101 cose da fare in Sicilia…..


La gente passa a trovarsi in Sicilia.Se la visiti bene ti sembra di avere incontrato una persona dai mille volti.Lentezza elefantiaca,cinismo,innocenza struggente della sua natura indifesa,le sue coste stupende segnate dalla piaga dell’abusivismo edilizio.Si levano ovunque profumi dal ribollire delle sue tante pentole,dall’odore della pasta di mandorle,dall’aria fine impregnata di gelsomini e dalla zagara di arance e limoni,al fritto delle panelle e al pane con la milza.In tanti l’hanno dominata e abitata.dai greci ai fenici,dai romani agli arabi,dai normanni agli spagnoli.Tutti hanno lasciato una traccia indelebile di storia,tradizioni,arte,cucina.Da Erice a Ortigia,da Scopello a Cefalù,da Monreale a Caltanissetta,da Enna a Siracusa.Tanti i letterati,Tomasi di Lampedusa,Sciascia,Pirandello,Quasimodo,seduti in famosi bar delle varie città dell’isola a prendere un caffè o a degustare una granita di limone.Si sino innamorati della loro terra e l’hanno descritta nel bene e nel male.Perchè la Sicilia sembra un grande amore che non si scorda mai:anche se la lasci sei sempre grato per averla incontrata. Queste 101 cose da fare in Sicilia almeno una volta nella vita di Daniela Gambino,sono come “l’inizio della vertigine,è come tastare con la punta del piede un oceano caldo e tempestoso e pensare con orgoglio:ecco questo l’ho fatto nella vita”.

Daniela Gambino,101 COSE DA FARE IN SICILIA ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA,Newton Compton Editore,Roma,2009,pp.272.

Piatti tipici siciliani.


La foto del “Tagano” è della Dott.ssa Silvia Crucitti:www.kitchenqb.it
Pane Nero di Castelvetrano La forma è quella di una pagnotta rotonda, che in siciliano si chiama vastedda, la crosta è dura e color caffè (cosparsa di semi di sesamo), la pasta è morbida e giallo grano. Celebre in tutta la Sicilia, il pane di Castelvetrano è diventato negli anni sempre più raro e ha rischiato addirittura di scomparire per la sua particolarità di essere cotto esclusivamente nei forni a legna.
Il suo colore deriva dalla materia prima. Si impasta con due farine, quella di grano biondo siciliano (duro e integrale) e quella ricavata da un’antica varietà di frumento locale, la tumminìa. Ed è proprio grazie alla rarissima tumminìa che il pane di Castelvetrano diventa nero e straordinariamente dolce e gustoso, con profumi intensi e un particolare aroma di tostato. Gli altri ingredienti sono acqua, sale e lievito naturale (lu criscenti, la madre). Prima della cottura l’impasto deve lievitare a lungo.
Ogni fornaio ha un vecchio magazzino ben areato dove far seccare la potatura degli olivi. Le fronde servono per alimentare i forni di pietra. Il fuoco – vivace e brillante – arroventa le pareti e la temperatura, nel punto più alto, raggiunge i 300°C. A fiamme spente si ripulisce accuratamente il forno con una scopa di palma nana (curina) dal manico molto lungo e si inforna il pane, che cuoce lentamente e senza fuoco diretto via via che la temperatura decresce. Quando il forno si è raffreddato, il pane è cotto.
Il Presidio ha riunito i panificatori in un piccolo consorzio e ora lavora in collaborazione con il Consorzio Ballatore per ricostruire l’intera filiera: incrementando la coltivazione della varietà locale di grano (la tumminìa), e ridando un po’ di ossigeno ai numerosi mulini a pietra locali, attualmente sottoutilizzati.
La tradizione vuole che il pane nero di Castelvetrano appena sfornato e ancora caldo sia diviso in due e conciato con olio extravergine (meglio se della locale Nocellara del Belìce), sale, origano, pomodoro a fette, formaggio tipico della zona (primosale o Vastedda), acciughe o sarde diliscate e basilico. Una colazione o un pasto straordinario. Quando è fresco ha note tostate nettissime al naso, quasi di malto e di mandorla tostata, che si uniscono al leggero sentore aromatico del legno di olivo al cui fuoco viene cotto.

Area di produzione
Comune di Castelvetrano (provincia di Trapani).

Pane Fritto
E’ una preparazione che ormai sta scomparendo dalle tavole siciliane, lasciando il posto a tartine e bruschette, che, per carità sono buone, ma non hanno quella forte connotazione della cucina povera siciliana Per me è una delle cose più buone che possano esistere: sarà perchè legata ai ricordi di infanzia. Anche questa ricetta serviva a recuperare e a non buttar via il pane raffermo di 2-3 giorni. La particolarità di questa ricetta semplicissima è che da infinito spazio alla fantasia. Infatti una volta preparato il pane fritto, lo può condire come vuoi, puoi farne un appetizer salato o un dolce per la merenda.
Ingredienti per 4 persone
10-12 fette di pane raffermo(quello di pasta dura modicano sarebbe l’ideale, ma…)
latte
olio extravergine d’oliva
Preparazione
In una teglia larga adagiare le fette di pane e bagnarle con il latte e farle ammorbidire. Attenzione a non versare troppo ltte perché, poi, le fetto potrebbero disfarsi.
Sgocciolate le fette di pane dal latte in eccesso e ponetele in una padella in cui avrete fatto scaldare l’olio d’oliva.
fatele friggere dorandole uniformemente da ogni parte; quindi mettetele su un piatto con carta assorbente da cucina per elimare ogni eccesso d’olio.
Ora non resta altro che dare sfogo alla vostra fantasia.
se volete consumarlo nella sua versione salata basta salare ogni fetta, metterci sopra una fettina di mozzarella ed una spolverata d’origano, oppure adagirvi una piccola fetta di mortadella o salame, o una fettina di ricotta ed un tocchetto di salame, o ancora, per chi le ama, una fettina di formaggio forte ed un filetto d’acciuga.
Se invece ne volete fare un dolcetto sfizioso potete solo spolverarlo di zucchero, oppure spalmare le fette con miele o marmellate varie, o preparare della ricotta dolce e con questa spalmare le fettine, magari grattugiandovi sopra del cioccolato fondente.

Tagano (Aragona)
Ricetta
tortiglioni 1kg
uova 30 (grandi)
tuma siciliana 700g
prezzemolo un mazzetto
pepe nero macinato 80g
caciocavallo grattugiato 250g
brodo vegetale 500ml
sale qb
olio qb
farina qb
Cuocere in abbondante acqua salata i tortiglioni portandoli a mezza cottura. In un grande recipiente rompere le uova aggiungere una bella presa di sale, il prezzemolo tritato e aiutandovi con delle fruste lavoratele in modo da amalgamare il tutto. Tagliare a fette la tuma e metterla da parte. A questo punto prendete un tegame (30cm di diametro 30cm di altezza) spennellatelo con l’olio e passate la farina nel suo interno facendo in modo che aderisca in tutte le pareti della pentola. Scolare la pasta e passarla per un attimo sotto un getto d’acqua fredda per fermare la cottura. Allora nel tegame cominciate ad assemblare a strati gli ingredienti: uno strato di pasta, il caciocavallo grattugiato, una presa di pepe, due mestoli di composto di uova e a coprire le fette di tuma. Continuare con questa sequenza fino a raggiungere l’altezza dei manici del tegame (si sconsiglia di formare gli strati fino all’orlo del tegame perchè in forno gonfia un pò). L’ultimo strato fatelo solo con pasta e il composto di uova. Una volta finiti gli strati aggiungete a filo lateralmente al tegame il brodo vegetale, se ne dovrebbe prendere circa mezzo litro. Il brodo non deve coprire tutto, muovendo il tegame si deve vedere appena. Preriscaldate il forno a 180°/200° e cuocetelo per due ore circa utilizzando il forno in modalità normale. Sformare e mettere in un piatto servire tiepido o freddo.
Note: Esistono delle versioni di tagano, se non sbaglio proprio quella originale, con delle polpettine di carne nel suo interno. Colgo l’occasione per ricordarvi che per chi fosse interessato ad assaggiarlo e si trova dalle parti di aragona (Ag) nel periodo di Pasqua può andare a vedere la sagra del tagano.

Babbaluci a picchipacchi
Ingredienti:
babbaluci (cioè lumachine, non crastuna) – pomodori maturi – cipolle – olio di oliva – crusca – sale e pepe.

Mettere le lumache in una scatola di cartone bucherellata, con un po’ di crusca sul fondo al fine di farle spurgare per una intera settimana.
Oppure acquistarle già spurgate.
Quindi lavarle in acqua corrente e poi in acqua e aceto, cambiandola spesso, finchè non faranno più schiuma.
Metterli in una pentola, coprirli con acqua e farli cuocere a fuoco lento.
Intanto, in un tegame si sarà fatto appassire nell’olio la cipolla tritata e i pomodori a tocchetti. Salare, pepare e lasciare cuocere per 15 minuti circa. Versare la salsa ottenuta sulle lumache ben sgocciolate, e cuocere ancora, mescolando il tutto per almeno altri 5 minuti. La variante più nota e maggiormente adoperata nel palermitano, spesso nel periodo di ferragosto, è quella dei babbaluci fatti solo con aglio e prezzemolo.

Pasta alla Norma
Ricetta tradizionale della pasta alla norma:

Ingredienti per 4 persone:
400 gr di spaghetti
800 gr di pomodori perini
2 melanzane
50 gr di cipolle
9 cucchiai di olio extravergine d’oliva
2 spicchi d’aglio
qualche foglia di basilico
sale e pepe q.b.

