Domenica di Pasqua 2015.

Piana degli Albanesi (Pa):donne con il tradizionale costume.
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Cento Passi Ancora…..

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Il volume “Cento Passi Ancora,Peppino Impastato,I Compagni,Felicia,L’Inchiesta” è l’ultima fatica letteraria di Salvo Vitale. Ripercorre,con la forza dei ricordi e dei fatti storicamente accaduti,la vicenda umana e politica di Peppino Impastato,di Cinisi,che è stato barbaramente ucciso dalla mafia nella notte del 9 Maggio 1978.Peppino,militante di Dp,aveva osato puntare il dito contro il boss indiscusso di Cinisi,don Tano Badalamenti,ridicolizzando lui e i suoi “striscia quacina”(seguaci)in pubblico e con l’aiuto di radio AUT.La morte cruenta ed inaspettata di Peppino non scoraggio i suoi compagni che iniziarono a cercare la verità insieme al fratello e soprattutto alla madre di lui:Felicia Bartolotta. Dunque pagine di un diario scritte da chi ha vissuto direttamente questa storia, iniziata subito dopo la morte di Peppino Impastato. Il depistaggio delle indagini, la controinchiesta dei compagni, le vicende processuali, la vita di Radio Aut, la lunga notte di Felicia e la sua ostinata richiesta di giustizia. 22 anni di lotta contro la mafia e uno slogan, scritto in uno striscione portato ai funerali, che ha accompagnato, da allora ad oggi, ogni scelta dei suoi compagni: ”con le idee e il coraggio di Peppino noi continuiamo”.
Il volume sarà presentato Sabato 17 Gennaio 2015,presso l’auditorium “Maria Grazia Alotta”del Liceo Scientifico “Santi Savarino” di Partinico.Interverranno:la Prof.ssa Chiara Gibilaro,DS del Liceo;le Prof.sse Caterina Brigati e Silvana Appresti; il sostituto procuratore la Dott.ssa Franca Imbergamo;l’autore Prof.Salvo Vitale;Coordinerà i lavori Lorenzo Baldo vice-direttore di Antimafia Duemila.

“E nessuno lo sappia….”.Per un ricordo di Padre Calcedonio Ognibene.

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La settimana santa a Vallelunga Pratameno(CL).

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Vallelunga Pratameno è un piccolo paese a vocazione agricola, come dimostra il suo stemma civico con due grappoli di uva, bianca nel primo e nera nell’altro, fra bionde spighe di grano. I Vallelunghesi sono stati sempre gente laboriosa e onesta. Ancorata ai veri valori della vita, al rispetto della famiglia, delle donne, dei bambini e degli anziani.

