Tutti i buchi dell’Inchiesta
di Massimo Introvigne (Avvenire, 24 settembre 2008)
La fede crede che Gesù sia risorto. La scienza sa che Gesù non è risorto, perché i morti non risorgono. La fede crede che i quattro Vangeli ci trasmettano il messaggio di Gesù Cristo. La scienza sa che non è così. La fede crede che la Chiesa ci permetta d’incontrare ancora oggi nella storia Gesù di Nazaret attraverso la continuità dell’istituzione da lui fondata. La scienza sa che Gesù non ha fondato nessuna istituzione, e che la Chiesa come la conosciamo semmai deriva dall’imperatore Costantino. Tesi che risalgono all’Illuminismo, e che riposano su una concezione assolutista della scienza definitivamente decostruita da Adorno e Horkheimer in poi, senza dimenticare la meta-scienza di Popper? Purtroppo no: lo scientismo è un passato che non vuole passare, come conferma un aspirante best seller in cerca di lettori, Inchiesta sul cristianesimo. Come si costruisce una religione (Mondadori, Milano 2008), confezionato sulla scia del successo del suo precedente Inchiesta su Gesù dal giornalista Corrado Augias, che questa volta intervista il professor Remo Cacitti, docente di Storia del cristianesimo antico all’Università di Milano.
L’idea è che si possa opporre alla fede – rappresentata per esempio da Benedetto XVI, oggetto di più di una battutina velenosa, e per definizione infondata e soggettiva – la Scienza storica con un’ideale S maiuscola, che sarebbe invece per definizione oggettiva, universale e certa. Cacitti cita l’archeologo e storico francese Salomon Reinach (1858-1932), che fornisce quello che può essere considerato il motto del libro: mentre la fede dice “io credo” la scienza della storia delle religioni, fondata su “fatti certi”, può dire con orgoglio “io so” (p. 265). Una volta entrati in questa logica, il gioco è fatto: a chiunque muovesse obiezioni in nome della religione o del semplice buon senso Augias e Cacitti potranno replicare che altra è la scienza storica, altra è la mera fede.
Intendiamoci: Augias fa il suo mestiere, che è quello del giornalista dissacrante e provocatore che tutti conosciamo. Né egli ha mai nascosto di essere uno scettico e un non credente. Anche il professor Cacitti fa il suo mestiere: corregge Augias quando esagera, e cerca di rimanere nell’ambito della storiografia accademica. Tuttavia, sia il lettore meno preparato rischia di rimanere sconcertato, sia le stesse conclusioni del professor Cacitti si prestano a qualche obiezione laddove sembrano implicare che la storia sia l’unica disciplina che ha titolo a pronunciarsi su come è “veramente” nato il cristianesimo. Colpisce, in particolare, l’assenza nel testo di qualunque riferimento alla sociologia delle religioni, una scienza il cui più noto esponente statunitense contemporaneo, Rodney Stark, ha dedicato una delle sue opere fondamentali precisamente alle origini del cristianesimo. Il testo, Ascesa e affermazione del cristianesimo, pubblicato in Italia da Lindau, è apparso in quattordici lingue; almeno nell’area di lingua inglese, è stato ben ricevuto anche dagli storici e ha dato origine a tutto un nuovo filone di ricerca. In particolare Stark sostiene che la versione del cristianesimo fondata su dogmi certi e su una Chiesa organizzativamente forte si è affermata, prevalendo sui sogni degli gnostici e sulle utopie di un cristianesimo non istituzionale e pacifista, non grazie al potere di Costantino (come il testo di Augias e Cacitti ripete) ma perché meccanismi sociologici all’opera anche oggi – e che spiegano perché certe forme religiose abbiano successo e altre declinino nel XXI secolo – rendevano sia comprensibile sia inevitabile che fosse così.
Anche la moderna sociologia della scienza può forse aiutare, con tutto il rispetto, a guardare con un certo sano scetticismo alle conclusioni di Cacitti. Tale sociologia sostiene infatti che la scienza, compresa quella storica, è raramente “neutra” e “oggettiva” (così che la sua pretesa di essere superiore, per esempio, alla teologia, è per certi versi ingenua) ma è sempre culturalmente condizionata, politicamente negoziata e socialmente costruita. E questo è vero anche per quella rispettabilissima scienza che è la storia del cristianesimo. A proposito dei Vangeli e delle lettere di Paolo, molti storici contemporanei – le cui idee Cacitti riassume fedelmente – spiegano che alcune affermazioni vanno intese come effettivo resoconto di fatti storicamente avvenuti, altre solo come metafore o descrizioni di esperienze spirituali a torto scambiate per realtà storiche o empiriche, altre ancora come affermazioni messe in bocca post factum a Gesù per giustificare interessi o posizioni della Chiesa nascente. Il controverso esegeta irlandese, residente negli Stati Uniti, John Dominic Crossan e il suo Jesus Seminar avevano prodotto addirittura un Vangelo “a colori” dove attribuivano colorazioni diverse a quanto, secondo loro, Gesù avrebbe detto per davvero e a quanto sarebbe stato inventato dagli evangelisti.
