L’anima e il suo destino:adversus Mancuso.

A cura del Dott.Federico Lenchi

PECCATO ORIGINALE

Continuando l’analisi teologica dell’Anima e il suo destino, invio una breve riflessione prendendo spunto da quanto affermato dal Prof. Mancuso a pag. 165 e più precisamente al paragrafo 59 con il sottotitolo: Due dogmi che fanno a pugni tra loro: origine dell’anima e peccato originale.
Mancuso scrive:” La fede cattolica ci obbliga (???) a ritenere che le anime vengono create direttamente da Dio, e nello stesso tempo assoggettarla alla corruzione e alla concupiscenza ponendola in uno stato di inimicizia con lui (scritto minuscolo, scusa la pignoleria) al punto che si deve parlare di “morte dell’anima”, come stabilito sempre dal Magistero nel Concilio di Trento (vedi DH 1512). E prosegue più oltre: “Se l’anima è partecipe della natura divina, non può essere corrotta; se invece è corrotta, non può essere partecipe della natura divina”.
Ora dato che -continua Mancuso- “neppure Agostino sapeva risolvere il problema di questo conflitto dogmatico…per risolverlo ci sono tre possibilità:
-si tiene il dato della creazione diretta dell’anima spirituale da parte di Dio;
-si tiene il dato dell’anima che nasce spiritualmente morta perchè soggetta al peccato originale;
-non si tiene nessuno dei due.
Mancuso afferma che le prime due ipotesi siano insostenibili per cui aderisce alla terza via e a conclusione del paragrafo ribadisce:” …è sulla base di Dio come Logos che si vede che il dogma del peccato originale, così com’è non tiene”
(cfr.pp.165-167).
Riassumendo, secondo l’Autore:
1-l’anima non può essere creata da Dio in quanto corrotta;
2-e neppure nascere spiritualmente morta;
3- per i motivi suddetti le prime due ipotesi sono razionalmente insostenibili.
A mio giudizio, sempre razionalmente, la prima ipotesi è, contrariamente a quanto creduto da Mancuso, sostenibilissima alla luce della Rivelazione.
Infatti il peccato originale fu commesso non dal solo corpo o dalla sola anima dei progenitori ma dal concorso di entrambe secondo la concezione biblica, riaffermata dal Catechismo della Chiesa Cattolica (1992, par.365) che considera l’uomo come unità di anima e corpo in maniera così profonda che si deve considerare l’anima come forma del corpo. Da cui ne deriva che lo spirito e la materia, nell’uomo, non sono due nature congiunte ma un’unica natura.
In altre parole, è Adamo inteso come “unica natura” che ha
peccato e noi, suoi discendenti , ereditiamo questa colpa solo all’atto del concepimento quando a nostra volta diventiamo un’ unità e acquisiamo la nostra identità di uomini, ovvero quando avviene la fusione tra il corpo materiale datoci dai genitori e l’anima creata da Dio.
Ma l’anima creata da Dio e da Lui donataci quale soffio vitale, è da ritenersi indenne da colpa fino a quando non diviene una sola sostanza col corpo dando origine ad una realtà unitaria, l’uomo.
Prima che ciò avvenga l’anima non ha colpe, esce pura, viva non morta dalle mani di Dio, in quanto non è ancora partecipe della creaturalità umana.
Mi sento quindi di rifiutare con decisione, l’affermazione di Mancuso secondo cui ” …il dogma del peccato originale, così com’è non tiene”.
Ma capitolo dopo capitolo analizzeremo tutto il lavoro.
Su una cosa concordo pienamente con Mancuso quando dice che nei tempi andati le menti migliori si dedicavano alla teologia mentre oggi quelle stesse menti, si dedicano alla scienza o ad altre attività più remunerative.

