I vescovi calabresi: “La ‘ndrangheta non è cristiana”.

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“Testimoniare la verità del Vangelo” è la nuova nota pastorale diffusa dalla Conferenza episcopale della Calabria

(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 2 GEN – La ‘ndrangheta “è contro la vita dell’uomo e la sua terra. E’, in tutta evidenza, opera del male e del Maligno”. Così si esprime la Conferenza episcopale della Calabria in una pastorale sulla ‘ndrangheta “Testimoniare la verità del Vangelo”. “La ‘ndrangheta non ha nulla – scrivono i vescovi – di cristiano. Attraverso un uso distorto e strumentale di riti religiosi e di formule che scimmiottano il sacro, si pone come una forma di religiosità capovolta, sacralità atea e negazione dell’unico vero Dio. “La ‘ndrangheta – scrivono ancora i vescovi nella pastorale presentata stamani a Reggio Calabria dal presidente e dal vice presidente della Cec, mons. Salvatore Nunnari e mons. Francesco Milito – è un’organizzazione criminale fra le più pericolose e violente. Essa si poggia su legami familiari, che rendono più solidi sia l’omertà, sia i veli di copertura. Utilizzando vincoli di sangue, o costruiti attraverso una religiosità deviata, nonché lo stesso linguaggio di atti sacramentali (si pensi alla figura dei ‘padrini’), i boss cercano di garantirsi obbedienza, coperture e fedeltà. Lì dove attecchisce e prospera svolge un profondo condizionamento della vita sociale, politica e imprenditoriale nella nostra terra”.
“Con la forza del denaro e delle armi – sostengono ancora i vescovi calabresi – esercita il suo potere e, come una piovra, stende i suoi tentacoli dove può, con affari illeciti, riciclando denaro, schiavizzando le persone e ritagliandosi spazi di potere. E’ l’antistato, con le sue forme di dipendenza, che essa crea nei paesi e nelle città. È l’anti-religione, insomma, con i suoi simbolismi e i suoi atteggiamenti utilizzati al fine di guadagnare consenso. È una struttura pubblica di peccato, perché stritola i suoi figli”. “L’appartenenza ad ogni forma di criminalità organizzata – è scritto nella pastorale – non è titolo di vanto o di forza, ma titolo di disonore e di debolezza, oltre che di offesa esplicita alla religione cristiana. L’incompatibilità non è solo con la vita religiosa, ma con l’essere umano in generale. La ‘ndrangheta è una struttura di peccato che stritola il debole e l’indifeso, calpesta la dignità della persona, intossica il corpo sociale”.
“La Calabria – sostengono ancora i Vescovi – è una terra meravigliosa, ricca di uomini e donne dal cuore aperto ed accogliente, capaci di grandi sacrifici. D’altra parte, però, la disoccupazione, la corruzione diffusa, una politica che tante volte sembra completamente distante dai veri bisogni della gente, sono tra i mali più frequenti di questa nostra terra, segnata, anche per questo, dalla triste presenza della criminalità organizzata, che le fa pagare un prezzo durissimo in termini di sviluppo economico, di crisi della speranza e di prospettive per il futuro”. (ANSA)
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“L’Eucarestia mafiosa”.

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Cos’hanno in comune le organizzazioni criminali e la Chiesa di Roma? Com’è possibile che proprio nelle quattro regioni più devote di Italia – Sicilia, Calabria, Puglia e Campania – siano nati questi fenomeni criminali così feroci?
L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti, opera prima di Salvo Ognibene, affronta il controverso rapporto tra mafia e Chiesa cattolica, una storia che va dal dopoguerra ai giorni nostri. Una storia di silenzi e di mancate condanne che dura da decenni e che è stata interrotta da rari moniti di alti prelati, dall’impegno di pochi ecclesiastici e da alcune morti tristemente illustri come padre Pino Puglisi e don Peppe Diana.
La riflessione prende il via dal tema della ritualità come manifestazione di potere: la processione come compiacenza; l’affiliazione come nuova religione; uomini che indossano la divisa di Dio per esercitare il loro potere in terra. Uomini di morte e di pistola con i santi sulla spalla. La fede di Provenzano nel libro di Dio, la Bibbia, ma anche l’ateismo di Matteo Messina Denaro. Le due facce della mafia nello scontro con i mezzi di Dio. Pur percorrendo la linea già segnata da due grandi studiosi come Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti si presenta con un taglio diverso: non si basa su strutture, non dialoga con i sistemi, ma indaga la realtà di prima mano, interroga i protagonisti di questo dualismo e cattura le ‘voci’, gli esempi concreti del presente per rivalutare la missione e la posizione della Chiesa di oggi. Le voci dei religiosi-testimoni all’interno del libro ripercorrono tutta l’Italia: Monsignor Pennisi; Don Giacomo Ribaudo; Monsignor Silvagni; Don Giacomo Panizza; Don Pino Strangio, Suor Carolina Iavazzo. Preti e suore che hanno preso posizione e hanno fatto del Cattolicesimo, ognuno a modo proprio, uno strumento di lotta alle mafie.
In una nazione in cui l’azione cattolica è ancora fortemente coinvolta nel tessuto politico e sociale, questo lavoro si pone come strumento essenziale di ‘pratica civile’ e di informazione sull’uso della liturgia della fede come strumento di propaganda mafiosa.
Maggiori informazioni nel sito http://www.eucaristiamafiosa.it/

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Indice

Prefazione

1. Storia dei rapporti tra Chiesa, mafia e religione
2. Il Dio dei mafiosi
3. La Chiesa tra peccato, ritardi e giustizia
4. Il Vangelo contro la lupara
5. La voce dei preti
6. Biografie

Salvo Ognibene,
L’eucaristia mafiosa. La voce dei preti

Navarra Editore, Marsala (TP)
Categoria: Saggistica
Anno: 2014
Pagine: 144
Prezzo: 12,00 €
ISBN: 978-88-98865-11-6
Formato: 14×21

La Chiesa di fronte alla criminalità organizzata.

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Intervista a Don Pino Demasi, parroco di Polistena e referente di Libera

(La Redazione di OLIR.it)

Il primo intervento di condanna alla criminalità organizzata dei vescovi calabresi risale al 1975. Che differenza c’è fra la situazione di ieri e quella di oggi? Perché tornare sull’argomento a distanza di quasi 40 anni?

L’episcopato calabro, forse primo rispetto ad altri episcopati, nel 1975 avvertì l’esigenza di una vera e propria condanna al crimine organizzato, elaborando il documento “L’episcopato calabro contro la mafia,disonorante piaga della società”. Da allora continui sono stati gli interventi di singoli Vescovi e dell’intero episcopato sino all’ultima dichiarazione della sessione primaverile di quest’anno della CEC. E’ stato ed è un cammino tuttora in atto, quello dei Vescovi calabresi, che in un certo qual modo sta andando di pari passo con l’evoluzione del fenomeno ndranghetistico.
Per quanto riguarda la ‘ndrangheta, si è passati, in questi anni, dalla ‘ndrangheta vissuta e percepita solo come organizzazione criminale ad una ‘ndrangheta “liquida” che si infiltra dappertutto e si interfaccia con gli altri sistemi di potere, producendo valori e cultura. Un’organizzazione globalizzata, fatta di famiglie che vivono in tutti gli angoli della terra, capace ormai essa stessa di farsi istituzione.
Gli interventi dei Pastori della Chiesa, dall’altra parte, sono stati innanzitutto di denunzia; man mano che si è andati avanti si è passati dalla semplice denuncia della ‘ndrangheta, come un “cancro”, una zavorra, un triste peso, ad indicazioni pastorali abbastanza puntuali e precise. Interessante il documento del 2007 ”Se non vi convertirete, perirete tut ti allo stesso modo”, dove si mette in evidenza che la ‘ndrangheta è soprattutto un fatto culturale e che per sconfiggerla serve un’azione incisiva che pervada ogni settore della società.
C’è da dire, però, che la ricaduta nella base di questi documenti è stata “timida”. Abbiamo assistito infatti a comportamenti di accondiscendenza nei confronti del fenomeno mafioso, ma anche a fulgidi esempi di contrasto e di grande coraggio e determinazione. E’ mancata però in questi anni una prassi pastorale collettiva e condivisa.

Il documento della Cei del 21 febbraio 2010 “Per un paese solidale. Chiesa italiana e mezzogiorno” afferma (paragrafo 9) che le mafie “non possono essere semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione”.

Come la Chiesa può concretamente educare alla legalità?