Le sue origini affondano le radici tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento e fanno parte di quelle manifestazioni che subirono nuovi impulsi dopo il Concilio di Trento (1545-1563), che con la Controriforma avviò un rafforzamento dei principi religiosi intorno alla rivitalizzazione dei riti della tradizione cattolica.
L’identità civile è coincisa, per secoli, con quella religiosa i cui valori di riferimento affondano le loro radici nel crisitianesimo-cattolico. Infatti i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio culturale e artisitico, oltre che religioso, del popolo italiano. Cosicché la fede dei Valleunghesi è rimasta saldamente ancorata, sino ad oggi, nella tradizione cattolica. Nonostante l’imperversare del fenomeno della secolarizzazione e, ad oggi, di quello del relativismo etico-culturale, che mina alle radici le identità delle nostre comunità, quella vallelunghese ha conservato intatta la sua di identità, civile e religiosa, che si esprime ogni anno anche con determinati avvenimenti religiosi, il cui compito principale, dal punto di vista sociologico, è di cementare la comunità vallelunghese. Uno di questi momenti fondamentali è la Settimana Santa.
In Sicilia, come scrive G. Cammareri, di simani santi ce ne sono davvero tante. “Se ne possono incontrare di meste, chiassose, nevrotiche, follemente amate e disprezzate, profumate dal vino che lava le notti e dall’acre odore dei ceri che le sporca dolcemente, profumate da tanti fiori e illuminate da tantissime luci. Simani gonfiate con l’elio dei palloncini, fatte di mille macchine fotografiche al collo, di bambini vestiti da angioletti e di mamme che li accompagnano, di vecchietti piangenti ai balconi al passaggio di Cristi e Madonne…. Croci, pennacchi, spade attaccate alla vita da centurioni più o meno baffuti e ancora il gesto per un altro e un altro ancora “clic” di quelle mille macchine fotografiche il cui piccolo rumore annega, miseramente, in un mare di note scandite da suonatori infiocchettati nella divisa di questa o quella banda”.
I riti liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa vallelunghese servono a tramandare quella che gli israeliti chiamarono Pesach, che significa passaggio. Dal “passare oltre” della tradizione biblica dell’A.T., che testimonia la mano potente di Dio-salvatore, nella notte tra il 14 e il 15 del mese di Abib, quella dell’uccisione dei primogeniti, risparmiò i bambini ebrei, al “passare oltre” di Cristo dalla morte alla resurrezione.
La Pasqua cristiana se, da un lato, integra quella ebraica, dall’altro le si contrappone divenendo, dal II secolo D.C., a più solenne delle feste cristiane e divenendo il fulcro dell’anno liturgico nella storia della Chiesa.
Questo mio modesto contributo vuole essere un momento di riflessione sulla Settimana Santa e sulla Pasqua a Vallelunga, perché, spero, avvenga, nei miei cinque lettori, anche una comprensione del passato e del presente, della storia civile e religiosa della nostra comunità. Infatti tutti noi abbiamo bisogno di coglierci come uomini del presente ma fortemente legati al nostro passato per seppellirlo, come dice lo storico francese De Certò. Per vivere il presente è necessario seppellire il passato non nel senso di obliarlo, di oscurarlo o, peggio ancora, di cancellarlo, ma di metabolizzarlo.
Questo mio contributo, per citare una espressione del predetto storico francese, è un voler “seppellire” il nostro passato, cioè un riconoscerci nel nostro presente come dipendenti e, nello stesso tempo, ormai distanti da un passato che è inevitabilmente tramontato. Un passato che, pur essendo già tramontato, ha lasciato, però, una eredità civile e religiosa fondamentale, consentendo a tutti noi di coglierci come presente, legati al passato e proiettati al futuro.
In questo contesto,come quello attuale, che non vede più una coincidenza tra la comunità civile e quella ecclesiale, si sente il bisogno di cogliere sempre meglio la propria identità, civile e religiosa,cioè le nostre radici,come antidoto ad ogni forma di relativismo culturale ed etico che distrugge ogni identità anche di natura locale.
Possiamo sostenere, grazie anche al supporto del contributo fotografico,che la Settimana Santa,a Vallelunga è un momento nel quale la nostra comunità pone in essere oltre che una identità cattolica forte anche una forte identificazione.
I riti extraliturgici della Settimana Santa, non vanno considerati come momenti staccati, o addirittura opposti, rispetto alle celebrazioni liturgiche. La testimonianza di tutto ciò è data proprio da ciò che avviene,ogni anno, durante il triduo pasquale anche a Vallelunga.
Tutti noi siamo inseriti in una “traditio” composta da valori civili,sociali,familiari e religiosi, mediati e trasmessi dall’importantissimo processo educativo, connotandoci, appunto, come “civis” e, per chi crede,come credenti.
Lo stesso identico meccanismo avviene per l’esperienza religiosa,quando si entra a far parte di una determinata religione si entra in un solco già tracciato da altri, si entra in una “traditio fidei” con la quale si sono tramandate, di generazione in generazione, le grandi verità di fede credute,celebrate e vissute da una determinata religione,soprattutto se essa ha un fondamento storico,una forte dimensione salvifica e una finalità escatologica, come appunto è l’intero messaggio del cristianesimo.
Il cristianesimo,infatti, ha tutte e tre queste caratteristiche ed ha una sua specificità,che altre religioni non hanno:la fede in Dio fattosi Uomo.
I fatti e le vicende storiche della prima Settimana Santa, documentate minuziosamente dai Vangeli e dal Nuovo Testamento, non si ripeteranno mai più, dal punto di vista della loro storicità ma continuano a ripetersi,da duemila anni circa, dal punto di vista del Mistero Salvifico.
Che cos’è il mistero salvifico?La presenza di Dio-Salvatore nella storia degli uomini, cosicchè ogni anno, durante i riti liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa, viene data al credente la possibilità di partecipare al mistero di salvezza,in chiave liturgico- sacramentale- mistagogica, e di ottenere questa salvezza nell’oggi della storia attraverso la presenza della comunità credente,la Chiesa,cioè la comunità di tutti i battezzati che credono in Gesù-Cristo sofferente,morto e risorto,che continua nella storia la celebrazione del Mistero pasquale.
Nel contemplare le foto , che hanno “immortalato” alcuni momenti di alcuni riti extraliturgici della Settimana Santa a Vallelunga, non si può prescindere da quanto detto fin ora. La Settimana Santa,cioè, è espressione della l’inculturazione della fede cattolica nelle nostre popolazioni. L’inculturazione è l’incontro tra la fede annunciata nei secoli e il recepimento della stessa da parte del popolo credente.
Essa,come scrive V.Sorce, “ha una forte valenza teologica fondata sugli eventi dell’Incarnazione e della Chiesa locale”, e si inserisce in un solco già dato,si inserisce nella cattolicità e all’interno di essa ,attraverso la “traditio fidei”,cioè,appunto, il tramandare la fede, si ricollega, attraverso il ricordo liturgico, ai fatti storici della prima Settimana Santa e della prima Pasqua.
Potremmo dire che la Settimana Santa,a Vallelunga è la stessa,per esempio, di quella di altri comuni presenti in altre regioni d’Italia?Assolutamente no. In che senso c’è diversità?Non nella sostanza dell’Evento e della celebrazione dello stesso, ma nelle modalità di recezione del messaggio del cristianesimo e nel modo con cui ogni comunità credente ha vissuto e vive, nell’oggi della storia, il mistero salvifico di Gesù-Cristo morto e risorto. Tutto ciò si chiama inculturazione della fede.
La Settimana Santa, in Sicilia, è il frutto di una duplice tradizione:
la prima legata alle sviluppo della inculturazione della fede in Sicilia: per cui è possibile parlare di una sorta di “Cristo Siciliano”.
–la seconda legata alla sviluppo del cattolicesimo in questo territorio che ha fatto propri gli influssi derivanti: dal concilio di Trento e dall’influsso bizantino e spagnolo.
