La cucina siciliana!

Nel corso della storia diverse sono state le civiltà che si sono succedute in questa grande e splendida isola: Elimi, Punici, Greci. Normanni, Romani, Arabi, Spagnoli s Francesi hanno lasciato importanti tracce del loro passaggio e la cucina siciliana così colorata, speziata e sfarzosa è strettamente collegata alla vicende storiche, culturali e religiose di tutti questi popoli.
Della civiltà greca rimangono soprattutto la cottura alla griglia, l’uso dell’origano, delle olive e l’ estensivo utilizzo di verdure quali la melanzana, regina della cucina siciliana. Gli Arabi erano un popolo di grandi agricoltori e introdussero in Sicilia la coltivazione della canna da zucchero, del riso e quella degli agrumi.
L’influenza araba si riscontra principalmente nella pasticceria, la cassata stessa,dolce tipico della Sicilia, deve il suo nome dal termine arabo “quas’at” (casseruola) che indica lo stampo di forma rotonda che si utilizza per prepararla. Anche il termine marzapane deriva dall’arabo “mauthaban”. La cultura gastronomica regionale della Sicilia è molto complessa e articolata, ricca di sapori antichissimi e di ineguagliabili profumi. In nessun luogo al mondo la cucina è mai stata cosi “povera ma ricca” nello stesso tempo. Poveri sono gli ingredienti che questa terra e il mare che la circonda offrono così generosamente e ricca invece la fantasia e la varietà. Una cucina, quella siciliana, che è sempre stata una vera tentazione per gli occhi e per il palato, capace di sedurre e soddisfare tutti i gusti dai più classici ai più stravaganti. Una cucina di volta in volta reinterpretata dai popoli che qui lasciavano qualcosa di loro e prendevano qualcosa di questa straordinaria terra.
Una terra che grazie ad uno splendido clima e ad un terreno ricco di minerali favorisce l’agricoltura fornendo prodotti con i quali è un piacere sbizzarrirsi in cucina. Parliamo dei saporitissimi agrumi di Ribera, delle nocciole di Piazza Armerina, dei fichi d’India dell’Etna, delle mandorle d’Avola, dei pistacchi di Bronte, delle lenticchie di Ustica, dei pomodori di Pachino, dei capperi di Pantelleria.
Uno spazio a parte va riservato alla coltivazione di olio e vino. Nell’ isola non c’è provincia da Selinunte alle pendici dell’Etna, dove non si produca olio che è la base della maggior parte dei condimenti, essendo la cucina siciliana quasi totalmente priva di grassi animali. L’olio siciliano è un olio molto ricco, denso, leggermente salato con un retrogusto amarognolo. In tempi recenti si è cominciato a produrre olio nell’isola di Pantelleria dove gli ulivi, della varietà “biancolella”, crescono fra le rocce laviche e danno un olio molto delicato e leggero con retrogusto di mandorla.
La vite è presente nella maggior parte del bacino del Mediterraneo sin dai tempi più remoti e la Sicilia grazie alla temperatura mite, alle colline, alla brezza di mare e al sole caldo risulta il territorio ideale dove farla crescere.
La tradizione vinicola siciliana affonda le sue radici sin dall’ epoca della colonizzazione dei greci che, arrivati a Naxos,(la greca Taormina) si occuparono con dedizione a questa coltura. In seguito grazie agli scambi commerciali dei Fenici, risaputi navigatori e mercanti, i vini siciliani vennero conosciuti in tutto il mondo. La vite in Sicilia fornisce uve per vini forti e densi molto apprezzati che sono il risultato di una produzione di alta qualità tanto che diversi vini siciliani hanno ottenuto la Denominazione d’ Origine Controllata e Garantita (DOCG). La produzione di vini siciliani con uve autoctone va dai secchi bianchi della zona di Alcamo, ai rossi dalla parte meridionale dell’ Isola ai vini tratti da uve passite e molto zuccherine quali il Passito di Lipari e il più famoso Marsala. Il Marsala è un vino molto pregiato conosciuto e apprezzato già nel 1800. Ha alle spalle una lunga storia che non l ha però preservato da un periodo di ombra in cui venne un po’ declassato. La zona di produzione di questo vino è racchiusa nella provincia di Trapani. Il gusto del Marsala può essere dolce liquoroso, semisecco o secco a seconda dell’ anno di invecchiamento e della lavorazione. Vini molto importanti e corposi sono quelli prodotti dalle aziende vinicole dell’area dell’ Etna che comprendono il Bianco, il Rosso e il Rosato. I vini nati sulle pendici del grande vulcano hanno la particolarità di essere ottenuti da uve ricche in nutrienti grazie al terreno lavico.