GNOSI
Riconosco nel prof. Mancuso un anelito sincero, uno sforzo intellettuale non da poco nella ricerca dell’Assoluto,il grande merito di sollevare problemi e stimolare risposte ma pur riconoscendoli questi meriti non posso condividerne il pensiero.
A pag. 30 leggo:”Pubblico il libro con la speranza di venir confutato.” e più oltre ” il mio obiettivo non è la vittoria personale. Contro chi poi? Contro la Chiesa, la madre e la maestra alla quale devo la fede?”.
La Fede! questo è il problema a cui tutto va ricondotto!
Mancuso, sa che le fonti della teologia sono necessariamente due: la fides e la ratio.
La prima è la fonte dei suoi contenuti, la seconda è la fonte della loro comprensione. Ora come non rilevare che lui privilegia la seconda? Infatti leggo a pag. 29 del suo libro:” …ma come è possibile pensare che lo Spirito Santo non abbia sempre assistito la Chiesa quando era in gioco la formulazione del patrimonio dogmatico, il depositum fidei?
Per rispondere è sufficiente dare un’occhiata alla Bibbia. La riteniamo giustamente ispirata dallo Spirito Santo, ma alcune sue pagine, sia dell’Antico Testamento sia del Nuovo, contengono un grado di violenza e di odio difficilmente ascrivibili allo Spirito Santo. Vi è un salmo, molto noto per il suo lirismo spirituale, che si conclude invitando a prendere i neonati dei nemici e a massacrarli sfracellando il loro tenero cranio contro le pietre”.E dopo aver riportato altri passi ugualmente cruenti conclude:” Ora, siccome di pagine di questo genere nella Bibbia ve ne sono in certa quantità, traggo la conclusione che la Bibbia non abbia goduto di una ispirazione tale da parte dello Spirito Santo da essere concepibile come garanzia di ogni parola in essa contenuta (cfr. pp.29-30).FIN QUI Mancuso.
D’accordo che lui è un teologo e non un esegeta ma neppure io sono un esegeta e tanto meno un teologo ma un semplice credente che di professione fa il medico dentista. Eppure so che già, Clemente Alessandrino insegnava che” quasi tutta la Scrittura espone i suoi oracoli mediante espressioni enigmatiche”.
Clemente ripartisce gli insegnamenti scritturistici a due livelli, uno di immediata comprensione e uno invece espresso in forma oscura e coperta, che reca profitto solo a chi sa interpretarla(Pedagogo III, 12,27), ossia lo gnostico (il teologo)….Infatti nè i profeti nè il Signore stesso hanno enunciato i misteri divini in forma semplice che fosse accessibile a tutti , ma hanno parlato per parabole come gli stessi apostoli hanno constatato”.
Sarebbe molto lungo continuare per esporre per intero il suo pensiero. Quello che ho citato è solo per ricordare a Mancuso quello che già conosce e cioè che la Sacra Scrittura parla per allegorie e in questo senso va interpretata.
Ma questa è una difficoltà che già Sant’Agostino aveva incontrato prima della sua conversione dal manicheismo:” Il mio orgoglio rifuggiva da quella maniera di esprimersi e il mio acume non penetrava nel suo intimo. Essa era tale da crescere insieme ai piccoli ma io, gonfio di superbia, mi volevo credere grande, sdegnando essere ancora bambino”.
Vorrei arrivare subito alla conclusione ed esporre quelli che secondo me sono gli errori del pensiero teologico di Mancuso ma troppi sono gli adentellati che trovo nel percorso per cui mi fermo qui e rimando alla prossima volta l’addentrarmi nel cuore della sua teologia.