In che senso si può parlare,allora, di un Cristo “siciliano”?
Nella cultura e nella pietà popolare siciliana esiste una interpretazione e un vissuto della figura di Gesù-Cristo che è caratterizzata da tratti propri. L’aggettivo “siciliano” ci dice qualcosa di culturalmente significativo,cioè a dire la cultura siciliana ha “segnato” la figura del Cristo con alcuni suoi tratti specifici. Questo “Cristo siciliano” sarebbe in opposizione a quello della predicazione ufficiale della Chiesa, dei dogmi e della liturgia?Addirittura lo si potrebbe considerare un Cristo fuori dalla Chiesa cattolica o,addirittura, contro di essa?Un “Evangelium extra ecclesiam?”
Secondo le tesi di alcuni studiosi il “Cristo siciliano” potrebbe benissimo essere considerato il Cristo delle classi deboli e oppresse o, come dice Gramsci, delle classi popolari che sono “strumentali e subalterne”. Molti studiosi,di indirizzo marxista, infatti, sostengono che la religiosità popolare ,che trova il proprio culmine nei riti della Settimana Santa, sarebbe l’espressione di un cristianesimo vissuto fuori dalla Chiesa e di un “Cristo-popolare” oggetto di un conflitto esistente, di fatto, tra la gerarchia cattolica e il popolo credente.
Stanno davvero così le cose? La risposta negativa si evince, meravigliosamente, da ciò che avviene ogni anno a Vallelunga che ci aiuta a cogliere il fatto che la pietà popolare,quella legata,anche, ai riti della Settimana Santa e della Pasqua, in Sicilia, ha un’anima teologica;cioè l’humsus,il terreno in cui essa affonda le radici è costituito dalle grandi verità proprie del cattolicesimo credute,comprese (attraverso un cammino di “intellectus fidei”),celebrate e vissute.
Non c’è,dunque, nessun conflitto tra la Chiesa “gerarchica” e il popolo credente, per il semplice motivo che anche la gerarchia cattolica partecipa ai riti extraliturgici della Settimana Santa.
Dove sta allora l’equivoco?proprio nel significato che si dà al termine “pietà popolare” intesa non come esperienza di fede del popolo credente ma come momento di opposizione delle classi subalterne alle classi colte e,soprattutto,alla religione “ufficiale”. Dunque una lettura sociologica e non teologica del fenomeno.
Quali sono,allora, le caratteristiche del “Cristo siciliano”in relazione agli eventi della Settimana Santa e della Pasqua?
Il siciliano è uno che vuole vedere e toccare,è fondamentale per il siciliano la RES,la cosa,(pensiamo alla tematica verghiana della roba) e tutto ciò perché il siciliano ha alle sue spalle una esperienza storica tragica, poichè ha visto decine e decine di colonizzatori venire nell’isola e, spesso, maltrattare il popolo. Tutto ciò lo ha spinto a proiettare questa sofferenza, accumulata nei secoli, nell’attaccamento alla res,spesso anche con modalità eccessive e devianti, come si configura il fenomeno mafioso. Come se la “materialità” delle cose lo salvasse dall’insicurezza e dalla sofferenza accumulate nei secoli.
Questa mentalità della Res,nel senso migliore del termine , cioè cosa vissuta,esperienza fatta, viene applicata anche nel vissuto religioso del siciliano. In questa cementificazione di quotidianità sofferta,la Sicilia celebra la cultura della sofferenza e in tutti i paesi dell’isola la Settimana Santa costituisce l’approdo di un modello irrepetibile verace,insostituibile salvataggio. Il Siciliano trova, negli eventi,liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa, la teologia della kènosis,ossia il fatto che Dio non ha disdegnato di farsi Uomo e di assumere su di se’ tutta la sofferenza,fisica e morale,del genere umano.
Infatti in Sicilia è forte la concentrazione sul “Corpo di Cristo”. L’attenzione,la contemplazione del corpo di Cristo va dal Gesù-Bambino a tutta la vicenda della passione-morte-resurrezione, con particolare attenzione al corpo di Cristo deposto dalla croce e sepolto.
Il corpo di Gesù-Cristo non è mai solo, ma viene associato a quello della madre,dalla culla alla tomba. E’ l’insieme dei due corpi che costituisce il cuore della Pietas proprio del Venerdì Santo,al punto tale che in alcune circostanze i due simulacri si fondono quasi a divenire una sola cosa,cosicché il siciliano non concepisce il corpo di Gesù-Cristo se non associato a quello della madre. I due corpi vengono associati nel dolore del Venerdì Santo e nella gioia della Domenica di Pasqua, allorquando la Madre ritrova il figlio risorto:l’Incontro che si celebra in molti comuni dell’isola proprio la mattina di Pasqua.
Da che cosa scaturisce questa concentrazione sulla tematica del Corpo di Cristo?
Le origini sono lontane,bisogna risalire al 1700,secolo in cui si realizzarono in Sicilia,come sostiene lo storico Cataldo Naro,le istanze innovatrici del concilio di Trento,prima fra tutte la predicazione al popolo ad opera soprattutto degli ordini religiosi. Nacque, proprio dalla predicazione itinerante dei Cappuccini,dei Gesuiti e dei Redentoristi, l’attenzione al Corpo di Cristo.
Fu il francescanesimo ad introdurre la pietas verso Gesù Bambino(la creazione del primo presepe vivente,a Greccio,la notte di Natale del 1223, ad opera di Francesco D’Assisi),ripresa nel 1700 da sant’Alfonso de Liguori. I religiosi,grazie ai quaresimali,le 40 ore,i panegirici,gli esercizi spirituali,le missioni popolari,la creazione di tante confraternite, diffusero la pietas,cioè il rapporto tra il credente e “U Signori”,inteso, come Dio padre a volte (U Signori fici u munnu”), ma quasi sempre riferito a Cristo: “U signori murì pi nuatri poveri piccatura”.
Tutto ciò avvenne proprio nel 1700. Proprio il “secolo dei lumi” ci insegna una notevole vivacità, alimentata dalle pratiche di pietà sul mistero di Cristo semplice, povero e crocifisso e dalla necessità di garantirsi la salvezza che, sebbene eterna, deve essere sperimentata già nel quotidiano.
La pietà settecentesca è prevalentemente cristologia. Vanno ricordati, a tal proposito, i componimenti di Sant’Alfonso sul Natale e i crocifissi scolpiti da fra Umile da Petraia. Essa, in sostanza, è riportata agli eventi decisivi della storia della salvezza: l’incarnazione, la passione e la morte in croce, la devozione verso l’umanità di Gesù, vengono radicati nel popolo grazie a preghiere, canti, quadri devozionali.
Essenzialmente,dunque, gli influssi maggiori che hanno caratterizzato la Settimana Santa in Sicilia sono di duplice derivazione:
l’influsso bizantino,
con la nascita delle devozioni popolari e all’interno di esso il movimento francescano con la devozione verso Gesù bambino e, per il nostro tema, verso il Cristo sofferente e il tenero amore verso Maria Addolorata. Il periodo che va dal XIII al XV secolo vide la comparsa delle prime statue dei crocifissi che esprimono la sofferenza e la morte di Cristo.
Il devozionismo a partire proprio da questo periodo si è insinuato profondamente nella coscienza e nelle espressioni di fede dei credenti ponendo le premesse per il nascere e lo svilupparsi anche delle tradizioni popolari siciliane della Settimana Santa.
L’influsso spagnolo,
il periodo che va dalla fine del XVI secolo fino al XVIII secolo. Il dominio degli spagnoli ha contribuito alla strutturazione definitiva dei riti della Settimana Santa in Sicilia.
Per il nostro discorso lo spagnolismo diede vita all’ anticipazione del cosidetto “Sepolcro”(tecnicamente Altare della reposizione) del Signore alla sera del giovedì santo. Risale, al XVI secolo, l’usanza di deporre nel sepolcro l’immagine del Cristo morto,esponendo sopra il sepolcro il SS. Sacramento nell’ostensorio coperto da un velo.
Nacque,così come documentato dal Plumari, l’identificazione dell’altare della reposizione con il Sepolcro. Infatti,sino ad oggi,nella coscienza popolare vi è una dissolvenza di significati tra l’adorazione della “presenza reale-ostia”conservata nel tabernacolo-custodia e del corpo-ostia del Signore conservato nel tabernacolo-sepolcro.