Altro vino rappresentativo siciliano è lo Zibibbo originario dell’ Egitto e diffuso in Italia grazie ai Romani, deve il suo nome al termine arabo “zibibb”, uva secca. E’ disponibile in versione vino Moscato e vino liquoroso.
Oggi i liquori e i rosoli, prodotti seguendo le “ricette della nonna”, sono stati riscoperti dopo un periodo in cui sono stati bistrattati in quanto considerati di poco valore. Sono stati recuperati i liquori di frutta come quello di agrumi, di menta, di susine, di fragole, il famoso nocino e il liquore al caffè. Seguendo antiche ricette dei monaci si producono amari centerbe o il celebre liquore all’ anice.
Non si può parlare di Sicilia senza pensare al profumo dei suoi agrumi. La loro coltivazione ha una storia importante, introdotta in Europa dall’ Oriente intorno al 1100, raggiunge il massimo livello in Sicilia nel XVIII-XIX secolo e dopo le due guerre quando si ebbe un aumento della disponibilità di acqua per l’irrigazione.
In passato il periodo della raccolta degli agrumi equivaleva ad un periodo di grande benessere per tutti, dai padroni che vedevano il risultato dei loro investimenti, ai lavoratori impegnati nella raccolta e nel trasporto dei frutti dorati. Dopo duecento anni gli splendidi e profumatissimi agrumeti siciliani continuano a fornire agrumi di ottima qualità quali clementine, mandarini, limoni, pompelmi, bergamotti e le inconfondibili arance nelle varietà Sanguinello, Ovale, Moro e le succosissime Tarocco.
Le caratteristiche nutritive degli agrumi li rendono uno degli alimenti principali per conservare una buona salute soprattutto per l’alto contenuto di vitamina C. In cucina gli agrumi trovano largo utilizzo, dai dolci per cui vengono usate le scorze candite, alle insalate fino a piatti più elaborati come la gelatina di mandarini o la crema di limoni senza contare che sono un ottimo condimento per piatti di carne e pesce.
Uno degli ingredienti principali della cucina siciliana è sicuramente il cappero cioè il bocciolo del fiore del cappero ancora chiuso. Cresce bene in terreni di origine vulcanica come nelle isole di Salina e Pantelleria. I capperi vengono lavorati e portati sul mercato sotto sale marino, in salamoia e sott’aceto.
Una grande importanza nella tradizione della cucina siciliana rivestono il pane e la pasta, un po’ bistrattati negli ultimi tempi per via delle diete, ma parte importantissima della maggior parte dei pasti di una volta dei quali spesso costituivano il piatto unico.
Il pane fresco di forno si consuma volentieri con l’aggiunta di acciughe, aglio e dell’ ottimo olio d’ oliva mentre, indurito, diventa la base di molte zuppe calde di verdure. Il pane bianco è spesso cosparso di semi di vario genere dal sesamo ai semi di papavero che lo rendono speciale. Infine le pagnotte vengono consumate con ripieni di carne, formaggio o creme dolci di ricotta e pezzi di cioccolato.
La regina indiscussa della cucina siciliana, come peraltro della dieta mediterranea, è sicuramente la pasta; fresca, lunga o corta si presta a molteplici ricette che vanno dal semplice condimento di aglio, olio e peperoncino ai sughi ricchi di ortaggi e verdure dell’ isola, ai formaggi. al pesce e alla carne. Così arricchita la pasta costituisce spesso il piatto principale e unico del pasto.
Condimento ideale e salutare della pasta rimane il pomodoro e in particolare il “pomodoro ciliegino di Pachino”, un piccolo pomodoro a grappolo dall’ inconfondibile profumo.
La zona di produzione di questo tipo di pomodoro è la zona che comprende il comune di Pachino appunto, la zona di Capo Passero e parte dei territori dei comuni di Noto e Ispica.
Questa zona di produzione è caratterizzata dalla vicinanza del mare e quindi da un clima dalle temperature molto alte e sole praticamente tutto l’anno. Le prime coltivazione di pomodoro in questa zona risalgono alla prima metà del 1900 anche se solo nel 2003 ha ottenuto il riconoscimento della certificazione IGP. E’ risaputo che jl pomodoro ha importanti proprietà nutritive tra cui l’ apporto di vitamina A e C, e di potassio. E’ divenuto ormai simbolo della dieta mediterranea e si presta a varie preparazioni dai piatti freschi, alla pizza e naturalmente la pasta.