Preparazione:

Per il sugo di pomodoro: scottate brevemente i pomodori in acqua bollente, passateli sotto l’acqua fredda, pelateli, divideteli a metà, togliete i semi e tagliate la polpa a dadini. Sbucciate le cipolle e l’aglio e tritateli finemente. Scaldate in una pentola 4 cucchiai d’olio e soffriggetevi leggermente la cipolla e l’aglio; aggiungete i pomodori, condite con sale e pepe e fate bollire finchè il liquido è quasi completamente evaporato.
Lavate le melanzane e tagliatele a fette spesse 1 cm., mettendole per un’ora in un tegame forato con una spolverata di sale fra una fetta e l’altra e un peso sopra in modo che perdano il succo amaro. Poi lavatele bene e premetele fra le mani per far uscire il liquido residuo. Conditele quindi con sale e pepe. In una padella scaldate il restante olio e doratevi da ambo i lati le fette di melanzana finchè diventano croccanti.
Cuocete gli spaghetti al dente in acqua salata, scolateli e conditeli con il sugo di pomodoro. Disponete la pasta nei piatti, condite col sugo e sistematevi sopra le fette di melanzana. Cospargete con le foglie di basilico e servite ben caldo.

Pasta alla trapanese

Ingredienti sono: pomodorini, aglio a piacere di solito 1 spicchio a testa, basilico, mandorle, olio.
Preparazione: frullare il tutto, (nella ricetta tradizionale bisognerebbe usare il mortaio si pesta prima l’aglio si aggiunge il basilco, le mandorle, l’olio e poi alla fine i pomodorini)
Chi vuole può aggiungere mentre si frulla del pecorino.
Tumazzu di pecura ccu pipi (o pecorino pepato)
Materia prima: vedasi tumazzu di piecura.

Tecnologia di lavorazione: vedasi tumazza di piecura. Nella fase di sottrazione del siero vengono però aggiunti grani di pepe nero. Più raramente può trovarsi un prodotto con aggiunta di pecorino rosso essiccato e frantumato. In questo caso si mangia fresco come un “primosale”.

Diritto e religioni nelle democrazie contemporanee.

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Nel volume s’indaga su come dirimere l’intreccio, non sempre felice, tra sfera del diritto e sfera della religione. A tal fine è necessario individuare una teoria politica e dei principi giuridici che godano di una solida giustificazione filosofica. Nel tentativo d’individuarli, l’autore presenta una tesi – definita razionale – secondo la quale, dal punto di vista filosofico, diritti umani, libertà fondamentali e laicità sono concetti che hanno una genesi teorica unitaria, riconducibile in via principale alla svolta soggettivistica avviatasi con la filosofia moderna e il razionalismo cartesiano. Da allora l’uomo non è più considerato “soggetto” nel senso di sottoposto all’autorità ma quale individuo emancipato, dotato di autonome capacità conoscitive e di giudizio. Il lume della ragione è sufficiente a rischiarare il cammino dell’uomo, che può rivendicare diritti e libertà a titolo individuale e lo Stato, non più detentore della Verità, deve riconoscere uno spazio pubblico sganciato da visioni religiose del mondo.

Salvatore Taranto attualmente svolge attività di ricerca nella Facoltà di giurisprudenza di Catanzaro. Ha trascorso periodi di studio presso università straniere, tra cui Cambridge.

S. Taranto, Diritto e religioni nelle democrazie contemporanee. Collana: Università degli Studi «Magna Græcia» di Catanzaro,Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2010,pp. 328.

Dare a Cesare ciò che è di Cesare…..


«Dare a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio»: dagli inizi della civiltà cristiana questa frase ha significato la rivoluzione più importante nella storia delle istituzioni, ma anche la più difficile da realizzare. Ancora oggi parlare di Stato laico e di libertà della Chiesa, e tradurre in pratica tali concetti, significa muoversi su un terreno ricco di insidie e di contraddizioni. Per affrontare questi temi attualissimi, Ombretta Fumagalli Carulli sceglie la via del discepolo medievale che, mettendosi ‘sulle spalle del gigante’, vede meglio e più lontano. In questo caso ‘il gigante’ è l’autorevole tradizione giuridica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con i suoi prestigiosi maestri: Vincenzo del Giudice, Orio Giacchi, Giuseppe Dossetti. Così, dopo avere ricordato l’apporto della dottrina canonistica, sono tre le piste di ricerca proposte: l’emergere dell’idea laica nella storia europea, la posizione dello Stato italiano, le nuove frontiere dell’Europa. Alla nascita e alla storia dello Stato laico, dal Medioevo alla Rivoluzione francese, è dedicato il primo capitolo. Sulla base delle categorie storico-giuridiche così costruite, viene poi focalizzato il rapporto tra Stato italiano e fenomeno religioso. Dopo brevi cenni sui modelli di Stato – liberale e fascista – precedenti l’età democratica, sono affrontati i problemi che laicità e libertà pongono allo Stato democratico. A causa delle ambiguità presenti nelle nostre leggi e della lentezza dell’iter parlamentare, a produrre diritto è spesso la Corte costituzionale. A essa perciò è riservato ampio spazio, in particolare rispetto all’emersione della libertà religiosa istituzionale a fianco di quella individuale e collettiva. Nel terzo capitolo l’orizzonte si amplia dall’Italia all’Europa, completando il quadro dei problemi e le prospettive di ulteriori evoluzioni. Dalla CSCE, oggi OSCE, alla Costituzione europea viene analizzato il consolidamento della libertà religiosa istituzionale e il ruolo delle religioni nella costruzione dell’Europa unita.
Il risultato è uno studio importante, che illumina la grammatica e le sintassi giuridiche e istituzionali di un tema controverso e affascinante, e «riprende le fila di un lungo discorso» per svilupparne le conseguenze, sia attuali sia rivolte al futuro che è per noi oggi l’Europa.

Ombretta Fumagalli Carulli si è laureata in Giurisprudenza all’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1966. Dal 1975 è titolare di cattedra universitaria (Diritto canonico e Diritto ecclesiastico) prima all’Università di Ferrara, poi all’Università Cattolica di Milano, dove insegna tuttora. Eletta al Consiglio Superiore della Magistratura, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, dal 1993 più volte fa parte del Governo italiano. Dal 2003, nominata da Giovanni Paolo II, fa parte dell’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali. Visiting professor in diverse Università europee e membro di società scientifiche e di comitati di riviste giuridiche, è autrice di numerose pubblicazioni in diritto canonico, storia della Chiesa, ordinamento giudiziario, procedura penale, diritto costituzionale italiano, diritto ecclesiastico, diritto di famiglia, magistero sociale della Chiesa, diritto processuale civile. Segnaliamo: Intelletto e volontà nel consenso matrimoniale in diritto canonico (Vita e Pensiero, Milano 1974); I fondamenti religiosi dell’Assolutismo in Bossuet (Milano 1975); Il matrimonio canonico dopo il Concilio (Milano 1978); Società civile e società religiosa di fronte al Concordato (Vita e Pensiero, Milano 1980); Giustizia inquieta (Milano 1990); Il Governo della Chiesa universale e i diritti della persona (Vita e Pensiero, Milano 2002).

INDICE

Prefazione IX

Introduzione: Chiesa e Stato nella concezione canonistica 3
La concezione dualistica 3
Il principio di sovranità: «a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio» 9

I. Lo Stato laico: nascita e formazione dell’idea 15
1. Dal pluralismo medievale al monismo assolutistico 15
1.1. Medioevo 16
1.2. Rinascimento 17
1.3. Contributo luterano 18
1.4. La frattura della società europea e lo Stato pacificatore 24
2. Lo Stato assoluto 26
2.1. La dottrina del «diritto divino dei re» 26
2.2. Il sistema giurisdizionalista 27
2.3. La Chiesa di fronte all’Assolutismo: in particolare la Chiesa gallicana 29
3. Verso lo Stato laico: i fattori della deconfessionalizzazione 32
3.1. Crisi della coscienza europea 32
3.2. Le origini del movimento europeo contro l’Assolutismo 33
3.3. Le direttive del movimento rivoluzionario europeo contro l’Assolutismo 36
3.4. L’ambiente morale, intellettuale, politico e sociale del Settecento 37
3.5. Quale laicità: Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, Costituzione civile del clero, legislazione antireligiosa, Concordato napoleonico 42
II. Lo Stato italiano tra laicità e libertà 49
1. I modelli di Stato precedenti l’età democratica 49
1.1. Lo Stato liberale 49
1.2. Lo Stato fascista 55
2. Lo Stato democratico 64
2.1. Principi e valori della Costituzione repubblicana 64
2.2. Contro la proposta di abrogazione del Concordato Lateranense: l’attuazione del pluralismo religioso 66
2.3. L’abrogazione formale del confessionismo: quale Stato laico? 68
2.4. Il «principio supremo» della laicità dello Stato 71
3. La libertà religiosa: le confessioni 73
3.1. Le confessioni religiose tra eguale libertà ed interlocuzione con lo Stato 73
3.2. Principio pattizio e identità religiosa 76
3.3. III richiamo ai Patti Lateranensi nell’art. 7, c. 2 80
3.4. L’Accordo di revisione concordataria: «Patto di libertà» 82
3.5. Recuperi di sovranità dello Stato: matrimonio e provvedimenti in materia spirituale e
disciplinare 86
3.6. L’Intesa 93
3.7. Laicità dello Stato: attenuata? 96
4. La libertà religiosa: i cittadini 98
4.1. La questione dell’ateismo 99
4.2. Libertà religiosa e status civitatis 100
4.3. I limiti alla libertà religiosa 102
4.4. L’ampliamento interpretativo del diritto di libertà religiosa 104

III. Religioni e libertà religiosa di fronte all’Europa 115
1. La dimensione transnazionale della libertà religiosa 115
1.1. L’apporto dell’Europa 116
1.2. La CSCE e la libertà religiosa 119
1.3. La discriminazione contro le religioni ed i loro appartenenti 122
1.4. La posizione della Santa Sede 124
2. Fenomeno religioso e convivenza europea 126
2.1. Le Chiese di fronte al processo di integrazione europea 127
2.2. Gli Stati di fronte al processo di integrazione europea 129
3. Chiese e libertà religiosa nel processo di integrazione europea 131
3.1. Dal Trattato di Maastricht al Trattato di Amsterdam 133
3.2. La Carta dei Diritti Fondamentali, il Consiglio di Laeken e la Convenzione 135
3.3. Il Preambolo della Costituzione ed il silenzio sulle radici cristiane 137
3.4. L’eredità religiosa tra valori e principi costituzionali 140
3.5. L’eredità religiosa cristiana 143
3.6. Il presunto contrasto con l’integrazione di altre confessioni 145
3.7. Status delle Chiese e dialogo con esse 148

Ombretta Fumagalli Carulli,A Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio.Laicità dello Stato e libertà delle Chiese. Vita e Pensiero ,pp. 168 – 2006.