Oggi di fronte alla presa di coscienza sempre più diffusa dell’insostenibilità dell’assurdità del costume mafioso, la risposta che la Chiesa è chiamata a dare non può essere quella esclusiva di una denuncia o di una reprimenda. E’ necessario prendere sempre più sul serio il ministero della evangelizzazione e della liberazione affidato alle nostre comunità, partendo dalla presa di coscienza delle nostre responsabilità.
Com’è possibile, infatti, che terre come la Calabria, dove esiste ancora una fortissima presenza della Chiesa, dove la partecipazione popolare alle funzioni ecclesiastiche, alle processioni, alle messe, all’ora di religione è ancora fortissima rispetto ad altri territori, com’è poss ibile che una presenza così forte possa coesistere con uno dei fenomeni più violenti, più crudeli, più illegali, più contrari al bene comune, come quello della ‘ndrangheta?
E poi come abbiamo potuto permettere alle varie associazioni o famiglie mafiose di utilizzare nei loro codici d’onore il linguaggio e i simboli religiosi? O come abbiamo potuto permettere agli uomini di ‘ndrangheta di utilizzare la religiosità popolare e in particolare le sue feste come momento per trovare legittimazione sociale e spesso anche per sancire vincoli, formalizzare spartizioni, stabilire gerarchie, decretare ed eseguire sentenze mafiose? Gli stessi riti religiosi, in alcune situazioni, sono stati oggetto di manipolazione. Attraverso di essi è avvenuto lo sfoggio del potere mafioso.
Ecco questo è lo scandalo da cui dobbiamo partire, per costruire un modello ecclesiologico ed una conseguente prassi pastorale.
Nel documento Chiesa Italiana e Mezzogiorno i Vescovi italiani hanno affermato: «rivendichiamo alla dimensione educativa, umana e religiosa, un ruolo primario nella crescita del Mezzogiorno: uno sviluppo autentico ed integrale ha nell’educazione le sue fondamenta più solide, perché assicura il senso di responsabilità e l’efficacia dell’agire, cioè i requisiti essenziali del gusto e della capacità di intrapresa. I veri attori dello sviluppo non sono i mezzi economici, ma le persone» .
Le Chiese del Sud sono chiamate in questo campo a dare il loro essenziale contributo, con la loro pastorale ordinaria, trasformata in profondità, puntando soprattutto ad un nuovo protagonismo dei laici. Laici maturi, impegnati e responsabili, protagonisti del cambiamento.
Occorre, allora, restituire le comunità cristiane a uno stile pastorale evangelico superando un male atavico delle nostre parrocchie: il dualismo sa cro-profano, secondo il quale quando il fedele varca la soglia del tempio, la sfera della sua vita professionale, familiare, sessuale, civile, ecc., viene lasciata dietro le spalle e diventa importante solo in quanto lettore, catechista, accolito, ministro straordinario dell’eucaristia. Si spoglia della sua veste tra virgolette profana e acquista quella di cristiano. Quando il fedele varca in senso inverso la soglia del tempio ritorna ad essere il professionista di trecento euro a visita, l’amministratore che chiede il pizzo per poter fare andare avanti una pratica o che la fa andare avanti solo per gli amici suoi, il professore svogliato che arriva sempre tardi a scuola, il padre nervoso e distratto che se ne sta tutto il giorno fuori, insomma dentro il tempio siamo nel sacro e ci salviamo l’anima, fuori dimentichiamo di essere membri di una comunità cristiana.
Nel documento Educare alla legalit&a grave; del 1991 l’indicazione che vi è fornita appare chiarissima: «Il cristiano non può accontentarsi di enunciare l’ideale e di affermare i principi generali. Deve entrare nella storia ed affrontarla nella sua complessità, promuovendo tutte le realizzazioni possibili dei valori evangelici e umani della libertà e della giustizia».
Concetti netti, che saldano l’etica dei princìpi e l’etica della responsabilità, la dimensione spirituale con l’impegno civile, e richiamano chi si professa credente ad una coerenza che non ammette intervalli, né accomodamenti.

Basta invitare chi sbaglia al pentimento o bisogna pensare anche a delle sanzioni canoniche come ha fatto, ad esempio, il Vescovo di Acireale che ha emanato un decreto circa la Privazione delle esequie ecclesiastiche per chi è stato condannato per reati di mafia (20 giugno 2013)?

Fermo restando che la conversione per tutti i cristiani passa attraverso un reale pentimento e ravvedimento e che quindi la strada da seguire è quella indicata da Zaccheo “Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho defraudato qualcuno di qualcosa, gli restituirò quattro volte tanto” (Lc. 19,8), io personalmente mi trovo d’accordo con il Vescovo di Acireale sulla necessità di qualche sanzione quando ci troviamo in situazioni in cui manca con chiarezza il ravvedimento ed il pentimento.
E’ un modo questo per superare quel dualismo sacro- profano di cui parlavo prima e per affermare con fermezza e senza tentennamenti che la mafia è una struttura di peccato e che vivere da cristiani è un non vivere da mafiosi, rifiutarsi e sempre più potersi rifiutare di vivere da mafiosi.
Non a caso, Il decreto di Mons. Raspanti si apre c on una citazione dettata da San Giovanni Paolo II nella storica visita alla Valle dei Templi di Agrigento il 9 maggio 1993: “La fede […] esige non solo un’intima adesione personale, ma anche una coraggiosa testimonianza esteriore, che si esprime in una convinta condanna del male. Essa esige qui, nella vostra terra, una chiara riprovazione della cultura della mafia, che è una cultura di morte, profondamente disumana, antievangelica, nemica della dignità delle persone e della convivenza civile”.

Che lei sappia solo la Chiesa calabrese è impegnata nella lotta alla criminalità organizzata oppure questa lotta vede impegnate anche altre conferenze episcopali regionali?

Il cammino di consapevolezza della pericolosità delle mafie e quindi la conseguente ricerca di una pastorale adeguata ha visto in questi ultimi decenni come protagoniste non solo le Chiese di Calabria, ma anche le Chiese del resto del Paese e soprattutto di quelle aree maggiormente interessate al fenomeno mafioso. Le linee direttive dei vari episcopati regionali, dell’episcopato italiano e dei Sommi Pontefici non ammettono ormai più passi e ritorni indietro.
Molto di nuovo anche in questo campo sta nascendo nella Chiesa. L’ascolto del popolo, del suo malessere, della sua soggezione, l’ascolto del grido degli onesti e degli indifesi che reclamano il bisogno di dignità umana e di reale libertà sta scuotendo ormai tutte le chiese, incoraggiate anche da Papa Francesco.
E’ certamente il tempo della speranza, intesa non come un’attesa fatalistica di cambiamento, un appigliarci all’eventualità che accada qualcosa in grado di scacciare, come per incanto, paure e incertezze. E’ Il tempo di quella speranza che ha il volto dell’impegno, del mettersi in marcia (in latino la parola speranza, spes, richiama del resto il termine pes, piede) di quella speranza, stretta parente del realismo, che risveglia il desiderio di reagire, di rialzare la testa.

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Il Gattopardo,la “quarume” e il contrabbando del vino…..

Così va la storia…..

Aveva ragione Tomasi di Lampedusa a scrivere che in Sicilia

SI CAMBIA TUTTO PER NON CAMBIARE NULLA!

Cambiamenti “gattopardeschi” per l’appunto. Il Principe di Salina, i Borboni e i garibaldini. Lo status quo,lo status ante quo, e la voglia di cambiamento.

Il Gatt.

Alla fine,la voglia di cambiare si riduce sempre ad una solita farsa, dove si preferisce salvare, solamente, la FACCIATA e non la SOSTANZA delle cose.

Bisogna tirare avanti…..che importa al principe di Salina se i Borboni continuano a saccheggiare l’isola? Egli,tranquillo,se ne va in giro sulla sua carrozza,

Carrozza

tirata a lucido,cocchiere, accompagnatore di turno,e,ovviamente,regali a “tinchitè” meglio se in busta. Il principe gradisce regali in busta……!!! Va e viene da Baaria….A casa sua maggiordomi,cammareri (camerieri) e lustrascarpe.

Ovviamente,in tutto questo contesto gattopardesco, non possono essere assenti anche i LUSTRINI  di turno, I LACCHE’ che fanno il gioco di confermare che tutto sta cambiando.

Sciascia li chiama ne “Il giorno della civetta” i QUAQUARAQUA’.Qualche altro autore della latinità classica li ha chiamati SERVI SCIOCCHI,ma la sostanza è sempre la stessa…..cambiano i nomi,ma non la realtà delle cose da loro indicati.

Nel frattempo certi sudditi del principe di dimenano a mangiare e ad ingozzarsi di “quarume e stigghiole”,ossia le interiore dei bovini,puliti e poi cucinati. Cibo per la plebaglia,frattaglie, ma ai sudditi che devono mantenere il gioco al principe, piace e come se piace…..

