Bibbia e arte.I percorsi della cultura e della fede.(Maria Cecilia Visentin)

PREFAZIONE

Bibbia: dalla parola all’immagine

di Gianfranco Ravasi

Nietzsche era costretto a riconoscere che «per noi Abramo è più di ogni altra persona della storia greca o tedesca. Tra ciò che sentiamo alla lettura dei Salmi e ciò che proviamo alla lettura di Pindaro e Petrarca c’è la stessa differenza tra la patria e la terra straniera». E curioso notare che la Bibbia parte con un divieto ferreo destinato a bloccare l’arte figurativa di Israele: «Non ti farai immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra né dì ciò che è nelle acque sotto terra», recita il primo Comandamento (Es 20,4). Eppure la Parola biblica, coi suoi simboli, con la sua incandescenza, la sua poesia è stata il grande arsenale iconografico dell’Occidente, il «grande codice» della nostra cultura, «l’alfabeto colorato della speranza in cui hanno intinto i loro pennelli i pittori di tutti i tempi», come dichiarava Chagall. Per illustrare questo rapporto molto complesso e dai risultati sterminati, ricorriamo a una semplificazione delineando alcuni modelli attraverso i quali la Bibbia è stata filtrata dalla creazione artistica, letteraria, figurativa, musicale.

Un primo modello potrebbe essere definito come reinterpretativo o attualizzante: si assume il testo o il simbolo biblico e lo si rilegge e incarna all’interno di coordinate storico-culturali nuove e diverse. Pensiamo alla figura di Giobbe che dopo esser divenuta per secoli un’immagine del Cristo paziente nell’arte sacra, si trasforma in un segno personale nella Ripresa di Kierkegaard: in Giobbe il filosofo danese legge infatti la sua esperienza infranta di amore e il tentativo di recuperarla dal passato ad opera di Dio. Scriveva Kierkegaard: «lo non leggo Giobbe con gli occhi come si legge un altro libro, ma lo metto sul cuore. Ogni sua parola è cibo, vestimento e balsamo per la mia povera anima». E per stare allo stesso filosofo, pensiamo al sacrificio di Isacco (Genesi 22) così come è letto da lui in Timore e Tremore: il terribile e silenzioso cammino di tre giorni affrontato da Abramo verso il monte della prova diventa il paradigma di ogni itinerario di fede, segnato dalla luce e dalla tenebra, in cui il credente deve giungere fino alla spogliazione totale di tutti gli appoggi umani, compresi gli affetti e le relazioni fondamentali. L’esegeta Gerhard von Rad, in una sua opera intitolata Il sacrificio di Isacco, raccoglierà attorno al testo biblico, oltre a quelle di Kierkegaard, le reinterpretazioni attualizzate di Lutero, di Rembrandt e di Kolakowski, ma già la tradizione giudaica nella ‘aqedah, cioè nella «legatura» sacrificale di Isacco sull’altare del monte Moria, aveva visto il mistero della sofferenza del popolo ebraico e si era interrogata sul silenzio di Dio (in particolare in connessione con la tragica vicenda della shoah e delle persecuzioni naziste). Potremmo continuare a lungo nella documentazione di questo tipo di rilettura che domina nell’arte sacra, attenta a ricondurre eventi evangelici all’oggi della Chiesa: pensiamo alle raffigurazioni popolari, al folclore, che cercano di far rivivere la Passione di Cristo o altri momenti della sua esistenza all’interno della quotidianità.

C’è, però, un altro modello da individuare: esso elabora i dati biblici in modo sconcertante e per questo lo potremmo definire come degenerativo. Nella stessa storia della teologia e dell’esegesi si sono verificate spesso deviazioni e deformazioni interpretative. Il testo sacro si trasforma in un pretesto per parlare d’altro («allegoria») o persino per ribaltarne il senso originario. Così accade anche nella storia della cultura. Prendiamo ancora come emblema il libro di Giobbe. La tradizione, infatti, ignorando l’altissimo poema che costituisce la sostanza dell’opera, si è attestata quasi esclusivamente sul prologo e sull’epilogo (cc.1-2 e 42). Qui Giobbe appare solo come l’uomo paziente che supera la prova ed e alla fine ricompensato da Dio. In realtà il corpo centrale dell’opera presenta, invece, il dramma della fede posta di fronte al mistero di Dio e del male. L’approdo di una ricerca lacerata e acre è in quella professione di fede che sigilla realmente l’intero scritto: «Io ti conoscevo per sentito dire; ora i miei occhi ti vedono» (42,5).

