Domenica di Pasqua 2015.

Piana degli Albanesi (Pa):donne con il tradizionale costume.
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Settimana Santa 2015.(I)

DOMENICA DELLE PALME
PIANA DEGLI ALBANESI:

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BUSETO PALIZZOLO:VIA CRUCIS CON PERSONAGGI VIVENTI.
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MARTEDI’SANTO
TRAPANI:PROCESSIONE DELLA MADONNA DEI MASSARI.

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S.Giuseppe 2015.

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Il Natale dei poeti evento eterno presente.

Presepe
Presepe 1
I versi di Luzi e Turoldo escono dai luoghi comuni sul Presepio per entrare nell’incontro con la Storia.
Testo di Massimo Naro.
estratto Luoghi dell’Infinito

La settimana santa a Vallelunga Pratameno(CL).

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Vallelunga Pratameno è un piccolo paese a vocazione agricola, come dimostra il suo stemma civico con due grappoli di uva, bianca nel primo e nera nell’altro, fra bionde spighe di grano. I Vallelunghesi sono stati sempre gente laboriosa e onesta. Ancorata ai veri valori della vita, al rispetto della famiglia, delle donne, dei bambini e degli anziani.

Le sue origini affondano le radici tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento e fanno parte di quelle manifestazioni che subirono nuovi impulsi dopo il Concilio di Trento (1545-1563), che con la Controriforma avviò un rafforzamento dei principi religiosi intorno alla rivitalizzazione dei riti della tradizione cattolica.
L’identità civile è coincisa, per secoli, con quella religiosa i cui valori di riferimento affondano le loro radici nel crisitianesimo-cattolico. Infatti i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio culturale e artisitico, oltre che religioso, del popolo italiano. Cosicché la fede dei Valleunghesi è rimasta saldamente ancorata, sino ad oggi, nella tradizione cattolica. Nonostante l’imperversare del fenomeno della secolarizzazione e, ad oggi, di quello del relativismo etico-culturale, che mina alle radici le identità delle nostre comunità, quella vallelunghese ha conservato intatta la sua di identità, civile e religiosa, che si esprime ogni anno anche con determinati avvenimenti religiosi, il cui compito principale, dal punto di vista sociologico, è di cementare la comunità vallelunghese. Uno di questi momenti fondamentali è la Settimana Santa.
In Sicilia, come scrive G. Cammareri, di simani santi ce ne sono davvero tante. “Se ne possono incontrare di meste, chiassose, nevrotiche, follemente amate e disprezzate, profumate dal vino che lava le notti e dall’acre odore dei ceri che le sporca dolcemente, profumate da tanti fiori e illuminate da tantissime luci. Simani gonfiate con l’elio dei palloncini, fatte di mille macchine fotografiche al collo, di bambini vestiti da angioletti e di mamme che li accompagnano, di vecchietti piangenti ai balconi al passaggio di Cristi e Madonne…. Croci, pennacchi, spade attaccate alla vita da centurioni più o meno baffuti e ancora il gesto per un altro e un altro ancora “clic” di quelle mille macchine fotografiche il cui piccolo rumore annega, miseramente, in un mare di note scandite da suonatori infiocchettati nella divisa di questa o quella banda”.
I riti liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa vallelunghese servono a tramandare quella che gli israeliti chiamarono Pesach, che significa passaggio. Dal “passare oltre” della tradizione biblica dell’A.T., che testimonia la mano potente di Dio-salvatore, nella notte tra il 14 e il 15 del mese di Abib, quella dell’uccisione dei primogeniti, risparmiò i bambini ebrei, al “passare oltre” di Cristo dalla morte alla resurrezione.
La Pasqua cristiana se, da un lato, integra quella ebraica, dall’altro le si contrappone divenendo, dal II secolo D.C., a più solenne delle feste cristiane e divenendo il fulcro dell’anno liturgico nella storia della Chiesa.
Questo mio modesto contributo vuole essere un momento di riflessione sulla Settimana Santa e sulla Pasqua a Vallelunga, perché, spero, avvenga, nei miei cinque lettori, anche una comprensione del passato e del presente, della storia civile e religiosa della nostra comunità. Infatti tutti noi abbiamo bisogno di coglierci come uomini del presente ma fortemente legati al nostro passato per seppellirlo, come dice lo storico francese De Certò. Per vivere il presente è necessario seppellire il passato non nel senso di obliarlo, di oscurarlo o, peggio ancora, di cancellarlo, ma di metabolizzarlo.
Questo mio contributo, per citare una espressione del predetto storico francese, è un voler “seppellire” il nostro passato, cioè un riconoscerci nel nostro presente come dipendenti e, nello stesso tempo, ormai distanti da un passato che è inevitabilmente tramontato. Un passato che, pur essendo già tramontato, ha lasciato, però, una eredità civile e religiosa fondamentale, consentendo a tutti noi di coglierci come presente, legati al passato e proiettati al futuro.
In questo contesto,come quello attuale, che non vede più una coincidenza tra la comunità civile e quella ecclesiale, si sente il bisogno di cogliere sempre meglio la propria identità, civile e religiosa,cioè le nostre radici,come antidoto ad ogni forma di relativismo culturale ed etico che distrugge ogni identità anche di natura locale.
Possiamo sostenere, grazie anche al supporto del contributo fotografico,che la Settimana Santa,a Vallelunga è un momento nel quale la nostra comunità pone in essere oltre che una identità cattolica forte anche una forte identificazione.
I riti extraliturgici della Settimana Santa, non vanno considerati come momenti staccati, o addirittura opposti, rispetto alle celebrazioni liturgiche. La testimonianza di tutto ciò è data proprio da ciò che avviene,ogni anno, durante il triduo pasquale anche a Vallelunga.
Tutti noi siamo inseriti in una “traditio” composta da valori civili,sociali,familiari e religiosi, mediati e trasmessi dall’importantissimo processo educativo, connotandoci, appunto, come “civis” e, per chi crede,come credenti.
Lo stesso identico meccanismo avviene per l’esperienza religiosa,quando si entra a far parte di una determinata religione si entra in un solco già tracciato da altri, si entra in una “traditio fidei” con la quale si sono tramandate, di generazione in generazione, le grandi verità di fede credute,celebrate e vissute da una determinata religione,soprattutto se essa ha un fondamento storico,una forte dimensione salvifica e una finalità escatologica, come appunto è l’intero messaggio del cristianesimo.
Il cristianesimo,infatti, ha tutte e tre queste caratteristiche ed ha una sua specificità,che altre religioni non hanno:la fede in Dio fattosi Uomo.
I fatti e le vicende storiche della prima Settimana Santa, documentate minuziosamente dai Vangeli e dal Nuovo Testamento, non si ripeteranno mai più, dal punto di vista della loro storicità ma continuano a ripetersi,da duemila anni circa, dal punto di vista del Mistero Salvifico.
Che cos’è il mistero salvifico?La presenza di Dio-Salvatore nella storia degli uomini, cosicchè ogni anno, durante i riti liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa, viene data al credente la possibilità di partecipare al mistero di salvezza,in chiave liturgico- sacramentale- mistagogica, e di ottenere questa salvezza nell’oggi della storia attraverso la presenza della comunità credente,la Chiesa,cioè la comunità di tutti i battezzati che credono in Gesù-Cristo sofferente,morto e risorto,che continua nella storia la celebrazione del Mistero pasquale.
Nel contemplare le foto , che hanno “immortalato” alcuni momenti di alcuni riti extraliturgici della Settimana Santa a Vallelunga, non si può prescindere da quanto detto fin ora. La Settimana Santa,cioè, è espressione della l’inculturazione della fede cattolica nelle nostre popolazioni. L’inculturazione è l’incontro tra la fede annunciata nei secoli e il recepimento della stessa da parte del popolo credente.
Essa,come scrive V.Sorce, “ha una forte valenza teologica fondata sugli eventi dell’Incarnazione e della Chiesa locale”, e si inserisce in un solco già dato,si inserisce nella cattolicità e all’interno di essa ,attraverso la “traditio fidei”,cioè,appunto, il tramandare la fede, si ricollega, attraverso il ricordo liturgico, ai fatti storici della prima Settimana Santa e della prima Pasqua.
