L’intervento di Mons.Domenico Mogavero ,vescovo di Mazara del Vallo e presidente del Consiglio per gli affari giuridici della CEI,sulla vita “privata” del premier,ripropone,ancora una volta,la questione dei rapporti tra “Dio e Cesare”,ossia tra il potere spirituale e quello temporale. L’intervento di Mons.Mogavero, in un contesto di sana laicità dello Stato e di indipendenza e collaborazione tra i due poteri,sembra riecheggiare le parole scritte da Papa Gelasio,nel 496,all’imperatore Atanasio:
« Due sono, Augusto Imperatore, quelle che reggono principalmente questo mondo: la sacra autorità dei vescovi e la potestà regale. Delle quali tanto più grave è la responsabilità dei sacerdoti in quanto devono rendere conto a Dio di tutti gli uomini, re compresi. »
« Se nell’ordine delle cose pubbliche i vescovi riconoscono la potestà che ti è stata data da Dio, e obbediscono alle tue leggi senza voler andare contro le tue decisioni nelle cose del mondo; con quale affetto devi tu obbedire a coloro che sono incaricati di dispensare i sacri misteri? ».
Di acqua sotto i ponti ne è passata,ma il rapporto tra i due poteri resta sempre vivo.Perchè?
Il perché lo descrive bene il sociologo Franco Garelli,che in una articolo apparso sulla Stampa nel dicembre del 2008 commentava la visita di Papa Benedetto XVI all’ambasciata italiana presso la Santa Sede dal titolo: Dio e Cesare, separati ma non troppo
“Colpa del grande gelo dell’economia mondiale e del maltempo che imperversa sulla penisola, la visita di sabato di Benedetto XVI all’ambasciata italiana presso la Santa Sede è stata derubricata da tutti i mass media a un incontro di routine, a un flash di agenzia ripreso solo nelle pagine interne dai più importanti quotidiani.Eppure, in tempi normali, l’evento sarebbe emerso in tutta la sua importanza, non tanto perché negli ultimi 60 anni solo tre Papi prima dell’attuale hanno con questa visita sottolineato le relazioni speciali che legano la Chiesa al popolo italiano; ma soprattutto per l’impegnativo, seppur breve, discorso pronunciato da papa Ratzinger nella circostanza sul ruolo della religione nella sfera pubblica.L’intento immediato del Pontefice era di confermare il clima positivo oggi esistente tra le due sponde del Tevere, al punto da auspicare che tale modello possa essere di esempio per altre nazioni e per le relazioni internazionali. Ma oltre a questo riconoscimento, egli ha richiamato la distinzione di fondo che dovrebbe governare i rapporti tra Stato e Chiesa e favorire le migliori condizioni per una presenza feconda della religione nella società. In fin dei conti, ha ricordato il Papa, si tratta di riproporre l’icona evangelica del «dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio».Come a dire che è nella fine della commistione tra potere temporale e potere spirituale, nello scioglimento dei legami fra «trono» e «altare», che entrambe le sfere (Stato e Chiesa, politica e religione) possono meglio operare per il bene comune. Ciò vale non soltanto per il nostro Paese o per l’Occidente; ma per tutte le aree del mondo in cui la confusione tra potere politico e sfera religiosa ancora oggi produce esiti nefasti.
L’idea di una libera Chiesa in un libero Stato viene dunque riproposta con forza da papa Ratzinger, come una netta presa di distanza da un passato controverso che deve essere archiviato. Al di là dei compromessi e dei legami ambigui tra politica e religione che hanno caratterizzato la storia dell’Occidente, la Chiesa ammette che la struttura fondamentale del cristianesimo prevede la distinzione tra Stato e Chiesa, l’autonomia delle sfere temporali e spirituali, e che è in questa condizione che la religione ritrova le energie migliori per assolvere alla sua funzione specifica nel mondo. A detta del Papa, la Chiesa non solo riconosce e rispetta la distinzione tra Dio e Cesare, «ma la considera come un grande progresso per l’umanità».
La formula «Dio e Cesare separati» evocata da Ratzinger non si presta comunque a letture semplicistiche. Il brano evangelico richiamato dal Papa è da sempre un passo ostico per l’esegesi cristiana.
Nell’interpretazione oggi più accreditata ciò non significa che le due sfere (temporale e spirituale) siano del tutto indipendenti o senza gerarchie. Dietro l’indicazione di Gesù di «dare a Cesare ciò che è di Cesare» vi è non solo il rifiuto del cristianesimo di pretendere una giurisdizione sulla società secolare, da cui deriva l’accettazione delle leggi della città terrena; ma anche l’idea che la Chiesa non è l’insieme della società, quanto una comunità distinta e volontaria, preoccupata soprattutto di testimoniare e diffondere il messaggio cristiano nel mondo. Di qui il richiamo a «dare a Dio ciò che è di Dio», riconoscendo che questo è il compito prioritario per i credenti, chiamati ad accettare le «giuste» leggi della terra in cui vivono ma con uno sguardo rivolto al cielo. I cristiani, dunque, sono sospesi fra terra e cielo, ma il rispetto delle leggi di Cesare avviene solo a condizione di riconoscere il primato di Dio nel mondo.