INFERNO
Esaminando “L’Anima e il suo Destino” di Vito Mancuso nel capitolo che tratta dell’inferno l’A. arriva ai seguenti risultati:
1-il diavolo non esiste concretamente come persona oppure se esiste sarà obbligato da Dio a una conversione forzata che lo costringerà a vedere le sue tenebre sbaragliate dall’irrompere della forza della luce divina ;
2-la punizione degli uomini abitati totalmente dal male, sarà o temporanea , e quindi non eterna oppure vi sarà una distruzione della personalità del peccatore in cui non si è trovato altro che odio.
Devo subito precisare che si tratta di antiche concezioni, elaborate fin dai primi tempi della Chiesa, come vedremo, atte a mettere in dubbio fino a rifiutarla l’inquietante rivelazione sull’inferno relativa alla sua eternità.
L’A. pertanto non dice nulla di nuovo ma ripropone quanto già detto a partire dal III secolo da Origene e dagli Origenisti (cfr.pp. 275-76).
Vediamo da subito come queste teorie siano in netto contrasto con quanto insegnato dal Magistero Cattolico che indica l’inferno, dal latino “luogo che sta sotto”, come uno stato o situazione di infinita sofferenza determinata dal rifiuto totale e definitivo di Dio, degli altri, di se stessi e del mondo, in contrasto con la vocazione di vivere in comunione.
La Bibbia, al fine di indurci ad opporci con tutte le forze al male, ci presenta la possibilità di dannazione con immagini di morte e di disperazione, immagini che vanno indubbiamente interpretate ma non sminuite (cfr. Mt. 10,28; I Cor. 3,17; Gal. 6,7; Fil. 3,19; Ap. 2,11; 20,6.14; 21,8).
La Bibbia altresì evidenzia con assoluta chiarezza i diversi aspetti della realtà del peccato:
-IDOLATRIA, Adamo ed Eva volevano essere come dei
-RIVENDICAZIONE DI ASSOLUTA AUTONOMIA MORALE, cioè decidere in modo autosufficiente ciò che è bene e ciò che è male;
-RIFIUTO DELLA CONDIZIONE CREATURALE, ovvero perdita della relazione vitale con
Dio. In altre parole la radice del peccato va rintracciata nel libero arbitrio dell’uomo, nella sua libertà di opporsi al suo progetto.
Per tali ragioni il peccato è descritto nell’Antico Testamento e confermato nel Nuovo, come, infedeltà, adulterio, fornicazione ossia come rinnegamento del patto di amore che Dio ha stipulato con l’uomo.