Il problema però è chi e come decide quali parole e fatti attribuiti a Gesù sono autentici e quali sono inventati. Dichiariamo autentici i testi che pensiamo di poter considerare più antichi? Non è proprio così: Cacitti lealmente riconosce che le affermazioni più chiare sul fatto che Gesù sia fisicamente risorto dai morti sono in testi di san Paolo “vicini all’evento, ovvero databili agli anni Trenta del I secolo” (p. 28). Eppure secondo lo storico italiano è “evidente” che si tratta di “una prospettiva religiosa, non storica” (ibid.). E perché è “evidente”? Cacitti ha il merito di dirlo in modo molto più sfumato, mentre Augias lo afferma più brutalmente: perché nel XXI secolo “alla resurrezione dei morti oggi nessuno crederebbe” (p. 72). A parte la solita mancanza di sociologia – uno sguardo alle Indagini mondiali sui valori convincerebbe gli autori che la maggioranza assoluta dei nordamericani e dei sudamericani, e un buon terzo degli europei, crede in pieno XXI secolo che Gesù sia risorto – la formula sembra precisamente quella rimproverata al Jesus Seminar: consideriamo autentici solo gli eventi e gli insegnamenti riportati nei Vangeli che risultano accettabili ai contemporanei, anzi a quella minoranza di contemporanei che in nome dello scientismo non crede ai miracoli. Così le affermazioni sul primato di Pietro e tutto quanto fonda un cristianesimo che non sia puro insegnamento morale sulla povertà e la pace “devono” essere aggiunte posteriori e non possono fare parte dell’insegnamento autentico di Gesù Cristo: il quale, diversamente, assomiglierebbe troppo a quello di Benedetto XVI, che non è simpatico ad Augias e sembra di capire neppure a Cacitti.
Che le cose stiano così sembra confermato dalle incursioni degli autori su temi diversi da quelli delle origini cristiane. Per esempio, in tema di apparizioni della Madonna, Cacitti afferma ripetutamente che “non hanno assolutamente nulla di religioso” (p. 149). Ci si chiede tuttavia come è stato previamente definita la nozione di “religioso”. Avendo a suo tempo partecipato (unico studioso italiano invitato) al progetto europeo LISOR sulla definizione di religione, penso di avere qualche elemento per dire che nel messaggio di Fatima o nelle parole della Vergine a Lourdes, per tacere dell’esperienza dei fedeli e dei pellegrini nei rispettivi santuari, tutto è religioso secondo una qualunque delle maggiori nozioni di religione utilizzate nella sociologia contemporanea.
Così pure rimango perplesso quando Cacitti definisce “chierici franchisti” i sacerdoti e religiosi uccisi durante la guerra di Spagna e a suo avviso inopportunamente canonizzati (p. 210: molti di loro non erano certamente “franchisti” e furono uccisi per la loro fede, non per le loro idee politiche), e quando sembra confondere, tra i documenti del Vaticano II, la Nostra Aetate (che non è il testo “che apre alla libertà religiosa”, p. 246) con la Dignitatis humanae. E sono ancora più perplesso quando lo storico di Milano attacca “l’oscena strumentalizzazione di certi passi del Corano, operata da truci cristiani, per i quali sarebbe quel testo sacro a fomentare la violenza e il terrorismo islamici”: una posizione che “certo non è vera” (p. 66). Il maggiore sostenitore accademico contemporaneo della tesi secondo cui le giustificazioni di una certa violenza islamica si trovano in alcune sure del Corano, l’islamologo della Rice University David Cook, il quale offre argomenti molto seri e tutt’altro che facili da smontare, sarà forse “truce”, ma certamente non è un cristiano. C’è da chiedersi se in certi ambienti, anche autorevoli, l’islam non goda oggi di un pregiudizio favorevole che si nega alla Chiesa Cattolica.