Potremmo dire che la Settimana Santa,a Vallelunga è la stessa,per esempio, di quella di altri comuni presenti in altre regioni d’Italia?Assolutamente no. In che senso c’è diversità?Non nella sostanza dell’Evento e della celebrazione dello stesso, ma nelle modalità di recezione del messaggio del cristianesimo e nel modo con cui ogni comunità credente ha vissuto e vive, nell’oggi della storia, il mistero salvifico di Gesù-Cristo morto e risorto. Tutto ciò si chiama inculturazione della fede.
La Settimana Santa, in Sicilia, è il frutto di una duplice tradizione:
la prima legata alle sviluppo della inculturazione della fede in Sicilia: per cui è possibile parlare di una sorta di “Cristo Siciliano”.
–la seconda legata alla sviluppo del cattolicesimo in questo territorio che ha fatto propri gli influssi derivanti: dal concilio di Trento e dall’influsso bizantino e spagnolo.
In che senso si può parlare,allora, di un Cristo “siciliano”?
Nella cultura e nella pietà popolare siciliana esiste una interpretazione e un vissuto della figura di Gesù-Cristo che è caratterizzata da tratti propri. L’aggettivo “siciliano” ci dice qualcosa di culturalmente significativo,cioè a dire la cultura siciliana ha “segnato” la figura del Cristo con alcuni suoi tratti specifici. Questo “Cristo siciliano” sarebbe in opposizione a quello della predicazione ufficiale della Chiesa, dei dogmi e della liturgia?Addirittura lo si potrebbe considerare un Cristo fuori dalla Chiesa cattolica o,addirittura, contro di essa?Un “Evangelium extra ecclesiam?”
Secondo le tesi di alcuni studiosi il “Cristo siciliano” potrebbe benissimo essere considerato il Cristo delle classi deboli e oppresse o, come dice Gramsci, delle classi popolari che sono “strumentali e subalterne”. Molti studiosi,di indirizzo marxista, infatti, sostengono che la religiosità popolare ,che trova il proprio culmine nei riti della Settimana Santa, sarebbe l’espressione di un cristianesimo vissuto fuori dalla Chiesa e di un “Cristo-popolare” oggetto di un conflitto esistente, di fatto, tra la gerarchia cattolica e il popolo credente.
Stanno davvero così le cose? La risposta negativa si evince, meravigliosamente, da ciò che avviene ogni anno a Vallelunga che ci aiuta a cogliere il fatto che la pietà popolare,quella legata,anche, ai riti della Settimana Santa e della Pasqua, in Sicilia, ha un’anima teologica;cioè l’humsus,il terreno in cui essa affonda le radici è costituito dalle grandi verità proprie del cattolicesimo credute,comprese (attraverso un cammino di “intellectus fidei”),celebrate e vissute.
Non c’è,dunque, nessun conflitto tra la Chiesa “gerarchica” e il popolo credente, per il semplice motivo che anche la gerarchia cattolica partecipa ai riti extraliturgici della Settimana Santa.
Dove sta allora l’equivoco?proprio nel significato che si dà al termine “pietà popolare” intesa non come esperienza di fede del popolo credente ma come momento di opposizione delle classi subalterne alle classi colte e,soprattutto,alla religione “ufficiale”. Dunque una lettura sociologica e non teologica del fenomeno.
Quali sono,allora, le caratteristiche del “Cristo siciliano”in relazione agli eventi della Settimana Santa e della Pasqua?
Il siciliano è uno che vuole vedere e toccare,è fondamentale per il siciliano la RES,la cosa,(pensiamo alla tematica verghiana della roba) e tutto ciò perché il siciliano ha alle sue spalle una esperienza storica tragica, poichè ha visto decine e decine di colonizzatori venire nell’isola e, spesso, maltrattare il popolo. Tutto ciò lo ha spinto a proiettare questa sofferenza, accumulata nei secoli, nell’attaccamento alla res,spesso anche con modalità eccessive e devianti, come si configura il fenomeno mafioso. Come se la “materialità” delle cose lo salvasse dall’insicurezza e dalla sofferenza accumulate nei secoli.
Questa mentalità della Res,nel senso migliore del termine , cioè cosa vissuta,esperienza fatta, viene applicata anche nel vissuto religioso del siciliano. In questa cementificazione di quotidianità sofferta,la Sicilia celebra la cultura della sofferenza e in tutti i paesi dell’isola la Settimana Santa costituisce l’approdo di un modello irrepetibile verace,insostituibile salvataggio. Il Siciliano trova, negli eventi,liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa, la teologia della kènosis,ossia il fatto che Dio non ha disdegnato di farsi Uomo e di assumere su di se’ tutta la sofferenza,fisica e morale,del genere umano.
Infatti in Sicilia è forte la concentrazione sul “Corpo di Cristo”. L’attenzione,la contemplazione del corpo di Cristo va dal Gesù-Bambino a tutta la vicenda della passione-morte-resurrezione, con particolare attenzione al corpo di Cristo deposto dalla croce e sepolto.
Il corpo di Gesù-Cristo non è mai solo, ma viene associato a quello della madre,dalla culla alla tomba. E’ l’insieme dei due corpi che costituisce il cuore della Pietas proprio del Venerdì Santo,al punto tale che in alcune circostanze i due simulacri si fondono quasi a divenire una sola cosa,cosicché il siciliano non concepisce il corpo di Gesù-Cristo se non associato a quello della madre. I due corpi vengono associati nel dolore del Venerdì Santo e nella gioia della Domenica di Pasqua, allorquando la Madre ritrova il figlio risorto:l’Incontro che si celebra in molti comuni dell’isola proprio la mattina di Pasqua.
Da che cosa scaturisce questa concentrazione sulla tematica del Corpo di Cristo?
Le origini sono lontane,bisogna risalire al 1700,secolo in cui si realizzarono in Sicilia,come sostiene lo storico Cataldo Naro,le istanze innovatrici del concilio di Trento,prima fra tutte la predicazione al popolo ad opera soprattutto degli ordini religiosi. Nacque, proprio dalla predicazione itinerante dei Cappuccini,dei Gesuiti e dei Redentoristi, l’attenzione al Corpo di Cristo.
Fu il francescanesimo ad introdurre la pietas verso Gesù Bambino(la creazione del primo presepe vivente,a Greccio,la notte di Natale del 1223, ad opera di Francesco D’Assisi),ripresa nel 1700 da sant’Alfonso de Liguori. I religiosi,grazie ai quaresimali,le 40 ore,i panegirici,gli esercizi spirituali,le missioni popolari,la creazione di tante confraternite, diffusero la pietas,cioè il rapporto tra il credente e “U Signori”,inteso, come Dio padre a volte (U Signori fici u munnu”), ma quasi sempre riferito a Cristo: “U signori murì pi nuatri poveri piccatura”.
Tutto ciò avvenne proprio nel 1700. Proprio il “secolo dei lumi” ci insegna una notevole vivacità, alimentata dalle pratiche di pietà sul mistero di Cristo semplice, povero e crocifisso e dalla necessità di garantirsi la salvezza che, sebbene eterna, deve essere sperimentata già nel quotidiano.
La pietà settecentesca è prevalentemente cristologia. Vanno ricordati, a tal proposito, i componimenti di Sant’Alfonso sul Natale e i crocifissi scolpiti da fra Umile da Petraia. Essa, in sostanza, è riportata agli eventi decisivi della storia della salvezza: l’incarnazione, la passione e la morte in croce, la devozione verso l’umanità di Gesù, vengono radicati nel popolo grazie a preghiere, canti, quadri devozionali.
Essenzialmente,dunque, gli influssi maggiori che hanno caratterizzato la Settimana Santa in Sicilia sono di duplice derivazione:
l’influsso bizantino,
con la nascita delle devozioni popolari e all’interno di esso il movimento francescano con la devozione verso Gesù bambino e, per il nostro tema, verso il Cristo sofferente e il tenero amore verso Maria Addolorata. Il periodo che va dal XIII al XV secolo vide la comparsa delle prime statue dei crocifissi che esprimono la sofferenza e la morte di Cristo.
Il devozionismo a partire proprio da questo periodo si è insinuato profondamente nella coscienza e nelle espressioni di fede dei credenti ponendo le premesse per il nascere e lo svilupparsi anche delle tradizioni popolari siciliane della Settimana Santa.
L’influsso spagnolo,
il periodo che va dalla fine del XVI secolo fino al XVIII secolo. Il dominio degli spagnoli ha contribuito alla strutturazione definitiva dei riti della Settimana Santa in Sicilia.
Per il nostro discorso lo spagnolismo diede vita all’ anticipazione del cosidetto “Sepolcro”(tecnicamente Altare della reposizione) del Signore alla sera del giovedì santo. Risale, al XVI secolo, l’usanza di deporre nel sepolcro l’immagine del Cristo morto,esponendo sopra il sepolcro il SS. Sacramento nell’ostensorio coperto da un velo.