Privi di dignità ,si ingozzano e gozzovigliano. Mangiano,bevono,banchettando tra “caligni e matielli” come se nulla fosse…..Intanto,il contrabbando del vino,ha fatto strada….è arrivato alla corte del principe di Salina ;ovviamente avendo la testa piena di alcool e fumi,

il contrabbando è arrivato……

Osteria

Però, è pur vero che certi sudditi meritano questo,meritano di avere il principe di Salina,la quarume e,soprattutto,il contrabbando di vino; testimone,quest’ultimo,del CARPE DIEM e del CARPE VITAM che regnano alla corte del Principe, allorquando le idee non sono né “chiare” né “distinte”.

Insomma, la Sicilia risorgimentale,straordinariamente “dipinta”dalla mano di Tomasi di Lampedusa nel romanzo “Il Gattopardo”, è uno spaccato,un paradigma che dice come andavano e come vanno le cose ancora oggi.Non solo il cambiamento fittizio,ma paradossalmente,il cambiamento di male in peggio:”dal censo alla funnaria”(dalla padella alla brace)!!

Che dire? Il cambiamento fittizio  c’è,la “quarume” pure e visto l’arrivo del contrabbando di vino, l’osteria continua…..oste, portaci del buon vino!!!

Dunque:”bibite frates”!!!!

Vino

Le famiglie di Cosa Nostra.

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Le famiglie di Cosa Nostra è un’opera monumentale legata a un soggetto apparentemente circoscritto: Genovese, Gambino, Bonanno, Colombo e Lucchese, vale a dire i componenti delle dinastie più potenti nella storia della mafia in America, Una storia che, da sempre, parte dai colpi di lupara per culminare nei palazzi del potere, i luoghi dove la criminalità organizzata intreccia ambigue alleanze con i rappresentanti della politica. Così, fin dai tempi del fascismo, l’infltrazione della mafia negli Stati Uniti tu favorita dall’idea di predisporre una micidiale “quinta colonna” nel cuore del paese. Ma la capacità di Cosa Nostra di reggersi sulle proprie gambe e di muoversi con interessi autonomi divenne evidente quando, nel corso del secondo conflitto mondiale, si scoprì che la mafia controllava tutti i principali porti di New York e che aveva accumulato una fortuna con i dazi e le estorsioni oltre che con gli alcolici, il gioco d’azzardo e la prostituzione. Dopo la guerra, la mafia americana si modernizza e, grazie al traffico degli stupefacenti, ingigantisce il suo giro d’affari, realizzando profitti enormi. Le famiglie di Cosa Nostra illustra questi passaggi con dovizia di particolari, dando grande spazio alla vita quotidiana, alle abitudini e alle manie dei diversi protagonisti della mafia italo- americana. Per ricostruire le loro vicende processuali, l’autore non usa soltanto fonti d’archivio ma ricorre spesso all’intervista, conferendo una dose supplementare di realismo all’intera opera; preconizza inoltre scenari prossimi futuri e invita a guardare oltre l’11 settembre del 2001 per vedere, dietro la mobilitazione generale provocata dall’attentato alle Torri gemelle, il contesto ideale in cui la mafia può continuare a riprodursi e a moltiplicarsi in assoluta libertà.

Selwyn Raab,LE FAMIGLIE DI COSA NOSTRA.La nascita,il declino e la resurrezione della più potente organizzazione criminale americana.Universale storica Newton,2009,pp.754.

In memoria di Mons.Cataldo Naro….

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MONS.CATALDO NARO

N.il 6-01-1953 a San Cataldo

M.il 29-09-2006 a Monreale.

“….Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno…..”

(Giovanni Falcone)

Foto sito 1

BannerSanMichele

InvitoSanMichele

MARTEDI’ 29 SETTEMBRE 2009,MESSA DI SUFFRAGIO

PRESSO LA CHIESA MADRE DI SAN CATALDO(CL),ORE 17.

TU,CARO ALDO,NON SEI “SCOMPARSO”…….!

DPR sullo scioglimento del C.C.di Vallelunga Pratameno(Cl).

GAZZETTA UFFICIALE: SOMMARIO

(ANSA) - ROMA, 27 AGO - La Gazzetta Ufficiale n. 197 del 26
agosto pubblica oggi:
 DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 27 luglio 2009.
Scioglimento del consiglio comunale di Vallelunga Pratameno e
nomina della commissione straordinaria. (Pag. 9)

 DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 27 luglio 2009 Scioglimento del consiglio comunale di Vallelunga Pratameno e nomina della commissione straordinaria. (09A10172) (GU n. 197 del 26-8-2009 )

                   IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
 Considerato che nel comune di Vallelunga Pratameno (Caltanissetta),
i  cui  organi  elettivi  sono  stati  rinnovati  nelle consultazioni
amministrative del 13 e 14 maggio 2007, sussistono forme di ingerenza
della   criminalita'  organizzata,  rilevate  dai  competenti  organi
investigativi;
Considerato che tali ingerenze espongono l'amministrazione stessa a
pressanti  condizionamenti,  compromettendo  la libera determinazione
degli  organi  ed  il  buon  andamento  della  gestione  comunale  di
Vallelunga Pratameno;
Rilevato,    altresi',    che   la   permeabilita'   dell'ente   ai
condizionamenti  esterni  della criminalita' organizzata arreca grave
pregiudizio  allo  stato  della  sicurezza  pubblica  e  determina lo
svilimento   delle  istituzioni  e  la  perdita  di  prestigio  e  di
credibilita' degli organi istituzionali;
Ritenuto  che, al fine di rimuovere la causa del grave inquinamento
e  deterioramento  dell'amministrazione comunale, si rende necessario
far  luogo  allo  scioglimento  degli  organi  ordinari del comune di
Vallelunga Pratameno, per il ripristino dei principi democratici e di
liberta' collettiva;
Visto l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267;
Vista  la  proposta  del Ministro dell'Interno, la cui relazione e'
allegata al presente decreto e ne costituisce parte integrante;
Vista  la  deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione  del 24 luglio 2009 alla quale e' stato debitamente invitato
il Presidente della regione siciliana;
                              Decreta:
 Art. 1.
 Il  consiglio  comunale  di Vallelunga Pratameno (Caltanissetta) e'
sciolto per la durata di diciotto mesi.
Art. 2.
 La  gestione  del comune di Vallelunga Pratameno (Caltanissetta) e'
affidata alla commissione straordinaria composta da:
   dott. Nicola Diomede - viceprefetto;
   dott. Andrea Nino Caputo - viceprefetto aggiunto;
   dott. Carmelo Fontana - direttore amministrativo-contabile.

 Art. 3.

La  commissione  straordinaria  per la gestione dell'ente esercita,
fino  all'insediamento  degli  organi  ordinari  a norma di legge, le
attribuzioni  spettanti  al  consiglio  comunale,  alla  giunta ed al
sindaco nonche'  ogni altro potere ed incarico connesso alle medesime
cariche.
   Dato a Roma, addi' 27 luglio 2009
 NAPOLITANO
 
                                  Berlusconi, Presidente del
                                  Consiglio dei Ministri
                                  Maroni, Ministro dell'interno
 
Registrato alla Corte dei conti il 5 agosto 2009
Ministeri istituzionali, registro n. 8 Interno, foglio n. 19

