“Donna non si nasce, si diventa”
(Simone de Beauvoir)
di Joselita Ciaravino
La Sicilia è una di quelle regioni che alimentano luoghi comuni a profusione. Forse per la forza del paesaggio, per il carattere di chi la abita, o più semplicemente perché isola, si racconta di tutto e spesso le leggende sono più vere che false. Si tramandano notizie sull’eccentricità dei siciliani, sulla loro ironia nervosa o, ancora, sulla propensione tenace a difendere la condizione di solitudine. Tra le tante riflessioni che si ascoltano accade che si paragoni la regione ad una bella donna. La Sicilia è una terra difficile da comprendere, esattamente com’ è complesso capire qualcosa di una donna. Ma le donne siciliane, che volto hanno? E sono così difficili da capire?
Questo libro nasce come omaggio nei confronti del femminile e nello stesso tempo come proposta per un insolito percorso attraverso il patrimonio artistico della regione, fuori dai luoghi comuni e più vicino alle opere. Ne emerge un repertorio di volti ed insieme di immagini magnifiche, una lunga passeggiata al femminile da svolgere presso musei ed istituzioni di tutta la regione. Ci sono alcune immagini ormai diventate icone, opere che ritornano su manifesti e copertine di libri, oggetto di studio e di un interesse diffuso. Fra le altre, al di là degli inevitabili templi presi di mira soprattutto dalla creatività dei pubblicitari, si tratta di due immagini custodite a Palermo: l’Annunziata di Antonello da Messina ed il busto di Eleonora d’Aragona di Francesco Laurana. A parte queste due bellissime, tanti volti di donna ci sorridono dalle stanze dei musei regionali. E impossibile individuarle tutte, né tanto meno si tratterà sempre di donne siciliane o di fisionomie che rispondono all’inevitabile diktat mediterraneo: brune, intense e belle. Quella che si propone è solo una selezione e come tale deve essere letta, nonché un’occasione di visita di luoghi noti e meno noti, un modo per scoprire una serie di figure che pur campeggiando dentro alle chiese ed ai musei siciliani, tendono inevitabilmente ad essere dimenticate.
Un arte al maschile per la rappresentazione del femminile
Ma esiste davvero una rappresentazione del “femminile”? L’arte abbraccia un orizzonte di significati così vasto da rendere difficile una risposta. Esistono l’arte e la creatività ed all’interno di tali eventi maschile e femminile si intrecciano come tutti gli elementi complementari. Eppure, al femminile appartiene un ruolo di notevole importanza. Nell’arte la donna è il soggetto per eccellenza, ritorna con insistenza nelle immagini di tutti i tempi, qualunque sia il supporto o la tecnica scelta, dalla preistoria fino alle avanguardie, ed è fatto rivelatore delle dinamiche culturali ed antropologiche che accompagnano la rappresentazione. Dea, eroina, cortigiana, madonna, santa o strega, simbolo della madre terra, della fecondità, della purezza, ma anche dell’irrazionalità e del peccato, i volti della donna sono mutevoli: il femminile è indicatore dell’umore profondo della cultura che lo rappresenta, allude alle aperture ed alle contrazioni che pulsano all’interno delle società. Sarà utile a questo proposito porsi la domanda speculare: esiste una pittura “del” maschile? Il maschile, contrariamente al femminile, non riesce nella pittura a far sistema. E facile rintracciare le origini di questo stato di cose, perché la cultura occidentale concepisce il rapporto tra uomo e dorma sì come complementare, ma soprattutto come rapporto di forza. Nella Genesi viene detto con chiarezza: «Queste ossa delle mie ossa, questa carne della mia carne, prenderà il nome dall’uomo, dato che è stata tratta dall’uomo». Dio crea dapprima l’uomo e dalla costola di quest’ultimo nasce la donna. Si chiamerà isshah (donna), perché da ish (uomo) è stata creata: la donna appare in