I riti liturgici ed extraliturgici della Settimana Santa trovano il loro culmine nel triduo pasquale in cui avviene un meraviglioso connubio tra liturgia e pietà popolare.
La pietà polare,come scrive Vincenzo Sorce,accentua di più l’immagine, la liturgia, il segno.
Continua il Sorce, è lo stesso popolo,il popolo di Dio,che vive lo stesso mistero e lo esprime con linguaggi diversi.
Nella pietà popolare,l’uomo di Sicilia,in modo particolare nella Settimana Santa,vive ed esprime la partecipazione alla passione ,morte e resurrezione di Cristo,con la totalità della sua struttura antropologica,che è simbolista,fortemente sensoriale:vivendo la dimensione della festività e della tragicità.
Attraverso le foto si coglie “un popolo che esce dalla solitudine,vive la comunione. Dando spazio ai suoi sentimenti,alle sue emozioni,con la totalità del linguaggio corporeo,la gestualità,il canto,gli aromi,i colori,il pianto,il grido”.
L’uomo di Sicilia si rimette in marcia. Si libera dal pianto,grida il suo dolore,la sua angoscia,la sua paura davanti alla morte. Si identifica con l’uomo dei dolori ,appeso alla croce.Da spazio ai suoi sentimenti,piange. Prende contatto con i suoi vissuti,li esprime,li condivide,li grida,li urla. Psicoterapia e salvezza radicale s’incrociano nel Crocifisso,l’uomo dei dolori,l’uomo ferito e la risposta di Dio”.
Il Giovedì Santo,a Vallelunga, vede la creazione,ad opera dei confrati delle tre Confraternite esistenti in paese,(quella del SS.Sacramento,della Madonna del Rosario e di Maria SS. Addolorata) ,nei rispettivi oratori,delle cosiddette CENE. Una creazione che si ripete da decenni e che ha ereditato la tradizione dei “pupi di zucchero” tipica del palermitano.
Vengono create,da ogni confraternita, delle mense su cui vengono deposti 13 agnelli di zucchero di media grandezza,raffiguranti Cristo e i dodici apostoli che celebrano l’ultima cena, accompagnate da 13 pani da cena(dolce tipico pasquale Vallelunghese) insieme a 13 lattughe , cedri, arance e finocchi.
Al centro della tavola,troneggia una statua,sempre di zucchero opera di artigiani palermitani cui le confraternite si rivolgono ogni anno, raffigurante il Cristo Risorto,insieme al pane e al vino,simboli dell’Eucarestia. Ogni anno,per ogni confraternita, vengono sorteggiati 12 confrati tra quelli che hanno pagato l’annualità,ossia la quota associativa.
Quattro dei dodici sorteggiati,per ogni confraternita,vanno a svolgere il ruolo che fù dei 12 apostoli nella messa vespertina “In Cena Domini”,nella quale si ricorda l’istituzione dell’Eucarestia e la carità fraterna. Saranno i protagonisti della lavanda dei piedi. Alla fine della Messa, i dodoci confrati sorteggiati da ogni confraternita,unitamente agli altri confrati e alle loro famiglie ,si riuniscono presso la loro chiesa di riferimento e dopo aver contemplato la bellezza della Cena,ricevono in dono l’ Agnello di zucchero,un pane da cena,un cedro,una lattuga,un finocchio e un arancio che portano a casa. Ai confrati non sorteggiati viene dato un piccolo agnello di zucchero. La sera del giovedì santo si conclude con la visita all’unico “Sepolcro”creato nella cappella del SS.Sacramento della Chiesa madre .L’adorazione eucaristica si protrae sino alla mezzanotte.Chiusa la chiesa avviene,notte tempo,la spogliazione del sepolcro e la preparazione del simulacro del Cristo morto.
Il Venerdì Santo, nella pietà popolare siciliana, emerge il culto della passione e morte di Gesù nella quale la nostra gente si immedesima in partecipazione comunitaria. Ha scritto a tal proposito il Prof. Basilio Randazzo che «la vera pietà di una volta all’anno, raccolta in tutto un anno, si comunica nel dolore della settimana santa, e in particolar modo il venerdì santo si celebra il «Tutto di Tutti», cioè il mistero della Passione, come «prototipo teologicamente unitario con uno stile culturalmente conforme ma con un atteggiamento che varia da comunità a comunità».
Nella pietà popolare del Venerdì Santo, scrive Angelo Plumari, l’uomo di Sicilia vive ed esprime la partecipazione alla passione, morte e resurrezione di Cristo con la totalità della sua struttura antropologica, cosicché un popolo esce dalla solitudine, vive la comunione dando spazio ai suoi sentimenti alle sue emozioni con la totalità del linguaggio corporeo, con la gestualità, con il canto, i colori, il pianto, il grido.
Il venerdì santo è emblematico e paradigmatico come i siciliani si ritrovino e si identifichino nel dolore del Cristo morto, stando muti davanti alla bara, e in quello dell’Addolorata, dinnanzi ai quali sentono che il dolore umano, il loro dolore è stato assunto da Dio.
Durante le processioni del Venerdì santo,il popolo che partecipa “esplode con il linguaggio dei segni:piedi scalzi,canti lancinanti,incensi che bruciano,fiaccole accese,
silenzio pieno di mistero,intensa commozione,profonda meditazione. Si ricompongono celebrazione,gestualità,simbolismo,sensorialità. E’il trionfo dell’opera mistagogica”.
Inoltre la mistagogia dei simboli del Venerdì Santo è estremamente interessante oltre che variegata:la presenza delle confraternite incappucciate o a volto coperto,indacano,secondo B.Randazzo,la perdita di personalità o la comunione nel dolore; Il passo professionale a due passi avanti e uno indietro,ansia di sofferenza,i cilii o candele accese,l’umanità;
la fiamma,la purificazione e la luce della Resurrezione; le marce funebri,l’accentuazione sensibilizzata di stati d’animo in pianto del peccato di Deicidio.
Tutto ciò comunica il fatto che “l’uomo siciliano è celebrante simbolista”. Il Venerdì santo inizia con la visita ai sepolcri, poco conosciuti come altari della reposizione, poiché si continua ad identificare, così come sostiene il Plumari, l’altare della reposizione con il sepolcro del Signore creando, nella coscienza popolare, una identificazione di significati tra l’adorazione della presenza reale-ostia e il corpo-ostia, per cui il tabernacolo è, allo stesso tempo, sepolcro.
I riti extraliturgici del venerdì santo si svolgono secondo quattro tipologie presenti nell’Isola:
1.le processioni funebri del Cristo morto accompagnato dalla Madre addolorata;
2.la processione dei misteri;
3.le processioni in cui si compie la mimesi cronologica degli eventi della passione;
4.la processione del solo Crocifisso
Anche a Vallulunga i riti si svolgono secondo la prima e la terza tipologia: a mezzogiorno si porta il Cristo al calvario,che si trova all’uscita del paese in direzione per Palermo, lo si crocifigge, la sera lo si va a riprendere,lo si mette dentro l’urna e lo si porta,in processione, presso l’oratorio del SS.Sacramento,sito in piazza, seguito dalla Madre addolorata.
In molti comuni dell’isola, tra cui Vallelunga, nella mattina del Venerdì Santo si ripete uno dei riti più antichi e più suggestivi della Settimana Santa in Sicilia. L’effige del Cristo morto viene deposto su un tavolo coperto di drappi rossi e i fedeli si recano presso la Chiesa madre, la Chiesa intitolata alle Anime Sante del purgatorio e la Chiesa del SS. Crocifisso, toccando e baciando la statua del Cristo morto, con una preghiera corale:
Pietà e misericordia Signuri.
Un via vai di persone, in assoluto silenzio e con grande fede e devozione, si nota per le strade di Vallelunga sin dalle prime ore dell’alba. Questo gesto di pietà dura tutta la mattinata e si conclude a mezzogiorno del Venerdì Santo. Nel pomeriggio si svolge la celebrazione liturgica della commemorazione della morte del Signore.
La preparazione dell’urna dove la sera verrà deposto il simulacro del Cristo morto avviene ad opera dei confrati del SS.Sacramento,mentre la vara dell’Addolorata ad opera dell’omonima confraternita che ha sede presso la chiesa del SS.Crocifisso. Alla processione serale,vi partecipa un grandissimo numero di fedeli,con in testa il clero locale e i confrati vestiti con i loro abitini tradizionali. La banda musicale suona marce funebri. Arrivati in piazza,un predicatore rivolge un sermone penitenziale al popolo.
Il Sabato santo,tutta la comunità credente si prepara alla celebrazione della solenne Veglia Pasquale.