Nacque,così come documentato dal Plumari, l’identificazione dell’altare della reposizione con il Sepolcro. Infatti,sino ad oggi,nella coscienza popolare vi è una dissolvenza di significati tra l’adorazione della “presenza reale-ostia”conservata nel tabernacolo-custodia e del corpo-ostia del Signore conservato nel tabernacolo-sepolcro.
I riti liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa trovano il loro culmine nel triduo pasquale in cui avviene un meraviglioso connubio tra liturgia e pietà popolare.
La pietà polare,come scrive Vincenzo Sorce,accentua di più l’immagine, la liturgia, il segno.
Continua il Sorce, è lo stesso popolo,il popolo di Dio,che vive lo stesso mistero e lo esprime con linguaggi diversi.
Nella pietà popolare,l’uomo di Sicilia,in modo particolare nella Settimana Santa,vive ed esprime la partecipazione alla passione ,morte e resurrezione di Cristo,con la totalità della sua struttura antropologica,che è simbolista,fortemente sensoriale:vivendo la dimensione della festività e della tragicità.
Attraverso le foto si coglie “un popolo che esce dalla solitudine,vive la comunione. Dando spazio ai suoi sentimenti,alle sue emozioni,con la totalità del linguaggio corporeo,la gestualità,il canto,gli aromi,i colori,il pianto,il grido”.
L’uomo di Sicilia si rimette in marcia. Si libera dal pianto,grida il suo dolore,la sua angoscia,la sua paura davanti alla morte. Si identifica con l’uomo dei dolori ,appeso alla croce.Da spazio ai suoi sentimenti,piange. Prende contatto con i suoi vissuti,li esprime,li condivide,li grida,li urla. Psicoterapia e salvezza radicale s’incrociano nel Crocifisso,l’uomo dei dolori,l’uomo ferito e la risposta di Dio”.
Il Giovedì Santo,a Vallelunga, vede la creazione,ad opera dei confrati delle tre Confraternite esistenti in paese,(quella del SS.Sacramento,della Madonna del Rosario e di Maria SS. Addolorata) ,nei rispettivi oratori,delle cosiddette CENE. Una creazione che si ripete da decenni e che ha ereditato la tradizione dei “pupi di zucchero” tipica del palermitano.
Vengono create,da ogni confraternita, delle mense su cui vengono deposti 13 agnelli di zucchero di media grandezza,raffiguranti Cristo e i dodici apostoli che celebrano l’ultima cena, accompagnate da 13 pani da cena(dolce tipico pasquale Vallelunghese) insieme a 13 lattughe , cedri, arance e finocchi.
Al centro della tavola,troneggia una statua,sempre di zucchero opera di artigiani palermitani cui le confraternite si rivolgono ogni anno, raffigurante il Cristo Risorto,insieme al pane e al vino,simboli dell’Eucarestia. Ogni anno,per ogni confraternita, vengono sorteggiati 12 confrati tra quelli che hanno pagato l’annualità,ossia la quota associativa.
Quattro dei dodici sorteggiati,per ogni confraternita,vanno a svolgere il ruolo che fù dei 12 apostoli nella messa vespertina “In Cena Domini”,nella quale si ricorda l’istituzione dell’Eucarestia e la carità fraterna. Saranno i protagonisti della lavanda dei piedi. Alla fine della Messa, i dodoci confrati sorteggiati da ogni confraternita,unitamente agli altri confrati e alle loro famiglie ,si riuniscono presso la loro chiesa di riferimento e dopo aver contemplato la bellezza della Cena,ricevono in dono l’ Agnello di zucchero,un pane da cena,un cedro,una lattuga,un finocchio e un arancio che portano a casa. Ai confrati non sorteggiati viene dato un piccolo agnello di zucchero. La sera del giovedì santo si conclude con la visita all’unico “Sepolcro”creato nella cappella del SS.Sacramento della Chiesa madre .L’adorazione eucaristica si protrae sino alla mezzanotte.Chiusa la chiesa avviene,notte tempo,la spogliazione del sepolcro e la preparazione del simulacro del Cristo morto.
Il Venerdì Santo, nella pietà popolare siciliana, emerge il culto della passione e morte di Gesù nella quale la nostra gente si immedesima in partecipazione comunitaria. Ha scritto a tal proposito il Prof. Basilio Randazzo che «la vera pietà di una volta all’anno, raccolta in tutto un anno, si comunica nel dolore della settimana santa, e in particolar modo il venerdì santo si celebra il «Tutto di Tutti», cioè il mistero della Passione, come «prototipo teologicamente unitario con uno stile culturalmente conforme ma con un atteggiamento che varia da comunità a comunità».
Nella pietà popolare del Venerdì Santo, scrive Angelo Plumari, l’uomo di Sicilia vive ed esprime la partecipazione alla passione, morte e resurrezione di Cristo con la totalità della sua struttura antropologica, cosicché un popolo esce dalla solitudine, vive la comunione dando spazio ai suoi sentimenti alle sue emozioni con la totalità del linguaggio corporeo, con la gestualità, con il canto, i colori, il pianto, il grido.
Il venerdì santo è emblematico e paradigmatico come i siciliani si ritrovino e si identifichino nel dolore del Cristo morto, stando muti davanti alla bara, e in quello dell’Addolorata, dinnanzi ai quali sentono che il dolore umano, il loro dolore è stato assunto da Dio.
Durante le processioni del Venerdì santo,il popolo che partecipa “esplode con il linguaggio dei segni:piedi scalzi,canti lancinanti,incensi che bruciano,fiaccole accese,
silenzio pieno di mistero,intensa commozione,profonda meditazione. Si ricompongono celebrazione,gestualità,simbolismo,sensorialità. E’il trionfo dell’opera mistagogica”.
Inoltre la mistagogia dei simboli del Venerdì Santo è estremamente interessante oltre che variegata:la presenza delle confraternite incappucciate o a volto coperto,indacano,secondo B.Randazzo,la perdita di personalità o la comunione nel dolore; Il passo professionale a due passi avanti e uno indietro,ansia di sofferenza,i cilii o candele accese,l’umanità;
la fiamma,la purificazione e la luce della Resurrezione; le marce funebri,l’accentuazione sensibilizzata di stati d’animo in pianto del peccato di Deicidio.
Tutto ciò comunica il fatto che “l’uomo siciliano è celebrante simbolista”. Il Venerdì santo inizia con la visita ai sepolcri, poco conosciuti come altari della reposizione, poiché si continua ad identificare, così come sostiene il Plumari, l’altare della reposizione con il sepolcro del Signore creando, nella coscienza popolare, una identificazione di significati tra l’adorazione della presenza reale-ostia e il corpo-ostia, per cui il tabernacolo è, allo stesso tempo, sepolcro.
I riti extraliturgici del venerdì santo si svolgono secondo quattro tipologie presenti nell’Isola:
1.le processioni funebri del Cristo morto accompagnato dalla Madre addolorata;
2.la processione dei misteri;
3.le processioni in cui si compie la mimesi cronologica degli eventi della passione;
4.la processione del solo Crocifisso
Anche a Vallulunga i riti si svolgono secondo la prima e la terza tipologia: a mezzogiorno si porta il Cristo al calvario,che si trova all’uscita del paese in direzione per Palermo, lo si crocifigge, la sera lo si va a riprendere,lo si mette dentro l’urna e lo si porta,in processione, presso l’oratorio del SS.Sacramento,sito in piazza, seguito dalla Madre addolorata.
In molti comuni dell’isola, tra cui Vallelunga, nella mattina del Venerdì Santo si ripete uno dei riti più antichi e più suggestivi della Settimana Santa in Sicilia. L’effige del Cristo morto viene deposto su un tavolo coperto di drappi rossi e i fedeli si recano presso la Chiesa madre, la Chiesa intitolata alle Anime Sante del purgatorio e la Chiesa del SS. Crocifisso, toccando e baciando la statua del Cristo morto, con una preghiera corale:
Pietà e misericordia Signuri.
Un via vai di persone, in assoluto silenzio e con grande fede e devozione, si nota per le strade di Vallelunga sin dalle prime ore dell’alba. Questo gesto di pietà dura tutta la mattinata e si conclude a mezzogiorno del Venerdì Santo. Nel pomeriggio si svolge la celebrazione liturgica della commemorazione della morte del Signore.
La preparazione dell’urna dove la sera verrà deposto il simulacro del Cristo morto avviene ad opera dei confrati del SS.Sacramento,mentre la vara dell’Addolorata ad opera dell’omonima confraternita che ha sede presso la chiesa del SS.Crocifisso. Alla processione serale,vi partecipa un grandissimo numero di fedeli,con in testa il clero locale e i confrati vestiti con i loro abitini tradizionali. La banda musicale suona marce funebri. Arrivati in piazza,un predicatore rivolge un sermone penitenziale al popolo.
Il Sabato santo,tutta la comunità credente si prepara alla celebrazione della solenne Veglia Pasquale.

