PIANA DEGLI ALBANESI,STORIA,FEDE E CULTURA.

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Piana degli Albanesi, a 23 Km da Palermo, è il comune siculo-albanese più importante, dal 26 ottobre 1937, è sede vescovile della Eparchia bi­zantina. La cittadina venne fondata nel XV secolo dai profughi prove­nienti dalla penisola balcanica, in seguito all’inva­sione turca. A queste genti, inizialmente, vennero assegnati i feudi di Mercu e Ayndingli dall’arcivescovo di Monreale, Card. Borgia, con atto del 30 agosto 1488; le capitolazioni stipulate, approvate in seguito anche da Breve di Papa Sisto IV, scritte in albanese e in italiano, furono il punto di partenza che avrebbe regolato i rapporti tra loro e il concedente arcivescovo di Monreale.Firmarono, dette capitolazioni Giovanni Barbato, Pietro Bua, Giorgio Golemi, Giovanni Schi­rò, Giovanni Macaluso, Tomaso Tani, Antonino Roscia, Matteo Mazza, Teodoro Dragotta, Giorgio Burlesci, Giovanni Parrino, Giorgio Lascari. Que­sti, a giusto titolo, possono essere considerati come i fondatori della cittadina. Molti di essi erano appartenuti alla più elevata nobiltà di lingua albanese dell’Epiro, della Morea nel Peloponneso, della Chimara, e così via; alcune famiglie, come risulta dai diplomi reali di quella epoca, erano consanguinee dello Skanderbeg. In successive emigrazioni, però, altri profughi, pro­venienti da varie regioni e città, come Corone, Modone, Nauplia, dei Balcani, si aggiunsero a questi primi nuclei. Piana, ancora oggi chiamata dai suoi abitanti semplicemente “Hora”, ossia la “città”, sorse da principio alle falde dell’erto monte Pizzuta. Dopo poco tempo, però, i suoi fondatori furono costretti dall’eccessiva rigidità del clima a scendere nella pianura sottostante, donde il nome di “Piana”. Essa venne chiamata anche Casalotto, dalla denominazione di un vicino feudo.Comunque, denominazione ufficiale della cittadina è stata sin dalla fondazione e fino al 1940 Piana dei Greci. Dopo di allora venne chiamata Piana degli Albanesi e un anno dopo, per Decreto della Sacra Congregazione per le Chiese orientali del 25 ottobre 1941,anche ecclesiasticamente il nome di Planen Graecorum venne cambiato in Planen Albanensium ossia, appunto, Piana degli Albanesi.

Piana degli Albanesi conserva ancor oggi il rito bizantino greco, di cui va fiera, e la lingua albanese. I caratteristici tradizionali costumi femminili, ric­camente ricamati, vengono indossati in particolari feste di famiglia, come matrimoni e battesimi, e in alcune solennità dell’anno liturgico bizantino, spe­cialmente in occasione dell’Epifania, della Setti­mana Santa e nella domenica di Pasqua.I costumi femminili indossati dalle donne di Piana degli Albanesi, per la finezza e il pregio dei loro ricami in oro e del loro tessuto, sono un particolare elemento di folklore e richiamano l’ammirazione dei turisti che, specialmente in occasione delle grandi feste, visitano la cittadina.

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Il costume è formato da vari pezzi; assai ammirata è la cintura di argento chiamata”brezi”, in genere del peso di più di un chilogrammo, costituita da varie maglie lavorate del prezioso metallo, con al centro, scolpita in rilievo, una figura di un Santo ,comunemente San Giorgio a cavallo che infilza con la lancia il dragone.

Le Sacre Icone

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Diversamente da quel che si potrebbe credere, le sacre icone non sono una semplice rappresentazione pittorica di personaggi sacri, ma la presenza stessa del Sacro. Esse sono, come i teologi le definiscono, finestre sul mistero, varchi per immettersi in dimensioni diverse dall’umano; sono luoghi all’interno dei quali si penetra solo in virtù della contemplazione, con la speranza di trovare risposte ai misteri della vita e della morte, della fede e della sofferenza, richiamandosi alla mýmesis, ossia alla testimonianza della fede attraverso l’ispirazione al modello originario.