Affianca la pasta il riso, importato in Europa dall’Oriente, anche se più che come primo piatto, come nel nord Italia, viene usato come base per crocchette, arancinj e dolci.
Essendo la Sicilia circondata da tre mari non può che utilizzare in abbondanza per la sua cucina i prodotti ittici presenti in gran quantità lungo la costa catanese, nella zona delle isole Eolie ed Egadi. Allo straordinario “pesce azzurro” (sarde, acciughe, sgombri, pesci spada e tonni) si
aggiungono dentici, orate, gamberi, scampi, aragoste e astici.
Il pesce spada, ritenuto il re dei pesci, si presta a diverse preparazioni e si può gustare crudo in carpaccio, cotto al forno, in umido o fritto, costituisce sempre un ottimo secondo piatto genuino e leggero.
Il tonno che si pesca con tecniche che seguono tradizioni e metodi tramandati dagli arabi, soprattutto nell’isola di Favignana nel trapanese, dove ha sede la tonnara più grande d’ Europa, era considerato la carne dei poveri in quanto non si buttava mai via nulla. Come il pesce spada, il tonno è cucinato in vari modi, grigliato, fritto, cotto al forno o lessato e viene conservato affumicato o sott’olio. Con le uova di tonno si ottiene la bottarga da gustare grattugiata sulla pasta. Il tonno siciliano è più magro rispetto ai tonni pescati nel nord Europa ed è quindi indicato anche nell’ alimentazione dei più piccoli. Una della più caratteristiche ricette a base dì tonno è il ragù, tipico piatto della tradizione culinaria trapanese.
Le oggi famose zuppe di pesce sono un’ eredità degli Spagnoli, cariche di sapori e condite in vari modi risultano sempre un piatto ricco e molto apprezzato da tutti. Mentre il cuscus di pesce oggi piatto tipico del trapanese è decisamente di origine araba anche se nel nord Africa è molto più consumato il cuscus di carne.
La carne bovina non ha un grande impiego nella cucina siciliana in quanto i pascoli sono sempre stati scarsi e quindi le carni non risultavano particolarmente pregiate.
Si consumano maggiormente carni di ovini, suini, pollame e conigli più facili da allevare un po’ ovunque. La cottura della carne è molto varia, come per il pesce, si va dalla semplice e veloce cottura alla griglia fino alle lunghe cotture in tegame in umido arricchite da verdure e spezie. Una valida alternativa ai secondi di pesce o carne e senza dubbio costituita dai formaggi che sono il frutto dell’ antica e ricca tradizione casearia siciliana che impiega latte vaccino, di pecora e di capra per la produzione di ricotta, primo sale, pecorino, provola e caciocavallo. I primi dati storici che riportano notizie sul formaggio siciliano risalgono ai tempi del mondo greco classico.
I formaggi siciliani sono caratterizzati da un’ alta qualità che li distingue. E’ un alimento molto importante a livello nutritivo in quanto fornisce calcio, proteine e fosforo necessari all’ organismo umano.
Vista l’ alta percentuale di calorie e di colesterolo contenuta nei formaggi stagionati è auspicabile non associano ad altri cibi ricchi in proteine animali come uova e carne. Elencare tutte le varietà di formaggio prodotto in Sicilia è un’ impresa alquanto difficile, si va dai formaggi pregiati come il “fiore sicano”, al “maiorchino” di latte di pecora a quelli più conosciuti e diffusi come il “ragusano” dop, un formaggio a pasta filata che si ottiene dalla lavorazione del latte intero di mucche della razza modicana allevate allo stato brado. Spesso al latte vengono aggiunte spezie quali il pepe in grani o lo zafferano come nel caso del Piacintinu, formaggio di pecora tipico della zona di Enna o del caciocavallo ragusano proposto in versione naturale o con aggiunta di pepe. Per arricchire alcuni pecorini si usano invece i pistacchi. Tra i formaggi non va dimenticata la ricotta, un formaggio fresco ricavato da latte vaccino o di pecora che deve il suo nome al fatto che gli ingredienti vengono cotti due volte appunto “ricotti”. La ricotta viene consumata in svariati modi: da sola, come base di molti dolci tipici siciliani e della famosa “pasta alla Norma” nella versione salata.