Lo spazio dei Fratelli.

cop Sintesi&Proposte 65
Invito conf. confraternite

Dalla Sicilia alla Puglia.La Festa di San Giuseppe.

talmus san giuseppe
volantinoSGiuseppe
talmus Sgarbi Musardo
Il volume è stato presentato dal Prof. Vittorio Sgarbi e dal Prof. Rodo Santoro su invito della Delegazione Sicilia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e la TALMUS ART EDITORE il 18 marzo presso la Chiesa di San Nicolò daTolentino, a Palermo
Dalla Presentazione:
“Lo studio di questa particolare festa della tradizione religiosa cristiana è oggi più che mai prezioso perché compendia quella civiltà contadina che oggi rischia definitivamente di scomparire.
Un libro che ne racconta l’origine e l’evoluzione, è un’opera indubbiamente meritoria. Questo, in particolare, oltre al ricco corredo fotografico, costituisce, per il rigore scientifico e per la linearità della scrittura didattica che ne fa un libro di ampia divulgazione, un prezioso contributo alla conoscenza e all’approfondimento di San Giuseppe e dei riti religiosi a lui ispirati
. ” [Vittorio Sgarbi]

Dalla Sicilia alla Puglia la festa di San Giuseppe è una semplice raccolta di santini e immagini sacre riferite al santo di Nazareth? E’ il peregrinare faticoso per paesi e città alla ricerca del misto sacro-profano? E’ l’esercizio retorico culturale per ricostruire feticismi e misticismi profani e poplari? No. E’ la saggezza mirata a rivalutare un culto che è di popolo, che è di piazza, che è di fede, che è cultura, storia e arte, senza confusioni. E’ un capolavoro di immagini e di testi, freschi di stampa, uscito in questi giorni, e concepito da chi ne è stata la curatrice, la dottoressa Vincenza Musardo Talò, per volere di una giovane casa editrice pugliese, la Talmus Art. Il santo degli artigiani, degli operai e dei falegnami; della buona morte e della vita indissolubile chiamata matrimonio, conquista un posto d’onore nella iconografia, ma, anche, nella ripresa e rivalutazione di un culto molto diffuso in due regioni meridionali: la Sicilia e la Puglia. Due realtà lontane, ma affini, definite nel testo “regioni sorelle”, perché di esse è stato colto il senso vero di una appartenenza, di una identità consacrata nella icona di un santo che pulsa nel cuore dei due popoli, segnandone la storia, i ritmi, i passi, l’autenticità di una fede; di un connubio antico, nuovo, moderno, sancito, non solo da quel mare Mediterraneo che unisce, ma dalla sacralità di due mondi che si incontrano sull’altare dell’amore verso lo sposo di Maria Vergine.
Culti isolati, personali e soggettivi, ma, anche comunitari, collettivi nella espressione di Confraternite, sodalizi religiosi, Pie Unioni. Una coralità di cuore che esprime generosità e gratitudine, senza finzioni, senza ipocrisie, senza falsi ed inutili pudori, perché la fede autentica è quella che si manifesta e non quella che viene nascosta o repressa per rispetto umano. In questa opera nuova, non è da sottovalutare il coraggio mostrato da Vittorio Sgarbi, il quale ha saputo leggere i segni di un popolo, della gente autenticamente genuina; ha saputo intercettare le istanze di fede raccolte non in un crogiuolo, non in fazzoletto bagnato di lacrime, ma nello specchio di una vita, perché la vita di Giuseppe è stato specchio di fedeltà, di servizio, di obbedienza, di silenzio, di operosità. A questo meritorio lavoro va il plauso verso i tanti che hanno collaborato con la loro esperienza, con la loro voglia di ricercare, studiare, approfondire, conoscere e far conoscere il valore di un personaggio, staccato dal cuore della storia della Redenzione, per diventare medaglia di ogni singolo credente; di ognuno che ha sentito il bisogno del rifugio sicuro e sereno in colui che protesse nel rifugio del suo cuore immenso, la vita di Maria e di suo figlio, Gesù Cristo. Brevi considerazioni le nostre. Per meglio entrare nel clima di quest’opera, abbiamo affidato il compito alla sua curatrice, Vincenza Musardo Talò, che dobbiamo definire instancabile zelante e zelatrice di una missione.(Giuseppe Massari).

Partire per un viaggio – sia pure per immagini e narrati – nel magico labirinto di antichi sapori e colori delle solari regioni di Puglia e Sicilia, le due Terre più fascinose del Mediterraneo, cariche della voce dei secoli e laboratorio interculturale di civiltà lontane…
Viaggiare per antiche e nuove contrade, nella veste di umili pellegrini della cultura, per rivisitare uno dei più ricchi patrimoni di rituali, di cui si adorna la devozione popolare: la festa di S. Giuseppe…
Entrare, con rispetto, nella intima microstoria di tante comunità, che da secoli, con la tenacia della fede e l’umiltà dei semplici, affidano il loro vissuto al patrocinio potente di questo santo Patriarca…
Questi gli obiettivi del presente volume, accostato da studiosi di legittimato spessore scientifico e documentato da un corredo iconografico, proveniente dagli scatti artistici di esperti della fotografia o dalla istantanea e fresca foto-ricordo del devoto visitatore e del turista, unitamente ad alcuni rari esemplari di piccole immagini devozionali, riemersi da prestigiose collezioni private…
E il tutto sapientemente supervisionato dall’occhio “critico” di Vittorio Sgarbi: uno dei più stimati e accreditati studiosi di Estetica, nonché profondo e severo conoscitore dell’Arte, che la contemporaneità possa vantare. Il libro racconta l’origine e l’evoluzione della festa di San Giuseppe dalla Sicilia alla Puglia. Grazie alla ricca dotazione di illustrazioni, al rigore scientifico utilizzato nella descrizione e la linearità della scrittura didattica, il libro è adatto ad un’ ampia divulgazione, ed è un prezioso contributo per far conoscere ed approfondire il culto di San Giuseppe.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Quanto la iconografia dei santini, predisposta da Stefania Colafranceschi, ha contribuito alla buona riuscita dell’impresa?