Che confusione:sarà perchè ti amo!!


Ora di religione, non di catechismo

Ieri sul Sole 24 Ore è stato pubblicato un interessante articolo di Sergio Luzzatto dal titolo “Ora di religione, non di catechismo” nel quale l’autore notava una contraddizione in alcune attività del ministero. La prima è l’esultanza del ministro per la sentenza della Cassazione che dichiarava legittimo il ruolo dell’IRC nell’attribuzione del credito scolastico in sede di scrutinio, e la seconda è la riunione del Comitato paritetico Miur-Ass. Biblia del 13 maggio dopo che, il 29 marzo, gli stessi Miur e Ass. Biblia avevano sottoscritto un Protocollo d’intesa sull’insegnamento della Bibbia a scuola in modo laico, aconfessionale e interculturale senza interferire con l’IRC. Nota Luzzato che “è a questo punto che le due notizie giunte da Viale Trastevere vanno sommate l’una all’altra, e pongono un problema. Oppure, quanto meno, evidenziano un paradosso. È il paradosso per cui il ministro Gelmini può cantare vittoria per l’ora di religione che obbligatoriamente va calcolata nei crediti scolastici, e insieme può riconoscere – promuovendo una lettura aconfessionale della Bibbia in orari diversi della didattica – che quell’ora di religione non è altro (giusto il Concordato) che un’ora di catechismo”. La quaestio è più vecchia del mondo:ora di religione come catechismo o come cultura religiosa?Il rinnovo del concordato del 1984 ha spostato l’asse della disciplina IRC sulla cultura religiosa mutuata dai principi del cattolicesimo poiché quest’ultimi fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano. Evidentemente non è bastato tutto questo tempo per metabolizzare,dentro e fuori il mondo cattolico,il nuovo statuto epistemologico della disciplina IRC,poiché in tanti continuano a considerarla come un momento,a voler essere buoni,di evangelizzazione delle giovani generazioni creando così una sempre maggiore marginalizzazione della disciplina a confronto con le altre discipline scolastiche.
A differenza di Luzzatto a me non fa molto scalpore che il ministero si contraddica nei suoi atti: è dal 1929 che ci si contraddice in materia di insegnamento di religione. Quello che mi preoccupa è l’idea che ha dell’IRC, e di noi IdR, l’Associazione Biblia, che ha tra i suoi membri anche eminenti biblisti e uomini di cultura cattolici. L’intenzione e l’obiettivo educativo di Biblia è ottimo, fare della Bibbia un libro conosciuto e studiato a scuola, ma va perseguito nonostante l’IRC o anche con il suo pur limitato supporto? L’IRC è un’ostacolo o una risorsa? Il fatto che il nostro insegnamento sia confessionale, nei contenuti anche se non negli obiettivi, lo rende meno serio nella conoscenza della Bibbia? La formazione biblica degli IdR conseguita negli ISSR o nelle Facoltà di Teologia è mancante di qualcosa perché confessionale? È catechistica? Certo qualche problema c’è se qualche idr (caso sporadico?) dice ai suoi allievi niente che poco di meno che la Bibbia andrebbe imparata a memoria così come il Corano.Certo,una tantum,qualche controllo a qualche mente inquieta,seppur pluri-laureata,non farebbe male.La grande soddisfazione personale,che credo di poter condividere con migliaia di colleghi sparsi nella penisola,è quello di aver contribuito a fare amare l’IRC ai tantissimi giovani che la scelgono non per avere il credito scolastico alla fine dell’anno,sarebbe troppo riduttivo e altremodo offensivo,ma per potersi confrontare,per poter apprendere,conoscere la cultura religiosa,i valori etico-morali del cristianesimo a confronto con altri sistemi religiosi di significato. Dunque la tanta confusione che regna è ripagata dal grande “amore” dei giovani per l’IRC:provare per credere o,una volta tanto,credere senza provare!A proposito di Bibbia,della sua diffusione e conoscenza dal punto di vista storico,culturale,esegetico,spirituale,spesso si alza l’ingegno e si invita taluni idr a farsi promotori di tale iniziativa nelle parrocchie con la grave affermazione che c’è scarsa conoscenza dei testi sacri. Vera,purtroppo l’affermazione,ma di chi è la responsabilità?Come si porta avanti la c.d. “pastorale biblica” nelle parrocchie?E si è a conoscenza che il compito principale degli IDR è essere e fare gli IDR a scuola?Compito per cui sono “mandati” dal Vescovo e pagati dallo Stato!Il compito degli IDR non è fare i “tappabuchi” nelle lacune pastorali di realtà extra scolastiche. Dunque ci si chiarisca le idee e la smetta di pensare che gli IDR siano alla mercè,ai dictat del dittatore di turno.Le logiche fasciste e parafasciste sono finite unitamente a quelle del ricatto. La pastorale bilbica,nelle parrocchie va portata avanti da tutta la comunità ecclesiale soprattutto per arginare,oltre che l’ignoranza in materia,il fondamentalismo biblico di matrice geovista.
Speriamo solo che tra i membri del comitato scientifico di Biblia non si condividessero le conclusioni di Luzzatto nel suo articolo: “In fondo, è come se il ministro ammettesse così che l’ora di religione non coincide con l’ora della Bibbia. E così facendo, il nostro ministro della Pubblica istruzione rende omaggio – forse senza saperlo – a una tradizione ultrasecolare dell’Italia cattolica: al bronzeo principio della Controriforma secondo cui un conto è saper leggere i testi sacri, tutt’altro conto è essere buoni cristiani. Ma entrambe le cose, secondo il ministro, dovranno “fare media” il giorno degli scrutini, se non proprio il giorno del Giudizio universale”.

link articolo Luzzatto: http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-05-23/religione-catechismo-081000.shtml?uuid=AYHbxCsB
link protocollo d’intesa: http://www.istruzione.it/getOM?idfileentry=538505
link comunicato stampa riunione Commissione paritetica: http://www.biblia.org/comunistampa.pdf

LA LAICITA’ DEI NON LAICI.


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LA LAICITA’ FRONTIERA DEL TERZO MILLENNIO per un dialogo unitario, a favore del bene comune e della persona umana

Ci si chiede oggi da più parti, dove sono i laici? La domanda è lecita, specialmente perché i laici, non tutti, sembrano di avere la paura della testimonianza della loro fede. Ma i laici ci sono, hanno bisogno di esercitare il diritto di parola e avere il “permesso” di agire: si devono decidere, però, a farlo.

di Ferdinando Russo

Quella di Salvatore Agueci, docente, giornalista pubblicista, poeta, operatore sociale, scrittore, attento studioso dei processi di mobilità, delle migrazioni mediterranee, della famiglia, è la lunga e faticosa marcia dei laici credenti del dopo Concilio, per affermare la
loro identità nel turbinoso Occidente,tra speranze e cadute ,luminosi traguardi e forzate soste, tra incomprensioni e ritardi, studi e convegni, tentativi di nuove aggregazioni e di presenze partecipative.
Prima del presente saggio l’Autore aveva scritto “Uomini in cammino.Verso una società interculturale “.E poi ha tentato di compartecipare alla vicenda umana del suo tempo, fondando,
per un concreto servizio, associazioni benemerite:”Senza sponde”,”Un legale per tutti”,”Italia-Tunisia”,quasi a vivere e sperimentare il rapporto con il prossimo, nel suo tempo e nel suo territorio.
E così, da sempre,ha vissuto tra testimonianze eroiche ,umili e generose, di laici spesso silenziosi all’esterno, come le preghiere delle suore dei Conventi di clausura, dei tanti gruppi di evangelizzazione e di carità, di vocazioni e di scelte personali.
Sono infatti i” laici credenti” ad intessere il sottofondo,la trama del volume di Salvatore Agueci, .
Con l’obiettivo di toglierli dall’anonimato, dai furti della storia anche della loro denominazione.
Quasi a dovere scegliere ,anche se solo per un momento ed in modo provocatorio, per loro il termine di “non laici”.
Anche la cultura post-conciliare all’interno della Chiesa a volte sembra non avere allontanato tutti i sospetti sul termine “laico” nella sua evoluzione storica.
Laico è un membro della Chiesa, che fa parte del popolo di Dio,non è un chierico,è,in definitiva, chi non ha ricevuto il sacramento dell’ordine o non appartiene allo stato religioso.
Il termine aggettivale “laico” ha subito, in verità, nella sua genesi storico-semantica il logoramento della storia della comunità umana,ma l’autore ne recupera l’origine e l’inevitabile evoluzione nell’irrompere del cristianesimo.
Lo stesso è avvenuto, di conseguenza , per il sostantivo la parola “laicità”.
Da qui la riflessione di Agueci per approfondire il termine di “sana laicità,”che implica il senso del limite e un atteggiamento di onesta ricerca,che non può non tradursi a sua volta, in un’intima disponibilità alla cooperazione e all’ascolto.”
“Laicità significa attitudine alla riflessione personale,ma anche apertura al confronto:senso critico,
ma anche docilità(dal latino docibilitas), che indica la virtù di colui che sa lasciarsi insegnare qualcosa da altri,o semplicemente dalla vita;disincanto,ma anche capacità di meraviglia:
Laicità è percezione dell’altro come “altro”,disponibilità a lasciarsi inquietare e talvolta spiazzare dalla sua alterità, rinunziando a proiettare su di essa la maschera omologante, che la ricondurrebbe ai nostri schemi e alle nostre aspettative:
Laicità è coraggio di gettare i ponti, dal sicuro terreno su cui si è radicati; verso l’ignoto e di avventurarsi su di essi senza nessuna garanzia;”senza sponde”.
Molti dei laici credenti , senza neppure essere nominati dall’autore, ci sono stati di
Riferimento,nelle diverse regioni, nella seconda parte del secolo scorso ed all’inizio del terzo millennio,alcuni prima, altri durante e dopo il Concilio Vaticano II..