Lo spazio dei Fratelli.

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Invito conf. confraternite

Il ministero presbiterale di Cataldo Naro.

A cura del Prof.Francesco Lo Manto docente di storia della chiesa presso la Facoltà Teologica di Sicilia “S.Giovanni Evangelista”Palermo.
estratto Cataldo Naro Lomanto

Non so lasciar la penna.

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Dalla Sicilia alla Puglia.La Festa di San Giuseppe.

talmus san giuseppe
volantinoSGiuseppe
talmus Sgarbi Musardo
Il volume è stato presentato dal Prof. Vittorio Sgarbi e dal Prof. Rodo Santoro su invito della Delegazione Sicilia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e la TALMUS ART EDITORE il 18 marzo presso la Chiesa di San Nicolò daTolentino, a Palermo
Dalla Presentazione:
“Lo studio di questa particolare festa della tradizione religiosa cristiana è oggi più che mai prezioso perché compendia quella civiltà contadina che oggi rischia definitivamente di scomparire.
Un libro che ne racconta l’origine e l’evoluzione, è un’opera indubbiamente meritoria. Questo, in particolare, oltre al ricco corredo fotografico, costituisce, per il rigore scientifico e per la linearità della scrittura didattica che ne fa un libro di ampia divulgazione, un prezioso contributo alla conoscenza e all’approfondimento di San Giuseppe e dei riti religiosi a lui ispirati
. ” [Vittorio Sgarbi]

Dalla Sicilia alla Puglia la festa di San Giuseppe è una semplice raccolta di santini e immagini sacre riferite al santo di Nazareth? E’ il peregrinare faticoso per paesi e città alla ricerca del misto sacro-profano? E’ l’esercizio retorico culturale per ricostruire feticismi e misticismi profani e poplari? No. E’ la saggezza mirata a rivalutare un culto che è di popolo, che è di piazza, che è di fede, che è cultura, storia e arte, senza confusioni. E’ un capolavoro di immagini e di testi, freschi di stampa, uscito in questi giorni, e concepito da chi ne è stata la curatrice, la dottoressa Vincenza Musardo Talò, per volere di una giovane casa editrice pugliese, la Talmus Art. Il santo degli artigiani, degli operai e dei falegnami; della buona morte e della vita indissolubile chiamata matrimonio, conquista un posto d’onore nella iconografia, ma, anche, nella ripresa e rivalutazione di un culto molto diffuso in due regioni meridionali: la Sicilia e la Puglia. Due realtà lontane, ma affini, definite nel testo “regioni sorelle”, perché di esse è stato colto il senso vero di una appartenenza, di una identità consacrata nella icona di un santo che pulsa nel cuore dei due popoli, segnandone la storia, i ritmi, i passi, l’autenticità di una fede; di un connubio antico, nuovo, moderno, sancito, non solo da quel mare Mediterraneo che unisce, ma dalla sacralità di due mondi che si incontrano sull’altare dell’amore verso lo sposo di Maria Vergine.
Culti isolati, personali e soggettivi, ma, anche comunitari, collettivi nella espressione di Confraternite, sodalizi religiosi, Pie Unioni. Una coralità di cuore che esprime generosità e gratitudine, senza finzioni, senza ipocrisie, senza falsi ed inutili pudori, perché la fede autentica è quella che si manifesta e non quella che viene nascosta o repressa per rispetto umano. In questa opera nuova, non è da sottovalutare il coraggio mostrato da Vittorio Sgarbi, il quale ha saputo leggere i segni di un popolo, della gente autenticamente genuina; ha saputo intercettare le istanze di fede raccolte non in un crogiuolo, non in fazzoletto bagnato di lacrime, ma nello specchio di una vita, perché la vita di Giuseppe è stato specchio di fedeltà, di servizio, di obbedienza, di silenzio, di operosità. A questo meritorio lavoro va il plauso verso i tanti che hanno collaborato con la loro esperienza, con la loro voglia di ricercare, studiare, approfondire, conoscere e far conoscere il valore di un personaggio, staccato dal cuore della storia della Redenzione, per diventare medaglia di ogni singolo credente; di ognuno che ha sentito il bisogno del rifugio sicuro e sereno in colui che protesse nel rifugio del suo cuore immenso, la vita di Maria e di suo figlio, Gesù Cristo. Brevi considerazioni le nostre. Per meglio entrare nel clima di quest’opera, abbiamo affidato il compito alla sua curatrice, Vincenza Musardo Talò, che dobbiamo definire instancabile zelante e zelatrice di una missione.(Giuseppe Massari).

Partire per un viaggio – sia pure per immagini e narrati – nel magico labirinto di antichi sapori e colori delle solari regioni di Puglia e Sicilia, le due Terre più fascinose del Mediterraneo, cariche della voce dei secoli e laboratorio interculturale di civiltà lontane…
Viaggiare per antiche e nuove contrade, nella veste di umili pellegrini della cultura, per rivisitare uno dei più ricchi patrimoni di rituali, di cui si adorna la devozione popolare: la festa di S. Giuseppe…
Entrare, con rispetto, nella intima microstoria di tante comunità, che da secoli, con la tenacia della fede e l’umiltà dei semplici, affidano il loro vissuto al patrocinio potente di questo santo Patriarca…
Questi gli obiettivi del presente volume, accostato da studiosi di legittimato spessore scientifico e documentato da un corredo iconografico, proveniente dagli scatti artistici di esperti della fotografia o dalla istantanea e fresca foto-ricordo del devoto visitatore e del turista, unitamente ad alcuni rari esemplari di piccole immagini devozionali, riemersi da prestigiose collezioni private…
E il tutto sapientemente supervisionato dall’occhio “critico” di Vittorio Sgarbi: uno dei più stimati e accreditati studiosi di Estetica, nonché profondo e severo conoscitore dell’Arte, che la contemporaneità possa vantare. Il libro racconta l’origine e l’evoluzione della festa di San Giuseppe dalla Sicilia alla Puglia. Grazie alla ricca dotazione di illustrazioni, al rigore scientifico utilizzato nella descrizione e la linearità della scrittura didattica, il libro è adatto ad un’ ampia divulgazione, ed è un prezioso contributo per far conoscere ed approfondire il culto di San Giuseppe.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Quanto la iconografia dei santini, predisposta da Stefania Colafranceschi, ha contribuito alla buona riuscita dell’impresa?