R. Attraverso un variegato universo di costumanze e tradizioni comuni, il volume legge anche un aspetto delicato e intimo della devozione popolare a san Giuseppe, raccolto e testimoniato nei santini di una volta e magistralmente esemplato nella ricerca di Stefania Colafranceschi. A guardarli, questi minuti miracoli di carta, si coglie il delicato sentire delle folle devote dinanzi a una iconografia certamente popolare, ma capace di un trasporto di emozioni e di fede robusto verso il Santo che dopo Gesù e Maria fu il terzo protagonista del progetto salvifico dell’Altissimo. E voglio anche evidenziare l’impegno e l’attenzione delle confraternite di san Giuseppe, da sempre tese a mantenere e veicolare una devozione fatta di rituali segnici, che accompagnano la religiosità popolare nell’alveo sicuro della liturgia, nel mentre si mostrano degne custodi di un prezioso serto di valori e ideali del vivere umano, tanto magistralmente esemplato nella vita del Santo falegname di Nazaret. Ma, nel complesso, l’intero lavoro di studi e ricerche, depositato e offerto in questo volume, si configura come un’occasione di affettuosa condivisione di tante testimonianze di fede in san Giuseppe, comuni non solo in Sicilia e in Puglia, ma sparse per tutte le strade dell’ecumene, là dove è caro il nome di questo Santo patrono della Chiesa Universale.
(Intervista alla Prof.ssa Vincenza Musardo Talò a cura di Giuseppe Massari).

Volume rilegato con copertina telata e sovracoperta con impressioni in oro.
carta patinata lucida 200gr/mq interamente a colori riccamente illustrato,
208 pag. formato 21×30 e elegante custodia con impressione in oro.
É un regalo per lo studioso e il cultore di tradizioni popolari.
É un regalo per la festa del Papà e uno strumento di promozione turistica

Sommario
Presentazione [Vittorio Sgarbi]
Nota del curatore [V. Musardo Talò]
Parte prima: Sicilia. Terra di san Giuseppe
La festa di san Giuseppe: geografia cultuale in Terra di Sicilia [D. Scapati]
Tra miti e credenze. Patronage giuseppino nelle contrade siciliane [C. Paterna]
I pani merlettati di Salemi, capitale del culto siciliano in onore di san Giuseppe [P. Cammarata]
Pietanze della tradizione nelle tavolate di Vita e dintorni [S. Fischetti e AA.VV.]
Parte seconda: Puglia. Omaggio a san Giuseppe
La Puglia per san Giuseppe. Storia e devozione [V. Fumarola]
A oriente di Taranto, cuore pugliese del culto giuseppino [S. Trevisani]
San Giuseppe nel Salento: riti e tradizioni [E. Imbriani]
Architetture dell’anima: i magici altarini di san Giuseppe [V. Musardo Talò]
Asterischi
Iconografia giuseppina nell’arte colta [V. Sgarbi]
Dalla Sicilia alla Puglia:
le Confraternite di san Giuseppe custodi della religiosità popolare [V. Musardo Talò]
“A Te, o beato Giuseppe…”: il culto di san Giuseppe nei santini [S. Colafranceschi]
Autore :Autori Vari.
presentazione di Vittorio Sgarbi
Edizione: Talmus-Art – 2012
ISBN 9788890546075
Prezzo 54,60 euro

Venerdì santo 2014:Palermo.

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Per Crucem ad Lucem:buona Settimana Santa.

La Croce

Giovedì Santo:Chiesa Madre di Borgetto(Pa).

Lo spazio dei fratelli.

invito_spazio dei fratelli

Elogio di una comunità:l’infiorata di Borgetto!


La solennità del Corpus Domini (espressione latina che significa Corpo del Signore), più propriamente chiamata solennità del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, è una delle principali solennità dell’anno liturgico della Chiesa cattolica. Si celebra la Domenica successiva alla solennità della Santissima Trinità Rievoca, in una circostanza liturgica meno carica, la liturgia della Messa in Cena Domini del Giovedì Santo.
Venne istituita l’8 settembre1264 da papa Urbano IV con la Bolla Transiturus de hoc mundo in seguito al miracolo di Bolsena; nacque però in Belgio nel 1246 come festa della Diocesi di Liegi. Il suo scopo era quello di celebrare la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia.
In alcune località, (per esempio a Genzano di Roma, la stessa Bolsena patria dell’evento, Spello- classificatasi nel 2002 come infiorata più bella d’Europa- Pievepelago e Fiumalbo in Provincia di Modena, Spotorno, Dasà, Itri, San Pier Niceto), lungo il percorso della processione viene realizzata l’infiorata, un tappeto naturale costituito da petali di fiori. Alcune tradizioni, vogliono che i petali utilizzati per la realizzazione delle opere floreali, debbano essere freschi e raccolti all’albeggiare.
L’eucaristia è strettamente collegata con la Pasqua, con la morte e risurrezione di Gesù. Il fatto fondamentale che collega i due avvenimenti è l’ultima Cena: fondante l’eucaristia e annunciante la Pasqua. Cristo celebra la pasqua ebraica, ma le dona un nuovo significato. L’antica alleanza tra il popolo di Israele e Dio sul monte Sinai fu suggellata con il sangue di un sacrificio; così anche la nuova e definitiva alleanza del nuovo Israele è suggellata dal sacrificio di Cristo, vero Agnello che “toglie il peccato del mondo”, che “riconcilia l’umanità col suo creatore”. Nella cena pasquale ebraica, consistente in azzimi ed erbe amare, si assisteva al ricordo della liberazione dall’Egitto e degli eventi dell’esodo stesso. Nella cena pasquale cristiana – l’eucaristia appunto – si assiste al ripresentarsi vivo e vero della passione morte del Figlio di Dio, che libera del peccato e “riconcilia nel suo amore il mondo intero”. Perciò Gesù dice: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue”: si tratta della nuova Pasqua dell’Agnello.
L’apostolo Paolo di Tarso scrive: “Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice voi annunziate la morte del Signore finché egli venga”. È necessario soffermarsi in modo particolare sulla comprensione dell’eucaristia come memoriale (anamnesi): questo termine nel contesto biblico – quindi con il termine ebraico “zikkaron” – indica azioni rituali riferite ad un evento (salvifico) passato in grado tuttavia di attualizzarlo, rendendolo presente ai celebranti nelle sue stesse dimensioni salvifiche, e proiettandolo anche verso il futuro.
E nella concezione memoriale le confessioni cristiane trovano consenso nell’affermazione: “L’eucaristia è il memoriale di Gesù crocifisso e risorto, cioè il segno vivo ed efficace del suo sacrificio, compiuto una volta per tutte sulla croce e ancora operante in favore di tutta l’umanità” (Battesimo, eucaristia, ministero, documento ecumenico di Lima, 1982).
L’intero complesso della celebrazione eucaristica (e dunque liturgia della parola e liturgia eucaristica) è il memoriale di tutto il mistero di Gesù, centrato nella sua morte e risurrezione; la preghiera eucaristica è, in modo particolare, pervasa dal tema del memoriale.
Secondo la chiesa cattolica, nelle specie consacrate del pane e del vino, dette anche Santissimo Sacramento dell’Altare, vi è la presenza reale di Cristo stesso, in corpo, sangue, anima e divinità. La continua ri-attualizzazione di questo grande mistero avviene mediante l’azione dello Spirito Santo. Per i cristiani cattolici e ortodossi la stessa messa è effettivamente la rinnovazione dell’ultima Cena (ovvero “la sua continuazione in una Comunione di Santi che unisce i presenti alla messa a chi è morto cristianamente prima di loro”). Il sacerdote che celebra l’eucaristia, agendo in persona Christi, invoca la potenza dello Spirito Santo. Secondo la Chiesa cattolica, avviene così la transustanziazione, ovvero il cambiamento “oltre la sostanza” (trans-substantia) del pane e del vino in corpo e del sangue di Cristo. Per i cristiani cattolici ogni eucaristia, in quanto memoriale dell’evento sacrificale di Cristo, è sacrificio in modo attuale: la Chiesa lo considera dono del Signore e ne fa il suo sacrificio. Per questo invita i fedeli ad offrire se stessi a Dio in ubbidienza e devozione, perché – come ancora Paolo scrive – “chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini sé stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna”. In quanto comunione alla Cena del Signore, nell’eucaristia i fedeli trovano il fondamento, la fonte ed il vincolo dell’unione fra loro e con Cristo.