                                                                      Allegato

 Al Presidente della Pepubblica
 Il comune di Vallelunga Pratameno (C1), i cui organi elettivi sono
stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 13 e 14 maggio
2007,  presenta  forme  di  ingerenza  da  parte  della  criminalita'
organizzata    che   compromettono   la   libera   determinazione   e
l'imparzialita'    degli   organi   elettivi,   il   buon   andamento
dell'amministrazione  ed  il  funzionamento  dei  servizi  con  grave
pregiudizio per lo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica.
   A  seguito  di  attivita'  investigative,  che  hanno  evidenziato
situazioni   di   diffusa   illegalita'   riconducibili  a  forme  di
condizionamento  e  di  infiltrazione  delle  locali  consorterie nei
confronti    degli   amministratori   dell'ente,   il   Prefetto   di
Caltanissetta  ha  disposto  l'accesso presso il comune di Vallelunga
Pratameno  ai  sensi  dell'art.  1,  comma  4,  del  decreto  legge 6
settembre  1982,  n.  629, convertito dalla legge 12 ottobre 1982, n.
726, per gli accertamenti di rito.
L'esito  degli  accertamenti  svolti ha messo in risalto come, nel
tempo,  l'uso  distorto  della cosa pubblica si sia concretizzato nel
favorire   soggetti   collegati  direttamente  od  indirettamente  ad
ambienti  malavitosi,  grazie anche ad una fitta ed intricata rete di
parentele,  affinita',  amicizie  e  frequentazioni  che  lega alcuni
amministratori  e  parte dell'apparato burocratico ad esponenti delle
locali consorterie criminali od a soggetti ad esse contigue.
In  particolare, gli aspetti di condizionamento risultano evidenti
in una serie di elementi quali:
a)  il profilo soggettivo degli amministratori ed i loro rapporti
con la locale consorteria criminale;
b) l'attivita' svolta dal corpo di polizia municipale;
c)  la  vigilanza  nella  fase  di  esecuzione  degli  appalti  e
l'analisi delle imprese fiduciarie dell'ente;
d) la gestione del servizio di assistenza agli anziani.
In  ordine  al  primo  degli  aspetti  emarginati  la  commissione
d'accesso   ha  evidenziato  come,  sebbene  la  limitata  estensione
territoriale   dell'ente  avrebbe  dovuto  consentire  a  coloro  che
rivestono  cariche  pubbliche  di  esercitare  un  positivo controllo
sociale  sui  fatti  cittadini che minano la convivenza democratica e
danneggiano  l'economia legale e conseguentemente favorire l'adozione
di prudenziali scelte politico amministrative, soprattutto per quanto
attiene  alla  sfera  relazionale,  i  diversi  personaggi  politici,
succedutisi  negli anni alla guida dell'ente, indipendentemente dalla
loro   posizione   di  componenti  della  maggioranza  governativa  o
dell'opposizione,  non  hanno mai posto in essere una effettiva presa
di distanza dalle locali consorterie mafiose.
Significativa  in tal senso risulta essere la posizione di uno dei
componenti   dell'organo   esecutivo  che  attualmente  svolge  anche
attivita'    imprenditoriale    e    che   oltre   a   frequentazioni
particolarmente  intense  con  esponenti  della  locale cosca risulta
essere stato condannato per turbata liberta' degli incanti.
L'indagine   ispettiva  ha  inoltre  evidenziato  come  sia  stato
accertato   nel   corso   della   campagna   elettorale   un  diretto
coinvolgimento  di  alcuni  esponenti  di «cosa nostra» in favore del
sindaco  e  come  tale  sostegno  si  sia  rilevato  determinante per
l'affermazione dell'attuale compagine amministrativa.
Il  sodalizio  politico  mafioso  formatosi  durante  la  campagna
elettorale   ha   infatti   condizionato   sin   da  subito  l'azione
amministrativa  dell'ente  locale, in particolare nel settore dei sub
appalti    favorendo    personaggi    legati   alle   locali   cosche
nell'affidamento di lavori e forniture.
In  relazione  al  secondo  degli  aspetti evidenziati viene posta
l'attenzione  sulla  figura  del  comandante  dell'ufficio di polizia
municipale,  sottoposto  in  passato alla sanzione dell'avviso orale,
destinatario  di  un  provvedimento di divieto di detenzione di armi,
oltreche' condannato in primo grado per omessa denuncia di reato (con
sentenza di non doversi procedere in grado di appello per intervenuta
prescrizione del reato) che e' inoltre noto, in ambito locale, per le
continue   frequentazioni   con  soggetti  appartenenti  alle  locali
consorterie  mafiose,  condannati  anche per reati per associazione a
delinquere.
La   commissione  d'accesso  ha  rappresentato  come  l'azione  di
prevenzione  e  contrasto degli illeciti posta in essere da parte del
corpo  di polizia da questi diretto sia stata particolarmente carente
cosi'  come  del  tutto  assente e' il rapporto di collaborazione del
citato comandante con le altre forze dell'ordine locali.
Significativa  delle  modalita'  di  gestione  dell'ufficio  si e'
rivelata  l'analisi  del  registro  dei  verbali  delle infrazioni ai
regolamenti  comunali  ed alle ordinanze sindacali che ha evidenziato
come  alcuni  accertamenti  effettuati  da  operatori  del comando, a
carico  di  amministratori  comunali o a carico di soggetti vicini ad
ambienti  controindicati  dopo  essere  stati  registrati  sono stati
successivamente cancellati.
L'organo  ispettivo ha messo in rilievo come scelte organizzative,
quale il conferimento del suddetto incarico, sebbene effettuate dalle
precedenti  amministrazioni, nonostante si siano rivelate palesemente
inopportune  oltre  che  non  adatte  ad  assicurare un controllo del
territorio,  non  sono  state  in  alcun modo messe in discussione da
parte  dell'attuale  amministrazione  ma  anzi  sono  state da questa
avallate.
Anche   l'attivita'   di   verifica   disposta   con   riferimento
all'esecuzione  degli  appalti  di  lavori  affidati dalla precedente
amministrazione   ed   in  relazione  ai  quali  l'attuale  compagine
amministrativa  avrebbe  dovuto  assicurate  un'opera di vigilanza ha
consentito di accertare delle gravi irregolarita' amministrative.
L'organo   ispettivo  ha  segnalato  come  spesso  l'attivita'  di
verifica  posta  in  essere  sia  stata  particolarmente difficoltosa
attesa, talvolta, l'assenza presso gli uffici comunali della relativa
documentazione,  condizione che, in relazione al comprovato intreccio
di   rapporti   tra   politica,   amministrazione   ed  imprenditoria
sussistente  nel  comune  di Vallelunga Pratameno, denota come l'ente
abbia,  di fatto, preventivamente rinunciato ad esercitare la propria
funzione  di  controllo,  con  cio'  consentendo  agli appaltatori di
stipulare  sub  contratti  e consentire ad ambienti controindicati di
potersi  illegittimamente  inserire negli appalti pubblici percependo
proficui guadagni.
Elementi    sintomatici    di   un   sistema   locale   fortemente
caratterizzato da un intreccio di rapporti tra politica ed economia -
che  ha  rivelato  peraltro  una sostanziale disapplicazione da parte
dell'apparato  burocratico del protocollo di legalita' «Carlo Alberto
Dalla  Chiesa»  volto  a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa
nel  settore  degli  appalti  di lavori e servizi - sono emersi anche
dall'analisi  dell'elenco  delle  imprese  fiduciarie  dell'ente  per
l'affidamento di lavori.
La  commissione  d'accesso  ha al riguardo evidenziato come, negli
anni,  l'elenco delle ditte fiduciarie, seppur formalmente rinnovato,
sia   rimasto  sostanzialmente  immutato  a  fronte  di  un'accertata
sussistenza  di  situazioni che, invece, avrebbero imposto un riesame
di  talune  delle  iscrizioni  gia'  effettuate  e come pertanto tale
condotta  omissiva  dell'amministrazione,  abbia  permesso  a  talune
aziende di continuare ad operare pur non essendo piu' in possesso dei
requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo.
   Ancor  piu'  rappresentativa di tale stato di cose e' la richiesta
che  l'ente  locale  ha  formulato  alla Prefettura di Caltanissetta,
solamente  dopo  l'avvio  delle  operazioni di accesso, per acquisire
informazioni  antimafia  nei  confronti dei soggetti da iscrivere, in
sede di aggiornamento, nell'albo di fiducia dell'ente.
   L'organo  ispettivo  ha  messo  in rilievo che la comparazione tra
l'elenco di ditte allegato alla predetta richiesta e quello acquisito
in  sede  di accesso evidenzia una consistente diminuzione del numero
delle  societa'  iscritte  oltre all'assenza di alcune aziende locali
che  nel  2008  hanno  effettuato  lavori per l'ente. Peraltro tra le
ditte  non  presenti nel nuovo elenco se ne rinvengono alcune nei cui
confronti  la  richiesta di informazioni antimafia avrebbe comportato
l'emissione  da  parte  della Prefettura di un provvedimento positivo
per  la  sussistenza  di  cause  ostative. Tale circostanza, valutata
assieme  agli  altri aspetti dell'intera vicenda, mette in rilievo la
consapevolezza  da  parte  dell'ente  di  aver  intrattenuto rapporti
contrattuali   con  imprese  prive  dei  requisiti  prescritti  dalla
normativa  antimafia  al  punto  di  non  aver  mai avanzato nei loro
confronti,   prima  dell'accesso,  una  richiesta  formale  ai  sensi
dell'art. 10 del d.P.R. n. 252/1998.
   Significativa  e'  inoltre la vicenda relativa all'istituzione del
servizio   assistenziale   e   l'affidamento   dello  stesso  ad  una
cooperativa,   unica   partecipante   alla   gara,   che   al   tempo
dell'aggiudicazione del servizio era amministrata da persona indagata
per  associazione  per  delinquere  ed altre tipologie di reati. Tale
cooperativa  ha  inoltre operato in associazione temporanea d'imprese
con  altre societa', a loro volta vicine ad ambienti controindicati e
risulta  aver avviato al lavoro soggetti collegati a vario titolo con
elementi delle locali cosche.
   L'organo  ispettivo  ha  rappresentato  come  molteplici  elementi
evidenzino  che  la  procedura  in  esame  non  abbia apportato alcun
vantaggio  per  l'ente  locale  atteso  che,  per  l'affidamento  del
servizio,  il  comune  si  e'  di  fatto spogliato di un immobile del
patrimonio pubblico per il quale era stata prevista la corresponsione
di   un   canone   mensile  che  tuttavia,  per  espressa  previsione
contrattuale,  avrebbe  dovuto  essere  corrisposto  sotto  forma  di
ammortamento  mensile,  attraverso  migliorie  strutturali, di cui si
sarebbe dovuta fare carico la stessa cooperativa.
   Tale   ammortamento,   che   si  sarebbe  dovuto  esaurire  in  35
mensilita',  non ha in realta' mai avuto fine essendo stato rinnovato
fino  a  tutto  il  mese  di  ottobre  2008  e  conseguentemente, per
l'effetto,  il comune non ha in alcun modo introitato quanto pattuito
mentre  il privato, pur senza aver di fatto sostenuto alcun onere, in
quanto  non  ha  assolto  l'obbligo  di  migliorare  la struttura, ha
peraltro  incassato le rette dei degenti non provvedendo nemmeno alla
manutenzione     ordinaria     dell'immobile,     considerato     che
l'amministrazione    ha    recentemente   formulato   due   richieste
all'assessorato regionale delle politiche sociali al fine di ottenere
il  finanziamento  per  lavori da effettuare presso la struttura che,
come  si  legge  nella  relativa  documentazione,  risulta  essere in
cattivo stato di manutenzione e con impianti fatiscenti.
   L'inosservanza del principio di legalita' nella gestione dell'ente
e  l'uso  distorto delle pubbliche funzioni incide in modo fortemente
negativo  sulle  legittime  aspettative  della  popolazione ad essere
garantita  nella  fruizione  dei  diritti  fondamentali,  minando  la
fiducia dei cittadini nella legge e nelle istituzioni.
   In   relazione  alla  presenza  ed  all'estensione  dell'influenza
criminale,   si   rende  necessario  che  la  durata  della  gestione
commissariale sia determinata in diciotto mesi.
   Ritenuto  pertanto  che ricorrano le condizioni per l'adozione del
provvedimento  di  cui all'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto
2000,  n.  267,  si propone lo scioglimento del consiglio comunale di
Vallelunga Pratameno (Caltanissetta).
    Roma, 23 luglio 2009
   Il Ministro dell'interno: Maroni

