L’incarnazione del Verbo,ossia del Figlio di Dio,fattosi uomo e,dunque,l’assunzione da parte sua del corpo umano,ha dato vita in 2000 anni di cristianesimo al percorso dell’arte sacra che ha creato innumerevoli capolavori.
Dio nessuno lo ha mai visto,ci ricorda San Giovanni Evangelista,il Figlio suo,l’unigenito,ce l’ha rivelato.
Oggetto principale dell’arte sacra la figura di Gesù-Cristo,della Madre sua,Maria,degli Apostoli e dei loro successori e dei santi in generale.
Pertanto uno dei canali principali attraverso cui la fede cristiana è stata trasmessa nel tempo,da una generazione all’altra,è proprio l’arte sacra avente per oggetto il Santo,cioè Dio fattosi uomo.
A differenza di altre importanti religioni per le quali Dio essendo Invisibile non è rappresentabile( Ebraismo ed Islam),il Cristianesimo ha dato vita ad opere d’arte di straordinaria bellezza teologica ed estetica.
Si,innanzitutto teologico-liturgica,ossia l’opera d’arte sacra serve innanzitutto per contemplare il Mistero dell’Incarnato fattosi Eucarestia. L’opera d’arte sacra ha questo primario scopo:consentire a chi crede di potersi mettere in contatto con il Dio di Gesù-Cristo,attraverso lo stesso Cristo.
Finalità eminentemente Mistagogica,cioè contemplativa che trova il momento di massima realizzazione nella celebrazione liturgica della Chiesa. Ecco il perché del proliferare delle opere d’arte nella storia bimillenaria del cristianesimo. Dall’arte paleocristiana sino ai nostri giorni.
Ma un’altra grande finalità dell’arte sacra è stata,appunto,quella di natura catechetica. Ossia trasmettere la fede da una generazione all’altra. Per molti secoli,infatti,la fede cristiana è stata trasmessa attraverso la creazione delle basiliche,le cattedrali, i mosaici,le pitture ,le sculture,gli arredi sacri.
Cuore dell’arte sacra,dunque è l’evento cristologico-trinitario, soteriologico attraverso il cammino eclesiologico.
L’indelebile segno della tradizione sacro-santa, della fede cristiana,è strettamente legato,anche, alla munificenza della committenza aristocratica ed ecclesiastica, divenuta il fondamento che consente nel tempo il raccogliere e conservare quel patrimonio storico-artistico che caratterizza la creatività del passato delle genti e che solo la salvaguardia della “traditio fidei”, unita alla ricerca scientifica, all’appassionata volontà e all’innata sensibilità di alcuni possono salvaguardare, far conoscere e trasmettere alle generazioni future.
Ecco a cosa serve la creazione di un museo diocesano:conservare,salvaguardare,far conoscere,trasmettere alla generazione presente e alle future,la storia della inculturazione della fede in un determinato luogo(il territorio diocesano) attraverso il tempo.
Nei diversi suggerimenti dati dalla congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, sulla scia della lettera apostolica Mane Nobiscum Domine del 7 ottobre 2004, vengono auspicate delle pubblicazioni che facciano memoria del prezioso patrimonio di fede e arte che si è sviluppato nel corso dei secoli nelle comunità ecclesiali in ordine al mirabile sacramento dell’Eucaristia. Il documento afferma che «di fronte a orientamenti culturali che tendono a marginalizzare il contributo storico nelle terre tradizionalmente cristiane, il Papa ha scritto: “Noi abbiamo paura di parlare di Dio e di portare a fronte alta i segni della fede. La ‘cultura dell’Eucaristia’ promuove una cultura del dialogo che trova in essa forza e alimento”» (Mane nobiscum Domine, 26).
Le suppellettili e i parati sacri scaturiscono proprio dall’Eucaristia, che dalla Costituzione Dogmatica Lumen Gentium del Concilio Vaticano II è stata definita «fonte e culmine della vita della Chiesa» (Lumen Gentium, 11).
I fedeli cristiani hanno sempre accompagnato l’arte alla fede connotandola di quei tratti che la distinguono dalle opere delle altre religioni rendendola peculiare espressione di un linguaggio del sacro che si pone come messaggio simbolico a tutte le genti.
I manufatti artistici sono pregni della santità di Dio partecipata agli uomini, grazie alla loro originaria e unica funzione, quella liturgica, che li estrapola dalla materialità del mondo umano per avvicinarli a Dio.