L’icona “non ha una realtà propria – afferma il teologo Pavel Evdokimov – in se stessa non è che una tavola di legno. Essa trae tutto il suo valore teofanico dalla sua partecipazione al tutt’altro mediante la rassomiglianza, non può racchiudere niente in se stessa, ma diviene come uno schema di irradiamento”.

 

La tecnica dell’icona, per la sua complessità, richiede una buona padronanza dei materiali da lavorare – tavola, tela, gesso, colle animali e pigmenti – oltre che la conoscenza del linguaggio simbolico delle sacre rappresentazioni, dei colori e degli ori. I colori, ottenuti da terre e da ossidazione di metalli, sono emulsionati con tempera all’uovo.

 

L’icona, così eseguita, rappresenta le realtà illuminate dall’interno; la luce non proviene da una fonte esterna, essa sgorga dal suo essere avvolta nell’oro che indica l’essenza divina che avvolge e trasfigura le realtà stesse. “Ogni rappresentazione emerge – afferma magistralmente P. A. Florenskij – in un mare di dorata beatitudine, lavata dai flutti della luce divina”.

 

I colori hanno un simbolismo legato alla rappresentazione dell’umanità o della divinità, delle tenebre o della luce, del mistero apofatico o catafatico ossia inspiegabile o rivelato.

Ogni colore, quindi, è usato secondo il suo valore trascendente e non secondo il gusto dell’artista. Avremo, così, che il Cristo sarà sempre rappresentato con la tunica rosso-porpora, che simboleggia la sua divinità, e il mantello blu-verde per simboleggiare la sua umanità.

 

L’icona così rappresenta il Cristo Dio che ha assunto la nostra umanità e indica che questa, pur avvolgendo la realtà divina come un manto, lascia sempre intravedere la divinità del Verbo, nelle operazioni del Cristo Uomo, come appunto il mantello, pur avvolgendola, lascia sempre scorgere qualcosa della tunica sottostante.

 

L’icona nasce da una tavola di legno stagionato su cui vengono stesi, oltre a una tela, sottili strati di gesso emulsionato a colla animale. Questo fondo gessato, una volta asciutto, viene inciso, secondo il disegno che deve essere eseguito, quindi indorato e successivamente dipinto con la tecnica detta della illuminazione, che consiste nella sovrapposizione di più colori che vanno dal più scuro al più chiaro. La pittura delle icone non tiene in alcun conto la prospettiva e le storie o le figure in esse raffigurate, tutte sullo stesso piano, sembrano affacciarsi al presente da una dimensione metafisica e spirituale che è il tempo dell’eternità.

 

La tecnica iconografica deriva dalle antiche tavole egizie mentre le tematiche raffiguratevi si ripetono identiche dai primi secoli del Cristianesimo, rappresentando gli stilemi originari di un linguaggio artistico e pittorico che risale a quel tempo lontano nel quale, ancora, la Chiesa era unica ed indivisa.

 

Il patrimonio iconografico della Eparchia di Piana degli Albanesi è uno dei tesori dell’arte e della spiritualità bizantina che arricchiscono la Sicilia fin dagli inizi del secolo XVI.

Le opere che si possono ammirare nelle chiese di Piana non sono tutte di produzione locale e la maggior parte di esse è stata traslata nella chiesa di San Nicolò dalla chiesa omonima di Palermo, a seguito della sua distruzione durante la seconda guerra mondiale. Il “corpus” pittorico è attualmente conservato nell’iconostasi della suddetta chiesa e nella Sala del trono dell’Episcopio di Piana.

 

Altre due icone si trovano presso il piccolo museo delle suore collegine, e una terza, la classica Odigitria, presso la cappella del Seminario Diocesano. Nei primi anni ’80, a seguito di interventi di restauro e di ripulitura di ridipinture settecentesche, gli studiosi hanno indicato nel monastero di Mezzojuso il centro di maggior produzione artistica delle icone e in Ioannikios l’iconografo più importante ivi operante.

 

Ma Ioannikios non è l’unico pittore di cui si conservano le opere. A Piana degli Albanesi si possono ammirare icone di almeno tre altri grandi iconografi: il Maestro dei Ravdà, il Maestro di Sant’Andrea e il Maestro della Déêsis. Di quest’ultimo, celebre iconografo cretese, sebbene si sappia con certezza che egli non abbia mai operato in Sicilia, per varie strade e circostanze, le sue opere, importate a Palermo, sono poi state traslate a Piana degli Albanesi.