funzione di colui al quale va a fare compagnia e la sua storia sarà determinata da un’inevitabile condizione di insubordinazione: in base ai bisogni del suo compagno sarà nel corso della storia ora debole ora forte, ora privata di sessualità ora depositaria del desiderio, ora angelo ora diavolo. Ma sempre, avrà nome e definizione per conto di qualcun altro. Non sarà donna per se stessa se non nella contemporaneità a noi più vicina. L’arte proietta tali rapporti ed è “al maschile che si parla di pittura, perché la storia ha attribuito all’uomo la parte del regista, perché è l’uomo che ha incarnato il ruolo del pittore per secoli e secoli. Dall’antichità fino al XX secolo la storia dell’arte è agita al maschile e ciò fa in modo che il passaggio dal ruolo d’artefice a quello di soggetto si compia per lui in maniera naturale. La presenza dell’uomo all’ interno dello spazio dipinto aderisce con altrettanta facilità all’ aspirazione della pittura: imitare la natura. Attraverso i secoli il principio della mimesis ha infatti orientato il fare degli artisti, portandoli a guardarsi intorno ed a ritrarre; i loro simili, con attitudine più o meno realistica, fino a giungere all’astrazione. In questo orizzonte declinato al maschile il femminile si staglia come fulcro centrale, elemento da dominare perché corrispondente alla natura più indomita e misteriosa, a cui trovare una giusta collocazione. E’ al pittore che si riconosce il potere della creazione, perché si tratta del potere maschile per eccellenza, facilmente trasferito alla creatività del pennello, alter ego di una sessualità che invade la superficie della rappresentazione;. Lei, in quanto oggetto del desiderio è sottomessa e creata. Anche se, assoggettata e condotta all’interno del mondo degli uomini, la donna diventa ricettacolo di tutti i simbolismi e di tutti gli esorcismi. Tra la madre e l’amante, tra la santa e la vendicatrice, innumerevoli sono le sfumature di ruolo e di iconografia, ma comunque iscritte nella dinamica che congiunge il maschile al femminile, il potere alla sottomissione, capovolgendo talvolta gli ordinamenti. Innumerevoli sono le figure che ritornano con ossessione nell’ immaginario maschile, riportabili ai tre registri fondamentali della madre, della donna sottomessa, dell’ amante. Nessuno si è mai sognato di definire l’uomo come maschio della femmina, mentre la storia — fino a poco tempo fa. verrebbe voglia di dire — ci ha trasmesso l’ idea di una donna che esiste e trova la propria ragion d’essere esclusivamente in relazione al suo sposo ed al suo padrone. Per tanto tempo l’arte l’hanno fatta gli uomini, ma dalle loro immagini sono occhi di donna che ci guardano. Sono donne confinate lì dove è più facile esercitare controllo e potere, lo spazio della rappresentazione, perché in questo spazio i ruoli sono circoscritti. Eppure, esercitano a loro volta quel potere che da sempre le contraddistingue, il potere per antonomasia femminile e per questa ragione sospetto: quello della seduzione.
In Sicilia, esiste un patrimonio artistico notevole ed è con occhi nuovi che lo si può guardare: è sufficiente individuare nuovi percorsi di visita. Quanto emerge dall’ accostamento di queste immagini è resistenza di alcune macro categorie, categorie dello spirito e del sociale dentro cui confluiscono nomi, personaggi e consuetudini iconografiche, consuetudini di cui non ci rendiamo forse nemmeno più conto, immutate chissà da quanto tempo. Ci viene avanti così un ricco stuolo di volti e di corpi, fatto di sante, madonne, signore, bambole e maliarde, principesse e divinità, donne indifferenti e donne maliziose, donne eteree e donne in carne ed ossa, circondate da personaggi oppure isolate, minacciose o rassicuranti, aggressive o remissive. Sono tante queste donne, sono da conoscere e, in qualche modo, ancora vive.