Le opere d’arte sono quanto di più prezioso si è conservato di quell’ingente Tesoro che il tempo ha distrutto, lasciandoci qualche traccia di memoria nei documenti. Testimonianza dunque della fede, del potere, del gusto in auge nei vari secoli, i manufatti artistici hanno alle spalle una colta e raffinata committenza che va dai nobili ai governatori delle confraternite e ancora a dotti sacerdoti.
Con questo spirito e queste finalità è stato creato il MUSEO DIOCESANO della diocesi nissena,voluto fortemente da quella straordinaria figura di sacerdote,intellettuale,e grande appassionato e conoscitore dell’arte,che fu Mons. Giovanni Speciale,passato alla vita eterna il 31 Luglio scorso.
Mons.Speciale,resterà come una pietra miliare nella storia della diocesi di Caltanissetta.
La dicesi nissena,fondata nel 1844, ha creato,seppur in così breve tempo,un patrimonio artistico di pregevole fattura e valore. Mons.Speciale ha avuto la perspicacia di conservarne una parte nel museo diocesano.
Riporto,di seguito,quanto scritto da Mons. Giovanni Speciale nel volume,Il Museo Diocesano di Caltanissetta,edito da Sciascia
MUSEO DIOCESANO
COME STORIA DI UNA CHIESA
Di Giovanni Speciale
Ogni chiesa particolare fa storia, ha la sua storia. È la storia “del tempo della Chiesa”, che si realizza in quella porzione del popolo di Dio che è una diocesi.
E una storia che non è come una goccia che si perde nel grande oceano della chiesa universale, perdendo la sua identità e scomparendo nell’anonimato, confondendosi con la moltitudine delle acque che formano questo oceano, ma è una storia che segna la sua fisionomia di sposa di Cristo e madre dei figli di Dio.
La chiesa particolare ha la sua storia: è l’annunzio del Vangelo, che ha significato la plantatio ecclesiae in quel territorio, la presenza dei vescovi che, custodi del gregge, hanno trasmesso ad esso il messaggio di Cristo; la crescita di tante anime nella vita dello Spirito, che è il mistero della santità cristiana; la realizzazione di tante opere, che hanno testimoniato la presenza viva del messaggio di Cristo.
In questa visuale si profilano, nel cammino dei centocinquantasette anni della chiesa nissena, figure di vescovi intrepidi e sapienti (fig. 1), di sacerdoti zelanti e ardimentosi, di laici partecipi all’azione di custodia della fede e promotori del rinnovamento della società; di religiosi maestri di vita spirituale e samaritani di tante sofferenze umane.
E un cammino in cui balzano iniziative pastorali e sociali, che hanno delineato il volto della chiesa nissena, che all’inizio del terzo millennio si presenta come sposa di Cristo, ornata dei gioielli della sua storia, per testimoniare Cristo Signore in questo entroterra di Sicilia.
Fu qui che dalla seconda metà del secolo XVII alla prima metà del secolo XVIII sbocciarono, come in una fioritura primaverile, quasi tutti i comuni che formano l’attuale diocesi di Caltanissetta. I signori feudatari, ottenuta facoltà di jus populandi dei loro vasti e spopolati territori, eressero i nuovi centri abitati.
Non si preoccuparono di costruire solamente le case dei nuovi abitanti ma costruirono le chiese, come punto focale, e le dotarono di ricche suppellettili sacre, di paramenti preziosi, di statue e pale d’altare commissionati ad artisti, ad argentieri e a monasteri di Palermo. Un patrimonio magnifico per splendore, degno decoro del tempio di Dio e aiuto alla fede e alla devozione del popolo.
La chiesa, con il suo campanile svettante in cui le campane segnavano il ritmo della quotidianità e la gioia della festa, costituì la comunità di cristiani di quegli agglomerati di casupole di uomini consumati dalla fatica del lavoro dei campi. E la fede moltiplicò l’antico patrimonio degli edifici sacri.
Sorsero così altri edifici di culto eretti dalla pietà del popolo devoto, fiorirono nuove devozioni suscitate dalla predicazione delle missioni popolari. Furono commissionati nuovi simulacri sacri, furono acquistati nuovi quadri e sorsero scuole di ricamo che confezionarono nuovi paramenti riccamente ornati. Si formò, così, un patrimonio artistico autoctono, che rispecchiava la fisionomia semplice e fervorosa di questo entroterra di Sicilia.