L’arte cristiana, invece, sulla scia di un’interpretazione riduttiva già presente nel Nuovo Testamento (Gc 5,11) e nei Padri della Chiesa, si accontenterà di un Giobbe collocato sul letamaio, pronto a sopportare le più atroci sofferenze, l’ironia della moglie e la contestazione degli amici, in attesa della liberazione finale. Ma la «degenerazione» del significato autentico del libro biblico può essere ulteriormente illustrata all’ interno dell’enorme ripresa letteraria che la storia di Giobbe ha subìto (da Goethe a Dostojevskij, da Roth a Singer, da Bloch a Camus, da Morselli a Pomilio). Esemplare in questo senso è la Risposta a Giobbe di Carl Gustav .Jung (1952) in cui il celebre sofferente biblico si erge come simbolo della moralità e della responsabilità di fronte a un Dio del tutto libero da ogni etica. Cristo sarà colui che, provenendo da Dio ed entrando nell’umanità, riuscirà a imparare la lezione morale di Giobbe e a levarsi contro la durezza «immorale» e l’insondabilità del Padre celeste. Come è evidente, il testo biblico è ormai solo uno spunto sul quale si intessono nuove trame e nuovi significati e questo accade per molte figure bibliche: sempre per stare nell’ambito psicanalitico, si ricordi l’elaborazione della figura di Mosè e delle origini della religione ebraica compiuta da Sigmund Freud nei tre saggi sull’ Uomo Mosè e la religione monoteistica (1913). Tuttavia dobbiamo riconoscere che, se è già segno di fecondità e di forza dell’originale biblico anche la lettura deviata, una grandiosa testimonianza di potenza spirituale e culturale la Bibbia la offre quando essa è fatta trasparire in tutta la sua ricchezza simbolica e teologica. È per questo che vorremmo parlare di un terzo modello di tipo trasfigurativo.

L’arte riesce spesso a rendere visibili risonanze segrete del testo sacro, a far germogliare potenzialità che l’esegesi scientifica solo a fatica conquista e talora del tutto ignora. È ciò che il pittore Paul Klee affermava in senso generale quando nella sua Teoria della forma e della figurazione scriveva che «l’arte non ripete le cose visibili ma rende visibile ciò che spesso non lo è». Gaston Bachelard diceva di Chagall che nei suoi quadri «egli legge la Bibbia e subito i passi biblici diventano luce». In questo senso ci sembra particolarmente indicativa la grande musica del ‘600-700 che ha spesso superato le arti figurative nel divenire interprete della Bibbia (Carissimi, Monteverdi, Schùtz, Pachelbel, Bach, Vivaldi, Buxtehude, Telemann, Couperin, Charpentier, Haendel, Haydn, Mozart).

Si immagini solo cosa possa significare un oratorio come Jefte di Carissimi o il Vespro della Beata Vergine di Monteverdi o la Passione secondo Matteo di Bach o, per venire ai nostri giorni, la Passione secondo Luca di Penderecki o i Chichester Psalms di Bernstein. Per avere un esempio specifico ed essenziale, basterebbe seguire la suprema rilettura che Mozart fa di un salmo letterariamente modesto, il brevissimo 117 (116), caro però a Israele perché proclamava le due

virtù fondamentali dell’alleanza che lega Dio al suo popolo , cioè la veritas et misericordia, come dice la versione latina della Volgata usata dal musicista, ovvero l’amore e la fedeltà, in una traduzione più vicina all’originale ebraico.

Ebbene,il Laudate Dominum in fa minore dei Vespri solenni di un Confessore K 339 di Mozart riesce a ricreare la carica teologica e spirituale, ebraica e cristiana del salmo come non saprebbe mai fare nessuna esegesi testuale diretta.