Con Agueci ci sembra di incontrarli ,senza disturbare la loro riservatezza, sia in Sicilia, la regione, in cui ora vive, come nel resto del paese, nell’associazionismo cattolico, nel
volontariato, nei movimenti di spiritualità e di servizio ,nella magistratura e perché no ,talvolta ,in politica.
La loro identità è nel fieri della storia, è sempre più marcata, con il procedere delle riflessioni,degli studi e delle testimonianze, dei documenti della Chiesa. .
L’abbiamo intravista nei compagni che ci sono stati cari per il loro coraggio, per la loro operatività, per la testimonianza resa, per lo stile dei loro comportamenti, per la missionarietà della loro professione, per la vocazione scelta, per i riconoscimenti, talvolta tardivi, anche da parte della Gerarchia della Chiesa..
Costoro , come Agueci, non si sono mai arresi ai ritardi nella traduzione e applicazione dei dettami conciliari , talvolta riscontrati presso le chiese locali ,tradizionaliste nelle forme, ma smemorate spesso nell’impegno educativo tra la gioventù,che un tempo fu generalizzato e mirato oltre il momento catechistico-sacramentale,(battesimo,cresima,matrimonio) .
Ora i fedeli laici si sono armati dei documenti conciliari, ampliamenti citati dall’autore,della Gaudium et Spes, delle encicliche sociali,delle indicazioni
dei santi papi ,che il Signore ha concesso alla Chiesa dei nostri tempi.
La identità dei laici incontrati nasceva e traeva sempre alimento nel Vangelo, da cui attingevano con convinta fede,incoraggiati da..predicatori (P.Rivilli,il fondatore della Crociata e poi della Presenza del Vangelo) e da altri laici raggruppati attorno al carisma della diffusione del vangelo,ardenti profeti dei progetti di evangelizzazione della cultura.
Ricordarli è per rivivere le riflessioni che ci trasmette Agueci nelle persone incontrate e sottaciute per non offendere quella loro riservata umiltà ,che ci
sono stati compagni nelle nostre intraprese associative nell’Azione Cattolica, (V. Veronesi, Carretto,Gedda,Bachelet), nella FUCI, (Moro, Murgia, Pietrobelli ), nelle ACLI, (Pennazzato, Labor, Bersani, Colombo, Pozzar )e nel nostro agire pubblico e privato (La Pira, Giordano),. nel Movimento dei Focolari (Chiara Lubich), nel
Movimento Maestri .(Corghi, Buzzi,Badaloni), nel movimento Laureati ( G.B.Scaglia e Bachelet),
E nella Sicilia, patria dell’autore,offeso dai nomi malfamati ,spesso devoti ma non credenti, non sono mancati tanti laici ,spiriti eletti per le opere o gli scritti quali G.Cusmano,V.Mangano, P.Mignosi,N.Petix;G.La Barbera,C.Crifò,P.Mazzamuto.,o più contemporanei come Sinagra, Perollo, Occhipinti, L.Messina, Del Castillo, G.Russo , Palumbo,
Muccioli, Savagnone, B.Messina.

L’autore per rispetto dei lettori, per la loro sensibilità all’essenziale, per lasciare loro la gioia della ricerca territoriale, li considera noti nel sottofondo del saggio perchè li abbiamo trovati nel mondo relazionale della nostra e loro giovinezza ad orientarci , ad aiutarci nelle scelte vocazionali dell’età adulta, a confermarci nella convinzione della nostra laicità ,aperta alla alterità, al dialogo con l’altro,al servizio del prossimo..
Giuseppe Savagnone nel saggio “Dibattito sulla laicità”, afferma che storicamente essa
porta al dialogo,rifugge l’intransigenza,“si presta ad unire più che a dividere, a costruire più che a distruggere, a fondare l’ascolto e il rispetto dell’altro più che a demonizzarlo”: .
Ed Agueci con il suo saggio, così come Savagnone, si fa promotore del rispetto delle diversità, contribuisce ad “abbattere le artificiose barriere che talora vengono innalzate tra credenti e non credenti e a mostrare che il dialogo non solo è possibile, ma può aiutare tutti a capire un po’ meglio gli altri e forse anche se stessi.”
Si è allungata ,nel frattempo , la schiera dei tanti laici, che sono “in cammino verso la santità” ,ancora più silenziosi, ma degni di ammirazione generalizzata, di comune emulazione , e pertanto l’autore rifugge dalla codificazione ed evidenziazione :sono i beati Alberto Morelli,Pina
Suriano, Pietro Torres, Giorgo la Pira, Igino Giordano, Lazzati , Bachelet e
quelli meno conosciuti dall’opinione colta,(L.Cerrito,M.C.Magro,F.Conticelli,Livatino) che pure sono vissuti nelle contrade conosciute da Agueci, verso i quali stimola, con intellettuale delicatezza, speranzose ricerche .

Erano stati con loro, quasi compagni di viaggio( animatori,formatori,assistenti e ispiratori)
sacerdoti figli dello stesso Popolo di Dio, Costa,Guano,Zama,Don Zeno,Milani, Dossetti,Turoldo,
spesso poveri (come i preti sociali della Sicilia dell’autore ( Monteleone, Mangialino, Marchisotta, Di Vincenti, Pizzitola, Rivilli, Bacile,Arena, Mancuso, Messina, Mirabella, Alessi, Tricomi, Baiada)..nomi che hanno inciso nella formazione del laicato che Agueci fa rivivere
ed al quale ci rimanda alla fine del suo saggio ,perchè continuino gli studi sul piano teologico e nella personale testimonianza a favore del servizio verso il prossimo.

E cio’ alla luce del Concilio, che i laici avevano atteso con trepidazione filiale, e che ora dovevano
testimoniare, comunitariamente, senza interpretazioni minimaliste e riduttive,consapevoli che tutto il patrimonio conciliare sui compiti dei laici nella Chiesa e nel mondo, sulla loro ministerialità,.si sarebbe concretizzato con il tempo.

Sturzo era stato il riferimento sociale e istituzionale di una tale laicità , della Chiesa e dello Stato
poco conosciuta, se non dai vecchi Popolari suoi contemporanei e dai sacerdoti sconfitti delle Casse rurali, contrastate dal Fascismo ed ora stanchi dei condizionamenti del ventennio.

Quei laici ricordati avevano commentato il Concilio Vaticano II con scritti, nelle quaranta annate della rivista “Labor di Crifò e Mazzamuto, in “Vita e Pensiero, Civiltà Cattolica, Ricerca, Il Dialogo di Aldo Romano,Franco Armetta e poi Settegiorni, Terza fase di Carlo Donat Cattin, Città per l’Uomo, Segno, Cntn, e recentemente “ Alveare”di Nino Alongi.

Ed il Concilio tanto atteso chiedeva la testimonianza ai laici ed ai sacerdoti e religiosi ,non estranei al mondo,anche essi cultori di laicità nei riguardi del mondo esterno.

Il Concilio apriva ,in verità, la svolta nel laicato impegnato a costruire una identità
consapevole, unitaria, condivisa,diffusa..

Questa identità ,anche se ancora flessibile, mancava prima del Concilio, nella coscienza comune dei laici, in quanto frammentaria ,timorosa, profetica ma compressa, dalla storia italiana pre-unitaria ,confinata ai servizi di carità e di assistenza (San Vincenzo,opere confraternali, Leghe,Casse Rurali, ed appariva ancora incerta,dopo Sturzo, nello storico ritorno dei cattolici nelle
Istituzioni repubblicane. E nel loro apporto alla nuova Costituzione. ..)
Questa identità si appalesava ora ,dopo il Concilio , nella società europea e occidentale come portatrice di pace, di sviluppo, di giustizia ,di libertà,di comune coscienza sul significato e sul rispetto della vita.
Doveva,come fatto dinamico, vivere nel rapporto tra l’eredità del passato e le sfide del presente
nella secolarizzazione che fa le differenze, che divide gli spazi di competenza tra il temporale ed il soprannaturale,fra lo spazio di Cesare e quello di Dio,finalmente riconosciuto come valore del
Cristianesimo entrato a far parte della cultura e della democrazia dell’Occidente.
I documenti conciliari e la nuova ministerialità del laicato

La Lumen Gentium afferma :”Col nome di laici si intendono qui tutti i fedeli, a esclusione dei membri dell’ordine sacro e dello stato religioso sancito nella Chiesa (L.G.,n:31)

Da qui quel “professarci laici credenti, laici cristiani e talvolta solo laici, per non ergere barriere tra i cittadini di una stessa comunità.
E da laici vogliamo vivere la cittadinanza nella sua pienezza solidaristica e unitaria, respingendo la moda,per fortuna non generale, di una certa cultura laicista, tesa ad attribuire alla parola “laico”,prese di posizione ideologiche, valori anticlericali di natura ottocentesca, che respingiamo” (10) E sempre più in molti,laici credenti e non ..
I numerosi convegni delle aggregazioni laicali di questi anni lo testimoniano,non sono pertanto senza storia. Essi hanno segnato una ripresa della cultura cattolica, l’apertura al dialogo interno e a quello rivolto agli altri sui temi della modernità, nei rapporti con la religione e le religioni, in una sintonia propositiva con le indicazioni del S.Padre e dei Vescovi, sulla parrocchia, la pace, lo sviluppo, l’evangelizzazione, la partecipazione alla politica.

