“E nessuno lo sappia….”.Per un ricordo di Padre Calcedonio Ognibene.

locandina
Copertina (4)
Don Ognibene (2)

La settimana santa a Vallelunga Pratameno(CL).

SONY DSC
SONY DSC
SONY DSC
SONY DSC
SONY DSC
SONY DSC
SONY DSC
SONY DSC
IMG_3118
2007_3

Vallelunga Pratameno è un piccolo paese a vocazione agricola, come dimostra il suo stemma civico con due grappoli di uva, bianca nel primo e nera nell’altro, fra bionde spighe di grano. I Vallelunghesi sono stati sempre gente laboriosa e onesta. Ancorata ai veri valori della vita, al rispetto della famiglia, delle donne, dei bambini e degli anziani.

Le sue origini affondano le radici tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento e fanno parte di quelle manifestazioni che subirono nuovi impulsi dopo il Concilio di Trento (1545-1563), che con la Controriforma avviò un rafforzamento dei principi religiosi intorno alla rivitalizzazione dei riti della tradizione cattolica.
L’identità civile è coincisa, per secoli, con quella religiosa i cui valori di riferimento affondano le loro radici nel crisitianesimo-cattolico. Infatti i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio culturale e artisitico, oltre che religioso, del popolo italiano. Cosicché la fede dei Valleunghesi è rimasta saldamente ancorata, sino ad oggi, nella tradizione cattolica. Nonostante l’imperversare del fenomeno della secolarizzazione e, ad oggi, di quello del relativismo etico-culturale, che mina alle radici le identità delle nostre comunità, quella vallelunghese ha conservato intatta la sua di identità, civile e religiosa, che si esprime ogni anno anche con determinati avvenimenti religiosi, il cui compito principale, dal punto di vista sociologico, è di cementare la comunità vallelunghese. Uno di questi momenti fondamentali è la Settimana Santa.
In Sicilia, come scrive G. Cammareri, di simani santi ce ne sono davvero tante. “Se ne possono incontrare di meste, chiassose, nevrotiche, follemente amate e disprezzate, profumate dal vino che lava le notti e dall’acre odore dei ceri che le sporca dolcemente, profumate da tanti fiori e illuminate da tantissime luci. Simani gonfiate con l’elio dei palloncini, fatte di mille macchine fotografiche al collo, di bambini vestiti da angioletti e di mamme che li accompagnano, di vecchietti piangenti ai balconi al passaggio di Cristi e Madonne…. Croci, pennacchi, spade attaccate alla vita da centurioni più o meno baffuti e ancora il gesto per un altro e un altro ancora “clic” di quelle mille macchine fotografiche il cui piccolo rumore annega, miseramente, in un mare di note scandite da suonatori infiocchettati nella divisa di questa o quella banda”.
I riti liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa vallelunghese servono a tramandare quella che gli israeliti chiamarono Pesach, che significa passaggio. Dal “passare oltre” della tradizione biblica dell’A.T., che testimonia la mano potente di Dio-salvatore, nella notte tra il 14 e il 15 del mese di Abib, quella dell’uccisione dei primogeniti, risparmiò i bambini ebrei, al “passare oltre” di Cristo dalla morte alla resurrezione.
La Pasqua cristiana se, da un lato, integra quella ebraica, dall’altro le si contrappone divenendo, dal II secolo D.C., a più solenne delle feste cristiane e divenendo il fulcro dell’anno liturgico nella storia della Chiesa.
Questo mio modesto contributo vuole essere un momento di riflessione sulla Settimana Santa e sulla Pasqua a Vallelunga, perché, spero, avvenga, nei miei cinque lettori, anche una comprensione del passato e del presente, della storia civile e religiosa della nostra comunità. Infatti tutti noi abbiamo bisogno di coglierci come uomini del presente ma fortemente legati al nostro passato per seppellirlo, come dice lo storico francese De Certò. Per vivere il presente è necessario seppellire il passato non nel senso di obliarlo, di oscurarlo o, peggio ancora, di cancellarlo, ma di metabolizzarlo.
Questo mio contributo, per citare una espressione del predetto storico francese, è un voler “seppellire” il nostro passato, cioè un riconoscerci nel nostro presente come dipendenti e, nello stesso tempo, ormai distanti da un passato che è inevitabilmente tramontato. Un passato che, pur essendo già tramontato, ha lasciato, però, una eredità civile e religiosa fondamentale, consentendo a tutti noi di coglierci come presente, legati al passato e proiettati al futuro.
In questo contesto,come quello attuale, che non vede più una coincidenza tra la comunità civile e quella ecclesiale, si sente il bisogno di cogliere sempre meglio la propria identità, civile e religiosa,cioè le nostre radici,come antidoto ad ogni forma di relativismo culturale ed etico che distrugge ogni identità anche di natura locale.
Possiamo sostenere, grazie anche al supporto del contributo fotografico,che la Settimana Santa,a Vallelunga è un momento nel quale la nostra comunità pone in essere oltre che una identità cattolica forte anche una forte identificazione.
I riti extraliturgici della Settimana Santa, non vanno considerati come momenti staccati, o addirittura opposti, rispetto alle celebrazioni liturgiche. La testimonianza di tutto ciò è data proprio da ciò che avviene,ogni anno, durante il triduo pasquale anche a Vallelunga.
Tutti noi siamo inseriti in una “traditio” composta da valori civili,sociali,familiari e religiosi, mediati e trasmessi dall’importantissimo processo educativo, connotandoci, appunto, come “civis” e, per chi crede,come credenti.
Lo stesso identico meccanismo avviene per l’esperienza religiosa,quando si entra a far parte di una determinata religione si entra in un solco già tracciato da altri, si entra in una “traditio fidei” con la quale si sono tramandate, di generazione in generazione, le grandi verità di fede credute,celebrate e vissute da una determinata religione,soprattutto se essa ha un fondamento storico,una forte dimensione salvifica e una finalità escatologica, come appunto è l’intero messaggio del cristianesimo.
Il cristianesimo,infatti, ha tutte e tre queste caratteristiche ed ha una sua specificità,che altre religioni non hanno:la fede in Dio fattosi Uomo.