I Quaquaraqua’….

UOMINI,MEZZI UOMINI,OMINICCHI,RUFFIANI.....

(Uomini-mezzi uomini-uominicchi-ruffiani-piglian culo-QUAQUARAQUA’

Quadro del pittore Gaetano Porcasi)

Gli uomini e le donne liberi esprimono il loro pensiero,civilmente e razionalmente,confrontandosi con chiunque abbia la voglia e le capacità di farlo. I QUAQUARAQUA’,di sciasciana memoria,in forza della loro NULLITA’  esistenziale,sociale,politica ecc.ecc.,pensano di farsi ragione con la ragione della forza,piuttosto che con la forza della ragione.

PRIMA DI APRIRE LA BOCCA,VERIFICARE CHE IL CERVELLO SIA ESISTENTE E INSERITO!!!!

Mentre a Roma si discute,Vallelunga viene “espugnata”.

V

Mentre a Roma si discute,Sagunto viene espugnata. La celebre frase di Sallustio,calza a pennello per l’attuale situazione vallelunghese:mentre a Roma si decide di sciogliere il c.c.,per presunte infiltrazioni mafiose,Vallelunga “muore”. Infatti,mentre qualcuno si occupa di qualche manifestazione dell’agosto vallelunghese,sponsorizzandola on line, la stessa non si potrà realizzare a causa dello scioglimento del c.c.

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Un grazie di vero cuore al Dott.Pizzone per avere,comunque,attenzionato Vallelunga nel suo interessante sito.

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 Egregio Dott.Pizzone,

La ringrazio per l’attenzione rivolta alla mia città natale!
Cordiali saluti.
Michele Vilardo.

Lettera al Sindaco di Vallelunga,Dott.Pippo Montesano.

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Caro Sindaco,

dopo aver sentito,in tv e per caso,la triste notizia dello scioglimento del c.c. di Vallelunga, un impeto di rabbia mi ha colto. L’amministrazione di Vallelunga mandata a casa per mafia? Incredibile! Come cittadino,che ha avuto i natali a Vallelunga,e di ciò sono fiero e orgoglioso,ho colto subito la gravità della notizia e le drammatiche conseguenze e per l’immagine del nostro paese e per la vita concreta dei cittadini onesti,la quasi totalità,che vivono a Vallelunga. Pertanto,ho voluto esternare il mio senso di rabbia e di amarezza,scrivendo qualcosa sul mio blog. Mi sono convinto che ti hanno voluto tirare un colpo mancino,a te come persona e al tuo ruolo di Sindaco di Vallelunga.Non vorrei che chi ha perso il potere abbia posto in essere tutto uno stratagemma e per coprire le sue eventuali nefandezze e,soprattutto,per fare danno ai vallelunghesi. Vedremo se i fatti mi daranno ragione. I LUPI ROSSI(con qualche pennellata d’azzurro) PERDONO IL PELO MA NON IL VIZIO!!! Ti scrivo per esprimerti la mia solidarietà come persona perbene ,quale sei, e come primo cittadino che hai onorato, alla grande, la fascia tricolore che hai portato grazie al mandato che hai avuto dal popolo libero e sovrano che ti ha,

DEMOCRATICAMENTE E LIBERAMENTE,

votato. Vai fiero di quello che hai fatto,insieme alla tua giunta, per Vallelunga,per i tantissimi cittadini onesti,per un paese che,a me pare,abbia una grande voglia di riscatto sociale,culturale ed economica.

LA MAFIA NON CI APPARTIENE:NON E’ “COSA NOSTRA”!!!!

Essa non fa parte del DNA vero dei vallelunghesi, che hanno sempre lavorato la terra. Siamo figli di contadini e ne siamo orgogliosi! La cosa davvero paradossale,caro Sindaco,è che comuni siciliani dove la mafia è nata,è cresciuta ed ha infettato l’intera isola,non sono mai stai sciolti per infiltrazioni mafiose. Spero,caro Sindaco, che dalla lettura delle motivazioni dello scioglimento,si possano evincere i veri responsabili di questo schiaffo morale e materiale ai cittadini di Vallelunga.Questi nomi e cognomi,dovete avere il coraggio di appendere in tutti gli angoli del paese cosi che i cittadini di Vallelunga conoscano la verità dei fatti e attribuiscano le responsabilità di questo grave fatto a chi lo merita. Ti rinnovo i miei sentimenti di stima, di affetto e di gratitudine,unitamente a tutti quelli che hanno lavorato insieme a te,in questi mesi,per il VERO BENE di Vallelunga,nella speranza che qualche INUTILE IDIOTA,possa avere un minimo di decenza nel tenere,quanto meno, la bocca chiusa.

Cordiali saluti.

Michele Vilardo

La mafia a Vallelunga Pratameno (CL).

Questa è una narrazione, per sommi capi, e tirata fuori dal cilindro dei miei ricordi.

Vallelunga Pratameno è un centro fondato a metà del 1600 dai Notarbartolo e dai Marino di Termini Imerese. Premesso che Vallelunga Pratameno è stato,ed è,un comune di gente laboriosa ed onesta,di coltivatori della terra,decimato,negli anni,dal triste fenomeno migratorio verso il nord Italia,la Germania e altri paesi europei,pur tuttavia,a Valleunga Pratameno, piccolo centro agricolo ricadente al centro della Sicilia,nel cosidetto “vallone”,la mafia è stata sempre di casa.Non fosse altro perchè vicino a due altri centri,Villalba e Mussomeli,che negli anni ’50 hanno segnato la storia della mafia con personaggi del calibro di Don Calò Vizzini e Genco Russo. Negli anni ’50 una feroce faida si scatenò tra due fazioni:i Trabona-Cammarata,con a capo Totò Trabona,detto “l’arracchiato”, e i Madonia con a capo il patriarca Francesco. Una scia di sangue e decine di cadaveri segnarono la storia della mafia “agraria” di Vallelunga. Successivamente,mentre i componenti della cosca Cammarata finirono o uccisi(Giovanni Cammarata fu ucciso la sera del Corpus Domini-“u Signuri”,nella piazza del paese) o in galera,i Madonia “emigrarono” verso Catania e Gela. Così Francesco Madonia incominciò a stringere rapporti con i boss del calibro di Di Cristina,di Riesi,e a controllare il territorio gelese.Erano gli anni del boom economico e della mafia del “cemento”.Francesco Madonia,detto Ciccio,strinse rapporti con i corleonesi che stavano conquistando Palermo, con la cosidetta “calata dei viddrani”. Ne divenne un fedele alleato e quando fu ucciso per opera del boss Di Cristina,quest’ultimo venne eliminato, dalla mano dei corleonesi, che non gli perdonarono lo “sgarro”. A prendere le redini della famiglia Madonia fu il figlio:Giuseppe detto Piddru. Piddru divenne subito un pezzo da 90 nel gotha mafioso regionale e continuò la sua alleanza con i corleonesi a Palermo e i Santapaola a Catania. Ma Piddru non dimenticò il suo paese d’origine:Vallelunga. Dove creò un legame tra la “vecchia” mafia,rappresentata da u zu Tanu Pacino (Gaetano Pacino),u zu Calogerinu Sinatra (Calogero Sinatra) e le nuove leve. Lo scettro del potere fu dato all’emergente Ciro Vara che si attorniò di altra gente. L’ascesa di Ciro Vara,divenenuto,nel frattempo, compare di Piddru, fu rapida e sanguinaria. Da bravissimo calciatore che portava il numero 10 dietro la maglia del Valleunga Calcio,passò a spietato e silenzioso killer di cosa nostra.Parecchi omicidi commessi(12 0 13) e tanti altri reati di cui lo stesso Vara si è autoaccusato,pendendosi.Nel frattempo,Piddru macinava affari con il cemento a Gela e Catania,soprattutto nella costruzione della diga Disueri.Trovò,sulla sua strada,ad opporvisi gli STIDDRARI,nati in opposizione a cosa nostra,e i morti a Gela e dintorni non si contarono più. In seguito  al pentimento di Vara,vi furono diverse operazioni di polizia con decine di arresti in tutto il vallone e non solo e diverse condanne. Tutto ciò,mentra a Vallelunga imperava la DC contrastata,solamente,dal coraggio di qualche comunista:Cosimo Anzaldi.