Sono alimentati dall’invito che, nella veglia di Pentecoste del 1998, Giovanni Paolo II rivolse alle realtà laicali per celebrare assieme la festa dello Spirito Santo, quasi a segnare il battesimo di una volontà unitaria da sperimentare nella pluralità delle funzioni e dei carismi dei diversi movimenti laicali, dei ruoli delle parrocchie, degli oratori.(F.Russo in CNTN , La svolta delle aggregazioni cattoliche)

La vitalità culturale espressa da Cl a Rimini, negli annuali convegni, attraverso la rappresentazione dell’opera svolta nei oltre cinquanta anni della sua storia, si accompagna, infatti, al fiorire d’iniziative, che preparano la settimana sociale dei cattolici: di Reggio Calabria

Predicare il Vangelo in un mondo che cambia da laici

L’assistente generale dell’AC, Francesco Lambiasi ha scritto : .(7) Il lavoro non manca ai laici di buona volontà.

Né è da escludere il tentare “nuove forme di laicità,fenomeno presente anche fuori del nostro paese, come in Francia e in Spagna e studiare una cultura che veda per la cittadinanza una nuova alba in contraddizione con il disfattismo della rinuncia e del tramonto della politica.

Le società europee,compresa la nostra,si trovano in una situazione di post-secolarizzazione,conseguente al crollo delle utopie che,di fatto, sono state religioni politiche sostitutive. Da qui la necessità di intendere insieme la secolarizzazione della società come un processo di apprendimento complementare, al quale dobbiamo dare voce, contenuti, azioni.

In questo processo di modernizzazione, come laici,la città ci appartiene con i diritti ed i servizi, che richiede,con il diritto di viverla, anche per i fratelli venuti da lontano per lavorare da noi,ma primariamente come dovere per la difesa del lavoro,della famiglia,dell’ambiente,del paesaggio,dei beni culturali, da fruire da parte di tutti.( 11)

“La modernità, di cui ci vantiamo e di cui viviamo nelle istituzioni politiche, viene dalla fede cristiana ,-ha scritto su Avvenire Giuseppe Dalla Torre,-In particolare, senza quella distinzione evangelica tra Cesare e Dio,diretta ad evitare ogni forma di politicizzazione della religione e di sacralizzazione della politica ,che introdusse un principio dualista nella storia umana,saremmo ancora nel fondamentalismo, che si contesta alle società non cristiane (12)

C’è allora da rendere universale e convinta, l’accettazione del laico nella chiesa, come lo è stato nell’antica
Comunità cristiana e come è riaffermato nella Gaudium et Spes, dopo secoli di logoramento del ruolo,e del significato dei termini laico e laicità, mutati dalla storia della secolarizzazione e dal prevalere nell’interpretazione un po’ capziosa da parte dell’ integralismo radicale.

Il saggio di Agueci richiama i laici alla fiducia in essi riposta dal Concilio, mentre invita coloro che hanno fatto della laicità una barriera ideologica ad una riflessione e maturazione per relazioni più aperte e meno pregiudiziali.

Ci vengono incontro La Pira e Bobbio .

Ferdinando Russo

Bibliografia eventuale

Riviste:
Labor, Il Dialogo, Città per l’uomo,CNTN, Il Segno,

G.Dalla Torre,Dio e Cesare,paradigmi cristiani nella modernità,Città Nuova editrice,2008

F.Russo,in Nuove frontiere del Concilio, Analisi di 40 anni di cammino in CNTN,Anno III, N.7
Ottobre 2002 .

F.Russo,La svolta delle aggregazioni laicali in CNTN

F.Russo L’Assemblea della svolta in CNTN

G.Savagnone, Dibattito sulla laicità,Alla ricerca di una identità,Editrice ELLEDICI,2006

Lumen Gentium

Gaudium et Spes

F.Russo,in Laici per una nuova città,in CNTN Anno VII,N:41,1 luglio 2007

F.Russo, Il monito dei laici cattolici siciliani del novecento ,Labor,Anno LXI ,N.4,Ottobre-dicembre,2000

F.Russo ,L’Europa senza padri in CNTN Anno III n.27 Marzo 2003

F.Russo La Pira e Bobbio in CNTN

Un’alternativa alla laicità.


È piuttosto raro trovare pronunciamenti critici a proposito della laicità. A volte se ne ammette un momento di difficoltà, ma per serrare le fila a sua difesa.
La laicità è davvero un valore tra i più condivisi; non solo: spesso è addirittura identificata con la modernità, e quasi sempre con l’identità stessa dell’Europa.
Dello stesso autore de Il rompicapo della secolarizzazione italiana, questo libro si chiede se non sia il caso di avviare una più attenta discussione sulla laicità, e se non sia il caso di sostituire alcune certezze con altrettante domande.
La ricerca muove dalle spiegazioni del momento difficile attraversato dai regimi di laicità, le quali, curiosamente, sovrastimano il cosiddetto ritorno della religione. Dopo aver proposto una serie di interrogativi, termina avanzandone un ultimo: serve a qualcosa parlare di laicità «sana», o «buona», o «positiva», o …?
E se si trattasse di riconoscere le alternative alla laicità?
E dunque di relativizzare la laicità?

INDICE
Premessa p. 1
1. Deprivatizzazione della religione e crisi della laicità: un difetto di motivazione 9
2. Laicité e stato: la stessa crisi 29
3. Una questione cruciale, anzi due 53
4. Religious freedom: alcuni aspetti del modello. (A proposito della prima questione) 57
5. Laicité e religious freedom: due modelli. (Una risposta alla prima questione) 79
6. Religious freedom, laicité e modernizzazione avanzata 125
7. Europa e crisi della laicité. (A proposito della seconda questione) 139
8. Cattolicesimo e crisi della laicité: “sana laicità” o libertà religiosa? 177
Riepilogo 227
Bibliografia
________________________________________
Luca Diotallevi è professore di Sociologia all’Università di Roma Tre. Laureatosi a Roma (“La Sapienza”), è stato senior fellow del Center for the Study of World Religions (Harvard Divinity School). Tra i lavori più recenti: Il rompicapo della secolarizzazione italiana (Rubbettino 2001), Church (Blackwell Sociological Encyclopedy), Church-State relations in Catholic Europe and the Crisis of the European Social Model (in Motzkin G., Fisher Y. eds., Religion and democracy in contemporary Europe, The Van Leer Jerusalem Institute & NEF, London 2007).

Luca Diotallevi Una alternativa alla laicità Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, 2010 pp. 262.

Ciminna-Baucina(Pa):festa del SS.Crocifisso(Maggio 2010).