I fatti e le vicende storiche della prima Settimana Santa, documentate minuziosamente dai Vangeli e dal Nuovo Testamento, non si ripeteranno mai più, dal punto di vista della loro storicità ma continuano a ripetersi,da duemila anni circa, dal punto di vista del Mistero Salvifico.
Che cos’è il mistero salvifico?La presenza di Dio-Salvatore nella storia degli uomini, cosicchè ogni anno, durante i riti liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa, viene data al credente la possibilità di partecipare al mistero di salvezza,in chiave liturgico- sacramentale- mistagogica, e di ottenere questa salvezza nell’oggi della storia attraverso la presenza della comunità credente,la Chiesa,cioè la comunità di tutti i battezzati che credono in Gesù-Cristo sofferente,morto e risorto,che continua nella storia la celebrazione del Mistero pasquale.
Nel contemplare le foto , che hanno “immortalato” alcuni momenti di alcuni riti extraliturgici della Settimana Santa a Vallelunga, non si può prescindere da quanto detto fin ora. La Settimana Santa,cioè, è espressione della l’inculturazione della fede cattolica nelle nostre popolazioni. L’inculturazione è l’incontro tra la fede annunciata nei secoli e il recepimento della stessa da parte del popolo credente.
Essa,come scrive V.Sorce, “ha una forte valenza teologica fondata sugli eventi dell’Incarnazione e della Chiesa locale”, e si inserisce in un solco già dato,si inserisce nella cattolicità e all’interno di essa ,attraverso la “traditio fidei”,cioè,appunto, il tramandare la fede, si ricollega, attraverso il ricordo liturgico, ai fatti storici della prima Settimana Santa e della prima Pasqua.
Potremmo dire che la Settimana Santa,a Vallelunga è la stessa,per esempio, di quella di altri comuni presenti in altre regioni d’Italia?Assolutamente no. In che senso c’è diversità?Non nella sostanza dell’Evento e della celebrazione dello stesso, ma nelle modalità di recezione del messaggio del cristianesimo e nel modo con cui ogni comunità credente ha vissuto e vive, nell’oggi della storia, il mistero salvifico di Gesù-Cristo morto e risorto. Tutto ciò si chiama inculturazione della fede.
La Settimana Santa, in Sicilia, è il frutto di una duplice tradizione:
la prima legata alle sviluppo della inculturazione della fede in Sicilia: per cui è possibile parlare di una sorta di “Cristo Siciliano”.
–la seconda legata alla sviluppo del cattolicesimo in questo territorio che ha fatto propri gli influssi derivanti: dal concilio di Trento e dall’influsso bizantino e spagnolo.
In che senso si può parlare,allora, di un Cristo “siciliano”?
Nella cultura e nella pietà popolare siciliana esiste una interpretazione e un vissuto della figura di Gesù-Cristo che è caratterizzata da tratti propri. L’aggettivo “siciliano” ci dice qualcosa di culturalmente significativo,cioè a dire la cultura siciliana ha “segnato” la figura del Cristo con alcuni suoi tratti specifici. Questo “Cristo siciliano” sarebbe in opposizione a quello della predicazione ufficiale della Chiesa, dei dogmi e della liturgia?Addirittura lo si potrebbe considerare un Cristo fuori dalla Chiesa cattolica o,addirittura, contro di essa?Un “Evangelium extra ecclesiam?”
Secondo le tesi di alcuni studiosi il “Cristo siciliano” potrebbe benissimo essere considerato il Cristo delle classi deboli e oppresse o, come dice Gramsci, delle classi popolari che sono “strumentali e subalterne”. Molti studiosi,di indirizzo marxista, infatti, sostengono che la religiosità popolare ,che trova il proprio culmine nei riti della Settimana Santa, sarebbe l’espressione di un cristianesimo vissuto fuori dalla Chiesa e di un “Cristo-popolare” oggetto di un conflitto esistente, di fatto, tra la gerarchia cattolica e il popolo credente.
Stanno davvero così le cose? La risposta negativa si evince, meravigliosamente, da ciò che avviene ogni anno a Vallelunga che ci aiuta a cogliere il fatto che la pietà popolare,quella legata,anche, ai riti della Settimana Santa e della Pasqua, in Sicilia, ha un’anima teologica;cioè l’humsus,il terreno in cui essa affonda le radici è costituito dalle grandi verità proprie del cattolicesimo credute,comprese (attraverso un cammino di “intellectus fidei”),celebrate e vissute.
Non c’è,dunque, nessun conflitto tra la Chiesa “gerarchica” e il popolo credente, per il semplice motivo che anche la gerarchia cattolica partecipa ai riti extraliturgici della Settimana Santa.
Dove sta allora l’equivoco?proprio nel significato che si dà al termine “pietà popolare” intesa non come esperienza di fede del popolo credente ma come momento di opposizione delle classi subalterne alle classi colte e,soprattutto,alla religione “ufficiale”. Dunque una lettura sociologica e non teologica del fenomeno.
Quali sono,allora, le caratteristiche del “Cristo siciliano”in relazione agli eventi della Settimana Santa e della Pasqua?
Il siciliano è uno che vuole vedere e toccare,è fondamentale per il siciliano la RES,la cosa,(pensiamo alla tematica verghiana della roba) e tutto ciò perché il siciliano ha alle sue spalle una esperienza storica tragica, poichè ha visto decine e decine di colonizzatori venire nell’isola e, spesso, maltrattare il popolo. Tutto ciò lo ha spinto a proiettare questa sofferenza, accumulata nei secoli, nell’attaccamento alla res,spesso anche con modalità eccessive e devianti, come si configura il fenomeno mafioso. Come se la “materialità” delle cose lo salvasse dall’insicurezza e dalla sofferenza accumulate nei secoli.
Questa mentalità della Res,nel senso migliore del termine , cioè cosa vissuta,esperienza fatta, viene applicata anche nel vissuto religioso del siciliano. In questa cementificazione di quotidianità sofferta,la Sicilia celebra la cultura della sofferenza e in tutti i paesi dell’isola la Settimana Santa costituisce l’approdo di un modello irrepetibile verace,insostituibile salvataggio. Il Siciliano trova, negli eventi,liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa, la teologia della kènosis,ossia il fatto che Dio non ha disdegnato di farsi Uomo e di assumere su di se’ tutta la sofferenza,fisica e morale,del genere umano.