Da questi accenni è evidente quanto il pensiero di Benedetto XVI sia affascinato dal modello degli Stati Uniti, da una terra di grande libertà religiosa, dove le religioni – come già aveva notato Tocqueville – hanno larga cittadinanza nella sfera pubblica e alimentano l’ethos della nazione. Diversamente da quanto accade in Europa, in quel contesto non si pretende di vivere «come se Dio non ci fosse»; ma l’accettazione della presenza delle Chiese e dei gruppi religiosi – pur separati dal potere politico – è un elemento fondante la vitalità della nazione.
Tornando a noi, è fin troppo ovvio che i principi esposti dal Papa possano ottenere largo consenso pure nel mondo laico, ma anche dare adito a critiche e riserve per il modo in cui trovano applicazione nella società. Molti riconoscono la grande funzione sociale e spirituale svolta dalla Chiesa cattolica in Italia e il suo impegno per il bene comune; ma in parallelo si chiedono se davvero in Italia vi sia quella situazione di piena distinzione tra Dio e Cesare evocata dal pensiero del Papa. Perché una Chiesa libera in un libero Stato dovrebbe aver bisogno di un’attenzione privilegiata da parte del potere politico? Non c’è il rischio che – al di là dei principi affermati – si produca un legame strisciante tra Stato e Chiesa che può condizionare quest’ultima nella sua missione?
Al di la del rischio,reale,paventato dal Garelli,nella parte finale dell’articolo,credo che l’intervento di Mons.Mogavero si ponga proprio sulla scia della distinzione dei poteri,e sul fatto che la Chiesa ha il compito di chiedere a “Cesare” di porre in essere un percorso di comportamenti etici che siano validi per i cittadini,siano essi credenti o no. (Il Webmaster)
Il vescovo di Mazara, monsignor Mogavero,
è divenuto il nemico del Premier. Queste le ragioni
Non è un “persecutor” né l’attorney-general della Chiesa cattolica ma ha autorevolezza e ruolo per manifestare opinioni e giudizi in nome e per conto della Chiesa, da presidente del Consiglio per gli Affari giuridici della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, cioè l’assemblea dei vescovi.
Monsignor Domenico Mogavero, vescovo siciliano di Mazara del Vallo, si è assunto un onere difficile, richiamare il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, alla necessità di fare chiarezza sulle accuse che gli vengono mosse, smentirle portando prove convincenti.
Mons. Mogavero rappresenta, dunque, la Chiesa che non tace ed esprime il suo disagio di fronte a ciò che definisce un decadimento dei costumi. Ciò che fa e dice il Premier, afferma il prelato, acquista rilevanza pubblica, la sfera privata del capo del Governo deve costituire un modello di comportamento per gli italiani.
Le assicurazioni che il Premier ha affidato al settimanale “Chi”, osserva Mogavero, non sono sufficienti. “Se non ha niente da nascondere – ha dichiarato a Repubblica – il Premier risponda una volta per tutte alle accuse che gli sono state mosse, smentisca con le prove chi mette in dubbio la sua moralità, vada a dirlo in Parlamento, denunci alla magistratura i suoi presunti calunniatori. E aspetti fiducioso che la legge faccia il suo corso”.
“Non basta dirlo ai giornali patinati – continua Mons.Mogavero – come Chi e Vanity, più abituati a parlare di spettacoli e veline. Ormai sono mesi che importanti organi di informazione come Repubblica, Famiglia Cristiana, Avvenire – ma anche mass media stranieri – raccontano dei comportamenti del Premier, mettendo a dura prova non solo la coscienza dei cattolici, ma di tanta parte dell’opinione pubblica.
“È ormai tempo che Berlusconi faccia piena luce nelle sedi opportune a partire dal Parlamento, senza limitarsi ad attaccare chi lo accusa senza entrare nel merito del caso. Ormai non può più far finta di niente…”.
Le gerarchie ecclesiastiche gli daranno credito se lo farà? Chiede Repubblica a Mons. Mogavero. Le conclusioni del prelato sono perentorie: “Dipende da quello che dirà e da come lo dirà. Per questo gli consiglio di abbassare i toni, di evitare di indicare modelli diseducativi come la corsa alla ricchezza, al successo, al potere, l’uso della donna. Noi pastori davanti a tutto questo siamo veramente preoccupati. Come lo è qualsiasi persona di buonsenso”.
Nella storia d’Italia non era mai accaduto che la Cei chiamasse, di fatto, sul banco degli imputati a discolparsi difronte all’opinione pubblica ed al parlamento del suo operato, pubblico o privato, il capo del Governo.
Monsignor Mogavero non esprime naturalmente il suo pensiero personale, date le sue responsabilità, ma quello della Chiesa cattolica italiana, che dopo una fase di estrema cautela e di conseguente silenzio, sollecitata dai fedeli, ha manifestato per intero il suo disagio.
La convinzione del Premier di “piacere agli italiani così com’è” non è stata digerita dai vescovi, destando perplessità anche fra coloro che esprimono fiducia ed apprezzamento per il capo del Governo o sono preoccupati che una eventuale incrinatura dei rapporti possa nuocere alla Chiesa, impegnata in una intensa attività sui temi etici e sui rapporti con lo Stato nelle questioni dell’istruzione.
Il Presidente del Consiglio ha liquidato, nel recente passato, le esternazioni di Avvenire e dello stesso Mogavero, come prese di posizione di alcuni parroci “caduti nella trappola delle calunnie” e delle denigrazioni. Una reazione che non è stata gradita dal vescovo di Mazara del Vallo, divenuto suo malgrado il “nemico” di Berlusconi. Nell’Isola e nella Chiesa italiana, di sicuro.
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