Lo ha ribadito Benedetto XVI a Parigi: tutti i contributi delle scienze alla migliore comprensione del cristianesimo e della sua storia sono i benvenuti. Ma squalificare come non razionale e non scientifica la comprensione che i credenti hanno di Cristo e della Chiesa, pretendendo che una certa storiografia accademica sia detentrice per definizione di un sapere superiore e più “obiettivo”, fa invece parte di quella muraglia cinese eretta dalla modernità fra fede e ragione che Benedetto XVI sta cercando dall’inizio del suo pontificato di smantellare: in nome non solo della fede ma anche di una nozione più serena e prudente di ragione.
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ARTE SACRA,LITURGIA,MISTAGOGIA E OMILETICA
L’Arte cristiana parla a tutti gli uomini da circa 2000 anni.
Da 1500 anni il popolo cristiano recepisce le letture dell’anno liturgico con l’ausilio dell’arte, e questa fa parte ormai del processo d’ascolto da cui scaturiscono la fede e le opere dei credenti.
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E’ uscito in Italia un libro che ridà vita proprio a questa tradizione. È un commento al lezionario delle messe festive dell’anno A – perché poi seguiranno i volumi per l’anno B e l’anno C – fatto con le immagini della grande arte cristiana. Immagini più eloquenti di tante parole.
Ne è autore Timothy Verdon, storico dell’arte, sacerdote, professore alla Stanford University, direttore a Firenze dell’ufficio diocesano per la catechesi attraverso l’arte e autore di libri importanti sull’arte cristiana e sul ruolo dell’arte nella vita della Chiesa.
L’idea di questo libro è venuta a Verdon dal sinodo dei vescovi del 2005 sull’eucaristia, al quale egli partecipò come esperto, chiamato da Benedetto XVI.
Nell’esortazione postsinodale “Sacramentum caritatis”, papa Joseph Ratzinger dedicò un paragrafo, il 41, all’iconografia religiosa, la quale – scrisse – “deve essere orientata alla mistagogia sacramentale”, all’iniziazione al mistero cristiano attraverso la liturgia.
Il libro è precisamente l’attuazione di questa consegna. Per ogni domenica e festa dell’anno liturgico Verdon sceglie un capolavoro dell’arte cristiana legato al Vangelo del giorno. È l’arte a guidare l’ingresso nel mistero proclamato e celebrato.
Per presentare il libro al pubblico, Verdon ha chiamato un sacerdote più che mai in sintonia con questo orientamento: Massimo Naro, teologo, rettore del seminario della diocesi di Caltanissetta e fratello minore di Cataldo Naro, vescovo di Monreale fino alla sua prematura morte, un anno fa.
La cattedrale di Monreale, in Sicilia, con l’interno interamente rivestito di mosaici del XII secolo, è un capolavoro assoluto dell’arte cristiana. Il Cristo Pantocratore sopra riprodotto ne domina l’abside.
Ma l’arte cristiana vive nella liturgia e per la liturgia. E il suo linguaggio è il vedere, il contemplare. È quello che capì il teologo italo-tedesco Romano Guardini, grande maestro dell’attuale papa, visitando la cattedrale di Monreale nella settimana santa del 1929.
Guardini raccontò quella sua visita. Osservando gli uomini e le donne che gremivano il duomo di Monreale e partecipavano alla liturgia pasquale, scrisse:
“Tutti vivevano nello sguardo [nell’originale tedesco: Alle lebten im Blick], tutti erano protesi a contemplare”.
Il vescovo Cataldo Naro riprodusse l’intera pagina di Guardini nella sua ultima lettera pastorale ai fedeli, per guidarli a contemplare ed amare la Chiesa.
E suo fratello Massimo l’ha di nuovo citata nel presentare al pubblico il libro di Verdon. Proseguendo così:
“Non solo si deve credere, confessare, professare, si deve anche ‘guardare’ la fede. Gesù è colui che ha ‘visto e udito’ il Padre suo. In lui c’è l’unione di parola e immagine, è Logos ed Eikon (cfr. Colossesi 1,15). Non è un caso che, sin dal IV-V secolo, si sia affermata nella Chiesa antica la leggenda secondo cui l’evangelista Luca fu anche pittore. A questa leggenda si ricollega l’anatema del secondo concilio di Nicea, secondo cui ‘se qualcuno non ammette le narrazioni evangeliche fatte con stilo di pittore, sia scomunicato’. Dipingere il volto di Cristo, di Maria, dei santi è un altro modo di scrivere il Vangelo, e perciò di tramandarlo, di proclamarlo, di permetterne la lettura e, quindi, la meditazione e la conoscenza da parte dei fedeli. A Nicea, nel 787, il dogma incorpora la leggenda e le dà dignità dottrinale, include nel deposito della tradizione non solo la tradizione scritta e orale ma anche quella dipinta, non solo gli scritti dell’Antico e del Nuovo Testamento e i libri dei Padri della Chiesa ma anche le immagini che traducono in colori l’inchiostro degli scrittori sacri”.