Infatti in Sicilia è forte la concentrazione sul “Corpo di Cristo”. L’attenzione,la contemplazione del corpo di Cristo va dal Gesù-Bambino a tutta la vicenda della passione-morte-resurrezione, con particolare attenzione al corpo di Cristo deposto dalla croce e sepolto.
Il corpo di Gesù-Cristo non è mai solo, ma viene associato a quello della madre,dalla culla alla tomba. E’ l’insieme dei due corpi che costituisce il cuore della Pietas proprio del Venerdì Santo,al punto tale che in alcune circostanze i due simulacri si fondono quasi a divenire una sola cosa,cosicché il siciliano non concepisce il corpo di Gesù-Cristo se non associato a quello della madre. I due corpi vengono associati nel dolore del Venerdì Santo e nella gioia della Domenica di Pasqua, allorquando la Madre ritrova il figlio risorto:l’Incontro che si celebra in molti comuni dell’isola proprio la mattina di Pasqua.
Da che cosa scaturisce questa concentrazione sulla tematica del Corpo di Cristo?
Le origini sono lontane,bisogna risalire al 1700,secolo in cui si realizzarono in Sicilia,come sostiene lo storico Cataldo Naro,le istanze innovatrici del concilio di Trento,prima fra tutte la predicazione al popolo ad opera soprattutto degli ordini religiosi. Nacque, proprio dalla predicazione itinerante dei Cappuccini,dei Gesuiti e dei Redentoristi, l’attenzione al Corpo di Cristo.
Fu il francescanesimo ad introdurre la pietas verso Gesù Bambino(la creazione del primo presepe vivente,a Greccio,la notte di Natale del 1223, ad opera di Francesco D’Assisi),ripresa nel 1700 da sant’Alfonso de Liguori. I religiosi,grazie ai quaresimali,le 40 ore,i panegirici,gli esercizi spirituali,le missioni popolari,la creazione di tante confraternite, diffusero la pietas,cioè il rapporto tra il credente e “U Signori”,inteso, come Dio padre a volte (U Signori fici u munnu”), ma quasi sempre riferito a Cristo: “U signori murì pi nuatri poveri piccatura”.
Tutto ciò avvenne proprio nel 1700. Proprio il “secolo dei lumi” ci insegna una notevole vivacità, alimentata dalle pratiche di pietà sul mistero di Cristo semplice, povero e crocifisso e dalla necessità di garantirsi la salvezza che, sebbene eterna, deve essere sperimentata già nel quotidiano.
La pietà settecentesca è prevalentemente cristologia. Vanno ricordati, a tal proposito, i componimenti di Sant’Alfonso sul Natale e i crocifissi scolpiti da fra Umile da Petraia. Essa, in sostanza, è riportata agli eventi decisivi della storia della salvezza: l’incarnazione, la passione e la morte in croce, la devozione verso l’umanità di Gesù, vengono radicati nel popolo grazie a preghiere, canti, quadri devozionali.
Essenzialmente,dunque, gli influssi maggiori che hanno caratterizzato la Settimana Santa in Sicilia sono di duplice derivazione:
l’influsso bizantino,
con la nascita delle devozioni popolari e all’interno di esso il movimento francescano con la devozione verso Gesù bambino e, per il nostro tema, verso il Cristo sofferente e il tenero amore verso Maria Addolorata. Il periodo che va dal XIII al XV secolo vide la comparsa delle prime statue dei crocifissi che esprimono la sofferenza e la morte di Cristo.
Il devozionismo a partire proprio da questo periodo si è insinuato profondamente nella coscienza e nelle espressioni di fede dei credenti ponendo le premesse per il nascere e lo svilupparsi anche delle tradizioni popolari siciliane della Settimana Santa.
L’influsso spagnolo,
il periodo che va dalla fine del XVI secolo fino al XVIII secolo. Il dominio degli spagnoli ha contribuito alla strutturazione definitiva dei riti della Settimana Santa in Sicilia.
Per il nostro discorso lo spagnolismo diede vita all’ anticipazione del cosidetto “Sepolcro”(tecnicamente Altare della reposizione) del Signore alla sera del giovedì santo. Risale, al XVI secolo, l’usanza di deporre nel sepolcro l’immagine del Cristo morto,esponendo sopra il sepolcro il SS. Sacramento nell’ostensorio coperto da un velo.
Nacque,così come documentato dal Plumari, l’identificazione dell’altare della reposizione con il Sepolcro. Infatti,sino ad oggi,nella coscienza popolare vi è una dissolvenza di significati tra l’adorazione della “presenza reale-ostia”conservata nel tabernacolo-custodia e del corpo-ostia del Signore conservato nel tabernacolo-sepolcro.
I riti liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa trovano il loro culmine nel triduo pasquale in cui avviene un meraviglioso connubio tra liturgia e pietà popolare.
La pietà polare,come scrive Vincenzo Sorce,accentua di più l’immagine, la liturgia, il segno.
Continua il Sorce, è lo stesso popolo,il popolo di Dio,che vive lo stesso mistero e lo esprime con linguaggi diversi.
Nella pietà popolare,l’uomo di Sicilia,in modo particolare nella Settimana Santa,vive ed esprime la partecipazione alla passione ,morte e resurrezione di Cristo,con la totalità della sua struttura antropologica,che è simbolista,fortemente sensoriale:vivendo la dimensione della festività e della tragicità.
Attraverso le foto si coglie “un popolo che esce dalla solitudine,vive la comunione. Dando spazio ai suoi sentimenti,alle sue emozioni,con la totalità del linguaggio corporeo,la gestualità,il canto,gli aromi,i colori,il pianto,il grido”.
L’uomo di Sicilia si rimette in marcia. Si libera dal pianto,grida il suo dolore,la sua angoscia,la sua paura davanti alla morte. Si identifica con l’uomo dei dolori ,appeso alla croce.Da spazio ai suoi sentimenti,piange. Prende contatto con i suoi vissuti,li esprime,li condivide,li grida,li urla. Psicoterapia e salvezza radicale s’incrociano nel Crocifisso,l’uomo dei dolori,l’uomo ferito e la risposta di Dio”.
Il Giovedì Santo,a Vallelunga, vede la creazione,ad opera dei confrati delle tre Confraternite esistenti in paese,(quella del SS.Sacramento,della Madonna del Rosario e di Maria SS. Addolorata) ,nei rispettivi oratori,delle cosiddette CENE. Una creazione che si ripete da decenni e che ha ereditato la tradizione dei “pupi di zucchero” tipica del palermitano.
Vengono create,da ogni confraternita, delle mense su cui vengono deposti 13 agnelli di zucchero di media grandezza,raffiguranti Cristo e i dodici apostoli che celebrano l’ultima cena, accompagnate da 13 pani da cena(dolce tipico pasquale Vallelunghese) insieme a 13 lattughe , cedri, arance e finocchi.