LE FESTE DELLA Santa Croce.
I libri liturgici attuali ne hanno due: In Inventione S. Crucis (3 maggio) e In Exaltatione S. Crucis (14 sett.).
Le feste seguirono lo sviluppo della devozione alla reliquia della S. C., che ebbe origine col suo ritrovamento. L’anno di questo avvenimento resta incerto. La Cronaca alessandrina lo assegna al 320, il Lib. Pont. al 310 (I, p. 167), la Dottrina d’Addai la riporta addirittura al tempo di Tiberio (14-37). La Peregrinatio Aetheriae (ca. 394) la suppone avvenuta prima del 335, ma Eusebio nella Vita Constantini, scritta nel 337 non ne parla affatto. Il primo documento sicuro è la testimonianza di s. Cirillo di Gerusalemme nella Cathech., XIII, 4: PG 33, 775; scritta nel 347. Meno informati ancora si è sul giorno della Inventio. Da notarsi però che la Cronaca e la Peregrinatio danno il 14 sett. e questo è stato causa di non poca confusione per l’individuazione delle due feste nei documenti.
Storicamente la festa liturgica dell’Exaltatio precede quella della Inventio. L’origine è palestinese, anzi locale di Gerusalemme e deve ricercarsi nell’annuale celebrazione della dedicazione (avvenuta il 13 e 14 sett. 335) delle due basiliche costantiniane dell’Anastasis e del Martyrion. La festa giunse a grande celebrità. Alla fine del sec. IV la Peregrinatio parla di moltitudini di monachi, episcopi (fino a 40 e 50), clerici, saeculares, tam viri quam feminae, che per otto giorni continui accorrevano da tutte le parti dell’Oriente per prendervi parte. Essa non cedeva in nulla alle feste di Pasqua c dell’Epifania (Peregrinatio ad loca sacra, cap. 48, in Itinera, ed. Geyer, p. 100). Con il tempo s’incominciò a fare una solenne ostensione delle reliquie della vera C., sicché a poco a poco questo rito diventò l’oggetto principale della solennità, facendo dimenticare quasi del tutto la dedicazione. Alessandro di Cipro (sec. VI) la designa esattamente con il nome poi rimasto: Exaltatio praeclarae Crucis (PG 86, 2176).
Da Gerusalemme la solennità si diffuse in molte chiese orientali, specie dove si possedeva una reliquia della vera C., come a Costantinopoli, ad Apamea e ad Alessandria.
Per l’Occidente la prima testimonianza d’una festa liturgica della S. C. si trova nella biografia di Sergio I (687-701), nella quale si legge: Qui etiam ex die illo pro salute humani generis ab omni populo christiano die Exhaltationis Sanctae Crucis in basilicam Salvatoris, quae appellatur Constantiniana, osculatur et adoratur (Lib. Pont., I p. 374).
Il testo lascia intendere che la festa era già celebrata prima di Sergio; probabilmente dapprima nell’oratorio della S. C. al Laterano, poi nella basilica Sessoriana Sanctae Crucis in Hierusalem. Ma non si deve andare molto indietro, come mostra l’incertezza dei documenti nel segnalarla: p. es., si trova nel Sacramentario gelasiano (metà sec. VIII; cf. ed. Wilson, p. 198), ma manca nel manoscritto di Epternach del Martirologio geronimiano, eseguito da un vescovo consacrato da Sergio I (cf. Lib. Pont., I, p. 387, nota 29). Alla festa Sergio dovette aggiungere la solenne ostensione e adorazione della C. conservata nel Sancta Sanctorum del Laterano di cui parla il testo riferito, cerimonia attestata ancora nell’Ordo di Cencio Camerario al principio del sec. XIII.
Mentre a Roma s’affermava la festa dell’Exaltatio, fissata al 14 sett., nelle Gallie s’era introdotta, e con successo, una festa Inventionis Sanctae Crucis stabilita al 3 maggio. Pare che essa entrasse nelle chiese gallicane nella prima metà del sec. VIII: non si trova nei Sacramentari leoniano (sec. VI) e gregoriano (sec. VII), non ne fa cenno Gregorio di Tours (593-94), così abbondante in simile materia, manca nel Lezionario di Luxeuil (fine sec. VII). La riportano invece i manoscritti del Martirologio geronimiano di Wolfenbüttel (772) e di Berna (di poco posteriore), i calendari mozarabici, i Sacramentari gelasiani del sec. VIII (cf. P. de Puniet, Le Sacramentaire romaine de Cellone, Roma [1938], pp. 92*-93*; Sacramentarium Pragense, ed. A. Dolci, Beuron 1949, p. 71).
La data del 3 maggio fu suggerita, a quanto sembra, dalla leggenda di Giuda Ciriaco, vescovo di Gerusalemme (BHL, 7022). Il Missale Gothicum (secc. VII-VIII) e quello di Bobbio (sec. VIII) mettono la festa tra l’ottava di Pasqua e le Rogazioni, senz’altra indicazione. Il Reg. 316 e il Pragense hanno già la data del 3 maggio. In sostanza i due calendari, il romano e il gallicano, avevano una propria festa della S. C. in date diverse e ambedue sono rimaste nei libri liturgici quando questi, emigrati in Gallia, ritornarono a Roma con le note aggiunte c trasformazioni.
Anche il formolario liturgico delle due feste ha risentito delle loro vicende. L’ufficiatura della Exaltatio è di evidente fattura romana: lo mostra tra l’altro l’antifona: O magnum pietatis opus, tratta dall’epigrafe metrica di papa Simmaco (498-514) per l’oratorio della S. C. in S. Pietro, e l’altra Salva nos, Christe, che ricorda lo stemma della medesima basilica (cf. U. Mannucci, Per la storia dell’ufficio della S. C., in Rass. Gregor., 1910, col. 249). Le lezioni narrano il recupero della S. C. dalle mani dei Persiani, avvenuto nel 665 sotto Eraclio.
L’ufficiatura dell’Inventio, invece, è gallicana. Le antifone del sec. XII accennavano alla leggenda di Giuda Ciriaco e furono soppresse da Clemente VIII (1592-1605) “quia historiam continebant dubiam” e sostituite dalle attuali (v. l’antico formolario in Tommasi, Opera, t. IV, p. 250). Le lezioni rimaste raccontano il ritrovamento della C. fatto da s. Elena. La Messa è di classico tipo gallicano (cf. G. Manz, Ist die Messe de Inventione S. Crucis im Sacram. Gelas. gallischen Ursprungs?, in Ephem. lit., 47 [1938], pp. 192-96).
Nel 1741 la Commissione nominata da Benedetto XIV per la riforma del Breviario stabili di sopprimere la festa del 3 maggio, ma l’intero progetto, com’è noto, fallì e anche le due feste della S. C. sono rimaste finora al loro posto.
(Annibale Bugnini, Croce nella liturgia in ENCICLOPEDIA CATTOLICA)

Dunque,anche in Sicilia da secoli,si festeggia il 3 di Maggio la festa della INVENTIO CRUCIS.Solamente in qualche comune,come ad es.Carini(Pa),si continua a celebrare l’exaltatio crucis il 14 settembre.
In molti comuni dell’isola,la festa del 3 di maggio è caratterizzata anche da eventi di pietà popolare.Come la bardatura dei muli carichi di bisaccie ripieni di grano e coperti da drappi rossi o di altri colori,ricamati a mano,che ripropongono scene della vita di Cristo,come la sua crocifissione o la sua deposizione dalla croce o simboli eucaristici.I muli,dopo adeguata bardatura,vengono fatti sfilare per le vie dei paese che mantengono,ancora oggi questa tradizione(Ciminna-Baucina-Mezzojuso) e alla fine della sfilata,come ad es.a Ciminna,i muli si ritrovano davanti la chiesa, da dove uscirà l’effige del SS.Crocifisso per la solenne processione serale,a fare la c.d. “firriata“.Una sorta di girotondo per la piazza come omaggio al SS.Crocifisso.A seguire i muli,specie in via d’estinzione,tanti bambini,ragazzi,giovani,uomini e donne a cavallo di giovani giumenti o cavalli adulti,recanti in mano un ex voto.

Ugualmente Diversi.


E’ il primo libro specifico che viene pubblicato in Italia sul tema dell’ IRC per gli alunni diversamente abili, scritto da una persona con una grande competenza in materia.

Descrizione dell’opera
Dalla sua esperienza trentennale come docente, un terzo della quale vissuta come insegnante di sostegno avendo scelto di lavorare con ragazzi in situazione di handicap, l’autrice propone un percorso formativo volto a sostenere chi opera per realizzare l’integrazione degli alunni “speciali”, come lei stessa li definisce, nelle classi.
Nella prima parte del volume viene approfondita la ‘crisi’ che può verificarsi quando si lavora con studenti diversamente abili con i quali portare a compimento l’integrazione.

Nella seconda parte l’autrice, che da vent’anni svolge anche attività di volontariato come formatrice di famiglie con figli in situazione di handicap, propone alcuni suggerimenti – rivolti a insegnanti di religione “specialisti” e non – per attività concrete che si possono svolgere nei vari gradi scolastici dell’obbligo, al fine di rendere possibile l’IRC ad alunni con caratteristiche diverse dai compagni, ma con gli stessi diritti.

Infine fornisce utili indicazioni per libri, film, siti internet, per aiutare gli insegnanti nell’ideazione del progetto didattico, fa un panorama dell’attuale legislazione in materia e offre un breve vocabolario medico, il tutto anche per stimolare ulteriori approfondimenti.

«La scuola, integrando obbligatoriamente questi alunni ‘speciali’ nelle classi, regala a tutti, grandi e piccoli, il meraviglioso dono di lasciarsi beneficamente contaminare dalle diversità e dalle differenze. Un obbligo liberante, maturante… per debellare le tante barriere fisiche e psicologiche, concrete e immaginarie, emotive e sociali che si frappongono tra diversi, tra sani e malati».

Sommario

Prefazione. I. Alunni diversamente speciali. 1. Non figli di un Dio minore. 2. Crisi crisalide. 3. IRC: un diritto per tutti. II. IRC per alunni speciali nella scuola dell’obbligo. 1. IRC nella scuola dell’infanzia. 2. IRC nella scuola primaria. 3. IRC nella scuola secondaria di primo grado. III. Strumenti. Libri. Video. Internet. Legislazione. Piccolo vocabolario medico.

Note sull’autrice

Daniela Panero tiene corsi per la formazione dei docenti. Ha insegnato religione per più di vent’anni nella scuola elementare; dal 2000 è insegnante comandata dal Ministero dell’Istruzione presso il Gruppo Abele di Torino. Psicopedagogista, specializzata nell’insegnamento ad alunni disabili, si occupa della formazione dei docenti e di didattica in campo sociale e pastorale. Insieme a S. Bocchini, ha pubblicato presso le EDB Didattica cre-attiva. Idee, spunti, sussidi e tecniche per l’IRC: dall’infanzia alla secondaria (2008).

Daniela Panero, UGUALMENTE DIVERSI. Insegnare religione agli alunni in situazione di handicap nella scuola”, EDB, Bologna 2010

Preti pedofili.


Secondo Benedetto XVI la tragedia dei preti pedofili ha fatto più danni alla Chiesa delle grandi persecuzioni, di cui pure la storia è piena. La colpa, anzitutto, è degli stessi preti pedofili, «vergogna e disonore» per la Chiesa secondo le parole del papa. Sulla base della Lettera ai cattolici dell’Irlanda di Benedetto XVI, riprodotta in appendice, e di anni di ricerche sociologiche sul tema Massimo Introvigne si chiede come una simile sconcertante vicenda sia stata possibile nella Chiesa, e concentra la sua attenzione sulla rivoluzione e la contestazione contro la morale degli anni 1960 all’esterno e all’interno del mondo cattolico. Dalla triste realtà dei preti pedofili Introvigne distingue però l’amplificazione del loro numero attraverso statistiche fasulle, e il sospetto generalizzato ingiustamente gettato sui sacerdoti nel loro insieme, sulla Chiesa e su Benedetto XVI da una lobby laicista, i cui argomenti sono sistematicamente smontati con il rigore del sociologo e la passione del cattolico che si sente vicino a un papa addolorato e calunniato.

MASSIMO INTROVIGNE, sociologo che ha al suo attivo trent’anni di studi e oltre quaranta volumi dedicati in particolare al pluralismo religioso e ai casi di violenza collegati alla religione, dirige a Torino il CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni), una delle maggiori istituzioni mondiali che si occupano di rilevare e descrivere i fenomeni religiosi in Italia e nel mondo. È vice-presidente dell’APSOR (Associazione Piemontese di Sociologia delle Religioni) e vice-responsabile nazionale di Alleanza Cattolica.

Un mese dedicato alla faccia delle donne.