Le opere d’arte scelte da Verdon per illustrare le letture della messa dell’anno A sono presenti in chiese e musei di tutto il mondo. Un buon numero si trovano in Italia e alcune di esse a Firenze, per cui un parroco fiorentino avrebbe buon gioco nell’uso di questo commentario.
Ma l’importante è il metodo, che vale per tutti. Il libro di Verdon educa a una lettura “artistica” dei testi biblici della liturgia. Restituisce a sacerdoti e fedeli i frutti di una “predicazione per immagini” sviluppatasi nella Chiesa per un millennio e mezzo e oggi a rischio di deperire.
Perché tra arte cristiana, teologia, liturgia, il nesso è inscindibile. Come la resurrezione e la croce sono al principio della composizione dei Vangeli e del Nuovo Testamento, e come la Pasqua è al principio dell’intero anno liturgico, così il Risorto e il Crocifisso sono al principio dell’arte cristiana.
Massimo Naro, nel presentare il libro di Verdon, ha detto d’aver capito la “principialità della resurrezione per l’arte cristiana” proprio osservando i mosaici della cattedrale di Monreale di cui suo fratello fu vescovo. E l’ha spiegato così:
“Me ne sono convinto da quando ho visto, al vertice dell’arco dirimpetto al grande catino absidale in cui campeggia il Cristo Pantocratore, la raffigurazione a mosaico del Mandylion, messo in simmetrica corrispondenza con il volto del Pantocratore, quasi a dire che lo splendido e glorioso Pantocratore è lo sviluppo di un ‘negativo’ del volto del Crocifisso.
“Il Mandylion, secondo antiche leggende risalenti ai secc. VIII e IX, fu un telo su cui rimase impresso il volto di Gesù, insanguinato dalle percosse inflittegli durante la sua passione.
“Secondo alcuni il Mandylion fu il fazzoletto che la Veronica gli passò sul viso lungo la strada del Calvario (cfr. Luca 23,27-28).
“Secondo altri fu il sudario trovato da Pietro dentro il sepolcro ormai vuoto, al mattino di Pasqua (cfr. Giovanni 20,7).
“In questo caso si sarebbe trattato di un’immagine di Gesù ‘non fatta da mani d’uomo’ ma per intervento divino: l’impronta sul sudario del volto del Crocifisso, che nella luce pasquale si rialza come il Risorto.
“Quest’immagine di luce è dunque, secondo la leggenda del Mandylion, la vera icona di Cristo, l’archetipo di ogni immagine e di ogni produzione artistica cristiana.
“In questa prospettiva, è la luce della resurrezione che rende raffigurabile il Crocifisso del Golgota e, in Lui, Dio stesso. Solo alla luce della resurrezione Colui che era stato violentemente privato di ogni sembianza umana rimane per sempre come la vera e unica immagine di Dio.
“È in questo senso che la resurrezione sta all’inizio dell’iconografia e dell’arte cristiane. Ogni produzione iconografica peculiarmente cristiana non può perciò prescindere dall’evento capitale che ha trasformato la creazione e ha redento la storia”.
Il presente Lezionario Illustrato è dedicato all’Anno A del ciclo liturgico e vuole rinverdire questo storico rapporto tra parole ed immagini. L’autore commenta i testi biblici di tutte le domeniche di diversi tempi liturgici (Avvento, Natale, Quaresima, Triduo Pasquale, Pasqua e Tempo Ordinario) e le feste e solennità facendo precedere al testo scritto una tavola a colori che riproduce un’opera d’arte che diviene essa stessa commento ai testi. Inoltre, all’inizio di ogni tempo liturgico, viene proposta una introduzione che iuta il lettore a comprendere il mistero dell’anno liturgico.
Timothy Verdon, statunitense, è lo studioso di arte sacra più conosciuto nel nostro Paese. Sacerdote, vive da molti anni a Firenze. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Maria nell’arte europea (Electa, 2004), Vedere il mistero (Mondadori, 2003), Arte sacra in Italia (Mondadori, 2001). Per San Paolo ha pubblicato L’arte cristiana in Italia. Tre volumi (I. Origini e Medioevo, 2006; II. Rinascimento, 2006; III. Età Moderna, 2007).
La Bellezza nella Parola, Timothy Verdon, Euro 43,00
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