Al centro della tavola,troneggia una statua,sempre di zucchero opera di artigiani palermitani cui le confraternite si rivolgono ogni anno, raffigurante il Cristo Risorto,insieme al pane e al vino,simboli dell’Eucarestia. Ogni anno,per ogni confraternita, vengono sorteggiati 12 confrati tra quelli che hanno pagato l’annualità,ossia la quota associativa.
Quattro dei dodici sorteggiati,per ogni confraternita,vanno a svolgere il ruolo che fù dei 12 apostoli nella messa vespertina “In Cena Domini”,nella quale si ricorda l’istituzione dell’Eucarestia e la carità fraterna. Saranno i protagonisti della lavanda dei piedi. Alla fine della Messa, i dodoci confrati sorteggiati da ogni confraternita,unitamente agli altri confrati e alle loro famiglie ,si riuniscono presso la loro chiesa di riferimento e dopo aver contemplato la bellezza della Cena,ricevono in dono l’ Agnello di zucchero,un pane da cena,un cedro,una lattuga,un finocchio e un arancio che portano a casa. Ai confrati non sorteggiati viene dato un piccolo agnello di zucchero. La sera del giovedì santo si conclude con la visita all’unico “Sepolcro”creato nella cappella del SS.Sacramento della Chiesa madre .L’adorazione eucaristica si protrae sino alla mezzanotte.Chiusa la chiesa avviene,notte tempo,la spogliazione del sepolcro e la preparazione del simulacro del Cristo morto.
Il Venerdì Santo, nella pietà popolare siciliana, emerge il culto della passione e morte di Gesù nella quale la nostra gente si immedesima in partecipazione comunitaria. Ha scritto a tal proposito il Prof. Basilio Randazzo che «la vera pietà di una volta all’anno, raccolta in tutto un anno, si comunica nel dolore della settimana santa, e in particolar modo il venerdì santo si celebra il «Tutto di Tutti», cioè il mistero della Passione, come «prototipo teologicamente unitario con uno stile culturalmente conforme ma con un atteggiamento che varia da comunità a comunità».
Nella pietà popolare del Venerdì Santo, scrive Angelo Plumari, l’uomo di Sicilia vive ed esprime la partecipazione alla passione, morte e resurrezione di Cristo con la totalità della sua struttura antropologica, cosicché un popolo esce dalla solitudine, vive la comunione dando spazio ai suoi sentimenti alle sue emozioni con la totalità del linguaggio corporeo, con la gestualità, con il canto, i colori, il pianto, il grido.
Il venerdì santo è emblematico e paradigmatico come i siciliani si ritrovino e si identifichino nel dolore del Cristo morto, stando muti davanti alla bara, e in quello dell’Addolorata, dinnanzi ai quali sentono che il dolore umano, il loro dolore è stato assunto da Dio.
Durante le processioni del Venerdì santo,il popolo che partecipa “esplode con il linguaggio dei segni:piedi scalzi,canti lancinanti,incensi che bruciano,fiaccole accese,
silenzio pieno di mistero,intensa commozione,profonda meditazione. Si ricompongono celebrazione,gestualità,simbolismo,sensorialità. E’il trionfo dell’opera mistagogica”.
Inoltre la mistagogia dei simboli del Venerdì Santo è estremamente interessante oltre che variegata:la presenza delle confraternite incappucciate o a volto coperto,indacano,secondo B.Randazzo,la perdita di personalità o la comunione nel dolore; Il passo professionale a due passi avanti e uno indietro,ansia di sofferenza,i cilii o candele accese,l’umanità;
la fiamma,la purificazione e la luce della Resurrezione; le marce funebri,l’accentuazione sensibilizzata di stati d’animo in pianto del peccato di Deicidio.
Tutto ciò comunica il fatto che “l’uomo siciliano è celebrante simbolista”. Il Venerdì santo inizia con la visita ai sepolcri, poco conosciuti come altari della reposizione, poiché si continua ad identificare, così come sostiene il Plumari, l’altare della reposizione con il sepolcro del Signore creando, nella coscienza popolare, una identificazione di significati tra l’adorazione della presenza reale-ostia e il corpo-ostia, per cui il tabernacolo è, allo stesso tempo, sepolcro.
I riti extraliturgici del venerdì santo si svolgono secondo quattro tipologie presenti nell’Isola:
1.le processioni funebri del Cristo morto accompagnato dalla Madre addolorata;
2.la processione dei misteri;
3.le processioni in cui si compie la mimesi cronologica degli eventi della passione;
4.la processione del solo Crocifisso
Anche a Vallulunga i riti si svolgono secondo la prima e la terza tipologia: a mezzogiorno si porta il Cristo al calvario,che si trova all’uscita del paese in direzione per Palermo, lo si crocifigge, la sera lo si va a riprendere,lo si mette dentro l’urna e lo si porta,in processione, presso l’oratorio del SS.Sacramento,sito in piazza, seguito dalla Madre addolorata.
In molti comuni dell’isola, tra cui Vallelunga, nella mattina del Venerdì Santo si ripete uno dei riti più antichi e più suggestivi della Settimana Santa in Sicilia. L’effige del Cristo morto viene deposto su un tavolo coperto di drappi rossi e i fedeli si recano presso la Chiesa madre, la Chiesa intitolata alle Anime Sante del purgatorio e la Chiesa del SS. Crocifisso, toccando e baciando la statua del Cristo morto, con una preghiera corale:
Pietà e misericordia Signuri.
Un via vai di persone, in assoluto silenzio e con grande fede e devozione, si nota per le strade di Vallelunga sin dalle prime ore dell’alba. Questo gesto di pietà dura tutta la mattinata e si conclude a mezzogiorno del Venerdì Santo. Nel pomeriggio si svolge la celebrazione liturgica della commemorazione della morte del Signore.
La preparazione dell’urna dove la sera verrà deposto il simulacro del Cristo morto avviene ad opera dei confrati del SS.Sacramento,mentre la vara dell’Addolorata ad opera dell’omonima confraternita che ha sede presso la chiesa del SS.Crocifisso. Alla processione serale,vi partecipa un grandissimo numero di fedeli,con in testa il clero locale e i confrati vestiti con i loro abitini tradizionali. La banda musicale suona marce funebri. Arrivati in piazza,un predicatore rivolge un sermone penitenziale al popolo.
Il Sabato santo,tutta la comunità credente si prepara alla celebrazione della solenne Veglia Pasquale.