Il “dulcis in fundo” della cucina è rappresentato dai dolci che risvegliano il massimo del piacere del gusto e soprattutto i dolci siciliani che sono tutti molto ricchi e quindi rappresentativi di questo “vizio”. I dolci siciliani esprimono tutto il colore e la fantasia dei siciliani, colori che si ritrovano nei paesaggi, nei mercati e nei famosissimi carretti.
In nessuna altra regione d’ Italia esiste una così grande varietà di dolci come in Sicilia. Il dolce nasce come “pane speciale” per giorni speciali ed è il simbolo della festa, di occasioni particolari, di una cerimonia e in genere è legato alle varie ricorrenze dell’ anno.
Gli arabi hanno lasciato in Sicilia l’arte della cassata e della pasta di mandorle associate al piacere dei colori vivaci e ai profumi intensi quali il gelsomino.
Ai greci si deve l’uso di miele e di ricotta per la preparazione di molti dolci tra cui i famosissimi cannoli. I Bizantini amavano in particolare i profumi intensi di cannella e vaniglia mentre dai francesi viene la passione per il cioccolato.
Fra gli ingredienti più importanti per i dolci siciliani è bene ricordare la frutta secca e in particolare le mandorle i pistacchi.
Mandorli divenuti famosi sono quelli di Agrigento festeggiati verso la fine di Febbraio con la “sagra del mandorlo in fiore” che segna l’inizio della primavera. Nella zona della Valle dei Templi sono coltivate e conservate come patrimonio genetico più di 200 varietà di mandorlo, alcune in estinzione. Grande centro di produzione di mandorle è senza dubbio Noto, in provincia di Siracusa. dove si coltiva la famosa mandorla d’Avola, dalla forma ovale regolare, perfetta per la produzione di confetti. I pistacchi sono stati introdotti fra le coltivazioni in Sicilia dagli Arabi e nella zona di Bronte. ai piedi dell’ Etna trovano un terreno ricco di minerali ìdeale per la loro crescita. Verso la fine di Settembre il pistacchio di Bronte, che ha ottenuto il riconoscimento DOP, si festeggia con una importante sagra dove si possono assaggiare le varie specialità culinarie ottenute da questo frutto, dal pesto per condire la pasta, alla crema dolce spalmabile.
L’ abbondanza di frutta secca nella regione, soprattutto di mandorle, permette la preparazione della pasta reale fondamentale per la lavorazione della coloratissima “frutta martorana” tradizionale specialità tramandata dalle monache del Convento palermitano della Martorana appunto. Altro grande favoloso dolce tipico di cui le uniche depositarie della ricetta sono le monache di clausura del Monastero agrigentino di Santo Spirito, è il cuscus dolce. La frutta secca costituisce inoltre 1’ ingrediente base della preparazione di biscotti, latte di mandorla e degli splendidi torroni nella versione morbida o croccante ricoperti o meno di semi di sesamo o glassa.
Grande importanza riveste anche la forma di alcuni dolci come ad esempio la “mezzaluna” cioè la luna, introdotta in Sicilia dagli Arabi, che la ritenevano di buon auspicio. Di questa forma sono i ravioli dolci ripieni di mandorle, cacao. farina di ceci e scorza di limone e i pasticciotti di pasta frolla ripiena di cedro.
Il cerchio rappresenta da sempre il simbolo della completezza ed eternità e da questo nascono dolci importanti come tutta una serie di torte e crostate tra i quali primeggia naturalmente la cassata.
Da ricordare fra i dolci tipici della tradizione siciliana è senza dubbio il cioccolato di Modica preparato con l’antica ricetta azteca qui arrivata dall’ America grazie ai grandi dominatori spagnoli. Si presenta come un cioccolato molto scuro e ruvido in cui sono incastonati cristalli di zucchero intatti. Fra i dolci siciliani più noti riveste un’ importanza particolare il gelato conosciuto in tutto il modo per l’unicità dei suoi sapori e della sua morbidezza come il gelato alla rosa, al gelsomino, alle fragoline di Noto, ai fichi d India, alla cannella. al mandarino e ai frutti di gelso.
Il gelato in Sicilia viene gustato già a colazione come ripieno di una fragrante brioche accompagnata da una ricca granita al caffè con panna. Il turista di ritorno da un viaggio in questa splendida isola che è la Sicilia, porterà con sé un grande ricordo di storia. Arte, natura ma anche un buonissimo ricordo della splendida cucina siciliana.
Foto di:Giuseppe Terranova e Michele Vilardo.