 

Nella sede della Eparchia di Piana degli Albanesi si trovano conservate, inoltre, opere iconografiche del Gianbecchina, che in un periodo della sua attività artistica si dedicò alle icone sacre. Inoltre numerosi iconografi contemporanei, con le loro opere, dimostrano che il tempo dell’iconografia non è finito, ma, al contrario, mantiene viva e continua una tradizione che, se ben capita e interpretata, ha la forza di riproporre quei valori dell’arte e della spiritualità, che non tramontano poichè espressioni tangibili di una viva realtà ecclesiale e sociale, che l’Eparchia di Piana degli Albanesi rappresenta come un “unicum” in Sicilia e nel mondo.

 

archimandrita Marco Sirchi

 
   

S. Demetrio Megalomartire di Tessalonica

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Primo Patrono della Città e della Diocesi

La parrocchia fu fondata con l’atto di concessione del 30 agosto 1488 da parte dello arcivescovo di Mon­reale, Card. Borgia, dei feudi di Mercu e Ayndingli ai profughi della penisola balcanica.

Prima sede della parrocchia fu la chiesa di San Gior­gio. Il 24 luglio 1589 gli onori e i diritti di ma­tricità vennero trasferiti all’attuale chiesa di San De­metrio, che veniva costruita più grande della precedente per decisione dei rappresentanti della popolazione della cittadina di Piana degli Albanesi e con la autorizzazione dell’arcivescovo di Monreale.

Nella prima metà del XVII secolo, dal 1641 al 1644, la chiesa subì vari rimaneggiamenti e l’intervento pitto-rico, straordinario di Pietro Novelli. Alla cattedrale si accede da una scalinata di stile tardo barocco. La facciata è decorata da mosaici eseguiti da abili artigiani monrealesi intorno al 1960 e raffiguranti Cristo in trono con San Giorgio e San Demetrio. L’edificio è a tre navate scandite da due maestose file di colonne marmoree. Una imponente iconostasi lignea ricopre le tre absidi affrescate dal Novelli. In quella centrale è rappresentata la Esaltazione dellaTrinità, in quella destra la Ascensione di Cristo al cielo.

L’opera più antica e preziosa della Chiesa è la Icona di Cristo con Maria, ascrivibile a scuola senese. Nella chiesa sono custodite le spoglie mortali del Servo di Dio Padre Giorgio Guzzetta, personaggio cui la chiesa e la comunità albanese devono tantissimo.In seguito ai restauri operati nel 1960, il coro venne ampliato e trasformato e la volta a botte della navata centrale sostituita con un tetto a cassettoni decorati in oro. Dai primi anni ’90 le navate della cattedrale, sono state oggetto di un grande intervento decorativo liturgico, ancora in fieri, da parte dell’iconografo greco Eleuterio Hatsaras, le cui opere rappresentano la vita di Cristo e quella dei Santi Demetrio, Nestore, Giorgio, Nicola, Spiridione, Biagio e Lucia.Dal 1784 la chiesa fu sede del vescovo ordinante di rito greco in Sicilia. Fino al 18 luglio 1924, in Piana degli Albanesi, la chiesa di San Demetrio era la sola parrocchia di rito bizantino con un Collegio di quattro parroci. In quella data essa veniva smembrata ecclesiasti­camente e venivano create altre tre parrocchie ossia quella di San Giorgio Megalomartire, quella di Santissima Annunziata e quella di Sant’Antonio il Grande.

Il 26 ottobre 1937, nella festa di San Demetrio, con l’istituzione della Eparchia, la chiesa veniva elevata alla dignità di cattedrale.Su disegno ed esecuzione dei fratelli La Bruna, di Monreale, è stata portata a termine una artistica iconostasi.

Portella della Ginestra dove si consumò la strage dei contadini ad opera di mano mafiosa il 1 Maggio del 1947

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Cannolo di Piana(Bar Pasticceria Cuccia)

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Una Risposta

  1. Bravo per le sue tradizioni in secoli complimenti siamo orgogliosi grazie con sincerità bravo siete un popolo grande cristiano congratulazioni da parte di mia familja numani

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