Dopo dieci battute d’orchestra si apre “una meravigliosa cantilena di un soprano solo. Nella forma strofica la melodia viene ripresa una seconda volta dal coro in un’atmosfera di ineffabile tenerezza ultraterrena. Dopo le due strofe, breve momento di immobilità e di gioia. E poi la voce soprano, nell’Amen finale si unisce al coro e lo domina dolcemente”(M. Vignal).

L’esegesi «artistica» sa travalicare il testo rivestendolo di bagliori inattesi, Il risultato “rasfigurativo”è proprio di tutte le grandi opere d’arte e di letteratura. Impossibile sarebbe dimostrarlo compiutamente perché il repertorio da consultare è vastissimo. Ci accontentiamo di un simbolo,quello del dito efficace di Dio, spesso celebrato dalla Bibbbia. Ebbene,tutta la storia, la missione, la figura e la grandezza del Battista sono racchiusi in quell’indice poderoso puntato verso il Crocifisso che Mathias Grunewald ha dipinto nell’ Altare di Isenheim del museo di Colmar. Tutto il mistero dell’atto creativo descritto nel libro della Genesi è nell’indice «imperativo» del Creatore michelangiolesco che sveglia all’essere l’indice assopito di Adamo. E tutta la rivoluzione che si crea nella vita del pubblicano Levi è nella citazione che Caravaggio fa di Michelangelo in quell’ indice che Cristo punta sul futuro apostolo Matteo, nella celebre tela di San Luigi dei Francesi a Roma.Proprio per questa sua fecondità artistica, è sconcertante il fatto che la Bibbia sia ancora sostanzialmente un libro assente dalla formazione culturale dell’italiano. Certo, la Bibbia è capitale per il credente per il quale essa è «lampada per i passi» nel cammino della vita, come dice il Salmo 119. Ma lo dev’essere anche per il «laico», cioè per l’agnostico, perché le Scritture – affermava Pascal – «hanno per ognuno passi adatti a consolare tutte le condizioni, ma anche passi adatti a inquietare tutte le condizioni». Un «laico» come Francesco De Sanctis confessava: «Mi meraviglio che nelle scuole dove si fanno leggere tante cose frivole, non sia penetrata un’antologia biblica, atta a tenere desto il sentimento religioso». E ai nostri giorni Umberto Eco si chiedeva:

«Perché i nostri ragazzi devono sapere tutto di Omero e nulla di Mosè?» Rimane, comunque, aperta per il credente un’altra dimensione. La Bibbia ci insegna a dire Dio non solo in modo vero e giusto ma anche in modo bello. La via pulchritudinis, cioè la via della bellezza – ammonisce Von Balthasar – conduce a Dio e l’arte procede proprio su quella strada. Una strada, purtroppo, poco praticata ai nostri giorni; eppure essa è «come la luce dell’alba che aumenta lo splendore fino al meriggio» (Pr 4,18).

Plaudiamo cordialmente,allora,all’opera di Maria Cecilia Visentin che offre in queste pagine alcuni itinerari nell’ambito della poesia,della pittura,della musica,a coloro che cercano nella Bibbia il sale della sapienza,le ragioni del vivere e il destino ultimo dell’uomo.

“SICILIA,LA BELLEZZA TI SALVERA'”(Davide Maria Turoldo)

Prefazione di

Salvatore Leonarda

Non mancano le guide che danno un primo orientamento al visitatore o le pubblicazioni che, in maniera monografica, illustrano i diversi aspetti del monumento; se D. B. Gravina offre gli elementi essenziali della storia del duomo, con splendide tavole che presentano la complessa articolazione della costruzione; e E. Kitzinger evidenzia la peculiaritò siculo-bizantina dei mosaici di Monreale, nati dalla collaborazione di maestranze greche e siciliane; altre pubblicazioni sottolineano il caratterizzarsi del duomo di Monreale all ‘interno dell ‘architettura normanna (W Kronig), o propongono letture analitiche di singoli elementi: la porta di Bonanno Pisano (W Melczer, il chiostro (R. Salvini), il rapporto scrittura-immagine (S. Leonarda, A. Lipari,); per non dire delle ricerche che, soprattutto in ambito universitario, hanno evidenziato la qualità estetica o gli aspetti di cultura materiale e così via. Nonostante l‘ampiezza della produzione e la varietà dei contributi, ci permettiamo di evidenziare che al momento sentiamo il bisogno di una lettura complessiva, che ripercorra le date più significative della fabbrica, faccia emergere le scelte progettuali della costruzione con particolare attenzione al funzionamento ed alla simbolica della luce, ed il programma iconografico sotteso alla narrazione.