LA FESTA DEI “MORTI”,A PALERMO.

I morti rallegrano la città. Sembrerà strano, ma ogni anno nell’approssimarsi della festa di “Ognisanti” e nella commemorazione dei defunti,la città di Palermo si colora a festa. Oltre ai colori vivaci dei crisantemi che creano un colpo d’occhio entrando nei cimiteri,a Palermo vige l’usanza di festeggiare i bambini regalando loro dolci e giocattoli come se li avessero portato i morti. Dunque la corsa per comprare regali . “Per i maschietti erano armi: pistole a tamburo con tanto di fodero o fucili con il tappo che era attaccato tramite un laccio, ispirati a modelli western; c’erano pure costumi da indiani  con archi e frecce. Queste ultime avevano una ventosa che non si attaccava mai, se non si inumidiva con una “liccata” della lingua. Per le bimbe: bambole ricciolute, passeggini, assi da stiro, fornelli e pentolame. I più facoltosi regalavano tricicli e biciclette fiammanti. Bisognava trovare il regalo nascosto in un punto insolito della casa, nella notte tra l’1 e il 2 novembre. La sera prima si nascondeva la grattugia perché si pensava che i defunti, a chi si fosse comportato male, sarebbero andati  a grattare i piedi  !!! “

La tradizione continua ancora oggi, anche se i regali che si comprano sono un tantino diversi rispetto a quelli di ieri. Di particolare importanza sono i dolci che si creano a Palermo e dintorni per la ricorrenza: i Pupi di zucchero, la frutta di martorana e i cosidetti “ossa dei morti”.

