale cancelli ogni retaggio culturale per offrire all’individuo non più una condizione di cittadino, quanto quella di ospite della propria terra.

Con quest’ultima raccolta il poeta Di Franco non si presenta più solo come letterato, ma si qualifica come uomo di azione impegnato in prima persona a smascherare le insidie di una politica miope, della volgarità d’animo, della smania di potere. Poesia lirica e civile, dunque, che nasce da una coscienza matura e consapevole del costante annullamento di ogni valore che si sta vivendo e che con la sua poetica parola apre ad ogni tipo di lettore la possibilità di compiere più profonde riflessioni. In una società in decadenza variamente affaccendata in egoistici interessi ciò che pare mancare alle istituzioni e ai vari gruppi dirigenti è la dimensione speculativa del vero, per questo solo una riconquista ed una rivalutazione della cultura umanistica può offrire rinnovate ragioni di riscatto. “Non c’e’ più tempo di cantare…/Non c’e’ più tempo di restare” scrive il poeta. Ed è il suo congedo da un’umanità ormai schiava, ma anche l’esaltazione consapevole della dignità umana che vale per quanti ancora sanno guardare in alto.

Foto prof. Luigi Di Franco

*Luigi Di Franco è nato e vive a Villarosa, in provincia di Enna.  Laureatosi in Filosofia, in Magistero in Scienze Religiose e in Storia Contemporanea, è docente di Filosofia, Storia e Scienze Umane presso i Licei statali. È membro dell’Accademia Internazionale dei Micenei e della Società Filosofica Italiana, nonché dottorando di ricerca in Storia contemporanea all’Università di Catania nella Facoltà di Scienze Politiche.Ha ricevuto diversi riconoscimenti culturali nazionali ed internazionali fra cui: il Primo Premio di Poesia al Premio «Città di Ragusa», nel 1972; il Primo Premio per la Saggistica alla VII edizione del «Premio Letterario Nazionale Isola Bella» a Stresa, nel 1994; a Varsavia (Polonia) il Primo Premio di poesia e saggistica alla XXIV Edizione del «Premio Letterario Internazionale I Migliori dell’Anno», nel 1996; il Premio «Superprestige Spagna ’98» per la poesia, con «Superpremio Messico» per la saggistica, al Premio Letterario Internazionale«Miguel de Cervantes» nel 1998 a Roma-Madrid; è inoltre stato finalista al Premio letterario-editoriale «L’Autore» nel 1998, con la silloge di poesia inedita Sentieri del tempo; il Primo Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri per opere di poesia e saggistica filosofico-letteraria edita, a Roma il 14 dicembre 1999; il «Premio Letterario Internazionale Pirandello 2000» a Luco dei Marsi (AQ); il Primo Premio di poesia al Premio Internazionale «Shakespeare» nel 2001 a Roma; il Premio Internazionale «Cristoforo Colombo» nel 2002 a Madrid-Roma; il Primo Premio per la saggistica e la poesia al «4° Concorso di Saggistica e Poesia Scena Illustrata 2004», a Vietri sul Mare, Salerno, nel 2004. È autore di diversi saggi tra cui L’insegnamento della religione nella storia della scuola italiana (Caltanissetta, 1991); Verità e libertà nell’educazione religiosa (Enna, 1995); La Nostalgia dell’Essere nella poesia di Federico G. Lorca (Roma, 1999); Il “dramma di morte” nella religiosità popolare di Sicilia secondo Leonardo Sciascia (Milano, 2000); Antropologia filosofica e costruzione dell’essere personale (Caltanissetta-Roma, 2000); Dimore della parola nella poesia del Novecento italiano (Roma, 2001); L’Inesauribile filosofia dall’ombra all’essere (Roma, 2001); Caio Giulio Cesare. Scelta e moda culturale nella ricerca storica (Acireale-Roma, 2005); Filosofia ed Abitare Antropologico. La persona iniziativa dell’Essere (Acireale-Roma, 2007); Villarosa prima dello zolfo 1731-1825. Un paese nuovo tra i lumi del potere baronale e il protagonismo borghese nella Sicilia tra ‘700 e ‘800 (Acireale-Roma,2009).Ha pubblicato i volumi di poesia Una terra il mio cuore (Enna, 1993), Fuochi barocchi (Firenze, 1996), Sentieri del tempo (Firenze, 1999) ed ora il volume Canti di Pietraluna (Firenze, 2009).