Contro la sterilità imperante. Dopo anni di maschilizzazione liberal

Onan è la pietra di paragone dell’indignazione. Disperde il proprio seme in terra piuttosto che inseminare la donna. Musil è la pietrificazione del risentimento. Disperde il proprio seme in ogni donna perché non vuole più perdonare la terra («non potrei più guardare una donna allo stesso modo se sapessi che è stata inseminata da un altro uomo»). Sade è puro e semplice onanismo assistito. Il razionalismo, come diceva il vecchio Diderot alla vista delle passeggiatrici, del «sono le idee le mie puttane». Altra forma di dispersione del seme (oltre che di anestesia, o privazione dell’estasi) è, per esempio, il “savianesimo”. Il quale rinvia all’efebìa ateniese. Efebo, “recluta”, l’adolescente a cui era richiesta una esibizione pubblica di adesione agli ideali della polis. Nella attuale variante trombona italiana, la prova pubblica di efebìa è il reclutamento antimafia (vedi in proposito la recente messa alla scuola di giornalismo di Perugia cantata da Avatar Al Gore e dal Tristano di Gomorra di famosa e delicata peluria; o si veda il rito mediatico officiato intorno all’albero di Falcone profanato e orbato dai disegni dei bambini antimafia).
Diversamente da questo maschilismo imperante – questo maschilismo che si esprime nelle narrazioni giornalistiche e nell’intrattenimento televisivo come seme disperso, risentimento, efebìa – Tempi rimane persuaso che tutto (nell’economia come nello spettacolo) e tutti (anche i leader dei partiti e quelli di Chiesa) starebbero meglio (e di conseguenza anche noi persone in società) se vi fosse occasione di lasciarsi educare dal talento femminile. Che, come scrisse Cesare Pavese, «è un talento innato, una disposizione originaria, un assoluto virtuosismo nel conferire al finito un senso». Nasce di qui l’idea di dedicare un maggio alla “faccia delle donne”. Non un’evasione civettuola dalla cronaca cicisbea (per esempio, non può essere che anche il siparietto, pericoloso per l’Italia, tra Fini e Berlusconi, abbia radici maschiliste?), ma un diverso abitare la cronaca. Tant’è che l’idea ci è venuta dalla solida provocazione della nostra amica Susanna Tamaro. Che dopo averci fatto l’onore di una visita in redazione, si è esibita sul Corriere della Sera in un bel tuffo nel femminismo italiano d’antan, riguardato dall’autrice di Anima mundi come “fallimento” (diverso, e forse meritorio di un’altra crime scene investigation, il caso del femminismo virago che ha messo radici in Nordeuropa e Nordamerica). Non staremo qui a discutere le tesi di Susanna (per altro già dibattute dagli interventi della Comencini, Rodotà e Terragni). Ma partendo da lei, prendendo le mosse da una questione che sembrava perduta nelle rughe de “l’utero è mio”, riprenderemo in chiave di grimaldello, di lettura dell’attualità, l’intuizione secondo cui «la donna concilia l’uomo e se stessa col mondo» (Pavese). Per esempio: come si concilia (si concilia?) la donna con il “manipulitismo”, cioè con quella forma di violento onanismo che a fronte delle continue “perdite” del reale, persegue la purità cercando di imporre (alle donne, alla politica, alle imprese, al calcio, alla Chiesa, eccetera) sistemi sempre più pazzeschi – o come li chiamano loro, “perfetti” – di purificazione e abluzione?
Proveremo a sondare il lato femminile della cronaca e a fare un mese di giornale femminile. Nonché – e questo è il punto – proveremo a capire se è proprio questo il lato della vicenda umana che decide di personalità e società aperta o chiusa; di giustizia matrigna o misericordiosa; di bellezza chirurgica-preservativa o di “cara Beltà-freschezza più cara” (e dire che Leopardi era un “materialista”, e dire che Gerald Manley Hopkins era un gesuita!). Insomma, poiché il tratto essenziale del femminile sulla terra non è il fatto che la donna dia la vita (è infatti possibile, in un futuro, che si avveri quella tremenda e schifosa cosa prometeica che è la riproduzione per via completamente artificiale) ma è l’atteggiamento originale insito nel suo dare la vita e, soprattutto, insito nella vita stessa (perfino Eugenio Scalfari sarà stato quell’urlo in utero, poi lo stupore di cose fuori di sé, poi lo stupore di sé, insomma il bambino che domanda e non chiude mai la porta al mondo), cercheremo la biblica “costola dell’uomo”. Che come ha notato il grande storico Jacques Le Goff è tutt’altro che la prima affermazione di un maschilismo ancestrale. Ma è la prima parola di uguaglianza uomo-donna che sia risuonata nella storia. Parola di liberazione, precisa l’agnostico Le Goff, quando tutte, ma proprio tutte, le radici non giudeo-cristiane del mondo (compresa l’attuale, liberal, occidentale, Homo Sapiens New York Times, come ci spiega in questo numero Irene Vilar) erano state e restano saldamente maschiliste.

http://www.tempi.it/editoriale/008950-un-mese-dedicato-alla-faccia-delle-donne-dopo-anni-di-maschilizzazione-liberal

La lampada sopra il moggio…..


Dagli eccidi della Rivoluzione francese ai totalitarismi del XX secolo; dalle persecuzioni anticristiane alla vicenda di Eluana Englaro, attraverso la crisi delle ideologie: Vincenzo Merlo ripercorre con il rigore dello storico e la convinzione del credente alcuni passaggi chiave degli ultimi due secoli, mettendo in luce mediante l’analisi puntuale delle grandi encicliche della Chiesa cattolica le ragioni dell’umanesimo cristiano, contro i guasti della modernità laicista che si adopera, oggi come ieri, per estirpare Dio dall’orizzonte dell’uomo.
Le persecuzioni contro i battezzati,le scelte etiche,i massacri delle rivoluzioni e i totalitarismi del ‘900.
Il pantano odierno è la conseguenza di una serie di errori commessi tutti a danno dell’uomo, scrive Rosa Alberoni nella Prefazione, perché, con le parole di Henri De Lubac, «non è vero che l’uomo non possa organizzare la terra senza Dio. Quel che è vero è che, senza Dio, egli non può in fin dei conti che organizzarla contro l’uomo».
Il titolo stesso ribadisce che il Vangelo e la tradizione cristiana rimangono riferimenti certi, fari luminosi per chi ha smarrito la via nella notte del mondo.

Vincenzo Merlo è nato a Brescia nel 1962. Dal 2001 è docente di ruolo di Discipline giuridiche ed economiche nella Scuola secondaria superiore. Collaboratore della rivista on-line Ragionpolitica.it (fondata da don Gianni Baget Bozzo) e de Il Conciliatore nuovo, è autore del libro Politicamente scorretto…! Considerazioni di un professore cattolico moderatamente tradizionalista (Bietti Media 2008).

Vincenzo Merlo,La lampada sopra il moggio.Le ragioni della Chiesa nei secoli della modernità.pp. 320 Ed.Ares,2010

IL GREMBIULE E LO SCETTRO.

Il grembiule e lo scettro, due simboli per indicare immediatamente due realtà complesse: la Chiesa e la politica. Il primo simbolo è relativo al servizio che la comunità cristiana presta in nome diGesù, che non è venuto per “essere servito ma per servire” (Mt 20,28). E qui la memoria di molti va all’insegnamento e alla testimonianza di don Tonino Bello, cui questo libro è dedicato. La Chiesa del grembiule – scriveva don Tonino nel 1988 – è certamente “l’immagine che meglio esprime la regalità della Chiesa, per la quale, come per Cristo, regnare significa servire”.E poi lo scettro. Ovvero il simbolo del potere. Non certo considerato in un’analisi storica e dottrinale, ma nella sua valenza quotidiana, cioè in riferimento a coloro che lo detengono, a coloro che hanno la responsabilità di provvedere, in varie forme e tempi, al bene comune, alla giustizia e alla pace della società.
Sul rapporto tra queste due realtà complesse si soffermano le pagine seguenti. Sono appunti di un viaggio di diversi anni che non hanno nessuna pretesa di esaustività, ma solo il carattere di una riflessione ad alta voce da condividere, criticare, arricchire e orientare meglio. Essi sono stati scritti insieme ai credenti con cui ho percorso itinerari di formazione all’impegno sociale e politico, ai tanti pastori e laici incontrati nelle nostre comunità, agli uomini e alle donne provenienti da altre culture o sensibilità religiose, agli amici con cui continuo a discutere di queste tematiche. In alcuni casi hanno ispirato articoli apparsi su giornali, in altri sono stati oggetto di discussione in incontri pubblici e personali. Mi auguro che – anche grazie a questa veste editoriale – possano essere utili a chi continua a camminare, con ingegno, passione e coraggio, verso la pienezza del Regno di giustizia e di pace.