R. Attraverso un variegato universo di costumanze e tradizioni comuni, il volume legge anche un aspetto delicato e intimo della devozione popolare a san Giuseppe, raccolto e testimoniato nei santini di una volta e magistralmente esemplato nella ricerca di Stefania Colafranceschi. A guardarli, questi minuti miracoli di carta, si coglie il delicato sentire delle folle devote dinanzi a una iconografia certamente popolare, ma capace di un trasporto di emozioni e di fede robusto verso il Santo che dopo Gesù e Maria fu il terzo protagonista del progetto salvifico dell’Altissimo. E voglio anche evidenziare l’impegno e l’attenzione delle confraternite di san Giuseppe, da sempre tese a mantenere e veicolare una devozione fatta di rituali segnici, che accompagnano la religiosità popolare nell’alveo sicuro della liturgia, nel mentre si mostrano degne custodi di un prezioso serto di valori e ideali del vivere umano, tanto magistralmente esemplato nella vita del Santo falegname di Nazaret. Ma, nel complesso, l’intero lavoro di studi e ricerche, depositato e offerto in questo volume, si configura come un’occasione di affettuosa condivisione di tante testimonianze di fede in san Giuseppe, comuni non solo in Sicilia e in Puglia, ma sparse per tutte le strade dell’ecumene, là dove è caro il nome di questo Santo patrono della Chiesa Universale.
(Intervista alla Prof.ssa Vincenza Musardo Talò a cura di Giuseppe Massari).

Volume rilegato con copertina telata e sovracoperta con impressioni in oro.
carta patinata lucida 200gr/mq interamente a colori riccamente illustrato,
208 pag. formato 21×30 e elegante custodia con impressione in oro.
É un regalo per lo studioso e il cultore di tradizioni popolari.
É un regalo per la festa del Papà e uno strumento di promozione turistica

Sommario
Presentazione [Vittorio Sgarbi]
Nota del curatore [V. Musardo Talò]
Parte prima: Sicilia. Terra di san Giuseppe
La festa di san Giuseppe: geografia cultuale in Terra di Sicilia [D. Scapati]
Tra miti e credenze. Patronage giuseppino nelle contrade siciliane [C. Paterna]
I pani merlettati di Salemi, capitale del culto siciliano in onore di san Giuseppe [P. Cammarata]
Pietanze della tradizione nelle tavolate di Vita e dintorni [S. Fischetti e AA.VV.]
Parte seconda: Puglia. Omaggio a san Giuseppe
La Puglia per san Giuseppe. Storia e devozione [V. Fumarola]
A oriente di Taranto, cuore pugliese del culto giuseppino [S. Trevisani]
San Giuseppe nel Salento: riti e tradizioni [E. Imbriani]
Architetture dell’anima: i magici altarini di san Giuseppe [V. Musardo Talò]
Asterischi
Iconografia giuseppina nell’arte colta [V. Sgarbi]
Dalla Sicilia alla Puglia:
le Confraternite di san Giuseppe custodi della religiosità popolare [V. Musardo Talò]
“A Te, o beato Giuseppe…”: il culto di san Giuseppe nei santini [S. Colafranceschi]
Autore :Autori Vari.
presentazione di Vittorio Sgarbi
Edizione: Talmus-Art – 2012
ISBN 9788890546075
Prezzo 54,60 euro

Sul crinale del mondo moderno.Scritti brevi su cristianesimo e politica.

I PRETI E I MAFIOSI.STORIA DEI RAPPORTI TRA MAFIE E CHIESA CATTOLICA.


Il 2 Luglio del 1960,veniva ordinato sacerdote, dall’allora Arcivescovo di Palermo,Cardinale Ernesto Ruffini,don Pino Puglisi.Oggi compirebbe 50 anni di sacerdozio se la mano armata di Salvatore Grigoli non avesse fermato,barbaramente,la sua vita terrena il 15 settembre del 1993.L’omicidio Puglisi ha scosso fortemente le coscienze non fosse altro perché la mafia alzava il tiro contro la Chiesa. Lo stesso delitto Puglisi non può non essere letto come un giudizio di Dio sulla chiesa palermitana in primis e sulle chiese del sud Italia in relazione proprio al lungo legame tra la Chiesa,parte della gerarchia e la mafia. Proprio a questo argomento è dedicata l’ultima fatica editoriale del Prof. On.Isaia Sales dal titolo:”I preti e i mafiosi. Storia dei rapporti tra mafie e chiesa cattolica”.L’interessante ed avvincente volume affronta il tema delle responsabilità della chiesa cattolica nell’affermazione delle organizzazioni mafiose,esaminando l’apporto culturale che direttamente o indirettamente la dottrina della Chiesa ha fornito al loro apparato ideologico. Come spiegare il fatto,si chiede l’autore,che in quattro “cattolicissime”regioni meridionali si siano sviluppate alcune delle organizzazioni criminali più spietate e potenti al mondo?Come spiegare che la maggioranza degli affiliati a queste organizzazioni criminali, con la patente di spietati assassini, si dichiarino cattolici osservanti?Che rapporto c’è tra cultura mafiosa e quella cattolica?Perchè questo rapporto non è mai stato indagato in sede storica e,invece, è stato sempre smentito o sottovalutato?Fino a pochi anni fa la Chiesa ha taciuto sulle mafie e non le ha mai considerate nemici ideologici. Personaggi come Don Ciro Vittozzi,Don Stilo,Don Agostino Coppola,Fra Giacinto sono stati fortemente collusi con essa. E ancora l’attentato a Mons.Peruzzo,l’eremo di Tagliavia,il santuario di Polsi,i frati di Mazzarino:luoghi ed ecclesiastici avvezzi a complicità e compiacenze. Dopo l’assassinio di Don Puglisi il silenzio è stato,in parte,interrotto. Il volume parla di tutto questo senza intenti scandalistici nella forte convinzione dell’autore che senza il sostegno culturale della Chiesa le mafie non si sarebbero potute radicare così profondamente nel sud del paese. Il successo delle organizzazioni mafiose rappresenta un insuccesso della Chiesa cattolica,ma,al tempo stesso,senza una Chiesa realmente e cristianamente antimafiosa la lotta per la sconfitta definitiva delle mafie sarà ancora lunga.Don Pino Puglisi,sacerdote secondo il cuore di Dio e della Chiesa,ha aperto la strada per un cammino di vera conversione e di rescissione dei legami tra Chiesa e mafie:quanti sono disposti a seguirne l’esempio?