Ogni anno la Chiesa Madre di Borgetto,guidata dall’arciprete don Antonio Crupi,celebra la solennità del Corpus Domini cercando di vivere quanto scritto al n.61 del documento Eucarestia,Comunione e Comunità, della Cei del 1983:
“Non si può essere Chiesa senza l’Eucarestia. Non si può fare Eucarestia senza fare chiesa. Non si può mangiare il pane eucaristico senza fare comunione nella Chiesa”.
Pertanto, la comunità cattolica borgetana da parecchi anni crea,in omaggio al Cristo eucaristico,una bellissima infiorata,la quale vuole essere da stimolo per riflettere sul fatto che:”molti cristiani vivono senza l’Eucarestia,altri fanno l’Eucarestia ma non fanno la Chiesa,altri ancora celebrano l’Eucarestia nella Chiesa,ma non vivono la coerenza dell’Eucarestia.”(ib.n.61)
Riprendendo S. Cipriano il Concilio Vaticano II afferma che “ la Chiesa è un popolo adunato nell’unita’ del Padre del Figlio e dello Spirito Santo” (LG. 4) . La stessa parola “ Chiesa” significa assemblea e proprio l’assemblea eucaristica manifesta la natura della comunità cristiana che è convocazione: essa è risposta ad una chiamata ,è accoglienza di un dono .La celebrazione eucaristica vede il riunirsi insieme dei fratelli ,in comunione con tutta la Chiesa .
In quest’ottica,tutta la comunità parrocchiale si prodiga per realizzare l’infiorata. Un momento in cui tutti,Arciprete in testa,sudano sette camice per portare a termine l’opera. L’infiorata di Borgetto dice anche che la comunità parrocchiale ha imboccato un cammino di crescita spirituale grazie anche alla guida saggia dell’Arciprete molto avvezzo al grembiule e non allo scettro. Una comunità che riflette sulla sua identità religiosa specifica e che con spirito di umiltà e fraterna collaborazione cresce. L’Eucarestia crea la comunità! Ed è per questo che il “tempio” di Borgetto(dedicato a Santa Maria Maddalena) è stato,pian piano,restaurato e abbellito sempre di più. Dio è Bellezza e la sua “casa”non può non essere bella. Di recente la creazione della penitenzeria e della porticina aurea del tabernacolo. Momento forte la solennità del Corpus Domini,con la creazione anche degli altari devozionali lungo il percorso della processione, che unitamente al Venerdì Santo e alla festa di San Giuseppe,con la creazione delle mense,costituisce una trilogia inscindibile del vissuto della comunità della chiesa madre di Borgetto.

Ciminna-Baucina(Pa):festa del SS.Crocifisso(Maggio 2010).

LE FESTE DELLA Santa Croce.
I libri liturgici attuali ne hanno due: In Inventione S. Crucis (3 maggio) e In Exaltatione S. Crucis (14 sett.).
Le feste seguirono lo sviluppo della devozione alla reliquia della S. C., che ebbe origine col suo ritrovamento. L’anno di questo avvenimento resta incerto. La Cronaca alessandrina lo assegna al 320, il Lib. Pont. al 310 (I, p. 167), la Dottrina d’Addai la riporta addirittura al tempo di Tiberio (14-37). La Peregrinatio Aetheriae (ca. 394) la suppone avvenuta prima del 335, ma Eusebio nella Vita Constantini, scritta nel 337 non ne parla affatto. Il primo documento sicuro è la testimonianza di s. Cirillo di Gerusalemme nella Cathech., XIII, 4: PG 33, 775; scritta nel 347. Meno informati ancora si è sul giorno della Inventio. Da notarsi però che la Cronaca e la Peregrinatio danno il 14 sett. e questo è stato causa di non poca confusione per l’individuazione delle due feste nei documenti.
Storicamente la festa liturgica dell’Exaltatio precede quella della Inventio. L’origine è palestinese, anzi locale di Gerusalemme e deve ricercarsi nell’annuale celebrazione della dedicazione (avvenuta il 13 e 14 sett. 335) delle due basiliche costantiniane dell’Anastasis e del Martyrion. La festa giunse a grande celebrità. Alla fine del sec. IV la Peregrinatio parla di moltitudini di monachi, episcopi (fino a 40 e 50), clerici, saeculares, tam viri quam feminae, che per otto giorni continui accorrevano da tutte le parti dell’Oriente per prendervi parte. Essa non cedeva in nulla alle feste di Pasqua c dell’Epifania (Peregrinatio ad loca sacra, cap. 48, in Itinera, ed. Geyer, p. 100). Con il tempo s’incominciò a fare una solenne ostensione delle reliquie della vera C., sicché a poco a poco questo rito diventò l’oggetto principale della solennità, facendo dimenticare quasi del tutto la dedicazione. Alessandro di Cipro (sec. VI) la designa esattamente con il nome poi rimasto: Exaltatio praeclarae Crucis (PG 86, 2176).
Da Gerusalemme la solennità si diffuse in molte chiese orientali, specie dove si possedeva una reliquia della vera C., come a Costantinopoli, ad Apamea e ad Alessandria.
Per l’Occidente la prima testimonianza d’una festa liturgica della S. C. si trova nella biografia di Sergio I (687-701), nella quale si legge: Qui etiam ex die illo pro salute humani generis ab omni populo christiano die Exhaltationis Sanctae Crucis in basilicam Salvatoris, quae appellatur Constantiniana, osculatur et adoratur (Lib. Pont., I p. 374).
Il testo lascia intendere che la festa era già celebrata prima di Sergio; probabilmente dapprima nell’oratorio della S. C. al Laterano, poi nella basilica Sessoriana Sanctae Crucis in Hierusalem. Ma non si deve andare molto indietro, come mostra l’incertezza dei documenti nel segnalarla: p. es., si trova nel Sacramentario gelasiano (metà sec. VIII; cf. ed. Wilson, p. 198), ma manca nel manoscritto di Epternach del Martirologio geronimiano, eseguito da un vescovo consacrato da Sergio I (cf. Lib. Pont., I, p. 387, nota 29). Alla festa Sergio dovette aggiungere la solenne ostensione e adorazione della C. conservata nel Sancta Sanctorum del Laterano di cui parla il testo riferito, cerimonia attestata ancora nell’Ordo di Cencio Camerario al principio del sec. XIII.
Mentre a Roma s’affermava la festa dell’Exaltatio, fissata al 14 sett., nelle Gallie s’era introdotta, e con successo, una festa Inventionis Sanctae Crucis stabilita al 3 maggio. Pare che essa entrasse nelle chiese gallicane nella prima metà del sec. VIII: non si trova nei Sacramentari leoniano (sec. VI) e gregoriano (sec. VII), non ne fa cenno Gregorio di Tours (593-94), così abbondante in simile materia, manca nel Lezionario di Luxeuil (fine sec. VII). La riportano invece i manoscritti del Martirologio geronimiano di Wolfenbüttel (772) e di Berna (di poco posteriore), i calendari mozarabici, i Sacramentari gelasiani del sec. VIII (cf. P. de Puniet, Le Sacramentaire romaine de Cellone, Roma [1938], pp. 92*-93*; Sacramentarium Pragense, ed. A. Dolci, Beuron 1949, p. 71).
La data del 3 maggio fu suggerita, a quanto sembra, dalla leggenda di Giuda Ciriaco, vescovo di Gerusalemme (BHL, 7022). Il Missale Gothicum (secc. VII-VIII) e quello di Bobbio (sec. VIII) mettono la festa tra l’ottava di Pasqua e le Rogazioni, senz’altra indicazione. Il Reg. 316 e il Pragense hanno già la data del 3 maggio. In sostanza i due calendari, il romano e il gallicano, avevano una propria festa della S. C. in date diverse e ambedue sono rimaste nei libri liturgici quando questi, emigrati in Gallia, ritornarono a Roma con le note aggiunte c trasformazioni.
Anche il formolario liturgico delle due feste ha risentito delle loro vicende. L’ufficiatura della Exaltatio è di evidente fattura romana: lo mostra tra l’altro l’antifona: O magnum pietatis opus, tratta dall’epigrafe metrica di papa Simmaco (498-514) per l’oratorio della S. C. in S. Pietro, e l’altra Salva nos, Christe, che ricorda lo stemma della medesima basilica (cf. U. Mannucci, Per la storia dell’ufficio della S. C., in Rass. Gregor., 1910, col. 249). Le lezioni narrano il recupero della S. C. dalle mani dei Persiani, avvenuto nel 665 sotto Eraclio.
L’ufficiatura dell’Inventio, invece, è gallicana. Le antifone del sec. XII accennavano alla leggenda di Giuda Ciriaco e furono soppresse da Clemente VIII (1592-1605) “quia historiam continebant dubiam” e sostituite dalle attuali (v. l’antico formolario in Tommasi, Opera, t. IV, p. 250). Le lezioni rimaste raccontano il ritrovamento della C. fatto da s. Elena. La Messa è di classico tipo gallicano (cf. G. Manz, Ist die Messe de Inventione S. Crucis im Sacram. Gelas. gallischen Ursprungs?, in Ephem. lit., 47 [1938], pp. 192-96).
Nel 1741 la Commissione nominata da Benedetto XIV per la riforma del Breviario stabili di sopprimere la festa del 3 maggio, ma l’intero progetto, com’è noto, fallì e anche le due feste della S. C. sono rimaste finora al loro posto.
(Annibale Bugnini, Croce nella liturgia in ENCICLOPEDIA CATTOLICA)