I pupi di zucchero

sono creazioni artigianali di zucchero scolpito e colorato che richiamano la tradizione dei paladini e dei saraceni e altri personaggi. La più diffusa e ricercata è, senza dubbio,la frutta di martorana. Un dolce a base di pasta di mandorla poi colorata,inventato dalle suore di clausura, e assumono le forme  e le sembianze di vari tipi di frutta:nespole, castagne,fichi d’india,limoni,anguria,pesche,ciliegie ecc.ecc. Insieme a vari ortaggi come le melenzane,i finocchi,l’aglio unitamente ai frutti di mare,cozze,polipi ecc.

Un vero spettacoli di odori,sapori e colori. Inoltre è tradizione vendere le mele passate in una glassa molto dolce e colorata e lo zucchero filato.

La Fiera dei Morti  a Palermo attualmente si svolge presso il rione “Medaglie d’oro,ma, originariamente, veniva svolto all’ Olivella, subito dopo Piazza Massimo, ma da circa 15 anni, anno dopo anno cambia “zona”: variopinte bancarelle offrono ai vari visitatori nonché ai genitori l’opportunità di potere acquistare giocattoli, vestiario, dolciumi di ogni genere per preparare il tradizionale “Cannistru”(Canestro).

Infine non può mancare il profumo delle castagne arrostite:

Il tutto nasce da una concezione cristiana della morte concepita come passaggio a miglior vita e dalla fede nella vita del mondo che verrà,poiché il cristianesimo ha spazzato via i culti pre-cristiani,anche quelli legati ai morti. La festa palermitana è un inno alla vita che non muore e alla consapevolezza che i defunti continuano a vivere,con modalità diverse dalla nostra, ed è possibile poter comunicare con loro. Ecco l’attenzione ai bambini,alla vita principiante ed ecco il perché di tutto uno sfavillare di colori e di sapori inneggianti alla vita che non muore e al dovere per i vivi di ricordare i defunti e di onorare e venerare i loro corpi giacenti nei cimiteri poiché essi sono “sul punto di risorgere”.

Divinamente Erice!!!

Erice, l’Iruka dei Sicano-elimi, l’Erech dei Punici, l’Eryx dei Greci e dei Romani, il Monte San Giuliano dei Normanni, volgarmente chiamata «u’ Munti», è capoluogo di comune già fra i più estesi di Sicilia ma ora, quanto ad ampiezza territoriale, notevolmente ridotto in conseguenza della costituzione in comuni autonomi di alcune delle più grosse ex-frazioni: San Vito Lo Capo, Custonaci, Buseto-Palizzolo, Paparella-San Marco (Valderice). La cittadina è situata sulla vetta del monte omonimo che presenta, da occidente (Porta Trapani) e da tramontana (Porta Spada) ad oriente (Balio), un vasto altopiano triangolare, che raggiunge la massima altezza di 751 metri sul livello del mare nel picco cilindrico su cui si aggrappa il Castello Normanno. Fino allo scorso secolo l’errata interpretazione di un passo di Polibio — accettata, fra tanti, da Leandro Alberti e, in epoca più recente, dallo Smith — aveva indotto in molti studiosi la convinzione che l’attuale centro abitato sorgesse sull’area già appartenente al «thémenos» del santuario della dea ericina (che si presumeva racchiuso dalle mura dette «ciclopiche»). La nuova città sarebbe stata fondata — in epoca imprecisabile- dagli Elimi che, per stanziarsi sulla vetta, avrebbero abbandonato l’antica loro sede, ubicata sul colle di sant’Anna secondo l’Alberti e lo Smith, nella valle dei «Cappuccini» secondo l’Holm.

L’erroneità di tale ipotesi — a lungo prevalsa — deriva dall’assoluto difetto di concordanza fra le fonti letterarie ed i risultati di una anche sommaria indagine archeologica: nelle località indicate manca, poi, ed è sempre mancata, finanche la memoria di tracce di abitazioni, che pur si sarebbero dovute trovare in abbondanza.