 

Cose nostre….

 GM

Questo libro nasce dalle sollecitazioni finali del prof. Michele A. Crociata, ordinario di storia negli istituti superiori che, in occasione della presentazione del libro precedente “Banditismo, Mafia e Politica “, così si era espresso:« Su “Banditismo, Mafia e Politica in Sicilia molto di vero e di falso è stato detto e scritto da siciliani, da italiani ed anche da stranieri. Lo studio del Prof. Giuseppe Mazzola, però, ha un taglio del tutto particolare perché, parlando della “Banda Giuliano “, mette bene in evidenza tanti aspetti della storia più recente della nostra isola, della mentalità e dei costumi propri del suo paese natio: Montelepre.

Anche se ancora ragazzo, egli, infatti, ha visto, ha sentito, ha vissuto ed ha impresso nella sua memoria e nel suo essere quello che ora, uomo maturo, ci racconta e ci commenta con un periodare fluido e con stile accattivante, semplice, da innamorato della sua terra ubertosa e piena di poesia.

Dalla prima all’ultima pagina di questo libro c’è infatti, un lodevole e crescente sforzo per ridare ai suoi concittadini la verità dopo tante denigrazioni, sofferenze, soprusi, calunnie, fango, umiliazioni.

La figura di suo padre – galantuomo, anche se ritenuto mafioso e, per questo, vessato in vario modo alla ricerca di qualche reato concretamente imputabile e torturato fisicamente e psicologicamente – emerge da tutto il racconto come quella di un uomo saggio e forte, stimato da tutte le parti, anche le più ostili. Fra le righe si nota sempre la grande ammirazione e il grande affetto del figlio per un uomo considerato eccezionale e impegnato nella quotidiana e titanica lotta contro i malvagi. Proprio al padre – “che non avrebbe approvato “, dice – egli dedica questo libro, oggi alla sua seconda edizione.

———————————————-

 Trovo l’opera interessante anche per i tanti e dotti richiami all’archeologia e alla storia locale e regionale; perle puntuali annotazioni su costumi, usi, tradizioni, proverbi popolari, sacralità e centralità della famiglia, evoluzione della mentalità, dell’urbanistica e della religiositàdi Montelepre. Apprezzabili sono pure le battute, le citazioni ed una poesia (pag 147) nella colorita lingua siciliana.Si nota subito che l’autore è anche uno studioso, uno psicologo e un sociologo convincente, attento al rispetto della persona e della legalità.

Non mancano, infatti, neanche le pagine che evidenziano – senza reticenze, eufemismi o moralismi – le connessioni sfacciate tra i vari poteri, una certa sorda lotta tra polizia e carabinieri, i vecchi e, purtroppo, mai del tutto abbandonati sistemi polizieschi intenti ad estorcere con le torture anche testimonianze fasulle, la mafia del primo e del secondo dopoguerra, le cause e le devastanti ed imprevedibili conseguenze dell’uragano – banditismo, la “misteriosa” strage di Portella della Ginestra, la messinscena del conflitto a fuoco a Castelvetrano e la morte di Giuliano; l’intervento dèl vescovo di Monreale a difesa di un paese angariato e demonizzato, specialmente dopo il caotico sfascio dell’ultimo dopoguerra, quando si lottava per sopravvivere; la dilagante ingiustizia e l’altrettanto dilagante corruzione in una regione sempre predata e mal governata; l’eredità di cultura d’ingegno e anche di litigiosità dei Greci antichi; la radicata diffidenza verso lo Stato e le istituzioni, che spingono a cercare protezione nei privati; la vita d’inferno del mafioso tra incertezze, precarietà, apprensioni, preoccupazioni ecc. ecc.

A mio parere, è bene che questo libro ricco anche di un repertorio fotografico ampio e spesso ancora inedito, sia messo in mano ai giovani per non dimenticare il passato e per migliorare il presente; nelle mani degli amministratori e dei politici per non ricadere nei vecchi detestabili errori; nelle mani di quanti cercano la verità e lottano per la giustizia e per il bene del nostro popolo.Mille volte grazie, dunque, al Prof. Giuseppe Mazzola ed auguri per eventuali nuove fatiche di questo e di altro tipo a vantaggio della nostra storia locale, di Montelepre e della Sicilia».

Prof Don Michele A. Crociata

Lo “schiticchio”.A tavola con il Padrino!

 Sch

Pa

Avete mai assaggiato i “cannoli dei boss?” oppure la “caponatina alla Al Capone?”;vi siete mai cimentati in cucina con gli “agnelli sacrificali?”, “il silenzio delle sarde al linguate?”.Sapete che cos’è la “latitanza del macco?” e la “la norma della legge?”. A farvelo sapere ci ha provato,egregiamente,Guido Guidi Guerrera* ponendo in essere un volume che ruota attorno al cibo,di matrice sicula, e all’uso che ne fanno i Padrini di Cosa Nostra. Un invito,intriso di ironia, per provare a stare “A tavola con il Padrino” per farsi uno “schiticchio”!

Lo schiticchio in siciliano significa “abbuffata”. Il termine indica per antonomasia, e secondo una tradizione consolidata, il tipico banchetto dei mafiosi e della gente di malaffare in genere. Guido Guidi Guerrera, una delle firme più brillanti e sarcastiche della stampa italiana, ci invita a tavola con il Padrino. Un invito che non si può rifiutare.

Don Saro Partinico da Montelepre, capofamiglia e uomo d’onore, attorno al quale ruota una folla di comprimari e di comparse, è il protagonista indiscusso di questo libro giocato sul filo dell’ironia ma anche dell’analisi, insieme a un comprimario di straordinaria potenza evocativa: il cibo.

Lo schiticchio diventa dunque la metafora di ogni possibile appetito: i mafiosi, afflitti da una voracità declinata in tutti i generi possibili, ridono e si abbracciano, mangiano e parlano di cose sconce, ma nello stesso istante, e continuando a usare identiche forme lessicali, senza neppure mutare l’espressione del volto, con l’aria di non finire mai di scherzare, progettano omicidi e forse stragi. La tavola è il momento della celebrazione di un potere visibile proprio nell’eccesso, come accadeva per gli antichi imperatori, o al giorno d’oggi per ogni dittatore.

Eppure, ogni cibo amato dai padrini è anche sinonimo di un modo semplice se non dialettale di concepire la cucina, che è sempre quella delle madri e delle nonne. Un mangiare “di casa”, sempre preferibile a ogni latitudine a qualsiasi altra raffinatezza troppo distante dai ricordi più cari.

Un libro intriso di atmosfere siciliane alla Puzo, della lingua di Camilleri, di immagini alla Coppola.

Per scoprire, insieme alle ricette di ogni piatto, che lo schiticchio siciliano aveva anche altri significati.