Dunque,anche in Sicilia da secoli,si festeggia il 3 di Maggio la festa della INVENTIO CRUCIS.Solamente in qualche comune,come ad es.Carini(Pa),si continua a celebrare l’exaltatio crucis il 14 settembre.
In molti comuni dell’isola,la festa del 3 di maggio è caratterizzata anche da eventi di pietà popolare.Come la bardatura dei muli carichi di bisaccie ripieni di grano e coperti da drappi rossi o di altri colori,ricamati a mano,che ripropongono scene della vita di Cristo,come la sua crocifissione o la sua deposizione dalla croce o simboli eucaristici.I muli,dopo adeguata bardatura,vengono fatti sfilare per le vie dei paese che mantengono,ancora oggi questa tradizione(Ciminna-Baucina-Mezzojuso) e alla fine della sfilata,come ad es.a Ciminna,i muli si ritrovano davanti la chiesa, da dove uscirà l’effige del SS.Crocifisso per la solenne processione serale,a fare la c.d. “firriata“.Una sorta di girotondo per la piazza come omaggio al SS.Crocifisso.A seguire i muli,specie in via d’estinzione,tanti bambini,ragazzi,giovani,uomini e donne a cavallo di giovani giumenti o cavalli adulti,recanti in mano un ex voto.

Pasqua 2010:I VOLTI!(II parte).

Pasqua 2010:I VOLTI!(Prima parte)

Montelepre:la processione dei “MISTERI”.


Montelepre è un piccolo comune dell’entroterra palermitano famoso in tutto il mondo per la vicenda del bandito Salvatore Giuliano e della sua banda che per circa un decennio(1943-1953/54)terrorizzarono tutto il territorio del partinicese di cui Montelepre fa parte.La nascita storica dell’attuale centro abitato e delle sue tradizioni è,però,legata al comune di Carini.Proprio a Carini,a metà del 1700,un farmacista,di origine palermitana,tale Luigi Sarmineto,compose un’opera teologico-misterica di natura strordinaria per vivere la fede cristiana ed in particolar modo la passione della settimana santa.Dunque il termine mistero non significa ciò di cui non si capisce nulla:tutt’altro!Nel significato teologico significa la presenza salvifica di Dio nella storia che ha trovato il suo momento culminante proprio nella Pasqua storica di Gesù-Cristo.Dio salva e salva chi a lui si affida,per mezzo del Figlio suo,nell’oggi della storia.Dunque l’opera teologica del farmacista carinese affonda le sue radici nel senso della “pietas” tipica del 1700:cioè creare un rapporto salvifico con Dio attraverso il dolore di Gesù e di Maria,nel momento della sua passione,e della sua resurrezione.Da quest’opera hanno avuto origine,in Sicilia,la nascita de:i “MISTERI“,cioè la rappresentazione,attraverso quadri viventi,dei momenti fondamentali della salvezza a Montelepre e a Marsala,e la rappresentazione dei momenti salienti della Via Crucis,attraverso gruppi statuari,a Trapani.Ogni anno a Montelepre,circa 400 figuranti,impersonano tutta la storia della salvezza, narrata dalla Bibbia a partire dalla creazione del mondo sino al Venerdì Santo.La processione,connotata non da elementi folcloristici ma di preghiera,silenzio,e meditazione,sfila per le strette vie del paese per circa quattro ore a partire dal primo pomeriggio del Venerdì Santo.Conclusa la quale,si prosegue con la processione dell’effige del Cristo morto dentro l’urna accompagnato da quella della Madre dei Dolori portate a spalla dai confrati dell’antica confraternita dei “Galantuomini”.La strordinarietà della processione dei Misteri di Montelepre,a differenza di quella di Trapani,è data dal fatto che essa conserva il suo spirito originario.

DOMENICA DELLE PALME(2010) A GANGI(PA).

Gli “altari” di San Giuseppe (2010) nella valle del Belice.



SALAPARUTA:POGGIOREALE (TP).