Cherchez la femme. Un itinerario attraverso i musei
In principio fu Eva. La progenitrice, la capostipite, la donna che nasce dalla costola di Adamo e che oltre ad essere madre di tutti gli esseri viventi è anche colei che induce il suo compagno a cogliere quella mela che non andava assolutamente toccata. Eva è rappresentata nuda senza pentimenti e gli artisti si sono preoccupati che le nudità più indecenti fossero nascoste. Eva non è solo rappresentativa della donna per antonomasia, la donna che non ha bisogno di attributi per essere contestualizzata — se non Adamo, i capelli lunghi a protezione delle nudità, l’albero della conoscenza o il serpente, a seconda dei momenti della Genesi — è anche simbolo dell’irrazionale, del femminile come caos, quell’elemento che è anche nell’uomo e che porta ad identificarla come peccatrice, fino a darle volto di strega, di diavolo, di mostro. In Eva sono in un certo senso già congiunte la tranquillità e la minaccia, il positivo della fecondità e della continuità nel tempo e il negativo del peccato e dell’ irrazionale, valori che confluiscono nell’immagine della donna attraverso i secoli, poiché oltre alla donna Eva ci saranno le numerose donne senza nome ritratte in contesti ora naturali, ora lavorativi, ora mondani. Così, nel nostro itinerario, si passerà da Peccato, di von Stuk (Galleria Civica d’Arte Moderna E. Restivo, Palermo), che ha il volto oscuro e misterioso di una donna, alla rassicurante e sognante ed ancora eterea Floralia di Bergler (Villa Igiea, Palermo). Le immagini si caricano delle tensioni di un’epoca e la stessa dimensione, il femminile, può essere cassa di risonanza di orientamenti opposti: la ricerca del mistero e di una dimensione “altra”‘ nel caso del Simbolismo, o la ricerca della morbidezza, della piacevolezza, dell’armonia nel caso del Liberty. Chissà se Eva appartiene alla banda delle maliarde o delle donne acqua e sapone, l’interpretazione è mutevole. Ci sono stati autori che hanno visto in lei il peccato nella sua massima espressione, ed è lettura piuttosto diffusa in tutto l’Occidente. Ma si può vedere in questa figura anche una sorta di forza primigenia, un’irruenza ingenua, perché la sua condizione è relativa ad un prima di tutto, il prima del mondo che non conosce il senso di colpa. L’immagine della donna tout court è quella che più di tutte si apre al mondo che la circonda, dal sociale al politico. Un re ha bisogno dello scettro per essere tale così come una regina ha bisogno di una corona. Una santa ha bisogno del proprio specifico attributo per esercitare il suo potere salvifico ed una Madonna del velo. Allo stesso modo, la “donna” necessita più di ogni altra di uno spettatore, di un compagno: ora Adamo, ora una classe sociale in cui svolgere le proprie funzioni o all’ interno delle quali esercitare — sotto controllo — il proprio istinto rivoluzionario, o ancora un marito da dilettare o un uomo da incantare. È significativo, allora, che il nudo, genere pittorico tra i più rappresentativi della modernità e del ‘900, sia quasi esclusivamente femminile, e che possa dare luogo ad un corpo, nudo, che non sempre dialoga con il volto, intimità inafferrabile di tutti noi.
Eppure, proprio tra queste immagini campeggiano degli episodi di assoluta libertà, come le sportive in bikini dei mosaici di Villa Imperiale del Casale di Piazza Arme rina, capolavoro non solo per fattura ma anche per il soggetto che propongono. Le due donne portano un bikini ante litteram, si curano del proprio corpo con quella sfacciata serenità che noi contemporanei abbiamo dimenticato. Con il loro fare disinvolto sono portataci di una modernità straordinaria. 0 ancora, degli inizi del ‘900 è il bel volto di Lia Pasqualino Noto, L’infermiera (Galleria Civica d’Arte Moderna E. Restivo, Palermo). Lì, è l’arte del Novecento che si fa sentire e l’intensità del volto e del bianco profondo del camice mettono in primo piano la condizione di un essere umano ripreso in un momento di alta concentrazione, capace di introspezione e di inquietudine. O di indifferenza.