Il volume Architetture di luce e icona intende contribuire al suddetto approccio complessivo che aiuti il visitatore ad orientarsi, sul piano storico, nell’individuare le trasformazioni significative subite dal duomo nel corso dei secoli; sul piano architettonico. nel cogliere lo strutturarsi della costruzione secondo 1 ‘orientamento esterno ed interno verso la luce solare; sul piano iconografico, nell’individuare la logica (teo-logica,) sottesa allo splendore di tutto il manto musivo, che nel Pantokrator trova il suo punto principiante alpha e ricapitolativi ornega; tutto questo viene offerto al fine di superare la lettura “casuale” del visitatore (spesso disorientato dentro l ‘esplosione di luce e di immagini) e di accompagnare il suo sguardo dentro il coerente movimento della costruzione.

 

a. Il primo contributo evidenzia le tappe più importanti che hanno segnato la fabbrica dal suo sorgere, per iniziativa del re Guglielmo II e la collaborazione dei cento monaci benedettini venuti da Cava dei Tirreni, con gli interventi successivi, alcuni dei quali hanno stravolto l’immagine originaria del duomo (la rimozione del portico esterno e della cappella interna del Battista col battistero e l’ambone…); il tutto viene presentato con rigoroso apparato documentario nel prezioso saggio di A. Belfiore; l’autore, dopo anni di ricerca, può finalmente offrire al lettori la messa a punto della storia della fabbrica, in continuità e sviluppo delle acquisizioni storiche precedenti.

 

b. L’organizzazione di tutta la costruzione risponde ad una rigorosa organizzazione della spazialità secondo geometrie ad ascendenza “celeste “; il suo orientamento ad est, connotato cristologicamente, viene ulteriormente specificato con gli orientamenti. delle pietre angolari ai punti di levata delle principali feste della Madonna e di S. Giovanni Battista; ciò avviene facendo tesoro della cultura costruttiva della grande tradizione antica della gnomonica (rito di fondazione e Analemma di Vitruvio); l’illuminazione interna della chiesa segue i corrispondenti momenti dell’anno liturgico. Il saggio di A. Di Bennardo, con competenza e puntiglio, porta alla luce, per la prima volta, tutto questo intreccio tra spazialità, orientamento e luce.

 

c. Una logica stringente presiede al grandioso programma iconografico che, in una sorta di microcosmo interpretato salvificamente, riesce a coniugare narrazione biblica e visione estetica . Il rivestimento musivo prende il via dal Pantocratore, che costituisce il punto alpha e omega di tutta la storia sacra; nel duplice movimento orizzontale e verticale, il tutto trova la sua ricapitolazione nella persona di Gesò Cristo, Dio e uomo nel quale si congiungono indissolubilmente, nel sigillo del mistero e della bellezza, la natura, la storia, la grazia. Il saggio di C. Scordato, con pertinenza teologica, privilegia l’ermeneutica biblico-liturgica, che consente di cogliere il principio ispiratore ed unificante che presiede a tutta la costruzione, ma anche la diversa articolazione di tutti gli elementi compositivi.

 

d. Il volume è arricchito dalla Pianta, che riproduce il complesso guglielmino nell ‘anno 1590; G. Schirò, che l’aveva rinvenuta casualmente nella Biblioteca Vaticana, finalmente la presenta con tutto il suo apparato critico e proponendo la trascrizione delle informazioni ivi presenti.

La complessità costruttiva del duomo trova, però, la sua risoluzione più illuminante nella connotazione liturgica del luogo di culto; la chiesa è stata costruita per la celebrazione del mistero della salvezza, sperimentata nell ‘azione sacramentale e nella celebrazione dell ‘ufficio divino monastico; da questo punto di vista può essere colta la circolarità tra le circostanze storiche della costruzione il dato costruttivo e l‘avvenimento liturgico; in questo orizzonte interpretativo la storia rivive nella pietra e nell’oro, la bellezza dei mosaici offre immagini e splendore alla celebrazione e la celebrazione dà contenuto salvifico alla narrazione biblica ed all’esperienza della bellezza!