Il ministero presbiterale di Cataldo Naro.

A cura del Prof.Francesco Lo Manto docente di storia della chiesa presso la Facoltà Teologica di Sicilia “S.Giovanni Evangelista”Palermo.
estratto Cataldo Naro Lomanto

LO SGUARDO DELL’AQUILA.Elementi biografici di Cataldo Naro Arcivescovo di Monreale.

naro porcasi

PresFirenzeBiografiaNaro

Sorprendersi dell’Uomo.Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura.

naro_copertina [al vivo] (1)

Don Massimo Naro,giovane teologo della chiesa nissena,direttore del Centro Studi “A.Cammarata” di San Cataldo e docente presso la Facoltà Teologica di Sicilia di Palermo,si propone con un nuovo ed interessante lavoro dal titolo:”Sorprendersi dell’Uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura”,edito dalla Cittadella editrice. I saggi raccolti in questo nuovo volume si propongono di attenzionare,in chiave teologica e ateologica,le domande radicali della letteratura contemporanea in relazione al senso dell’esistenza umana. Il libro raduna saggi dedicati a poeti e narratori che hanno cercato delle risposte alle cosi dette domande radicali. Nella presentazione al testo il Prof.Giulio Ferroni, docente alla Sapienza di Roma,dice che la “radicalità di queste domande è data proprio dal loro essere semplici,dal loro chiamare in causa l’esperienza di tutti quelli che vivono”.Interrogativi semplici, ma al contempo ultimativi, che vertono su questioni forti quali il perché “del vivere e del morire,sulla sete umana di verità e di giustizia,sulla meschine debolezze del potere,sul confronto tra Dio e il dolore innocente,sulla destinazione ultima e vera dell’uomo”.La tesi di fondo sostenuta dall’Autore è la seguente:”la letteratura,sia quella che parteggia per Dio sia quella che grida contro Dio,la letteratura esplicitamente religiosa ma anche quella ateologica,mostra di non poter rimanere senza Dio. Diventa, insomma, un discorso in cui Dio non è nominato esplicitamente e però rimane altrimenti invocato. Così la letteratura e le sue parole rinviano ad un orizzonte-altro, a cui l’uomo non può smettere di anelare”.Per dimostrare ciò,Naro interpella autori noti e meno noti della letteratura dell’otto-novecento che possono essere iscritti,a vario titolo,in ciò che l’autore definisce letteratura “meridiana”:ossia ciò che altrove è stato fatto da filosofi,soprattutto in Sicilia,è stato fatto da letterati.La lettura che Divo Barsotti fa di Leopardi  e quest’ultimo come testimone  della crisi spirituale moderna. La natura poetica della verità,ossia le questioni radicali nella scrittura letteraria dell’inglese John Henry Newman, probabilmente la vetta assoluta del pensiero cattolico post rivoluzione francese. Nato anglicano e convertitosi al cattolicesimo sino a diventare cardinale,Newman è un singolare miscuglio di teologia e letteratura. Per l’autore inglese,Don Massimo parla di autentica “poesia del pensiero” capace di esprimere nelle sue opere “un orizzonte misterioso sorprendentemente presagito oltre che acutamente interpretato,suggestivamente immaginato,ma anche lucidamente interpretato”.A fare da apri pista per gli autori siciliani è Pirandello con le sue  lanterninosofie,facendo reagire le dichiarazioni di fede dello scrittore isolano (“sento e penso Dio in tutto ciò che penso e sento”)con il suo pensiero scettico o di conclamato agnosticismo,lambendo in certi casi l’azzeramento di ogni fede. Prosegue con la  scrittrice, mistica palermitana, Angelina Lanza Damiani,prendendo in considerazione “la terza interpretazione della vita”.Le tematiche della tanatofilia e della tanatofobia,per dirla con Bufalino, attraversano il pensiero poetico siciliano e l’opera dello scrittore ateologo  Sebastiano Addamo e la verità insultante di Pippo Fava,ucciso da Cosa Nostra. L’Italia umile di Carlo Levi  e la poetica profetica di Mario Pomilio. Le domande radicali non si limitano alla sfera esistenziale e religiosa ma sfidano la stessa modernità facendo i conti con il “disinganno cosmico e religioso”,scrive Naro,che l’epoca moderna impone con prepotenza. Due interessanti capitoli conclusivi sono dedicati alla Bibbia come codice della cultura occidentale  e alla Bibbia musiva presente nei mosaici del duomo di Monreale riletta dal poeta Davide Maria Turoldo e dal teologo Romano Guardini.Scrive Naro “Per Turoldo il duomo di Monreale è un «Eden dell’Arte» e i suoi mosaici sono un «mirabile tesoro» che il popolo di Sicilia ha la responsabilità di «custodire» in forza di una vocazione consegnatagli attraverso una storia ormai plurisecolare e nonostante le ombre negative che smorzano lo splendore di questa stessa lunga e grandiosa storia. Si tratta certamente di una vocazione culturale. Ma non solo: il popolo di cui parla il poeta ha, in questi versi, un profilo ecclesiale e perciò la sua vocazione ha anche una ineliminabile qualità cristiana, dipendente proprio dal suo rapporto con il duomo e, nel duomo, con la Parola di Dio che riecheggia figurativamente nei mosaici. La «grazia» e la «virtù» di questo popolo, la sua nobiltà regale più forte di ogni pur suo infamante «crimine», consistono nel suo stare dentro la reggia – che è appunto la basilica costruita nel XII secolo da re Guglielmo II – e nel leggere, dentro la reggia, dentro la basilica, «le storie di Dio» che vi sono raffigurate su uno sfondo immenso di «pietruzze d’oro».