E poi ci sono le dee, figure di un mondo olimpico riportato in auge dal Rinascimento italiano. È il trionfo del nudo come passato, come antichità remota che ritorna, come perfezione — l’uomo— e come oggettivazione del desiderio — la donna. A partire dal Rinascimento ci si abitua alla nudità di Venere, Diana, Atena & C, così come delle varie ninfette e figure minori. A partire da questo momento, e con alterne fortune, si assisterà al ritorno del nudo femminile in tutta Europa, fino ad imporsi nella cultura visiva come massima espressione del rapporto di potere che si intesse tra uomo e donna.
La dea riveste numerosi significati, complessi e sovrapposti, dalla donna cacciatrice, pericolosa e seducente, alla donna che vive solo della propria bellezza, quasi fosse una preparazione della bambolina innocua della modernità. Venere è simbolo dell’amore e del desiderio, non può che concupire e una volta posta sulla tela, con le sue moine e le sue vezzosità, appare meno pericolosa e perfino addomesticata.
I nostri musei sono popolati da un vero e proprio esercito di figure femminili, dee e personaggi senza nome appartenenti ad un’antichità molto florida. Le antiche popolazioni ci hanno lasciato statue votive ed oggetti d’uso quotidiano, rappresentazioni che appartengono al sacro ed utensili che riportano al vissuto di ogni giorno, come i balsamari dalle fogge misteriose o i vasi provenienti dai numerosi siti archeologici. Danzatrici, ninfe che banchettano e che suonano il flauto, donne che sacrificano e che si intrattengono, muse e divinità varie: è una femminilità corposa e accompagnata da altrettanto numerosi partner maschili che segue le curve dei crateri e delle pissidi. E tra le divinità antiche non dobbiamo dimenticare Demetra, tra i culti più arcaici e radicati nell’isola, dea della fecondità e della generazione della terra, secondo alcuni studiosi figura mitica a cui si sovrappone in epoca medievale (in alcune zone della Sicilia particolarmente devote, come Enna e Morgantina) quella di Maria. Entrambe conoscono il dolore della perdita della progenie, l’ una con il rapimento di Kòre-Persefone, l’altra con la passione di Gesù.
Sante e Madonne
Ogni località ha il suo santo patrono ed in Sicilia non si contano le città ed i paesi protetti da una santa. Da queste parti la devozione si declina al femminile ed è donna persino la patrona dell’intera regione. Qualche studioso ha notato questa propensione anche nell’ ambito della toponomastica e nelle leggende che starebbero all’Origine del nome della regione (pare si tratti del nome proprio di una giovane principessa). Ci sono sante per tutti, ma certo ce ne sono alcune particolarmente riverite, come santa Rosalia a Palermo, festeggiata a luglio con un Festino che si ripropone dal “600. o santa Lucia a Siracusa. per non parlare di sant’ Agata a Catania. Queste figure sono accompagnate da un fitto apparato iconografico: non c’è Rosalia senza uno scorcio su Monte Pellegrino (Palermo) e senza la corona di rose e di gigli, o santa Lucia senza il riferimento ai suoi occhi, o ancora sant’Agata senza una rappresentazione dei seni che ispirano persino la pasticceria locale. Le sante si ripropongono come sfogo di un immaginario collettivo piuttosto intenso, diffuso, che fa di queste fanciulle delle eroine, delle divinità cattoliche il cui compito è quello di proteggere
Comunque molto vicine perché l’identificazione con le città ed i credenti è totale e perché in fondo non ci si dimentica mai del loro status d’origine, giovani vergini (per lo più), nobili o povere, dalle scelte coraggiose e pure. Anzi, sono figure così vicine, così sentite, perché in loro e nella loro rappresentazione confluisce l’autentica personalità e identità dei luoghi e di chi li abita. Ma il culto per eccellenza è quello mariano: innumerevoli le raffigurazioni che hanno come tema la Vergine Maria, ripresa in tutti i momenti della sua storia, dalle Annunciazioni di Antonello da Messina (tra Palermo e Siracusa), alle Vergini in Gloria del ‘600. Madonna è la patrona della regione, la Madonna dell’Odigitria abbreviata in Madonna dell’Itria, e sotto le vesti di Madonne, non a caso, si presentano la maggior parte delle figure femminili di questo nostro percorso. La Vergine madre di Gesù corrisponde all’apoteosi di un certo tipo di donna, per una volta potente e rassicurante, la madre per eccellenza, priva di sfumature minacciose e conturbanti, spogliata della sua terrosità, tranne alcune eccezioni quali la celebre Anrmnziata di Antonello. La storia dell’arte occidentale è senz’altro una storia di Madonne, soprattutto per quanto riguarda Medioevo e Rinascimento. Contrariamente a quanto accade per le sante, nella cui rappresentazione si intravede talvolta una certa sensualità, la Madonna, al di sopra di ogni sospetto, è; priva di qualsiasi ambiguità. Ma anche questo, vale con qualche eccezione.