Purtroppo tanta ricchezza di testimonianza non è giunta integra sino a noi. La soppressione degli ordini religiosi, nel 1866, con la conseguente chiusura delle chiese conventuali, causò la dispersione di tante opere d’arte; l’impoverimento delle chiese e del clero, dovuto alla confisca dei beni ecclesiastici, suscitò l’alienazione di tante opere. Infatti alcune di esse furono vendute a collezionisti esteri, altre finirono nelle case della nuova borghesia post-unitaria. Il mutamento del gusto per il decadimento dell’arte sacra nel sec. XIX causò trascuratezza, poiché tante opere furono tolte dai luoghi originari e furono abbandonate al deterioramento o distrutte.
Il museo diocesano è ora la mano, tesa al recupero di ciò che era destinato a perdersi, e il filo lanciato per ripercorrere il cammino della nostra chiesa. L’inizio fu occasionale.
Andavo a tenere un incontro settimanale alle suore, che prestavano servizio all’ospedale Vittorio Emanuele di Caltanissetta. Un giorno la suora sagrestana mi chiese di prendere dei quadri vecchi e delle tele arrotolate, che erano in uno sgabuzzino. Il motivo era perché medici e personale direttivo le prendevano e le portavano via. “Le salvi lei” – mi disse. E così portai via dei quadri e delle tele irriconoscibili. Il restauro rivelò opere di fra’ Fedele da San Biagio e di fra’ Felice da Sambuca. Ma tante erano ormai scomparse.
Fu il primo nucleo del museo. Ad esse si aggiunsero pian piano altre opere, abbandonate in angoli muffiti di vecchie sagrestie, paramenti estratti da vecchi armadi. Il 9 marzo 1987 si aprì la prima sala del museo, che via via negli anni è andato crescendo. Non si è trattato di impoverire le chiese, ma solo di salvare ciò che non era più nel suo posto originario, ciò che non trovava più posto in tante chiese manomesse da restauri non seriamente eseguiti o che era a rischio per la custodia.
Il museo diocesano apre tante pagine di storia della nostra chiesa.
E la pagina della pietà. I tanti quadri sulla passione richiamano la
fede nel mistero di Cristo morto per la nostra salvezza. Era il tema delle missioni popolari, che invitavano alla conversione e al pentimento dei propri peccati. Nel museo due immagini hanno a questo un particolare richiamo: un Ecce Homo (fig. 2) con una corona di spine che gli grava sulla testa come un cappello di chiodi acuminati (cat. n. 49), un Cristo che commuove e richiama a penitenza, e un’immagine del Pentimento di 5. Pietro (cat. n. 10). E questa una iconografia tipica della riforma cattolica, in cui l’apostolo è ritratto, più che con gli attributi di pontefice, come modello della penitenza cristiana, che nel pianto del cuore contrito e nel sacramento ha il segno dell’incontro con Dio.
Ci sono i segni della pietà mariana. Tante immagini che richiamano al pensiero di compagnie devote, di confraternite, di canti fervorosi. Si pensi alla pala dell’Addolorata (cat. n. 53) contornata da angeli che recano i segni della passione (fig. 3). Si trovava anticamente in un oratorio dell’antica piazza Ferdinandea, l’attuale piazza Garibaldi, e nel venerdì santo era oggetto di particolare culto, perché veniva portata in processione. Fu l’inizio di quella processione, chiamata delle “vare”, in cui l’immagine della pala fu trasformata in statua da Francesco Biangardi.
Un’altra immagine mariana ha un forte richiamo storico, quella della Salus populi romani in una copia seicentesca (cat. n. 3). Proviene dall’antico collegio dei Gesuiti e richiama il fervore della congregazione mariana diretta dai padri, che nella Madonna tipicamente romana offrivano un legame con la Chiesa di Roma.
E poi richiama la presenza viva della compagnia a Caltanissetta da dove partirono il padre Girolamo Gravina, primo traduttore della Bibbia in cinese, il padre Tommaso Tamburini, uno dei più grandi moralisti del Seicento, che portò a Caltanissetta il culto della Salus populi romani, il padre Ignazio Taschetti, grande maestro di missioni popolari.
La presenza dei Cappuccini è testimoniata dalle molte opere di fra’ Fedele da San Biagio Platani e da quelle di fra’ Felice da Sambuca. In una grande pala è ritratto 5. Francesco che rinunzia al sacerdozio (cat. n. 43). E il modello di umiltà offerto ai chierici dell’antico noviziato cappuccino.