Guardini,scrive Naro, giunse a Monreale nel pomeriggio del giovedì santo del 1929, mentre vi si stava svolgendo la celebrazione liturgica in coena Domini, e vi ritornò il sabato santo, per la messa pasquale. E perciò ebbe la provvidenziale opportunità di vederne lo splendore artistico non nella sua immobilità e intangibilità museale – come di solito accade al turista che vi si reca semplicemente come tale – bensì rivitalizzato dall’azione liturgica alla quale, sin dalla sua costruzione, era stato destinato. Guardini, dunque, non si limitò a visitare il duomo di Monreale. Più radicalmente: lo visse, ne fece esperienza. Percependolo non come cornice materiale ma come parte integrante di un mistero vivente, in cui – per il suo carattere metastorico – ugualmente sono coinvolti gli uomini di oggi insieme a quelli che li hanno preceduti ieri e che hanno loro tramandato il testimone della fede. I profeti biblici e i santi raffigurati negli immensi mosaici monrealesi sembrarono animarsi agli occhi di Guardini, risvegliati dal fruscio dei paramenti sacri e dai canti dell’assemblea, coinvolti nei ritmi della celebrazione, aggregati alla preghiera del vescovo e dei suoi assistenti. Ma, soprattutto, interpellati dallo sguardo dei fedeli, sguardo di contemplazione attraverso cui il mistero si lasciava raggiungere e si rendeva di nuovo presente. Ciò che colpì maggiormente Guardini, secondo la sua stessa testimonianza, fu appunto lo sguardo orante della gente riunita dentro il duomo. «Tutti vivevano nello sguardo» (Alle lebten im Blick), tutti erano protesi a contemplare, scrive affascinato Guardini, intuendo il valore metafisico di quel contemplare: quegli uomini e quelle donne, vivono – più assolutamente: sono – in quanto guardano, vivono e sono perché spalancano i loro occhi sul mistero.

Infine,l’immagine messa in copertina è tratta da una rivista tedesca, negli anni trenta, i terribili anni del nazismo, diretta da Romano Guardini (la rivista si intitolava “Die Schildgenossen”, che significa “gli scudieri”, i portatori di scudo…). L’immagine fu disegnata da Desiderius Lenz, e vuole indicare il modello dell’uomo nuovo, secondo una visione cristianamente ispirata, che la rivista si proponeva di propugnare tra i suoi lettori, docenti e studenti universitari anti-nazisti. Difatti il titolo dell’immagine è “Kanon des menschlichen Kopfes” (Canone del Capo umano, o del Volto umano).

M.Naro,Sorprendersi dell’Uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura,Cittadella Editrice,pp.392,euro 22,80.

Sul crinale del mondo moderno:cristianesimo e politica.

Sul crinale del mondo moderno.Scritti brevi su cristianesimo e politica.

Lo spazio dei fratelli.

invito_spazio dei fratelli

In memoria di Mons.Cataldo Naro….

dsc06303

MONS.CATALDO NARO

N.il 6-01-1953 a San Cataldo

M.il 29-09-2006 a Monreale.

“….Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno…..”

(Giovanni Falcone)

Foto sito 1

BannerSanMichele

InvitoSanMichele

MARTEDI’ 29 SETTEMBRE 2009,MESSA DI SUFFRAGIO

PRESSO LA CHIESA MADRE DI SAN CATALDO(CL),ORE 17.

TU,CARO ALDO,NON SEI “SCOMPARSO”…….!

Resistenza alla mafia….

Roma 5

TAVOLA ROTONDA SU SANTITA’ E LEGALITA’

 Roma

Il 15 maggio scorso,a Roma presso l’istituto “Luigi Sturzo”,si è svolta una tavola rotonda sul tema :”Resistenza alla mafia:corcevia di Santità e Legalità”,in memoria del compianto Arcivescovo di Monreale Mons.Cataldo Naro di venerata memoria.Mons.Naro volle,per la sua diocesi, il progetto denominato “Santità e Legalità”,ossia una resistenza cristiana alla mafia.L’idea di fondo del progetto era quella che la Mafia va combattuta anche con la logica evangelica e,soprattutto,con la santità della vita dei credenti.Mons.Naro era convinto che bisognava elaborare un discorso contro la mafia,ma a partire dalle categorie proprie del cristianesimo.Dire,dunque,parole cristiane contro la mafia,unitamente a quelle espresse dalla società civile attraverso il concetto di legalità.

Riportiamo di seguito una breve sintesi degli intervenuti al convegno.

 Roma 1

On.LEULUCA ORALNDO

 Dopo aver ricordato con affetto Mons.Naro dicendo quanto fosse legato a Lui,anche da alcune ricorrenze familiari che potrebbero sembrare delle pure coincidenze,ma che invece sono legate ad alcuni momenti della vita di Mons.Naro,ha affermato che non bisogna  perdere di vista l’aspetto etico-religioso-morale e che due sono gli aspetti con cui si può combattere la mafia:la LEGALITA’,ossia l’osservanza delle leggi per poter vivere ordinatamente e civilmente e,appunto, la SANTITA’  di vita dei credenti in Cristo,ossia l’incarnazione quotidiana ed esistenziale dei valori del Vangelo “sine glossa”. Orlando,ha ribadito,che,inizialmente, non riusciva a capire cosa c’entrasse la SANTITA’ contro il fenomeno mafioso.Grazie a Mons.Naro si è reso conto quanto fosse importante il cammino di santità attraverso lo specifico della missione della Chiesa:l’evangelizzazione. Roma 2

Sua Ecc.MONS. VINCENZO PAGLIA

 Ha ricordato come e quando la Chiesa ha iniziato a parlare apertamente di mafia.Prima con Ruffini,poi con Pappalardo,ma determinanti sono state le parole di Giovanni Paolo II ad Agrigento,perché per la prima volta si sono usate parole cristiane contro la mafia:pentimento,conversione,giudizio di Dio. Ha sottolineato come Mons.Naro sentiva la necessità,nell’esercizio del suo ministero episcopale,di creare un movimento di resistenza alla mafia,un intreccio tra legalità e santità. Talmente grande era la considerazione che Mons.Naro aveva delle figure di santità che ha sentito il bisogno di creare una litania per invocare quelle della diocesi monrealese e non solo,affinchè ciò potesse servire per passare dal DEVOZIONALISMO  ai santi alla VOCAZIONE ALLA SANTITA’.Grande commozione ha colpito i presenti quando Mons.Paglia ha letto il testamento spirituale di Mons.Naro,concludendo,con grande nostalgia, e tristezza:”TROPPO PRESTO CI HA LASCIATI”.