Con piacere presentiamo questo libro, che, aprendoci gli occhi e il cuore su uno dei monumenti più belli dell‘arte cristiana, non può che portare lustro ulteriore alla nostra collana; mi felicito con gli Autori così precisi e attenti… nel far parlare le pietre!

San Martino delle Scale

15 agosto 2004

ARTE SACRA,LITURGIA,MISTAGOGIA E OMILETICA

L’Arte cristiana parla a tutti gli uomini da circa 2000 anni.

Da 1500 anni il popolo cristiano recepisce le letture dell’anno liturgico con l’ausilio dell’arte, e questa fa parte ormai del processo d’ascolto da cui scaturiscono la fede e le opere dei credenti.

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E’ uscito in Italia un libro che ridà vita proprio a questa tradizione. È un commento al lezionario delle messe festive dell’anno A – perché poi seguiranno i volumi per l’anno B e l’anno C – fatto con le immagini della grande arte cristiana. Immagini più eloquenti di tante parole.

Ne è autore Timothy Verdon, storico dell’arte, sacerdote, professore alla Stanford University, direttore a Firenze dell’ufficio diocesano per la catechesi attraverso l’arte e autore di libri importanti sull’arte cristiana e sul ruolo dell’arte nella vita della Chiesa.
L’idea di questo libro è venuta a Verdon dal sinodo dei vescovi del 2005 sull’eucaristia, al quale egli partecipò come esperto, chiamato da Benedetto XVI.
Nell’esortazione postsinodale “Sacramentum caritatis”, papa Joseph Ratzinger dedicò un paragrafo, il 41, all’iconografia religiosa, la quale – scrisse – “deve essere orientata alla mistagogia sacramentale”, all’iniziazione al mistero cristiano attraverso la liturgia.
Il libro è precisamente l’attuazione di questa consegna. Per ogni domenica e festa dell’anno liturgico Verdon sceglie un capolavoro dell’arte cristiana legato al Vangelo del giorno. È l’arte a guidare l’ingresso nel mistero proclamato e celebrato.
Per presentare il libro al pubblico, Verdon ha chiamato un sacerdote più che mai in sintonia con questo orientamento: Massimo Naro, teologo, rettore del seminario della diocesi di Caltanissetta e fratello minore di Cataldo Naro, vescovo di Monreale fino alla sua prematura morte, un anno fa.


La cattedrale di Monreale, in Sicilia, con l’interno interamente rivestito di mosaici del XII secolo, è un capolavoro assoluto dell’arte cristiana. Il Cristo Pantocratore sopra riprodotto ne domina l’abside.
Ma l’arte cristiana vive nella liturgia e per la liturgia. E il suo linguaggio è il vedere, il contemplare. È quello che capì il teologo italo-tedesco Romano Guardini, grande maestro dell’attuale papa, visitando la cattedrale di Monreale nella settimana santa del 1929.
Guardini raccontò quella sua visita. Osservando gli uomini e le donne che gremivano il duomo di Monreale e partecipavano alla liturgia pasquale, scrisse:

“Tutti vivevano nello sguardo [nell’originale tedesco: Alle lebten im Blick], tutti erano protesi a contemplare”.

Il vescovo Cataldo Naro riprodusse l’intera pagina di Guardini nella sua ultima lettera pastorale ai fedeli, per guidarli a contemplare ed amare la Chiesa.
E suo fratello Massimo l’ha di nuovo citata nel presentare al pubblico il libro di Verdon. Proseguendo così:

“Non solo si deve credere, confessare, professare, si deve anche ‘guardare’ la fede. Gesù è colui che ha ‘visto e udito’ il Padre suo. In lui c’è l’unione di parola e immagine, è Logos ed Eikon (cfr. Colossesi 1,15). Non è un caso che, sin dal IV-V secolo, si sia affermata nella Chiesa antica la leggenda secondo cui l’evangelista Luca fu anche pittore. A questa leggenda si ricollega l’anatema del secondo concilio di Nicea, secondo cui ‘se qualcuno non ammette le narrazioni evangeliche fatte con stilo di pittore, sia scomunicato’. Dipingere il volto di Cristo, di Maria, dei santi è un altro modo di scrivere il Vangelo, e perciò di tramandarlo, di proclamarlo, di permetterne la lettura e, quindi, la meditazione e la conoscenza da parte dei fedeli. A Nicea, nel 787, il dogma incorpora la leggenda e le dà dignità dottrinale, include nel deposito della tradizione non solo la tradizione scritta e orale ma anche quella dipinta, non solo gli scritti dell’Antico e del Nuovo Testamento e i libri dei Padri della Chiesa ma anche le immagini che traducono in colori l’inchiostro degli scrittori sacri”.

Le opere d’arte scelte da Verdon per illustrare le letture della messa dell’anno A sono presenti in chiese e musei di tutto il mondo. Un buon numero si trovano in Italia e alcune di esse a Firenze, per cui un parroco fiorentino avrebbe buon gioco nell’uso di questo commentario.
Ma l’importante è il metodo, che vale per tutti. Il libro di Verdon educa a una lettura “artistica” dei testi biblici della liturgia. Restituisce a sacerdoti e fedeli i frutti di una “predicazione per immagini” sviluppatasi nella Chiesa per un millennio e mezzo e oggi a rischio di deperire.

Perché tra arte cristiana, teologia, liturgia, il nesso è inscindibile. Come la resurrezione e la croce sono al principio della composizione dei Vangeli e del Nuovo Testamento, e come la Pasqua è al principio dell’intero anno liturgico, così il Risorto e il Crocifisso sono al principio dell’arte cristiana.
Massimo Naro, nel presentare il libro di Verdon, ha detto d’aver capito la “principialità della resurrezione per l’arte cristiana” proprio osservando i mosaici della cattedrale di Monreale di cui suo fratello fu vescovo. E l’ha spiegato così:

“Me ne sono convinto da quando ho visto, al vertice dell’arco dirimpetto al grande catino absidale in cui campeggia il Cristo Pantocratore, la raffigurazione a mosaico del Mandylion, messo in simmetrica corrispondenza con il volto del Pantocratore, quasi a dire che lo splendido e glorioso Pantocratore è lo sviluppo di un ‘negativo’ del volto del Crocifisso.

“Il Mandylion, secondo antiche leggende risalenti ai secc. VIII e IX, fu un telo su cui rimase impresso il volto di Gesù, insanguinato dalle percosse inflittegli durante la sua passione.

“Secondo alcuni il Mandylion fu il fazzoletto che la Veronica gli passò sul viso lungo la strada del Calvario (cfr. Luca 23,27-28).

“Secondo altri fu il sudario trovato da Pietro dentro il sepolcro ormai vuoto, al mattino di Pasqua (cfr. Giovanni 20,7).

“In questo caso si sarebbe trattato di un’immagine di Gesù ‘non fatta da mani d’uomo’ ma per intervento divino: l’impronta sul sudario del volto del Crocifisso, che nella luce pasquale si rialza come il Risorto.

“Quest’immagine di luce è dunque, secondo la leggenda del Mandylion, la vera icona di Cristo, l’archetipo di ogni immagine e di ogni produzione artistica cristiana.

“In questa prospettiva, è la luce della resurrezione che rende raffigurabile il Crocifisso del Golgota e, in Lui, Dio stesso. Solo alla luce della resurrezione Colui che era stato violentemente privato di ogni sembianza umana rimane per sempre come la vera e unica immagine di Dio.

“È in questo senso che la resurrezione sta all’inizio dell’iconografia e dell’arte cristiane. Ogni produzione iconografica peculiarmente cristiana non può perciò prescindere dall’evento capitale che ha trasformato la creazione e ha redento la storia”.

Il presente Lezionario Illustrato è dedicato all’Anno A del ciclo liturgico e vuole rinverdire questo storico rapporto tra parole ed immagini. L’autore commenta i testi biblici di tutte le domeniche di diversi tempi liturgici (Avvento, Natale, Quaresima, Triduo Pasquale, Pasqua e Tempo Ordinario) e le feste e solennità facendo precedere al testo scritto una tavola a colori che riproduce un’opera d’arte che diviene essa stessa commento ai testi. Inoltre, all’inizio di ogni tempo liturgico, viene proposta una introduzione che iuta il lettore a comprendere il mistero dell’anno liturgico.