Il Freeman ed il Pais, per tali ragioni, posero l’antica Erice esattamente nel sito attuale ed il Pagoto, insigne epigono di una lunghissima e nobile tradizione di studio e di ricerca, dimostrò questa ultima tesi con chiarissimi e definitivi argomenti e con la retta interpretazione del passo polibiano che aveva dato origine ad un vero e

proprio equivoco. La gita ad Erice è una delle tappe più motivate tra i vari siti e città d’arte della Sicilia.

Il classico monte si erge maestoso e solitario a nord-est, di Trapani ed è formato da regolari e caratteristiche stratificazioni giurassiche.

Nitida e silenziosa, la cittadina conserva tuttora il suo aspetto medievale, nonostante qualche deplorevole manomissione che ha deturpato alcune zone in maniera pressoché irrimediabile.

Gli edifici che danno sulle strade, selciate a tipici riquadri, presentano spesso avanzi di architettura quattrocentesca e, più frequentemente, cinque e seicentesca.

Quasi ogni casa ha poi un cortile, secondo una millenaria usanza, viva ancora in moltissimi paesi mediterranei.

Nel cortile si espande la vita intima della famiglia, vita la cui eco assai di rado giunge sulla strada.

Chiuso da un muro privo di aperture che dona alla viuzza ericina una inconfondibile fisionomia di austero raccoglimento, il cortile, oltre a dare vita a singolari consuetudini giuridiche vigenti nel caso di comproprietà, assicura la più completa intimità ad ogni manifestazione di vita familiare. In Erice ben difficilmente si vedono ragazzi intenti al gioco per le strade, mai biancheria distesa su corde tirate fra i muri esterni, né persone sedute fuori l’uscio di casa, a conversare o a lavorare.

È proprio il cortile la ragione prima dell’aspetto austero e dignitoso della cittadina che, ripetiamo, consente alla famiglia di conservare la sua intimità, senza darsi in pasto alla curiosità dei passanti.

C’è sempre una donna, sul far dell’alba, che lo scopa con meticoloso senso di pulizia: quello stesso che la sospinge, anche, a pulire il tratto di selciato della strada antistante alla soglia.

Mentre nella via domina il grigio e il verde nerastro del muschio, dentro il cortile regna prepotente la policromia dei garofani, delle rose, delle ortensie e delle campanule che si sviluppano rigogliosamente all’ombra di un pergolato o fra i viticci di una rampicante. Né, quasi mai, vi manca un albero, amareno o nespolo, melograno o spino. Alberi, fiori ed aiuole, insieme con il massiccio lavatoio di pietra («pila»), con il collo della cisterna del pozzo sorgivo (talvolta recante, in bassorilievo, un’arme gentilizia), con la scaletta che conduce al piano di sopra protetta dal muretto in conci di tufo disposti a pieno e vuoto, sono gli elementi essenziali del tradizionale cortile ericino. L’inverno ericino è nebbioso ed umido, ma non eccessivamente rigido per il prevalere dei venti del sud.

Nei mesi estivi si gode un clima eccellente, che attira assai notevole pubblico di villeggianti e di turisti.

Camminando per le sue stradine,odi l’imperante silenzio,rotto solamente dal vocio dei turisti intenti ad ammirare vetrine pieni di dolci di mandorle,frutta di martorana,tappeti lavorati a mano,ceramica e vasellame.

Dall’alto di Erice è possibile ammirare un panorama mozzafiato:Trapani e le sue saline,le isole Egadi, Valderice e tutto il golfo di Castellammare.In giornate splendide è possibile persino ammirare l’Etna.

Erice possiede un grandissimo patrimonio artistico-monumentale di notevole spessore,costituito da 10 chiese principali tra cui spicca il Real Duomo

parecchie chiese chiuse,ex-chiese o private.

Forte è la devozione degli ericini alla Madonna di Custonaci,loro celeste patrona,la cui festa viene celebrata annualmente il 27 di Agosto.