PROF.SALVATORE SCORDAMAGLIA.

E’ intervenuto dicendo che la mafia bisogna combatterla con ogni mezzo lecito e purtroppo i mezzi che la società civile ha a disposizione non bastano. Poi,come affermava spesso Cataldo Naro, ha citato alcuni scritti del pastore protestante D.BONHOEFFER, tra cui RESISTENZA E RESA. Questo titolo Mons.Naro voleva che fosse interpretato così:Resistenza al male e Resa a Dio.

 Roma 3

DOTT.SALVATORE TAORMINA

Ha ricordato mons.Naro,la sua passione per Cristo e per la storia;il suo linguaggio cristiano e la sua definizione di  legalità :”UN MEZZO PER ESERCITARE LA GIUSTIZIA PER IL BENE COMUNE”.

Roma 4

Al termine degli interventi,alcuni partecipanti hanno preso la parola ricordando Mons.Naro sotto l’aspetto storico e sociologico,definendo la vicenda di Mons.Naro ESEMPALRE DI UNA LOGICA CRISTIANA DI VITA. Infatti Egli,durante il suo breve episcopato,ha dovuto lottare. Ha lottato,come attesta il suo testamento,contro ogni voglia di cambiamento,contro i tanti problemi irrisolti che ha trovato,ma soprattutto contro le tante incomprensioni e ostilità di alcuni personaggi che gli remavano,sistematicamente,contro, finchè ogni giorno si sentiva sentire meno. Nonostante ciò,non si è arreso,ha resistito perché capiva che Dio voleva da Lui questa resa,questa sua consegna a Lui attraverso il suo episcopato. Ha continuato traendo forza da quel crocifisso che portava al collo. Adesso vive in Dio,nella Gioia piena,ma continua a pregare per la Chiesa. Sta a noi,adesso,dare una risposta al suo sacrificio d’amore,ricordandolo,facendo passare,cioè,nel nostro cuore la sua meravigliosa persona,ma soprattutto i suoi insegnamenti e la sua testimonianza evangelica. Solamente così il suo sacrificio non sarà inutile.

IMG_0522

 

HA MODERATO IL DIBATTITO IL DOTT.GIANNI RIOTTA

Resistenza alla mafia:sulle orme di Mons.Cataldo Naro.

img_0529Layout 2

Settimana Santa 2009-Sicilia occidentale.

dsc00057Domenica delle Palme:Piana degli Albanesi-Pa.

dsc00141dsc00114dsc00101dsc00086dsc00060dsc00198

MERCOLEDI’ SANTO-REAL MAESTRANZA-CALTANISSETTA

dsc00304

dsc00298dsc00313dsc00314dsc00384dsc00407dsc00442dsc00470dsc00474dsc00555dsc00652dsc00643dsc00681dsc00685

GIOVEDI’ SANTO

LE CENE A:

VALLELUNGA PRATAMENO-CL

dsc00818

dsc00861

dsc00888

dsc00811

dsc00882dsc00830

VILLALBA-CL

dsc00738

dsc00739dsc00742dsc00756dsc00767

San Giuseppe 2009:altari,mense,tavolate…

VALLELUNGA PRATAMENO (CL)

Istituto San Pio X-Casa del Fanciullo

dsc00933dsc00976dsc00997dsc00936dsc00934dsc00942dsc00939dsc01040dsc01041dsc01042dsc01043dsc00963dsc01030dsc00984dsc00985dsc01032

TERRASINI (PA)

Abitazioni private

img_1840

 

img_1838img_1834img_1845img_1849img_1833img_1855img_18611img_1864img_1870img_1871

SAN CATALDO (CL)

dsc01108

Chiesa di San Giuseppe-San Cataldo.

Giorgio La Pira:spazi storici,frontiere evangeliche.

peri

42

Francesco Pignatone….

fp

fp1

Il Restauratore nomade….

Il Restauratore nomade amante di arte e gatti.

Felice Dell’Utri,nisseno, è il nuovo conservatore del Museo Diocesano di Caltanissetta,

museo-d

creato,nel tempo,da quella straordinaria personalità poliedrica, amante dell’arte sacra, che fu Mons. Giovanni Speciale. A tal proposito confronta i seguenti link:

https://maik07.wordpress.com/2008/09/14/il-museo-diocesano-di-caltanissetta/

https://maik07.wordpress.com/2009/01/04/nel-silenziola-memoriain-ricordo-di-monsgiovanni-speciale/

Felice Dell’Utri è stato allievo ed è collaboratore del Prof. Rosolino La Mattina. Con il Maestro La Mattina  ha lavorato,anche, per la stesura della loro ultima fatica artistico-letteraria, ossia il prezioso volume su Fra Innocenzo da Petralia. https://maik07.wordpress.com/.

Un profilo del Dell’Utri e del suo nuovo incarico è stato tracciato dal Dott. Salvatore Falzone.

Al Dott.Dell’Utri i migliori auguri dal Webmaster del blog Terra Mia,nisseno come Lui.

articolo-su-la-repubblica-di-salvatore-falzone1

Nel silenzio…la memoria.In Ricordo di Mons.Giovanni Speciale.