Timothy Verdon, statunitense, è lo studioso di arte sacra più conosciuto nel nostro Paese. Sacerdote, vive da molti anni a Firenze. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Maria nell’arte europea (Electa, 2004), Vedere il mistero (Mondadori, 2003), Arte sacra in Italia (Mondadori, 2001). Per San Paolo ha pubblicato L’arte cristiana in Italia. Tre volumi (I. Origini e Medioevo, 2006; II. Rinascimento, 2006; III. Età Moderna, 2007).

La Bellezza nella Parola, Timothy Verdon, Euro 43,00

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Presentate le tavole del Gravina….

Venerdì 23 Maggio,nel tardo pomeriggio,presso il teatro “Margherita” in Caltanissetta,per festeggiare il 75° anniversario della fondazione dell’editrice nissena “LUSSOGRAFICA”,è stato presentato il volume contenente la ristampa delle tavole cromolitografiche dei mosaici del duomo normanno di Monreale, create, a metà del 1800, dall’abate Domenico Gravina.Ora dedicato alla memoria di Mons.Cataldo Naro,Arcivescovo di Monreale, e, anche per questo, pubblicato nella collana “Scrinia” del centro studi “A.Cammarata”, fondato dall’allora  giovane prete Aldo Naro, 25 anni fa. L’iniziativa della ristampa delle tavole del Gravina, nacque allorquando Mons.Naro,divenuto arcivescovo di Monreale,scoprì l’esistenza dei due volumi dell’abate benedettino ritraenti gli splendidi mosaici del duomo di Monreale e concordò, con l’editore Granata, la ristampa degli stessi. In corso d’opera avvenne l’improvvisa dipartita di Mons.Naro. L’editore non abbandonò il progetto di ristampa della sublime opera del Gravina che è stata portata a termine per rispettare un grande desiderio dell’amico Mons.Naro e per questo motivo a Lui dedicata e stampata presso il Centro Studi “Cammarata”.A presentare la preziosa ristampa sono intervenuti il Prof.Paolucci,direttore dei Musei Vaticani e il Cardinale Camillo Ruini,vicario del Papa per la diocesi di Roma. A moderare l’incontro il direttore delle edizioni vaticane don Costa. Dinnanzi ad un folto pubblico di amici dell’editore Granata e di Mons.Naro,costituito da autorità religiose,civili,militari(tra cui l’Arcivescovo di Monreale Mons.Salvatore Di Cristina e il sindaco Toti Gullo) e da tanta gente comune,Il Prof.Paolucci,già ministro dei beni culturali nel governo Dini, ha presentato,con la sua grande competenza, la grandezza teologica,artistica e catechetica dei mosaici di Monreale.Diecimila metri quadri di mosaici che attestano la straordinaria grandezza del messaggio cristiano e che fanno del duomo normanno una realtà internazionale,un esempio di fede di Guglielmo II e una mediazione del messaggio cristiano i cui valori,da 2000 anni,danno vita ad una infinità di opere d’arte, finalizzate alla testimonianza dell’evento salvifico e alla trasmissione dello stesso,lungo i secoli, da una generazione all’altra. Oggi,in cui queste grandi realtà,sono primariamente oggetto di mete turistiche,come scriveva lo stesso Mons.Naro,urge il fatto di riportarle al centro dell’attenzione soprattutto per il loro grande valore teologico-catechetico e MISTAGOGICO. Cioè la contemplazione della Bellezza( mosaicale per Monreale),unitamente alla grande celebrazione liturgico-sacramentale della vita della Chiesa,consente ai fedeli di porre in essere una vera e autentica relazione con il mistero salvifico di Dio fattosi uomo. Tutto ciò fu colto dal grande teologo Romano Guardini,maestro di Papa Benedetto XVI,che visitò il duomo normanno nei giorni del triduo pasquale del 1929 e ne racconto nel suo “Viaggio in Sicilia”.