In un’altra tela campeggia la figura di San Bernardo da Corleone, che a Caltanissetta iniziò il suo cammino di formazione francescana.
Il San Vincenzo Ferreri di Guglielmo Borremans (cat. n. 31) richiama la compagnia dei muratori, che era guidata dai padri Domenicani nella chiesa di S. Domenico. Come la pala con i Santi Crispino e Crispiniano (flg. 4) richiama la compagnia dei calzolai, che si radunava nell’oratorio dei due santi martiri (cat. n. 28).
Ci sono tanti quadri di soggetto biblico e sono un chiaro richiamo alla catechesi del secolo XVIII, che nella città di Caltanissetta ebbe il suo punto culminante nel poema teologico biblico, dipinto da Guglielmo Borremans nel duomo: una vera bibbia dei poveri. Nel museo due quadri di Luigi Borremans, Il passaggio del mar Rosso e Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia (fig. 5), sono segnò della catechesi sul battesimo (cat. nn. 32-33).
Ogni opera va letta alla luce della storia e allora davvero diventa viva. La pura contemplazione estetica la riduce e la mortifica.
Oltre ai quadri c’è il fulgore di tanti paramenti sacri. Ricami ricchi di fili d’oro e d’argento richiamano il lavoro nascosto delle monache benedettine del monastero di S. Croce o la pietà sincera dei Cavalieri di Malta che operavano con tante opere di misericordia nella chiesa di S. Giovanni.
La ricchezza dei vasi sacri, da quelli del secolo XVI a quelli del XIX, ci introduce al percorso della pietà eucaristica in cui la chiesa nissena è fortemente impegnata. Calici dai nodi tortuosi sono il segno di una pietà accesa e infuocata, che trovava la manifestazione più solenne nelle processioni del Corpus Domini; ostensori radiosi e raggianti sono il segno della chiesa post-tridentina, che vedeva nell’eucaristia Cristo sole del mondo.
Questo percorso sintetico vuole essere una chiave di lettura del museo diocesano, quella vera; altrimenti si rischia di non entrare nel mistero dell’opera d’arte, che è nata dalla fede ed è stata proposta come segno di fede.
Il museo diocesano disvela, così, le pagine di una storia che sfugge all’occhio superficiale che analizza solo la provenienza di scuole artistiche e la diversità di stili.
E la storia di una chiesa che ha svolto il suo cammino insieme a tante altre chiese, ma con la sua identità, che la qualifica e la distingue pur unendola alle altre nella comunione dello Spirito. Così il museo diocesano nisseno è un libro aperto per leggere la storia della Chiesa che è in Caltanissetta.
Ma la storia della Chiesa non è solo la memoria di ciò che è avvenuto, ma l’attesa di ciò che verrà. E una storia escatologica perché in Cristo il tempo non va verso la fine, ma verso il compimento. Anche la Chiesa, vivendo il passato, si protende verso l’avvenire, ove il passato avrà la pienezza di un presente senza tramonto.
E questo il cammino della speranza, una speranza che è certezza: l’eskaton. Una Chiesa che prepara il compimento. Anche nel museo diocesano abbiamo segni di questo compimento. Ne cito due: la cassetta eburnea della bottega degli Embriachi (cat. n. 91) e l’ostensorio gotico, proveniente dalla sagrestia del duomo (cat. n. 94).
La cassetta eburnea è una cassetta per gemme nuziali. Ma in tempi lontani, forse per dono votivo, le gemme diedero il posto a reliquie di martiri, incastonate in piccole teche (cat. n. 218), preziose come gemme. Le reliquie sono gemme delle nozze dell’Agnello e allora la cassetta ha assunto un significato nuovo: il dono sponsale dell’amore di Cristo che i martiri hanno testimoniato e a cui tutta la Chiesa è rivolta. Diventa così storia dell’amore sponsale promesso e atteso.
L’ostensorio gotico ha nella guglia, che sovrasta il tempietto ove si pone l’ostia, la pietà e al culmine la resurrezione; anche qui è una storia, quella del popolo pellegrinante; l’eucaristia è il cibo e il viatico dei pellegrini, dono della passione, ma il compimento è la resurrezione in Cristo.
Entrare nel museo diocesano è leggere questa storia. Che l’occhio ammirato guardando i segni di un passato, che è ancora vivo, si protenda verso la luce del risorto, ove la storia sarà compimento dell’attesa.
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