Nel silenzio… la memoria

 

pspeciale 

Introduzione

    Don Giovanni Speciale è stato uno dei sacerdoti diocesani che, incontrato il Padre don Divo mentre era Rettore del Seminario di Caltanissetta, seppe fare una felice sintesi tra la propria vita di prete diocesano e la proposta totalizzante della Comunità – cosa non facile, in verità. Quando conobbe il Padre, don Giovanni aveva meno di cinquant’anni: aveva molti impegni in Diocesi, e molte cose di cui occuparsi, ma anche piena maturità e freschezza: gli piacquero immediatamente la Comunità e il Padre, nel quale ritrovava le cose che anch’egli possedeva: cultura, amore alla Bellezza, spirito di preghiera. Aderì immediatamente, e si consacrò senza esitazioni, intuendo che avrebbe trovato nella Comunità quella sintesi, quell’equilibrio, quella visione di vita interiore che evidentemente cercava da tempo.
    Parlò di questa scoperta a giovani sacerdoti amici, e subito dopo la consacrazione invitò il Padre a Caltanissetta per farlo conoscere ad altri sacerdoti. II Padre andò, e altri sacerdoti entrarono in aspirantato: tra questi anche il giovane don Cataldo Naro, che sarebbe diventato poi Preside della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, poi Arcivescovo di Monreale.
    Proprio in quegli anni don Giovanni cominciò a pensare che forse la sua vita poteva addirittura essere con il Padre a Casa San Sergio a Firenze. Egli aveva un incarico di responsabilità e prestigio in Diocesi: era Rettore del Seminario, ed era inserito in tante altre attività diocesane… Ma il pensiero di Casa San Sergio e della vita del IV ramo cominciò a diventare un tarlo per lui. II Padre avrebbe desiderato il suo arrivo, ma trattandosi di un sacerdote diocesano, occorreva naturalmente il pieno consenso del Vescovo: avrebbe egli lasciato partire il suo Rettore?
    Conserviamo a Casa San Sergio alcune lettere, risalenti a quegli anni, in cui don Giovanni Speciale manifesta a don Divo tutto il suo combattimento interiore: vuole venire, non vuole, dubita, chiede al Padre preghiere… Quello che avvenne, alla fine, lo sappiamo: don Giovanni restò in Diocesi a Caltanissetta. Evidentemente il suo posto era lì, insieme al suo Vescovo e con la sua gente, anche se in seguito, di tanto in tanto, parlava con un certo rimpianto di questa scelta.
    Iniziò allora da quel momento un periodo di stretta collaborazione con il Padre sul campo della predicazione di esercizi spirituali e ritiri in Comunità. In quegli anni non c’erano i sacerdoti della vita comune, come oggi: il Padre si trovava solo a dover visitare le Famiglie e a tenere i corsi di esercizi spirituali estivi, tant’è vero che in quegli anni c’era un solo corso di esercizi spirituali durante l’anno. Ebbene, don Giovanni si mise di grande impegno a predicare in varie parti di Italia, e in Sicilia a tenere giornate di ritiro per la “Comunità dei figli di Dio”. Divenne anche consigliere e direttore spirituale di diversi consacrati della Sicilia Centrale. Tanti di noi hanno conosciuto don Speciale proprio in questa veste di predicatore di esercizi spirituali, e tutti possono testimoniare l’aderenza del suo pensiero a quello del Padre Fondatore, la linea di assoluta fedeltà alla Comunità. Don Divo non si fidava molto di altri sacerdoti che venissero a predicare in Comunità… sapeva che ognuno ha il proprio taglio, che può portare fuori anche senza cattiva volontà; ma di don Giovanni si fidava ciecamente, sapendo che il cuore di don Speciale era davvero tutto nella Comunità. Di lui si poteva fidare, e non sbagliava.
    L’ultima volta che ho visto don Giovanni Speciale fu nello scorso maggio, quando mi trovavo ad Alcamo, vicino a Trapani, per la visita alla Comunità locale. Mi avevano già avvisato che don Giovanni stava male e che stava peggiorando, e sentii il bisogno di andare a trovarlo non soltanto come singola persona, ma per ringraziarlo a nome di tutta la Comunità per il bene da lui profuso così gratuitamente e generosamente per tanti anni. Appena mi vide, si commosse. Mi disse ancora una volta tutto il suo affetto per la Comunità, per il Padre don Divo e, intuendo che quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro, volle quasi ripetere la sua consacrazione con me, come a confermare definitivamente e per sempre la sua appartenenza a questa Famiglia e il suo amore per la Comunità.
    I tre aspetti di don Giovanni Speciale come precursore della comunità sacerdotale e redattore di uno statuto per i sacerdoti; grande collaboratore del Padre negli anni in cui non vi erano sacerdoti, fino a pensare di andare a vivere con lui a Casa San Sergio; predicatore instancabile per tanti anni di corsi di esercizi spirituali e ritiri in Comunità, sono caratteristiche che fanno di don Giovanni Speciale una figura indimenticabile per la nostra storia e la nostra vita di Comunità.
    Voglio concludere questo mio ricordo con un’immagine di don Giovanni Speciale, che mi rimarrà impressa per sempre. Eravamo a Milano al convegno organizzato dal Centro San Fedele, nell’inverno di due anni fa; tre relatori: don Speciale, che doveva parlare del pensiero di don Divo Barsotti nella teologia del ‘900; padre Castelli, gesuita, cui era stato affidato il tema del rapporto del Padre con la letteratura; e il sottoscritto che aveva come tema la spiritualità di don Divo Barsotti.
    Don Speciale parlò per secondo, dopo di me. Mentre io avevo davanti a me qualche foglio con alcuni pensieri scritti, che mi servivano come traccia, don Giovanni invece parlò a memoria… Fin qui, niente di particolare; quello che invece mi sorprese, quasi da non voler credere, fu che egli citava a memoria e in maniera perfetta dei lunghi passi degli scritti del Padre: brani tratti dai diari, lunghe frasi… tutto a memoria! Io stesso se devo citare il Padre scrivo la frase e la leggo, ma don Speciale no: tutto a mente. Aveva tutto dentro, il pensiero del Padre che voleva citare era stampato dentro: egli non doveva fare altro che leggerlo nel cuore e ripeterlo con le labbra. Stupefacente!
    Tale era la conoscenza e l’amore che don Giovanni Speciale aveva per don Divo Barsotti e per la Comunità. Questo dobbiamo imparare da lui, perché questa è l’eredità più grande che ci lascia.

p. Serafino Tognetti

pspeciale