Lo visitò nei giorni della Settimana Santa: il giovedì durante la messa crismale e il sabato, durante la veglia che all’epoca si celebrava di mattina.
L’ arcivescovo di Monreale, Cataldo Naro, ha ripreso quel racconto di Guardini dall’originale tedesco, l’ha tradotto e l’ha riproposto ai fedeli all’interno di una lettera pastorale dal titolo “Amiamo la nostra Chiesa”, come a far da guida alle celebrazioni liturgiche d’oggi.
In quella pagina, il grande teologo tedesco scrisse tutto il suo stupore per la bellezza della basilica di Monreale e lo splendore dei suoi mosaici.
Ma, soprattutto, scrisse d’essere stato colpito dai fedeli che assistevano al rito, dal loro “vivere-nello-sguardo”, dalla “compenetrazione” tra questo popolo e le figure dei mosaici, che da esso prendevano vita e movimento.
“Gli sembrò – nota l’arcivescovo Naro nella lettera pastorale – che quel popolo sperimentasse un modo esemplare di celebrare la liturgia: con la visione”. La basilica di Monreale, capolavoro dell’arte normanna del XII secolo, ha le pareti interamente rivestite da mosaici a fondo d’oro con le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, gli angeli e i santi, i profeti e gli apostoli, i vescovi e i re, e il Cristo “Pantocrator”, reggitore di tutto, che dall’abside avvolge con la sua luce, il suo sguardo, la sua potenza il popolo cristiano.

L’intervento del Cardinale Ruini,ha sottolineato,invece,la straordinaria personalità di Mons.Naro,fine storico,studioso del cattolicesimo popolare e di tutto quel movimento innovatore che scaturì dalla “Rerum Novarum”, di Leone XIII,che determinò,anche in Sicilia,una miriade di iniziative di carattere spirituale,culturale e caritativo-assistenziale. Anticipatore del Progetto culturale della Chiesa in Italia, grazie proprio alla fondazione del centro-studi “Cammarata” nel 1983.Inoltre,il Card.Ruini ha sottolineato la grande amicizia che nacque con Mons.Naro:un siciliano vero conoscitore della sua terra che gli ha dato la possibilità di conoscere tante cose della Sicilia e di superare tanti luoghi comuni e stereotipi che non rispecchiano la vera identità dei siciliani.Infine,l’alto prelato,ha tracciato un profilo spirituale di Mons.Naro,sacerdote e Vescovo secondo il cuore di Dio e ubbidiente alla Chiesa che ha amato e servito profondamente, nella diocesi nissena,nel grande lavoro svolto alla facoltà teologica di Sicilia,nel grande, autentico e innovativo contributo dato alla Chiesa italiana attraverso il progetto culturale ed altro e, soprattutto, nella realtà sponsale della diocesi monrealese affidata alla sua guida pastorale, dal 18 ottobre del 2002 sino al giorno della sua morte avvenuta il 29 Settembre del 2006.Ruini ha invitato ad accettare la morte-prematura ed inaspettata- del presule, come segno del progetto di Dio e lavorare per raccogliere i frutti copiosi del grande lavoro svolto da Mons.Naro.

L’edizione Lussografica,nei suoi 75 anni di vita,ha dato un grande contributo allo sviluppo del territorio nisseno,ponendo in essere una grande mediazione tra le varie realtà presenti nel territorio e la loro anima,ossia la cultura.Per la circostanza,il pittore partinicese Prof.Gaetano Porcasi,persona estremamente sensibile a creare, con il suo estro pittorico, percorsi artistico culturali finalizzati al RICORDO delle vittime della mafia e non solo,ha dato vita a due opere pittoriche raffiguranti, rispettivamente, la processione della “Real Maestranza” di Caltanissetta e un ritratto, davvero commovente, di Mons.Naro che sono stati omaggiati al Prof.Paolucci e al Cardinale Ruini.Inoltre, il pittore Porcasi,sempre nella medesima circostanza,ha regalato due litografie, trattate ad olio,raffiguranti Giovanni Paolo II, al vescovo di Caltanissetta Mons.Mario Russotto e a Don Costa.Per ricordare la circostanza verrà realizzato anche un DVD per chi fosse interessato a vedere tutta la manifestazione.