Conversazioni notturne….sul rischio della fede.Due gesuiti si raccontano.

 

Prefazione

 

Una signora di Vienna con cui sono in contatto da molti anni sostiene da lungo tempo l’opera sociale di padre Georg Sporschill a favore dei bambini di strada in Romania e in Moldavia e mi raccontava sempre di lui.

Quando ho saputo che padre Georg veniva a Gerusalemme, sono stato contento. Avevo molto sentito parlare della sua attività di padre spirituale dei giovani e volevo conoscere meglio lui e il suo lavoro. Avevo letto un testo di cui era stato curatore: Mein Problem. Karl Rahner antwortet jungen Menschen (Un mio problema. Karl Rahner risponde ai giovani). Stimolando i giovani a esprimere le loro domande in una lettera indirizzata al teologo Karl Rahner aveva realizzato un libro interessante.

Nonostante io sia un tipo mattiniero, a Gerusalemme parlavamo spesso fino a tarda notte dei giovani di oggi. Ci siamo avvicinati ai sogni. Di notte le idee nascono più facilmente che nella razionalità del giorno. Quali sono le aspettative della gioventù? E cosa si aspetta dalla gioventù il mondo? Un mondo difficile richiede il suo impegno.

Da quelle conversazioni notturne a Gerusalemme è nato questo piccolo libro. La parte più importante sono le domande dei ragazzi. Sono ancora interessati, oggi, a criticare la Chiesa, noi, chi governa, l’establishment? Oppure si allontanano in silenzio? Io sono convinto che là dove esistono conflitti arde la fiamma, lo Spirito Santo è all’opera. L’ho sempre sentito nell’incontro con molti giovani.

Tutto è dono: quando ero bambino, a quattro o cinque anni, si fece sulla spiaggia un concorso di bellezza e mia madre mi ci portò. A un comando dovevamo iniziare a correre. Veniva valutata non solo la bellezza, ma anche l’agilità. Io non udii la chiamata del direttore e rimasi fermo al mio posto, mentre tutti già correvano. Allora il direttore venne da me, mi prese in braccio e mi fece sedere al primo posto.

Questo episodio della mia infanzia mi sembra una metafora della mia vita. Ho trascurato più di un’ispirazione del Signore o non vi ho prestato la dovuta attenzione. Ciò nonostante il papa e i miei superiori gesuiti mi nominarono rettore del Pontificio istituto biblico a Roma. Inoltre i gesuiti non dovrebbero diventare vescovi, e tanto meno un gesuita di Torino a Milano. Tuttavia il papa mi chiamò a essere arcivescovo, e proprio in quest’ultima città. Riprendendo il motto sapienziale che sta nella conclusione del libro del Siracide, potrei dire: «Poco faticai e trovai per me grande pace» (cfr. Sir 51,27).

La vita mi ha mostrato che Dio è buono e fa molto più di quanto potremmo aspettarci. Egli non smette mai di invitarci a collaborare per costruire un mondo più pacifico.

Il libretto che vi consegniamo è scritto a quattro mani. Padre Georg e io ne assumiamo la piena responsabilità. Il lettore attento non faticherà a comprendere che alcune pagine riportano l’esperienza del cardinale Martini; altre rispecchiano maggiormente i numerosi contatti di padre Georg con giovani in patria e all’estero.

Sono pensieri cari a entrambi, ispirati da molte conversazioni con i giovani. Con loro abbiamo vissuto una Chiesa aperta. Essi lottano contro l’ingiustizia e vogliono imparare l’amore. Danno speranza a un mondo difficile.

Gerusalemme, novembre 2007

Cardinale Carlo Maria Martini SJ

 

Conversazioni notturne a Gerusalemme di Carlo Maria Martini e Georg Sporschill.

 

Nel nuovo libro «Conversazioni notturne a Gerusalemme» l‘ex arcivescovo di Milano risponde alle domande di un gesuita e affronta i temi della fede e della Chiesa. Con qualche risposta scomoda sulle difficoltà del Cattolicesimo e la morale sessuale.