Isaia Sales,I PRETI E I MAFIOSI.STORIA DEI RAPPORTI TRA MAFIE E CHIESA CATTOLICA.Saggi B.C.Dalai editore,pp.367.2010.

Le “cento Sicilie”raccontate!


A CAMPOFIORITO E NEI COMUNI SICANI CON A.G.MARCHESE E GLI STORICI LOCALI I COMUNI RISCOPRONO LA LORO STORIA

Una identita’, che rischiava di essere cancellata, nel millennio dalla memoria corta, pur rientrando tra gli insediamenti di nuova fondazione.

di Ferdinando Russo

E’ partita da Campofiorito(Pa) la sfida dei piccoli comuni a rivedere ,aggiornare,arricchire la storia degli uomini e degli eventi delle città nuove .
E non c’era miglior curatore del medico -letterato e cultore di Storia dell’Arte nell’Università di Palermo, dr.Antonino Giuseppe Marchese, per tentare una prima raccolta di storie locali,partecipate vissute da parte degli estensori, in un aggiornamento temporale ,proposto a studiosi ,intellettuali,tecnici,storici di oltre 20 comuni della Sicilia, per intessere una maglia di confronti e di diversità tra quelle che Bufalino chiamava le “Cento Sicilie”.(1)
Il Presidente della provincia regionale di Palermo, ing.Giovanni Avanti ,ne ha permesso la pubblicazione ,riconoscendo il valore della storiografia locale, “che consente di conoscere,riscoprire e,quindi,valorizzare,le tradizioni,gli usi,i costumi dei nostri padri,i loro ritmi di vita,ma anche le loro speranze e i loro sogni.” (2)
Ed è toccato al compianto arcivescovo Cataldo Naro,al suo inizio della guida della diocesi di Monreale, aprire il convegno ospitato dalla città di Campofiorito, che dalla iniziativa ha tratto interesse e impegni culturali per una presa di coscienza comunitaria della memoria delle origini, quasi a riscoprire le peculiarità del lavoro e della cultura degli antenati e della loro creatività umana,della loro fede religiosa.
Proprio mentre cresce il fenomeno della globalizzazione nelle sue varie dimensioni economiche,sociali e culturali,ha affermato il Presule, e mentre si intensificano i processi di integrazione politica del continente europeo,si riscopre il senso dell’appartenenza alla patria locale e spesso nel quadro più ampio di una riscoperta dell’identità nazionale.”
“ .Per troppo tempo in Italia- ha continuato Naro,-“il sentimento di appartenenza alla stessa nazione è stato soppiantato,almeno ad alcuni livelli della consapevolezza diffusa,da quello dell’appartenenza ai partiti politici e alle grandi famiglie ideologiche: si era democristiani o comunisti,cattolici o anticlericali,socialisti o altro ancora. E ci si ricordava di essere Italiani solo quando si era all’estero o a partire da alcuni elementi, come la cucina o la quadra di calcio.”

E per i 150 anni dell’Unità d’Italia bene ha fatto il sindaco di Campofiorito, in provincia di Palermo ,Giuseppe Sagona, a promuovere ,fuori da ogni ufficialità patriottica formale,
una solenne celebrazione unitaria , legando alla prima presentazione del volume (2) sulle storie locali,a ciò che unisce gli Italiani e come il localismo non debba ottundere l’essenza di una comune civiltà, ma contribuire, con un protagonismo culturale e storico, al comune cammino umano del Paese.
La presentazione degli scritti storici ha avuto così il conforto e la corale presenza della Giunta e di numerosi consiglieri Comunali, l’apprezzamento dell’assessore alla cultura,Mario Milazzo, e degli assessori Pizzo,Gerardi e Bono,del Consigliere della provincia regionale Vallone, in rappresentanza del Presidente Avanti, ,dell’on.Ferdinando Russo, già sottosegretario agli Interni e parlamentare della Sicilia occidentale,e di numerosi storici dei comuni di Giuliana, Ciminna,Villafrati, Contessa Entellina, Vicari, intervenuti ad illustrare il loro apporto.
E la Sicilia da questo studio dedicato ad alcune comunità, conferma una rinata consapevolezza
di proseguire, o riprendere l’indagine storica sull’Isola, partendo dall’investigazione delle realtà locali, per decifrarne le linee di forza, le motivazioni, la cause, che hanno spinto, anche gli stranieri, a visitare ed a scrivere delle vicende ,delle diversità, dei microcosmi dei fattori isolani, che rendono peculiare e significativo il procedere del cammino di questa regione-nazione che si rinnova, nelle sue realtà istituzionali, non tralasciando la memoria dei padri ,rischiando di apparire ostile ai cambiamenti, come in Tomasi di Lampedusa, mentre ingloba tante culture mediterranee e continentali, recependone, spesso i valori ,anche se, talvolta, si tratta di incolti disvalori..
A.G.Marchese, il curatore apripista di questa voluminosa ricerca, stimolatrice quindi di ulteriori integrazioni in progress, per le cento o mille altre realtà, non è nuovo a produrre testimonianze letterarie e comunitarie ed a tracciare ipotesi di futuri lavori storici e ricerche ,non rigidi monotematici, ma coinvolgenti studiosi locali ed esperti di ricerche sul territorio sui temi dei beni culturali, ambientali, geofisici, antropologicici (3).
Basta ricordare la sua vasta produzione di saggi, scritti storici, biografie, scoperte artistiche, che hanno interessato l’area dei monti Sicani e del Belice, si da promuovere azioni conservative ,di restauro e politiche istituzionali quali le Unioni dei Comuni, (del Salso,del Belice,ecc ), il Parco dei Monti Sicani, così come si preannunciano per l’interesse creato dalla recentissima opera “ Insula” (4)
E con l’umiltà che caratterizza gli storici, nell’opera della presente riflessione, il Nostro sceglie di trattare ed offrire il suo apporto, anche metodologico, affrontando come soggetto della sua ricerca un comune tra i più piccoli,”Campofiorito: una new town baronale dela Sicilia occidentale” (cfr,pagg.27-74 del volume ).
E’ questo “un centro del Val di Mazara, nella comarca di Corleone, la cui “licentia populandi” ,rilasciata nel 1655 dal re Filippo IV di Spagna al Marchese della Ginestra(e poi primo principe di Campofiorito)Stefano Reggio Santo Stefano, non ebbe alcuna attuazione concreta, mentre oltre un secolo dopo,nel 1768, avrebbe avuto una realizzazione,seppure parziale,con l’intervento del suoV principe Stefano III Reggio Gravina”.