L’aspetto più inquietante della rivelazione sull’inferno è, come abbiamo visto, quello della sua irreversibilità ed eternità. Per tale ragione già nei primi secoli presero corpo alcune teorie di cui le principali sono quelle relative all’Apocatàstasi e all’Annichilazione.
Fu Origene, soprannominato Adamanzio “uomo d’acciaio”(185?-250) che per primo, in ambito cristiano, sviluppò la teoria dell’Apocatàstasi.
Per valutare correttamente il suo pensiero teologico bisogna innanzi tutto tenere ben presente l’epoca in cui scrisse le sue opere.
Egli, nella ricerca della conoscenza esatta dei divini misteri, si incammina in territori sconosciuti ed inesplorati formulando ipotesi che non avevano la pretesa di soluzioni definitive e non potendo contare quindi, su quella grande “auctoritas”, strumento preziosissimo per il teologo, che è il Magistero della Chiesa che, con i grandi Concili del IV e V secolo, fisseranno con la Regula fidei, argini invalicabili per la ricerca teologica.
L’opera di Origene, tesa a rafforzare la fede con il ragionamento ma non in modo frammentario chiarendo quel particolare punto o mistero, ma cercando globalmente tutta l’economia della salvezza , inserendo tutte le vicende e tutti gli attori, oltre che per l’Apocatàstasi fu condannata più in generale per il pensiero ellenico che vi compariva anche se Origene scriveva, ben consapevole che la filosofia è un’arma a doppio taglio:” approfittano di questa conoscenza che hanno dell’ellenismo per generare dottrine eretiche e fabbricare, per così dire, vitelli d’oro a Bethel” ( I Principi).
Era però del parere che i barbari ( i cristiani) sono capaci di scoprire le dottrine ma che i greci sono più abili a giudicare, fondare e adattare alla pratica delle virtù le scoperte dei barbari per cui conclude che “chiunque arriva all’insegnamento cristiano dalle dottrine e dalle discipline dei greci, è in grado di giudicare della sua verità”, stabilendo in tal modo una certa affinità almeno propedeutica tra le due verità, quella ellenica e quella cristiana.
Senza addentrarmi nel pensiero di questo autentico genio creativo, grandissimo precursore della ricerca teologica, ricordo che la condanna formale di Origene avvenne con il V Concilio di Costantinopoli nel 553, voluto dall’imperatore “teologo” Giustiniano in cui furono pronunciati 15 anatematismi che lo riguardavano. La controversia sull’ortodossia del suo pensiero, fu iniziata nel 394 dal vescovo Epifanio di Salamina e portata a termine da Girolamo che in un primo momento ne era stato un convinto ammiratore.
Questo portò a una delle più aspre e meno edificanti polemiche tra Girolamo e il suo vecchio amico Rufino, controversia di cui parlò con grande avvilimento anche Agostino nei seguenti termini:” magnum et triste miraculum”.
Ma per tutto il secolo precedente i grandi Padri greci e latini, da Gregorio taumaturgo fino ad Ambrogio di Milano, avevano avuto parole di enorme elogio ed apprezzamento per il pensiero di Origene.
Gli anatematismi con cui fu condannato a posteriori, riportano passi presi dalle opere di Evagrio e non da quelle di Origene.
In tutto il pensiero di Origene è sempre presente un vero spirito ecclesiale, tanto che volle sempre servire esclusivamente la sua Chiesa e fu sempre pronto a sottomettersi al suo giudizio: “ Se io che porto il nome di presbitero e che ho annunciato la parola di Dio, tradissi mai la dottrina della Chiesa e la regola del Vangelo, cosicché a te, Chiesa, fossi motivo di scandalo, possa l’intera Chiesa con unanime decisione, mozzare e gettare via me, sua destra”.
Tali parole avrebbero dovuto impedire che Origene fosse annoverato tra gli eretici e l’intera sua opera proscritta:
Ben diverse quelle del modernista Loisy che riporto a memoria:” non è in me la facoltà di cancellare il frutto delle mie ricerche”.
RITENGO AUSPICABILE CHE LA CHIESA, CHE TANTO DEVE AD ORIGENE, RIVEDA LA CONDANNA; A SUO TEMPO TROPPO AFFRETTATAMENTE ESPRESSA.
Alle ipotesi sull’inferno di Origene e della sua scuola che Mancuso ha fatto proprie, esporrò quella che potrebbe essere un’altra ipotesi che non è in contrasto con le Scritture e che concilia meglio l’infinita Giustizia di Dio con la sua altrettanto infinita misericordia.
Ma prima di farlo continuiamo il discorso sull’Inferno e vediamo come Mancuso oltre all’apocatàstasi
prenda in considerazione l’annichilazione ovvero la riduzione al niente del dannato.
Ma né l’apocatàstasi,né tanto meno l’annichilazione trovano alcun fondamento nella Scrittura.
D’altro canto, Le due lettere cui si fa riferimento per giustificare tali teorie e cioè, la lettera ai Corinzi (I, 15-18) che afferma che alla fine del mondo, Dio sarà tutto in tutti, e quella ai Colossesi (I,20) secondo cui Dio in Cristo ha voluto riconciliare a sé tutte le cose, vanno lette ed interpretate nella loro interezza, non limitandosi a queste due affermazioni.
L’ ipotesi dell’apocatàstasi, va contro ogni logica, perché:
1- non rispetta la serietà e l’impegno della vita terrena che in tal modo assumerebbe le fattezze di una colossale commedia giocata sulla pelle degli uomini,
2- negherebbe la gravità del peccato, per cui nulla farebbe più la differenza tra un agire retto e un agire all’insegna del male,
3- toglierebbe poi significato al libero arbitrio umano e degli angeli decaduti e
4- svuoterebbe di ogni significato di redenzione l’altissimo prezzo pagato da Cristo in croce.
Parimenti l’annichilazione non rispetterebbe la scelta dei perduti che ostinatamente hanno rifiutato Dio e renderebbe lo stesso Dio artefice di un progetto di distruzione delle creature da Lui create.
Fermo restando che io ritengo come assoluta verità, quella insegnata dalla “nostra” Chiesa, mi sembrerebbe più logico pensare che:

Dio nella sua infinita misericordia abbia stabilito che chi, con assoluta ostinazione libera volontà e piena coscienza, abbia rotto il suo rapporto con Lui trasgredendo le sue leggi per perseguire pervicacemente il male, verrà posto, per l’eternità, in una terra d’oblio, di tenebre e di silenzio come si legge in Dt (32, 22) e in Gb (26,5; 36, 16-17) ovvero una terra di ombre.
Questa visione non sarebbe in contrasto con l’A.T. e concilierebbe la Giustizia con la Misericordia.

Padri “deboli”?Figli “impotenti”!