«Conversazioni notturne a Gerusalemme» (Mondadori, in libreria dal 28 ottobre) è il titolo del volume che raccoglie il confronto sui temi del Cattolicesimo e della Chiesa fra il cardinale Carlo Maria Martini , ex arcivescovo di Milano e studioso della Bibbia di fama mondiale, e il gesuita Georg Sporschill.

Un dialogo franco, senza reticenze, in pagine che possono essere interpretate come il testamento spirituale di Martini.

A Vito Mancuso, autore del best-seller «L’anima e il suo destino» e docente di teologia all’ Università San Raffaele di Milano, ‘Panorama» ha chiesto di leggere il libro in anteprima.

 

 

Ecco il suo pensiero.

di VITO MANCUSO

 

perché il Cristianesimo non affascina più l’Occidente? Se lo sono chiesti due dotti gesuiti a Gerusalemme nelle loro «conversazioni notturne», e lo hanno fatto a partire dai giovani, visto che essi sono la cartina di tornasole del fascino spirituale di una dottrina o di un’istituzione. Alla Chiesa certo non basta celebrare ogni 4 anni un evento mediatico come la Giornata mondiale della gioventù per nascondere il problema.

La verità della vita infatti si misura nella quotidianità, non negli eventi speciali. e la quotidianità dice che i giovani sono molto distanti dalla Chiesa cattolica: in Italia i praticanti non superano il 10 per cento, in Europa ancora meno, e se poi in gioco è la morale sessuale si arriva a cifre con le quali oggi, se si trattasse di elezioni, non si entrerebbe in alcun parlamento.

Nell’affrontare il problema i due gesuiti hanno messo in campo quella «libertà interiore di cui godeva San Paolo» (per riprendere alcune parole di Benedetto XVI del 1° ottobre 2008), libertà che lo portò a opporsi a San Pietro, primo papa della storia. Benedetto XVI quindi dovrebbe essere il primo a rallegrarsi di un libro così, la cui principale caratteristica è l’onestà e il coraggio dell’analisi: pane al pane, crisi alla crisi, cose chiamate col proprio nome senza nascondere la testa dentro l’incenso delle liturgie. «Oggi in Europa la situazione della Chiesa esige delle decisioni. Vi sono comunità dove non troviamo più giovani. Soprattutto nelle grandi città bambini e ragazzi sono una presenza rara alla messa domenicale». Il risultato è allarmante: «Manca la prossima generazione»,

Nessuno sconforto però, perché «dove esistono conflitti lo Spirito Santo è all’opera». L’importante è non eludere i problemi facendo finta che non ci siano.

Il gesuita Georg Sporschill pone al confratello cardinale Carlo Maria Martini una domanda particolarmente provocatoria:

“Se Gesù vivesse adesso, tratterebbe l’attuale Chiesa cattolica come a quel tempo i farisei?”. Risposta: «Sì, scuoterebbe tutti i responsabili della Chiesa».

Chi è privo di un’adeguata conoscenza della profezia biblica potrebbe chiedersi come sia possibile che un cardinale parli così della gerarchia della Chiesa. In realtà si tratta di stabilire se la Chiesa sia in funzione del mondo oppure se, viceversa, il mondo sia in funzione della Chiesa. A chi spetta il primato?

Nella risposta a questa domanda si gioca la differenza che attraversa il Cattolicesimo contemporaneo (e forse quello di sempre), diviso tra chi ritiene che la Chiesa sia relativa al mondo e chi invece che il mondo sia relativo alla Chiesa. Il cardinale Martini è per la prima alternativa, ed è per questo che, per il bene del mondo, sferza la Chiesa.

Che cosa lo preoccupa di più? «Mi angustiano le persone che non pensano… Vorrei individui pensanti. Questo è l’importante. Soltanto allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti». Ben lontano da ogni intellettualismo, qui appare che cosa significa vita spirituale:

significa pensare e poi decidere. Infatti«chi non prende decisioni si lascia sfuggire la vita», mentre «solo gli audaci cambiano il mondo».