«Se dobbiamo sopportare che Adonis andasse pazzo per la pasta alla norma e Al Capone da tacchino vanitoso per la caponatina, sopportiamolo, anzi: in questo caso non resta altro da fare che associarci. In fondo si tratta di farsi un ottimo schiticchio e, in nome della cucina siciliana, che mi fa battere il cuore allo stesso movimento di quel mare, ci posso stare».(Nino Frassica)

A tavola con il padrino:un invito che non si può rifiutare se è vero che:

  • “ Una goccia di vino dell’Etna è per l’uomo d’onore gradevole quanto una goccia del sangue del suo nemico”( Don Vito Cascio Ferro)
  • “Mi piace la pasta con le sarde,ma sinceramente le preferisco con l’olio che faceva papà” (Michael Corleone)

Un volume da “assaporare” per esportare sempre più la sana e ottima cucina siciliana e,sempre meno, la criminalità mafiosa che ha infangato,oltremodo,questa bellissima isola.

 *Guido Guidi Guerrera scrittore e giornalista per «QN». Tra i massimi esperti di Hemingway in Italia, ha pubblicato, tra gli altri, A spasso con papa Hemingway(Todaro, 2002), Battiato another link (Verdechiaro, 2006), A tavola con Maigret(IL Leone Verde, 2007) e Vivere alla grande (Aliberti, 2008).

Misteri d’Italia:da Salvatore Giuliano a Paolo Borsellino….

G

 A 17 anni dalla strage di via D’Amelio,in cui furono trucidati il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta,si stanno aprendo nuovi scenari investigativi circa i mandanti dell’eccidio. Infatti la procura nissena indaga sulla sparizione della famosa “agenda rossa” ,che il giudice portava sempre con sè, e su un personaggio misterioso che avrebbe avuto un ruolo chiave nell’organizzazione e nella realizzazione della strage. Pensando a tutto ciò,soprattutto nel ricordo affettuoso dei caduti,vorrei proporvi una breve recensione di un “volumetto”,da poco dato alle stampe,che prova a rivangare un altro grande mistero d’Italia:ossia la figura di Salvatore Giuliano,bandito di Montelepre, che ha reso questo piccolo paese dell’entroterra palermitano tristemente famoso in tutto il mondo a partire dal 1943,anno dell’inizio della latitanza di Giuliano,sino ad oggi,passando per il 1950,anno della sua morte. A porre in essere l’ultimo contributo,in ordine di tempo,sulla vicenda Giuliano è Salvatore Badalamenti,nato e cresciuto a Montelepre,ma attualmente vive e lavora a Palermo. Il suo interessante studio è intriso di ricordi d’infanzia , di testimonianze acquisite nella sua giovinezza dagli anziani del paese, di fonti storichee mira a dimostrare che,ad oggi,sulla vicenda Giuliano,così come su tanti altri misteri d’Italia,purtroppo dolorosi, esiste una verità “ufficiale” e una “popolare”. Ad esempio circa la fine del bandito,la verità ufficiale dice che fu ucciso in un conflitto a fuoco a Castelvetrano,quella popolare che è stato ucciso,a Montelepre,dal cugino Gaspare Pisciotta, (a sua volta poi ucciso, a suon di strichinina, dentro il carcere borbonico dell’Ucciardone),poi trasportato a Castelvetrano dove sarebbe stato inscenato il conflitto a fuoco:da un lato i carabinieri e dall’altro Giuliano già morto! Eppure,come dice il detto,non c’è due senza tre,ossia:Giuliano è,davvero, morto nel 1950 e a Montelepre-Casteletrano? E se fosse morto molto tempo dopo,di morte naturale? E quale sarebbe il nesso tra il Mistero,o i misteri, che avvolgono ad oggi la strage di via D’Amelio e la vicenda della fine,o presunta tale, del bandito Salvatore Giuliano? Il mistero di Giuliano sarebbe quello circa la sua vera fine:quando è morto e dov’è morto Giuliano? Siamo certi che,circa la fine di Giuliano,sia stata  la verità ufficiale che quella popolare, dicano la verità?Ossia che sia realmente morto? Vedendo e leggendo il libro di Badalamenti,mi è venuto in mente un fatto successomi alcuni anni fa. Mi trovavo a Montelepre e parlando con una persona addentro alle segrete cose,circa la vicenda Giuliano,ebbi a chiedergli:”Giuliano è sepolto nel cimitero di Montelepre”? Risposta secca del mio interlocutore:”Forse”! Io non replicai,ma quella risposta mi lascio di sasso,come “forse” dissi fra me e me….Quella risposta,negli anni successivi,avrebbe avuto altre conferme circa la sopravvivenza di Giuliano sino ad un paio di anni fa,in America e sotto falso nome. Se così fosse,(basterebbe una semplice ricognizione cadaverica del corpo mai fatta), sarebbe probabilmente vero il fatto che Giuliano avrebbe accettato un salvacondotto,solo per lui,offertogli, a suo tempo, dal cardinale di Palermo Ernesto Ruffini? E se Giuliano fosse,davvero,andato in America,chi c’è sepolto, al suo posto, nel cimitero di Montelepre? Sarei curioso di saperlo! Intanto un filo sottile di MISTERI,attraversa la storia dell’Italia Repubblicana, dalla strage di Portella delle Ginestre,passando per la presunta fine del bandito di Montelepre,per arrivare a quella di via D’Amelio.Misteri dolorosi che aspettano di ricevere una risposta corrispondente a Verità:quella vera….possibilmente!

G1

Salvatore Badalamenti,Montelepre,il dopoguerra e i misteri di Giuliano,La Zisa,2009,pp.157

Resistenza alla mafia….

Roma 5

TAVOLA ROTONDA SU SANTITA’ E LEGALITA’

 Roma

Il 15 maggio scorso,a Roma presso l’istituto “Luigi Sturzo”,si è svolta una tavola rotonda sul tema :”Resistenza alla mafia:corcevia di Santità e Legalità”,in memoria del compianto Arcivescovo di Monreale Mons.Cataldo Naro di venerata memoria.Mons.Naro volle,per la sua diocesi, il progetto denominato “Santità e Legalità”,ossia una resistenza cristiana alla mafia.L’idea di fondo del progetto era quella che la Mafia va combattuta anche con la logica evangelica e,soprattutto,con la santità della vita dei credenti.Mons.Naro era convinto che bisognava elaborare un discorso contro la mafia,ma a partire dalle categorie proprie del cristianesimo.Dire,dunque,parole cristiane contro la mafia,unitamente a quelle espresse dalla società civile attraverso il concetto di legalità.

Riportiamo di seguito una breve sintesi degli intervenuti al convegno.

 Roma 1

On.LEULUCA ORALNDO

 Dopo aver ricordato con affetto Mons.Naro dicendo quanto fosse legato a Lui,anche da alcune ricorrenze familiari che potrebbero sembrare delle pure coincidenze,ma che invece sono legate ad alcuni momenti della vita di Mons.Naro,ha affermato che non bisogna  perdere di vista l’aspetto etico-religioso-morale e che due sono gli aspetti con cui si può combattere la mafia:la LEGALITA’,ossia l’osservanza delle leggi per poter vivere ordinatamente e civilmente e,appunto, la SANTITA’  di vita dei credenti in Cristo,ossia l’incarnazione quotidiana ed esistenziale dei valori del Vangelo “sine glossa”. Orlando,ha ribadito,che,inizialmente, non riusciva a capire cosa c’entrasse la SANTITA’ contro il fenomeno mafioso.Grazie a Mons.Naro si è reso conto quanto fosse importante il cammino di santità attraverso lo specifico della missione della Chiesa:l’evangelizzazione. Roma 2

Sua Ecc.MONS. VINCENZO PAGLIA

 Ha ricordato come e quando la Chiesa ha iniziato a parlare apertamente di mafia.Prima con Ruffini,poi con Pappalardo,ma determinanti sono state le parole di Giovanni Paolo II ad Agrigento,perché per la prima volta si sono usate parole cristiane contro la mafia:pentimento,conversione,giudizio di Dio. Ha sottolineato come Mons.Naro sentiva la necessità,nell’esercizio del suo ministero episcopale,di creare un movimento di resistenza alla mafia,un intreccio tra legalità e santità. Talmente grande era la considerazione che Mons.Naro aveva delle figure di santità che ha sentito il bisogno di creare una litania per invocare quelle della diocesi monrealese e non solo,affinchè ciò potesse servire per passare dal DEVOZIONALISMO  ai santi alla VOCAZIONE ALLA SANTITA’.Grande commozione ha colpito i presenti quando Mons.Paglia ha letto il testamento spirituale di Mons.Naro,concludendo,con grande nostalgia, e tristezza:”TROPPO PRESTO CI HA LASCIATI”.

PROF.SALVATORE SCORDAMAGLIA.

E’ intervenuto dicendo che la mafia bisogna combatterla con ogni mezzo lecito e purtroppo i mezzi che la società civile ha a disposizione non bastano. Poi,come affermava spesso Cataldo Naro, ha citato alcuni scritti del pastore protestante D.BONHOEFFER, tra cui RESISTENZA E RESA. Questo titolo Mons.Naro voleva che fosse interpretato così:Resistenza al male e Resa a Dio.