Nonostante la “buon’anima” del defunto On.Bettino Craxi,abbia eliminato il 19 Marzo come giorno festivo in funzione anti-cristiana e in favore di una diffusione del concetto socialista di lavoro,(vedi la “trasformazione del 1 Maggio da giornata del ricordo di San Giuseppe lavoratore a festa del lavoro),la festa di San Giuseppe in Sicilia è rimasta forte, sentita e celebrata in tutta l’isola.Il culto a San Giuseppe,protettore dei falegnami,ebanisti,artigiani in genere,carpentieri,economi e senza tetto, è stato “rilanciato”,nella storia della Chiesa ,da Papa Leone XIII,sul finire del 1800,allorquando la Chiesa subiva attacchi da tutto un processo ideologico e storico,partito dalla rivoluzione francese,mirante a decretarne la sua fine. Così,in un momento drammatico,Papa Leone XIII, lo proclamò patrono della Chiesa universale e scrisse,in suo onore,una bellissima preghiera che a tutt’oggi si recita:”A te,o beato Giuseppe stretti dalla tribolazione ricorriamo e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio…..”.La figura del Santo del lavoro umile e dignitoso,del silenzio,della dedizione alla famiglia di Nazareth,della grande fede nell’accettare il concepimento “anomalo” della sua promessa sposa,Maria,ha colpito la fede e la devozione del popolo cristiano,sin dagli albori del cristianesimo.
Poiché la fede cristiana si tramanda, da una generazione all’altra,anche attraverso il culto ai Santi e a tutti i segni e simboli ad essi legati,la festa di San Giuseppe,attraverso la creazione,in Sicilia,dei cosi detti “altari”-“mense”-“tavolate”(paese che vai dicitura che trovi),è,innanzitutto,un’attestazione della grande fede dei siciliani nel Santo della divina Provvidenza,dei poveri,dei lavoratori,degli ammalati,degli agonizzanti e dei moribondi. Nell’approssimarsi del giorno della festa,in Sicilia si mettono in moto,ad opera di intere comunità, tutta una serie di azioni liturgiche ed extraliturgiche,cioè di pietà popolare,miranti a celebrare San Giuseppe.Dalle novene cantate in dialetto siciliano,al rosario pregato dentro le abitazioni dove si trovano le mense-tavolate-altari. Quest’ultimi creati in onore del Santo per esprimergli devozione e per sciogliere un voto fatto in seguito ad una o più grazie ricevute. Qualcuno,probabilmente,leggendo tutto ciò, si metterà a ridere,pensando ad una Sicilia ferma a chissà quale fase buia del medio-evo. Proverò a dimostrare l’esatto contrario e cioè che il culto e la devozione a San Giuseppe,oltre all’aspetto propriamente cristiano,contengono alcuni elementi interessanti anche per il vissuto sociale delle nostre popolazioni. Farò ciò,brevemente,analizzando gli altari creati in alcuni comuni della valle del Belice, colpiti dal terribile terremoto del 1968 che rase al suolo comuni come Gibellina,Santa Ninfa,Salaparuta,Poggioreale, e ne danneggiò gravemente altri (Salemi,Vita ecc.ecc.),distruggendo la loro configurazione urbanistica tipica dell’isola e avviò la loro ricostruzione,ex novo,con una configurazione architettonica assolutamente atipica per il “topos” e più consona alle logiche anti sismiche:strade larghe e abitazioni basse. Arrivando,ad esempio,a Salaparuta, Poggioreale, si viene colti- è la mia sensazione- da un senso di profonda tristezza,sembra di essere usciti dalla Sicilia e di ritrovarsi altrove. In un paesaggio “lunare”,in territori privati della loro storia e della loro identità culturale. La valle del Belice,dopo il terremoto,si è svuotata e in tanti sono emigrati verso l’Australia,gli Usa,il nord Europa o Italia. Che c’entra tutto questo con San Giuseppe? A Salaparuta ho visitato alcuni altari. In uno di essi ho incontrato due signore,Anna e Caterina,entrambe native del luogo, ma vivono, da anni rispettivamente in Inghilterra e a Milano.Non hanno mai dimenticato il loro paese natio e vi ritornano proprio in prossimità della festa di San Giuseppe. Addirittura la signora Caterina è andata via prima del terremoto e aveva tanta nostalgia di ritornare per vedere gli altari in onore di San Giuseppe che ricordava da bambina. Entrambe le signore,che saluto affettuosamente,erano presenti presso un altare creato dentro una casa di riposo per anziani,la quale struttura è stata costruita grazie ad un lascito di un privato devoto di San Giuseppe. La casa di riposo è perfettamente funzionante e ospita tanti anziani bisognosi di assistenza. Ho avuto il piacere e l’onore di essere invitato a pranzo nel ruolo di “santo”(cioè persona prescelta per il pranzo rituale) e,udite udite,a rappresentare proprio San Giuseppe.Pranzare, seduto al tavolo con dei ragazzini del quartiere(gli altri “santi”),probabilmente provenienti da famiglie con delle difficoltà economiche, è stata una grande emozione. Dunque l’attenzione ai più bisognosi, è un leit-motiv della giornata di San Giuseppe in tutta l’isola. Da sempre è presente la carità amorevole dei credenti,anche dopo la nascita del concetto di stato sociale, che,ovviamente,non si riduce a un giorno all’anno. Sempre a Salaparuta,ho assistito alla consegna di centinaia di pasti a persone anziane,sole o ammalate, che vivono nel quartiere. La festa religiosa come momento di cementificazione sociale,di assistenza ai più bisognosi,di riscoperta delle proprie origini e della propria identità. La festa religiosa che tiene ben salde le proprie radici pur vivendo a migliaia di chilometri di distanza. Da Salaparuta a Poggioreale,tra gli altari, ve ne erano due creati uno dalla locale pro-loco e uno dalla Chiesa madre del paese. Cioè,la festa di San Giuseppe dice che istituzioni laiche,come la pro-loco, e religiose come la parrocchia,possono,anzi devono,collaborare a servizio del territorio e delle fasce più deboli e indifese delle nostre popolazioni. E’ il concetto di fondo della laicità dello Stato moderno,il quale non si oppone ai vissuti religiosi,ma li riconosce e vi collabora. A Poggioreale,mi ha colpito,altresì,un altare, creato da privati cittadini devoti al Santo, nel quale gli uomini hanno costruito la struttura,le donne gli addobbi e il cibo rituale. Così si continua a tramandare un modello di famiglia di stampo islamico:agli uomini i lavori più pesanti e,di norma, fuori di casa,alle donne il dominio della gestione della casa. La famiglia naturale ,nonostante tutto,dalle nostre parti è un valore a cui si tiene tanto anche se liberarsi da certi retaggi,che la storia ha “imposto” al dna dei siciliani, è davvero dura. Inoltre,che dire del senso di ospitalità delle persone che hanno creato gli altari?Alla visita di ogni altare un invito a rimanere a pranzo,un pane in dono e dei dolci da assaggiare sul momento. A Poggioreale,”i santi” sono tredici a rappresentare i 12 apostoli e Gesù,una sorta di ultima cena. Altrove sono tre:la sacra famiglia,oppure quattro:la sacra famiglia e un angelo.In questi due comuni è tradizione che per il giorno del Santo non si preparano cibi né a base di carne né di pesce. Sul significato del cibo sacro degli altari e delle mense dirò in un successivo post. In un altro comune della valle,Vita,quest’anno è stato creato un solo altare, presso la sede del centro sociale per anziani del comune. L’altare è nato grazie al lavoro delle tante donne che frequentano il centro e al fatto che si sono auto-tassate per poterlo realizzare .Le donne di Vita sono abilissime a lavorare ,con le loro straordinarie mani, il cibo più importante degli altari e delle mense:il pane. Dopo la celebrazione della santa messa,inizia il pranzo rituale. A mangiare per primi sono “i santi”,serviti di tutto punto,poi si associano tutti i presenti ed anche chi,per quel giorno,passasse da quelle parti.Anche su questo punto un grande insegnamento:il forestiero va accolto,aiutato e mai disprezzato.
Infatti,come il popolo siciliano potrebbe essere xenofobo o razzista data la sua cultura e la sua storia?
La visita degli altari e delle mense è uno straordinario viaggio alla scoperta di odori, sapori,volti e situazioni che si imprimono in una sorta di memoria indelebile. Non è un caso raro che visitando gli altari si entri in una sorta di viaggio a ritroso,alla ricerca di tanta identità e sana cultura perduti o coperti dalla tanta polvere dell’omologazione di massa e può capitare che ci si lasci trascinare negli spazi della nostalgia e,qualche volta,della malinconia per un proprio passato esistenziale,personale e comunitario,che rischia di perdersi irrimediabilmente.La contemplazione nostalgica dei “tempi andati” può evitare di provocare passività e indolenza solamente se di essi è possibile declinare,nuovamente,i loro contenuti specifici e renderli attuali nel mondo di oggi.Le tavolate,gli altari,le mense in onore di San Giuseppe,vogliono essere un contributo,oltre che alla “traditio fidei”cioè alla trasmissione della fede alle giovani generazioni,a ciò.
Un ringraziamento sentito e doveroso alla signora Palermo per il materiale cartaceo donatomi.Alle signore Anna e Caterina a tutte le volontarie,lavoratori (cuoco in testa!) e lavoratrici della casa di riposo per l’accoglienza e l’ospitalità.Agli amici di Poggioreale un saluto affettuoso e un arrivederci a presto.
Michele Vilardo.

Settimana Santa 2009-Sicilia occidentale.

dsc00057Domenica delle Palme:Piana degli Albanesi-Pa.

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MERCOLEDI’ SANTO-REAL MAESTRANZA-CALTANISSETTA

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GIOVEDI’ SANTO

LE CENE A:

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“Altari” di S.Giuseppe nella valle del Belice…

COMUNE DI SANTA NINFA(TP)

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COMUNE DI GIBELLINA(TP)

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