Si prospetta una nuova figura di cristiano: non più la pecorella devota, ma uno «che vive con la Bibbia e trova risposte personali alle domande fondamentali». E allora la Chiesa? Essa è «un contesto che procura stimoli e supporto, non necessariamente un magistero da cui il cristiano dovrebbe dipendere». A chi sa pensare con la sua testa basta la Bibbia, «il miglior ausilio per formare la propria opinione e la coscienza».

A partire da questi principi Martini non teme di criticare l’enciclica Humanae vitae, con cui quarant’anni fa Paolo VI vietò la contraccezione: «L’enciclica ha contribuito a far sì che molti non prendessero più in seria considerazione la Chiesa come interlocutrice o maestra… Molte persone si sono allontanare dalla Chiesa e la Chiesa dalle persone». Occorre cercare

«una via per discutere seriamente di matrimonio, controllo delle nascite, fecondazione artificiale e contraccezione», perché «saper ammettere gli errori e la limitatezza delle proprie vedute di ieri è segno di grandezza d’animo e di sicurezza».

Su quale criterio debba essere decisivo per la morale sessuale non ci sono dubbi:

la coscienza del singolo. «La Chiesa dovrebbe sempre trattare le questioni di sessualità e famiglia in modo tale che alla responsabilità di chi ama spetti un ruolo portante e decisivo»,

Martini ricorda che durante il conclave tra cardinali si discusse dei problemi più urgenti, in primis «il rapporto con la sessualità e la comunione per divorziati e risposati», problemi cui il nuovo papa «avrebbe dovuto dare nuove risposte». Benedetto XVI non è venuto meno al suo compito: totale conferma dell’Humanae vitae e netto no ai divorziati risposati. Quanto a novità non c’è male,..

Nei frattempo il divario tra la Chiesa e il mondo occidentale cresce sempre più, tra l’indifferenza di gran parte dei giovani e il placido assopimento della Chiesa in cui, dice Martini, «regna troppa calma». E conclude: «Sento la nostalgia di Gesù di lanciare sulla Terra il fuoco ardente dell’entusiasmo». Ma chi, tra i pastori di questa Chiesa italiana, raccoglierà l’eredità di Carlo Maria Martini?

 

Tratto da Panorama del 30-10-2008 pp.217-218.

INCHIESTA SUL CRISTIANESIMO,Come si costruisce una religione.Di Corrado Augias e Remo Cacitti.

Tutti i buchi dell’Inchiesta

di Massimo Introvigne (Avvenire, 24 settembre 2008)

La fede crede che Gesù sia risorto. La scienza sa che Gesù non è risorto, perché i morti non risorgono. La fede crede che i quattro Vangeli ci trasmettano il messaggio di Gesù Cristo. La scienza sa che non è così. La fede crede che la Chiesa ci permetta d’incontrare ancora oggi nella storia Gesù di Nazaret attraverso la continuità dell’istituzione da lui fondata. La scienza sa che Gesù non ha fondato nessuna istituzione, e che la Chiesa come la conosciamo semmai deriva dall’imperatore Costantino. Tesi che risalgono all’Illuminismo, e che riposano su una concezione assolutista della scienza definitivamente decostruita da Adorno e Horkheimer in poi, senza dimenticare la meta-scienza di Popper? Purtroppo no: lo scientismo è un passato che non vuole passare, come conferma un aspirante best seller in cerca di lettori, Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione (Mondadori, Milano 2008), confezionato sulla scia del successo del suo precedente Inchiesta su Gesù dal giornalista Corrado Augias, che questa volta intervista il professor Remo Cacitti, docente di Storia del cristianesimo antico all’Università di Milano.