Guanti,perle,cappellini….
E poi ci sono le signore, le padrone del mondo, simboli ora nobili ora borghesi, sempre accompagnate da un entourage, anche quando sono prive di compagnia. Le signore esistono in funzione del mondo che le ha prodotte e che le riconosce, non importa in fondo il loro status, la loro carica di principessa o di moglie di imprenditore. C’è stato un momento, a cavallo tra Ottocento e Novecento, in cui in linea con quanto accadeva nel resto del paese la regione ha prodotto una ritrattistica piuttosto ricca. Era il momento della vivacità imprenditoriale, dell’ascesa della borghesia che scopriva un certo agio e che si apriva alle città. Ed era dunque una classe più che mai bisognosa di essere ritratta per affermare la propria esistenza.
Sono signore le figure femminili rappresentate nell’affresco il Trionfo della morte (Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, Palermo), perché eleganti e ingioiellate, perché collocate all’interno di un rituale di socialità. Le opere pittoriche diventano testimonianza di un costume ben radicato nella regione, che vede nella “robba” — la proprietà di beni tra cui in particolare abiti e biancheria — un asse portante della società. Scrive lo storico Tramontana a proposito della Sicilia medievale: «Tutti i componenti della famiglia e le donne in ispecie, dovevano vestirsi in modo adeguato al rango, perché i loro corpi erano strumento del linguaggio e fatti anche per esibire con l’abbigliamento i legami di sangue e la continuità del casato»1.
Sono signore le gentildonne talvolta prive di identità che non facciamo fatica a immaginare; in ambienti confortevoli, tra velluti e ricami, all’interno di salotti protetti o a passeggio con l’ ombrellino, ma mai riprese per caso. Anche le signore — forse le sante della modernità — hanno i loro attributi e allora ecco le perle al collo delle principesse e delle duchesse, i guanti indosso alle signore del bel mondo, il cappello in testa alle sobrie padrone dei saloni o alle attonite mogli di qualcuno. Una celebre signora di Palermo, ai primi del “900, è stata Franca Florio. una figura di cui si decantavano grazia e bellezza, moglie dell’imprenditore Ignazio Florio. Il suo ritratto, realizzato da Ettore De Maria Bergler emana regalità ed eleganza, facendo di questa figura più un simbolo che una donna. Si è signore grazie a qualcosa, grazie ad un dettaglio. L’importanza del particolare è fenomeno assolutamente contemporaneo se pensiamo a quanto può rappresentare un orologio o un altro, stretto attorno ad un polso di oggi, in tal modo reso riconoscibile e qualificabile. Viviamo ancora in un mondo di dettagli, in cui tutto è accessorio perché superfluo, ma comunque portatore di valore e dunque insostituibile. L’arte ci aiuta a capire forse come certe abitudini non spariscano mai.