“Elisa crede di poter tenere tutto per sé un babbo dall’irresistibile fascino. Giorgia si distrugge e strugge per salvare l’immagine che ha di lui. Sandra rimane invischiata in un corpo a corpo. Niccolò ha paura dell’altro sesso. Giacomo cerca inutilmente di differenziarsi dal genitore.”

I padri sono cambiati.
Gli uomini un tempo rudi e forti, simbolo della severità e dell’autorità, non di rado simbolo della prepotenza, sono diventati pieni di premure e attenzione per la loro prole.
Il padre normativo ha ceduto il passo a quello affettivo. Bene. Era ora. Ma…
Le storie che Francesco Berto e Paola Scalari hanno raccolto in questo libro, drammaticamente vere, ci dicono di altri padri. Di quelli alle prese con figli adolescenti, che nel momento in cui la crescita puberale dei loro figli richiederebbe un opportuno ritiro, rimangono incollati ai loro bambini. Sono padri narcisi, prigionieri del loro eccesso di affettività,che non sanno rinunciare all’amore protettivo, incondizionato, appagante, totale dei piccini. Se non c’è la giusta distanza, ci può essere una complicità tra adulti e adolescenti pericolosa per l’equilibrio affettivo e sessuale dei ragazzi. Anche quando non sfocia nella pedofilia, a cui pure alcuni racconti fanno riferimento.

Sono racconti “amari” quelli che gli autori ci propongono perché sono veri. Ci dicono di un fenomeno sociale agli albori, ma figlio di questo nostro tempo. Che si maschera in forme diverse, talvolta anche benevolmente accettate se la differenza d’età nella relazione affettiva e sessuale tra adulto e giovane si sposta sul piano sociale (il legame tra uomini di successo adulti e giovani donne che potrebbero essere loro figlie, ad esempio).

Perché leggerli questi racconti? A conclusione dell’introduzione gli autori scrivono: “La mancata trasmissione della bellezza del legame sensuale tra individui adulti può condannare gli adolescenti a non saper trasformare la vampata di un innamoramento in una calda storia di vita amorosa, e senza un saldo vincolo di coppia i ragazzi rischiano di diventare dei vacui vagabondi che non trovano il senso dell’amore”.

F.Berto-P.Salari, Padri che amano troppo. Adolescenti prigionieri di attrazioni fatali.La Merdiana,pp.128,2009.

Di Padre in Padre…..

“Quello che vi accingete a leggere è un libro che può essere apprezzato da genitori, educatori e studiosi, ricco com’è di riflessioni ed esemplificazioni esposte in un linguaggio semplice e scorrevole.”
(dalla Prefazione di Fulvio Scaparro)

Può un padre esprimere la propria vulnerabilità affettiva e la ricchezza delle sue tensioni emotive senza perdere la sua identità o rinunciare alla possibilità di proporre percorsi di vita per il figlio?
E’ il problema di fondo che emerge nelle nuove generazioni di padri, che sta portando con forza alla luce la questione “paternità”, spesso oscurata dalla pratica e dalla retorica del ruolo paterno distinto, anzi opposto a quello materno. Un numero sempre maggiore di padri si è trovato a lottare per essere riconosciuto come genitore presente fin dal concepimento nella vita dei figli e in grado di assolvere anche ai compiti, doveri e responsabilità a torto creduti non tradizionali.
Il maschio normativo sta scoprendo di avere caratteristiche affettive che erano, e purtroppo lo sono ancora, considerate un’esclusività femminile: dolcezza, rispetto, amore.
E’ lungo, molto lungo, il cammino che uomini e donne dovranno compiere per accettare le loro diversità e finalmente riconoscersi uguali almeno in questo: tutti noi vogliamo vivere come essere umani, cioè come cercatori e produttori di senso, come individui fertili. Ma non basta proclamarlo; occorre praticarlo in casa, a scuola, nel lavoro, ovunque. Una grande responsabilità educativa perchè i figli osservano e imparano dai rapporti tra padri e madri, tra uomini e donne.

A. Coppola De Vanna F. D’Elia L. Gigante, Di padre in padre. I tempi della paternità.La Meridiana,pp.144,2008.