L’idea è che si possa opporre alla fede – rappresentata per esempio da Benedetto XVI, oggetto di più di una battutina velenosa, e per definizione infondata e soggettiva – la Scienza storica con un’ideale S maiuscola, che sarebbe invece per definizione oggettiva, universale e certa. Cacitti cita l’archeologo e storico francese Salomon Reinach (1858-1932), che fornisce quello che può essere considerato il motto del libro: mentre la fede dice “io credo” la scienza della storia delle religioni, fondata su “fatti certi”, può dire con orgoglio “io so” (p. 265). Una volta entrati in questa logica, il gioco è fatto: a chiunque muovesse obiezioni in nome della religione o del semplice buon senso Augias e Cacitti potranno replicare che altra è la scienza storica, altra è la mera fede.

Intendiamoci: Augias fa il suo mestiere, che è quello del giornalista dissacrante e provocatore che tutti conosciamo. Né egli ha mai nascosto di essere uno scettico e un non credente. Anche il professor Cacitti fa il suo mestiere: corregge Augias quando esagera, e cerca di rimanere nell’ambito della storiografia accademica. Tuttavia, sia il lettore meno preparato rischia di rimanere sconcertato, sia le stesse conclusioni del professor Cacitti si prestano a qualche obiezione laddove sembrano implicare che la storia sia l’unica disciplina che ha titolo a pronunciarsi su come è “veramente” nato il cristianesimo. Colpisce, in particolare, l’assenza nel testo di qualunque riferimento alla sociologia delle religioni, una scienza il cui più noto esponente statunitense contemporaneo, Rodney Stark, ha dedicato una delle sue opere fondamentali precisamente alle origini del cristianesimo. Il testo, Ascesa e affermazione del cristianesimo, pubblicato in Italia da Lindau, è apparso in quattordici lingue; almeno nell’area di lingua inglese, è stato ben ricevuto anche dagli storici e ha dato origine a tutto un nuovo filone di ricerca. In particolare Stark sostiene che la versione del cristianesimo fondata su dogmi certi e su una Chiesa organizzativamente forte si è affermata, prevalendo sui sogni degli gnostici e sulle utopie di un cristianesimo non istituzionale e pacifista, non grazie al potere di Costantino (come il testo di Augias e Cacitti ripete) ma perché meccanismi sociologici all’opera anche oggi – e che spiegano perché certe forme religiose abbiano successo e altre declinino nel XXI secolo – rendevano sia comprensibile sia inevitabile che fosse così.

Anche la moderna sociologia della scienza può forse aiutare, con tutto il rispetto, a guardare con un certo sano scetticismo alle conclusioni di Cacitti. Tale sociologia sostiene infatti che la scienza, compresa quella storica, è raramente “neutra” e “oggettiva” (così che la sua pretesa di essere superiore, per esempio, alla teologia, è per certi versi ingenua) ma è sempre culturalmente condizionata, politicamente negoziata e socialmente costruita. E questo è vero anche per quella rispettabilissima scienza che è la storia del cristianesimo. A proposito dei Vangeli e delle lettere di Paolo, molti storici contemporanei – le cui idee Cacitti riassume fedelmente – spiegano che alcune affermazioni vanno intese come effettivo resoconto di fatti storicamente avvenuti, altre solo come metafore o descrizioni di esperienze spirituali a torto scambiate per realtà storiche o empiriche, altre ancora come affermazioni messe in bocca post factum a Gesù per giustificare interessi o posizioni della Chiesa nascente. Il controverso esegeta irlandese, residente negli Stati Uniti, John Dominic Crossan e il suo Jesus Seminar avevano prodotto addirittura un Vangelo “a colori” dove attribuivano colorazioni diverse a quanto, secondo loro, Gesù avrebbe detto per davvero e a quanto sarebbe stato inventato dagli evangelisti.