Corto circuito
La Sicilia è un gineceo. Così pare se si tiene conto del ruolo che storicamente la cultura ha attribuito da queste parti alle donne. Temute, venerate, ammirate, controllate, delle donne in Sicilia si parla da sempre, ma è in fondo una maniera per concentrarsi ancora una volta sul maschile. «La vita del siciliano si svolge attorno a due poli fissi: il denaro e la donna, la roba di Mastro Don Gesualdo e l’onore di compare Alfio»2. Certo, era il 1945 quando Aglianò scriveva, ma è da tenere in considerazione. Quello che emerge da questa successione di immagini è in primo luogo un’ossessione, quella che gli uomini hanno elaborato del femminile. Nello spazio dell’opera d’arte le donne sono regine indiscusse, dominano paradossalmente anche quando sono sottomesse, sono la figura ultima di tutti i desideri e di tutte le paure. Ma non è solo una sequenza di fisionomie quella che ci si presenta dinnanzi, bensì anche un percorso fatto di gesti, espressioni, corpi, dettagli, abiti e accessori, fino a coinvolgere l’orizzonte vasto e composito delle cose, dove tutto parla di donne se è vero che da sempre il loro mondo è quello dell’interiorità, degli arredi e dei tessuti, dei ricami e delle confidenze, il mondo dunque della casa, delle cucine, delle camere da letto, delle toilettes e degli specchi, dell’intimità in cui la memoria si addensa per stratificazioni e sovrapposizioni e in cui l’oggetto è portatore di valori potenti. Così, i colori scelti, gli abiti con cui ci si veste e gli oggetti di cui ci si circonda quando ci si è svestiti, la grazia di un gesto e la finezza di un velluto, non sono solo segnali della condizione sociale, espressione della classe di appartenenza, quasi emanazione del mondo domestico — soprattutto durante l’Ottocento, quando l’immaginario collettivo si nutre di questi significati e si esaspera la divaricazione tra il mondo serio degli uomini intenti al lavoro ed il mondo leggiadro delle donne intende all’intrattenimento — ma esprimono anche una condizione propria, una personale maniera di stare al mondo. Forse assecondando quel che gli uomini hanno sempre visto delle donne. C’è in tutto questo, infatti, come una piccola linea di perversione, un corto circuito, dovuto al piacere innegabile che le donne provano nel mostrarsi, una linea che sa di vanità, quintessenza del femminile, che rende la donna ritratta donna felice di mostrarsi. Si conferma l’altalena che da sempre accompagna la visione maschile del femminile, tra vanità ed alterigia, desiderabilità e distanza, sottomissione e potere, altalena che raggiunge l’immaginario contemporaneo e che porta la nostra cultura a produrre gli immancabili stereotipi. Seppure profondamente modificata la visione contemporanea della donna non sembra essere andata troppo lontano rispetto a quel che accade dentro i musei, anche se nuovi ruoli si sono aggiunti allo stuolo, e sono comparse le manager e le veline, le attrici hard e le femministe, chi fa politica e chi si divide tra casa e lavoro, le ragazze madri e le madri senza figli, e chi più ne ha più ne metta. Sono finalmente comparse le artiste, o meglio è esplosa la rivendicazione da parte delle donne del loro essere non solo muse ma anche artiste, non solo soggetto della rappresentazione ma autrici alla stessa stregua dei colleghi maschi. Ed ancora oggi, esposizioni e rassegne propongono un’attenzione particolare verso l’altra metà dell’arte, le donne, definite non come immagine ma come autrici di un’azione. Anche se, talvolta — ci sembra —, quasi a definire una sorta di minoranza più che a veicolare una differenza.
Si conferma, però, nel mondo intorno a noi, il vecchio luogo comune che fa dell’uomo espressione di forza e della donna espressione di bellezza. Dalla pittura alla televisione, dall’arte medievale fino alla nostra combattiva contemporaneità, siamo sicuri che sia davvero cambiato qualcosa?
Tra le opere proposte (visibili presso le istituzioni di cui trovate i riferimenti a pag. 217), sono state incluse anche alcune opere che non sarà possibile ammirare. La Madonna con bambino custodita presso la Chiesa Madre di Polizzi Cenerosa, pag. 51, è visibile solo nelle rare occasioni di apertura dell’edificio religioso; l’Annunciazione della Chiesa dell’ Annunziata di Sortino, pag. 67, non è visibile a causa della chiusura della chiesa: il ritratto di Franca Florio, pag. 101, di Ettore De Maria Bergler, appartiene a collezione privata. Ci siamo concessi questo strappo per amore delle opere in questione, comunque importanti in un percorso di visita ma anche di approfondimento.
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