“La nascita giuridica di Campofiorito, intesa come Universitas baronale,-scrive Marchese, -sia che la sua costituzione sia avvenuta ex novo, o che abbia fatto uso di preesistenze abitative ,è stata sancita nel 1768, con il riconoscimento al principe Reggio da parte della Curia arcivescovile di Monreale,guidata da mons.Francesco Testa, dello status di parrocchia della chiesetta di Santo Stefano e la nomina del primo parroco arciprete, nella persona del sacerdote Leonardo Schifani da Chiusa..
Il 27 ottobre 1768 si celebra il primo battesimo ed è Stefano il nome in onore sia del Patrono della città,sia del principe.

“Ed è come effettuare il recupero di una identità,- ha affermato ,intervenendo alla presentazione dell’opera Ferdinando Russo, -come riportare alla comunità dei “Campofioritani ,o “bellanuvisi”,o “terranuvisi “,dagli archivi e dalle tele ingiallite di alcuni secoli, dai musei e dalle Sovrintendenze ,dal patrimonio storico-archivistico di Monreale, il fluire della storia umana e religiosa degli antenati di una delle “città nuove”, create cioè ex novo nell’età moderna, assieme ad altri 87 centri siciliani tra il 1593 ed il 1714.”

La cultura urbanistica di questi comuni rurali di nuova colonizzazione, non è comunque esente da legami e ascendenze con la grande cultura europea contemporanea, come afferma M.Renda.(5).

Significativo e moderno il tentativo di denominare questi comuni con sinonimi accattivanti, incoraggianti: Campofiorito,Villafranca,Campobello,Campofranco,Camporeale,Belmonte,Altavilla,
Roccamena, Villafrati.

Attorno a Campofiorito, nascono tentativi di industrializzazione, con la conceria e con la produzione dei materiali di costruzione, la calce ed il gesso,.che rappresenteranno, fino alle soglie degli anni sessanta, una fonte di approvvigionamento dei materiali fondamentali per l’edilizia e non solo per quella povera dei comuni del circondario.

Della nascita della città usufruiscono gli artigiani dei comuni vicini di Bisacquino, Corleone, Chiusa Sclafani, Prizzi, Giuliana, Contessa Entellina, ed i paesi sicani hanno ormai già risorse comuni e maestranze interscambiabili.

Ragioni di sicurezza del latifondo, ragioni di lavoro, di esplosione demografica (vedi Palermo), di ripopolamento, di necessarie produzioni cerealicole, determinatesi dopo il terremoto del 1693 ,stanno alla base di una positiva politica economico-sociale, che investe la Sicilia, in maniera preponderante.

E nella storia appare un contributo innovativo a modificare l’assetto fondiario e culturale, come
sottolinea Marchese ,citando una ricerca del giornalista Dino Paternostro (6) “pe r effettuare la presenza di sempre più numerosi abitanti, infatti, il Principe procedette al frazionamento delle terre e alla loro concessione, tanto che gli enfiteutica da 46, che erano nel 1774, aumentarono a 133 nel 1811 e a 146 nel 1817.Le rimanenti terre vennero condotte in gabella ed affidate ad un unico affittuario”.
Ora però vogliamo invitare i lettori e gli amministratori comunali ad utilizzare per le Biblioteche comunali e per le scuole il volume al nostro esame.
Tra i Comuni coinvolti nelle ricerche ricordiamo sommariamente:
Montemaggiore Belsito (contributo di Giovanni Mendola), Calamonaci (con le maestranze e la sua economia,l’esempio che riporta Giovanni Moroni),Villafrati e Cefalà Diana (dello studioso Giuseppe Oddo (9), Marineo, Il barone e il popolo (Antonino Scarpulla), Serradifalco (Alberico Lo Faso ), Monforte San Giorgio (Giuseppe Ardizzone Gullo), Chiaramonte e Monterosso nel 1593 (Gianni Morando)), Ventimiglia di Sicilia (Arturo Anzelmo), Montalbano (Alfio Seminara).

Ed ancora, Prizzi (Carmelo Fucarino), Caltabellotta (Angela Scandagliato), Acquedolci e Capo D’Orlando (Antonino Palazzolo), Cammarata (Domenico De Gregorio), Campofranco (Giuseppe Testa). Per la Val di Noto (Marisa Buscemi), per Sciacca (Ignazio Navarra), Polizzi (Vincenzo Abbate), Alcara Li Fusi (Angela Mazzè), Bivona (Antonino Marrone),Castelbuono(Rosario Termotto).

La ricerca non poteva non toccare anche Enna , Tortorici, Petralia Sottana, Isnello, Contessa Entellina (Calogero Raviotta), Palazzo Adriano (Antonino Cuccia). .

Ci riserviamo ,pertanto, di presentare gli altri comuni interessati a questo storico evento librario,.scusandoci con gli storici locali, che hanno collaborato allo studio originale e ricapitolativo di quanto finora conosciuto solo dagli esperti e degli addetti ai lavori e non citati in questa nota.
.
La ricerca spazia ,infatti, nel territorio dell’intera Sicilia e merita informazioni e riflessioni attente di apprezzamento per gli studiosi e per la fatica immane del curatore .

Torneremo sull’argomento ,quando i sindaci e il presidente della Provincia regionale di Palermo G.Avanti presenteranno ufficialmente la meritevole pubblicazione.

Ferdinando Russo
onnandorusso@libero.it

1)G.Bufalino,Nunzio Zago,Cento Sicilie ,testimonianze per un ritratto,La Nuova Italia editrice,
Scandicci,Firenze 1993

2)A,G.Marchese (a cura),L’isola ricercata,inchieste sui centri minori della Sicilia secoli XVI-XVIII,Atti del Convegno di studi (Campofiorito,12-13 aprile 2003-Provincia Regionale di Palermo

3) A.G.Marchese, Insula ,Ila Palma Mazzone Produzioni dicembre 2009 (vedi anche Orizzonti Sicani aprile 2010)

4)F.Russo ,I centenari di A.G.Marchese vivono a Giuliana in http://www.google.it e in http://www.maik07.wordpress.com

5)M.Renda I nuovi insediamenti del 600 siciliano.Genesi e sviluppo di un comune (Cattolica Eraclea,in M.Giuffrè (a cura di) Città nuove di Sicilia,Palermo 1979

6)D.Paternostro,Campofiorito:nato dal sogno di un principe il primo giorno di Primavera,dattiloscritto del 1991,Archivio comunale di Campofiorito,p.5

9)G.Oddo,Lo sviluppo incompiuto,Storia di un comune agricolo della Sicilia occidentale,Villafrati 1596-1960,Palermp1986