Il problema però è chi e come decide quali parole e fatti attribuiti a Gesù sono autentici e quali sono inventati. Dichiariamo autentici i testi che pensiamo di poter considerare più antichi? Non è proprio così: Cacitti lealmente riconosce che le affermazioni più chiare sul fatto che Gesù sia fisicamente risorto dai morti sono in testi di san Paolo “vicini all’evento, ovvero databili agli anni Trenta del I secolo” (p. 28). Eppure secondo lo storico italiano è “evidente” che si tratta di “una prospettiva religiosa, non storica” (ibid.). E perché è “evidente”? Cacitti ha il merito di dirlo in modo molto più sfumato, mentre Augias lo afferma più brutalmente: perché nel XXI secolo “alla resurrezione dei morti oggi nessuno crederebbe” (p. 72). A parte la solita mancanza di sociologia – uno sguardo alle Indagini mondiali sui valori convincerebbe gli autori che la maggioranza assoluta dei nordamericani e dei sudamericani, e un buon terzo degli europei, crede in pieno XXI secolo che Gesù sia risorto – la formula sembra precisamente quella rimproverata al Jesus Seminar: consideriamo autentici solo gli eventi e gli insegnamenti riportati nei Vangeli che risultano accettabili ai contemporanei, anzi a quella minoranza di contemporanei che in nome dello scientismo non crede ai miracoli. Così le affermazioni sul primato di Pietro e tutto quanto fonda un cristianesimo che non sia puro insegnamento morale sulla povertà e la pace “devono” essere aggiunte posteriori e non possono fare parte dell’insegnamento autentico di Gesù Cristo: il quale, diversamente, assomiglierebbe troppo a quello di Benedetto XVI, che non è simpatico ad Augias e sembra di capire neppure a Cacitti.

Che le cose stiano così sembra confermato dalle incursioni degli autori su temi diversi da quelli delle origini cristiane. Per esempio, in tema di apparizioni della Madonna, Cacitti afferma ripetutamente che “non hanno assolutamente nulla di religioso” (p. 149). Ci si chiede tuttavia come è stato previamente definita la nozione di “religioso”. Avendo a suo tempo partecipato (unico studioso italiano invitato) al progetto europeo LISOR sulla definizione di religione, penso di avere qualche elemento per dire che nel messaggio di Fatima o nelle parole della Vergine a Lourdes, per tacere dell’esperienza dei fedeli e dei pellegrini nei rispettivi santuari, tutto è religioso secondo una qualunque delle maggiori nozioni di religione utilizzate nella sociologia contemporanea.

Così pure rimango perplesso quando Cacitti definisce “chierici franchisti” i sacerdoti e religiosi uccisi durante la guerra di Spagna e a suo avviso inopportunamente canonizzati (p. 210: molti di loro non erano certamente “franchisti” e furono uccisi per la loro fede, non per le loro idee politiche), e quando sembra confondere, tra i documenti del Vaticano II, la Nostra Aetate (che non è il testo “che apre alla libertà religiosa”, p. 246) con la Dignitatis humanae. E sono ancora più perplesso quando lo storico di Milano attacca “l’oscena strumentalizzazione di certi passi del Corano, operata da truci cristiani, per i quali sarebbe quel testo sacro a fomentare la violenza e il terrorismo islamici”: una posizione che “certo non è vera” (p. 66). Il maggiore sostenitore accademico contemporaneo della tesi secondo cui le giustificazioni di una certa violenza islamica si trovano in alcune sure del Corano, l’islamologo della Rice University David Cook, il quale offre argomenti molto seri e tutt’altro che facili da smontare, sarà forse “truce”, ma certamente non è un cristiano. C’è da chiedersi se in certi ambienti, anche autorevoli, l’islam non goda oggi di un pregiudizio favorevole che si nega alla Chiesa Cattolica.

Lo ha ribadito Benedetto XVI a Parigi: tutti i contributi delle scienze alla migliore comprensione del cristianesimo e della sua storia sono i benvenuti. Ma squalificare come non razionale e non scientifica la comprensione che i credenti hanno di Cristo e della Chiesa, pretendendo che una certa storiografia accademica sia detentrice per definizione di un sapere superiore e più “obiettivo”, fa invece parte di quella muraglia cinese eretta dalla modernità fra fede e ragione che Benedetto XVI sta cercando dall’inizio del suo pontificato di smantellare: in nome non solo della fede ma anche di una nozione più serena e prudente di ragione.