 Roma 3

DOTT.SALVATORE TAORMINA

Ha ricordato mons.Naro,la sua passione per Cristo e per la storia;il suo linguaggio cristiano e la sua definizione di  legalità :”UN MEZZO PER ESERCITARE LA GIUSTIZIA PER IL BENE COMUNE”.

Roma 4

Al termine degli interventi,alcuni partecipanti hanno preso la parola ricordando Mons.Naro sotto l’aspetto storico e sociologico,definendo la vicenda di Mons.Naro ESEMPALRE DI UNA LOGICA CRISTIANA DI VITA. Infatti Egli,durante il suo breve episcopato,ha dovuto lottare. Ha lottato,come attesta il suo testamento,contro ogni voglia di cambiamento,contro i tanti problemi irrisolti che ha trovato,ma soprattutto contro le tante incomprensioni e ostilità di alcuni personaggi che gli remavano,sistematicamente,contro, finchè ogni giorno si sentiva sentire meno. Nonostante ciò,non si è arreso,ha resistito perché capiva che Dio voleva da Lui questa resa,questa sua consegna a Lui attraverso il suo episcopato. Ha continuato traendo forza da quel crocifisso che portava al collo. Adesso vive in Dio,nella Gioia piena,ma continua a pregare per la Chiesa. Sta a noi,adesso,dare una risposta al suo sacrificio d’amore,ricordandolo,facendo passare,cioè,nel nostro cuore la sua meravigliosa persona,ma soprattutto i suoi insegnamenti e la sua testimonianza evangelica. Solamente così il suo sacrificio non sarà inutile.

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HA MODERATO IL DIBATTITO IL DOTT.GIANNI RIOTTA

Resistenza alla mafia:sulle orme di Mons.Cataldo Naro.

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Uomini contro la Mafia.

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Storia della Mafia.

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Giorni di Mafia……di Roberta D’Aquino.

 

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Roberta D’Aquino,GIORNI DI MAFIA,Dalle origini alla morte di Michele Greco,Biesse Editore,2008.

Gli Insabbiati.Storie di giornalisti uccisi….Di Luciano Mirone.

 

gli-insaLuciano Mirone ricostruisce le vicende di chi, facendo il mestiere di giornalista. ha pagato con la vita la sfida alla mafia, ai poteri occulti, agli accordi perversi tra Stato e Antistato. Otto storie siciliane di giornalisti assassinati. sequestrati o addirittura «suicidati». Otto storie ambientate nell’Italia dei delitti impuniti e della democrazia dimezzata. Un’indagine avvincente. condotta attraverso cronache del tempo. atti processuali, testimonianze dirette. Emergono così strane distrazioni, dimenticanze. omissioni. reticenze, depistaggi che hanno quasi sempre «insabbiato» i casi giudiziari, e con essi la ricerca della verità.

Cosimo Cristina, cc Giovanni Spampinato,gs

Giuseppe Impastato, iMauro De Mauro,mdm

Beppe Alfano, a Mauro Rostagno,mr

Mario Francese, mf Giuseppe Fava, f

 

storie diverse, accomunate da un unico destino: prima gli avvertimenti velati, poi le minacce, poi la “terra bruciata”, l’esecuzione senza appello, infine la delegittimazione della vittima. E la memoria di quegli otto cronisti continua ad essere un riferimento fondamentale per tutti coloro che credono in una Sicilia libera da Cosa Nostra. Nella convinzione che il mestiere di giornalista, come ricorda Rita Borsellino nella sua prefazione, «se svolto bene, riesce a costruire il cambiamento».

 

La sabbia dell’indifferenza

di Rita Borsellino

Sono felice che Gli insabbiati venga ristampato. E che sia ristampato oggi, a cento anni dalla nascita della Federazione Nazionale della Stampa e in un momento tanto delicato per l’informazione siciliana. Delicato per due motivi: non solo perché, nel nuovo processo di ribellione sociale alla mafia e al suo controllo che è in corso in Sicilia, l’informazione è chiamata ad avere un ruolo importante; ma anche perché negli ultimi anni, e ancora di più negli ultimi mesi, le intimidazioni a giornalisti impegnati sul fronte della denuncia sono tornate a farsi sentire con insistenza, anche in quei casi in cui il giornalista si è limitato a pubblicare atti processuali, dunque a svelare qualcosa che era già stato svelato, anche se solo dentro le aule del tribunale. Cosa significa tutto questo? Significa che la parola e l’informazione restano una delle armi più temute dalla criminalità. Più temute persino del sistema della giustizia, le cui falle la mafia ha imparato a conoscere e sfruttare a pieno. E significa anche che senza un’informazione libera e attenta è difficile costruire, ottenere, avere una coscienza sociale altrettanto libera e attenta. Raccogliere le storie di otto cronisti siciliani, metterle in sequenza una dietro l’altra, seguendo un percorso ideale nel tempo e nello spazio di quest’isola, serve a trovare un filo conduttore e a sottolineare con forza dirompente la potenza di uno strumento come la stampa, e l’importanza della professione del giornalista che ha il compito di mediare, filtrare, leggere ciò che accade. E il dovere di farlo bene, cercando la verità e non accontentandosi di quella che gli viene servita.

Ma non è solo questo il merito de Gli insabbiati, perché ripercorrendo la vita di Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Mauro Rostagno, Cosimo Cristina, Peppino Impastato, Giovanni Spampinato e Beppe Alfano, Luciano Mirone ripercorre la storia di quest’isola e sottopone al lettore un interrogativo inquietante, lo stesso che mi insegue e a cui cerco risposta da anni:

cosa si nasconde dietro le morti eccellenti siciliane?

E perché in molti di questi casi non si riesce mai a individuare i mandanti? Nelle pagine di questo libro non c’è solo cronaca e neppure solo storia. C’è la ricerca appassionata della verità. C’è la voglia di spalare via, lontano, la sabbia dell’indifferenza che per troppo tempo ha coperto queste morti. La ricerca di Mirone abbraccia oltre quarant’anni anni di Sicilia, compresi quelli della Guerra Fredda, in cui, dice bene l’autore, «l’isola diventa terra di intrighi sotterranei e di accordi perversi fra Stato e Antistato su cui non si è ancora scritta tutta la verità». Un’indagine, la sua, che parte dagli anni Sessanta, quando viene ucciso Cosimo Cristina e la sua morte viene «travestita» da suicidio, e arriva ai giorni nostri.

Ma per me rileggere questo libro a distanza di tanti anni ha anche un significato in più. E ritrovare le ragioni di una scelta di impegno e ripercorrere tanti momenti della mia vita. Rileggere le parole di Giulio Francese quando racconta del padre e della sua sensazione di essere in pericolo, di avere ormai poco tempo, è tornare  indietro al 1992 quando Paolo mi diceva, ci diceva «devo fare presto» e usava espressioni come «quando mi uccideranno…”.

Rileggere alcuni racconti di Felicia Impastato, che oggi non c’è più e che con il suo amore di madre è riuscita a fare aprire un processo sull’uccisione di Peppino, significa ritrovare il sorriso forte e la passione di una donna straordinaria con cui tante volte ho condiviso sensazioni e speranze.

E così è per Claudio Fava che di Giuseppe ha raccolto l’eredità e la capacità di comunicare.

C’è in questo libro, oltre alla vita di questi straordinari cronisti, la Sicilia che non si vuole rassegnare. La Sicilia che in questi anni, dalle macerie degli omicidi eccellenti e delle stragi, è nata e ha costruito speranza. C’è lo spirito delle testate giornalistiche che hanno fatto la storia dell’informazione palermitana, come «L’Ora». E c’è Luciario Mirone, cronista siciliano innamorato della sua terra e della sua professione che, se svolta bene, riesce a costruire il cambiamento. E non sulla sabbia.

 

Rita Borsellino

maggio 2008

 Luciano Mirone

Ha iniziato la sua carriera collaborando con il “Giornale di Sicilia”, per poi passare a «I Siciliani» di Giuseppe Fava. Quindi ha scritto per una serie di testate nazionali come «il Venerdì di Repubblica», «Oggi», e “Marie Claire”. Fondatore e direttore dei periodici «Lo Scarabeo» e «Liberidea», oggi dirige il periodico «L’informazione», e collabora con la redazione palermitana de «la Repubblica», con il settimanale «Left-Avvenimenti» e con il mensile «Nuova ecologia».

Oltre a Gli insabbiati ha pubblicato Un paese (Tringale, 1988, Premio Nazionale «Nino Martoglio»), Michele Abruzzo racconta… li Teatro siciliano (Greco, 1992), Le città della luna (Rubbettino, 1997), Un sogno in biancoverde (A&B, 2006), L’antiquario di Greta Garbo (A&B, 2008).