Le verità del Vangelo non fanno mai l’occhiolino

Quando incontri una verità di passaggio – scriveva George Bernanos nel suo Diario –guardala bene, in modo da poterla riconoscere, ma non aspettare che ti faccia l’occhiolino. Le verità del Vangelo non fanno mai l’occhiolino”[1]. È questo brano del famoso scrittore francese che mi ritorna spesso inmente quando sento parlare o leggo dei teo-con (credenti e conservatori in formato unico) a braccetto con i neo-con(conservatori di ultima produzione), del troppo insistere di alcuni cattolici in materia di aborto, di unioni civili, del ruolo della donna e della famiglia, della loro riscoperta e riproposta di tradizioni cristiane antiche, di Bush e del partito di Dio e via discorrendo.
Il Vangelo ha le sue verità. Per chi ne volesse una sintesi ragionata ed agile, in materia sociale, economica, culturale e politica, basta fare riferimento al recente Compendio[2].
Da che mondo è mondo il magistero ecclesialele approfondisce, ribadisce e propone secondo il suo proprio ministero. Da che mondo è mondo la Chiesa ha degli oppositori, alcuni corretti e altri scorretti; alcuni pacifici e altri violenti; alcuni rispettosi della diversità di opinioni e prassi, altri no; alcuni interessati a stabilire un dialogo per superare la trappola del clericalismo-anticlericalismo, altri no; alcuni disposti a collaborare con la Chiesa in vista del bene di tutto il corpo sociale, altri no.
È questo il problema? Sembra proprio di no. Il punto sembra essere un altro; cioè il riferimento a queste verità nella lotta politica, sia da parte di credenti di lunga data, sia da parte di convertiti dell’ultima ora o neofiti, come dir si voglia. E qui Bernanos c’entra a pieno titolo. Si ha molto spesso l’impressione che il riferimento alle verità evangeliche – indiscutibili e sovrane – sia un modo per strizzare l’occhio a qualcuno, singolo alleato o compagine istituzionale che sia.
Ma le verità evangeliche non strizzano l’occhio.Qualora lo facessero diventerebbero funzionali ad un progetto, ad un partito o schieramento politico, al potente di turno o a chissà chi. Il Vangelo è fine a se stesso, cioè al buon annuncio di un Dio che si incarna e salva coloro che a Lui aderiscono. E sì, le verità evangeliche non si usano, si servono. O, come direbbe un altro grandefrancese, Jacques Maritain,“ciò di cui noi abbiamo bisogno non è un insieme di verità che servono, ma piuttosto di una verità da servire”[3].
Nel servire la Verità, la tradizione della Chiesa insegna molte cose, sia in ordine ai contenuti, sia alle finalità e alle strategie, sia allo stile e alle valutazioni contingenti.
Annunciare e testimoniare il Vangelo in politica è arduo; non so dire se meno o più che altrove, ma certamente comporta una fatica intellettuale, emotiva e (anche) fisica di non poco conto. Lo sanno bene quei tanti cattolici impegnati in politica seriamente e coerentemente, che, pur non apparendo alla ribalta della cronaca, portano comunque un contributo notevole nel far crescere la città di Dio nella città umana.
Per fronteggiare questa fatica è necessario anche un metodo, elaborato dal magistero sociale e conosciuto come metodo del vedere-giudicare-agire[4]. Con esso singoli e comunità cercano, come scriveva Giovanni XXIII, di tradurre in termini di concretezza i principi e le direttive sociali, attraverso tre momenti: rilevazione delle situazioni; valutazione di esse nella luce di quei principi e di quelle direttive; ricerca e determinazione di quello che si può e si deve fare per tradurre quei principi e quelle direttive nelle situazioni, secondo modi e gradi che le stesse situazioni consentono o reclamano”[5].
Applicando questo metodo sempre e comunque, oggi giorno, a mio modesto avviso, vale la pena sottolineare alcuni atteggiamenti, indispensabili quando si vuole servire la verità e non servirsene. Essi sono: la libertà, il rispetto, il dialogo e la scaltrezza.

La libertà

Si dovrebbe dire una libertà da tutto e da tutti: “Cristo ci ha liberati – ammonisce l’Apostolo – perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Gal 5,1). E sono schiavitù, in politica come altrove, anche tutte le dipendenze e asservimenti su base economica e/o di potere. Quelle che il Papa definisce la brama esclusiva del profitto e dalla sete del potere. Esse sono da considerare come “azioni e atteggiamenti opposti alla volontà di Dio e al bene del prossimo. […]. A ciascuno di questi atteggiamenti si può aggiungere, per caratterizzarli meglio, l’espressione: ‘a qualsiasi prezzo’. In altre parole, siamo di fronte all’assolutizzazione di atteggiamenti umani con tutte le possibili conseguenze”[6]. Sono liberi i teo-con rispetto ai potentati economici che alcune volte finanziano iniziative cattoliche? Sono liberi quei politici che si ritrovano in schieramenti dove il peso economico e le vicende personali dei leader hanno una forte influenza? “Conosco il partito clericale – ancora la penna sferzante di Bernanos–. So quanto sia privo di coraggio e di onore. Non l’ho mai confuso con la Chiesa di Dio. La Chiesa ha la custodia del povero ed il partito clericale è sempre stato soltanto il sornione intermediario del cattivo ricco, l’agente più o meno inconsapevole, maindispensabile, di tutte le simonie”[7].

Il rispetto

Il cattolicesimo non è più né religione di Stato, né religione della maggioranza degli italiani. È una realtà difficile da accettare. Allora più che rimpiangere i tempi passati ci dovremmo interrogare sulle responsabilità personali ed ecclesiali che hanno portato alla scristianizzazione, sulle colpe e sulle mancate testimonianze della comunità cristiana – il Papa lo ha fatto solennemente il 12 marzo 2000 –Non è tempo di nuove crociate. È tempo di imparare ad essere minoranza in un mondo secolarizzato, contraddittorio, che presenta segni positivi e negativi, ed anche ambigui. È tempo di rispettare e accogliere, come dice il Concilio, “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloroche soffrono” perché “sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”[8]. Certo, in politica si devono prendere delle decisioni e queste possono essere immorali, secondo la fede cristiana, ma ciò non toglie il rispetto di chi la pensa diversamente in merito a questioni scottanti dal punto di vista morale, psicologico e sociale. Va anche detto che, nel momento in cui le scelte politiche sono contrarie a quanto ispirato dalla fede, il fedele impegnato è chiamato alla coerenza e ad esprimere la sua obiezione di coscienza. Tuttavia nulla di tutto ciò autorizza a nuove crociate e ad ergere steccati, che non giovano né alla comunità cristiana, né ai singoli fedeli, né alle istituzioni politiche e, quindi, al bene dell’intera collettività.

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[1] G. BERNANOS, Journal d’un curé de campagne, Plon, Paris, 1936; trad. it. Diario di un curato di campagna, Mondadori, Milano, 1965, p. 72.
[2] PONT. CONS. DELLA GIUSTIZIA E DELLA PACE,Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Città del Vaticano 2004; con un ricco indice per argomenti.
[3] J. MARITAIN, Distinguer pour unir ou Les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Paris, 1932-1959; trad. it. Distinguere per unire. I gradi del sapere,Morcelliana, Brescia, 1974. p 22.
[4] Si vedano CONC. ECUM.VATICANO II, Gaudium et Spes, Roma, 1965, n. 4; PAOLO VI,Octogesima adveniens, Roma, 1971, nn. 4 e 42.; CONGR. EDUCAZIONE CATT.,Orientamenti per lo studio e l’insegnamento della dottrina sociale della Chiesa nella formazione sacerdotale, Roma, 1988, nn. 7-10; GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo Rei Socialis, Roma, 1987, n. 1; GIOVANNI PAOLO II, Centesimus Annus, Roma, 1991, nn. 5, 43, 56-59.
[5] GIOVANNI XXIII, Mater etMagistra, Roma, 1961, n. 217.
[6] GIOVANNI PAOLO II,Sollicitudo rei socialis, Roma, 1987, n. 37.
[7] G. BERNANOS, Scandale de la vérité, Gallimard, Paris, 1939; trad. it. Scandalo della verità,Logos, Roma, 1980, p. 86.
[8] CONC. ECUM. VATICANO II,Gaudium et Spes, Roma, 1965, n. 4.

Introduzione

Il grembiule tra fughe e attivismi

Le verità del Vangelo non fanno mai l’occhiolino

Tangentopoli, legalità e credenti

Cara raccomandazione, cosa non farei per te

Per amore dei poveri non tacerò

Ripartendo dagli ultimi: No profit e dintorni

Dalla parte degli immigrati

Il Papa, la pace e i distinguo

Lo scettro al vaglio

Chiesa, Massoneria e doppie appartenenze

I privilegi e il potere dei segni

Il denaro nel cortile del tempio

Mass media e teste vuote

Voglia di Democrazia Cristiana

Cattolici in bilico tra destra, centro e sinistra

Drammi e dilemmi del voto

Il clero presso lo scettro

Don Tonino conclude

Rocco D’Ambrosio,Il Grembiule e lo Scettro,Ed.La Merdidiana.

ROSARIO LA DUCA:GUIDA AGLI SCRITTI.

PRESENTATO IL SOGNO di ROSARIO LA DUCA IL MUSEO DELLA CITTA’ DI PALERMO NEL SAGGIO BIBLIOGRAFICO DI FRANCESCO ARMETTA.

di Ferdinando Russo

L’istituzione della “Cattedra per l’Arte cristiana in Sicilia-Rosario La Duca “, presso la Facoltà Teologica di Sicilia ,voluta e promossa dall’arcivescovo metropolita Ecc.za mons.Salvatore Romeo ed aperta con le prolusioni dei proff. H.Pfeiffer e C.Valenziano ,ha preceduto la presentazione del volume di Franco Armetta sull’imponente lascito culturale dell’ing.La Duca sulla città di Palermo,ora scientificamente e organicamente raccolto. Si è dato così l’avvio all’inaugurazione di una di una stagione di attività della cattedra con una serie di eventi organizzati dal Preside dell Facoltà Prof.Don Rosario La Delfa, con la prima pubblicazione del voluminoso saggio di Armetta, docente e segretario della Facoltà dal titolo ,”Rosario La Duca,Guida agli scritti “(1). Si tratta di significativi contributi offerti dalla Chiesa di Sicilia alla Settimana nazionale della Cultura.

Le iniziative ,che si collegano all’apertura dei Musei diocesani ed all’orario flessibile di chiusura delle chiese, per i fedeli ed i visitatori, auspicato e realizzato dal volontariato e dalle confraternite laicali, non appaiono cosi’ isolate e provvisorie , mentre non sono nuove le pubblicazioni del Centro per lo studio della storia e della cultura della Sicilia “Mons.A.Travia “, che cura la collana Storia e cultura di Sicilia, poichè sviluppano un programma scientifico-culturale di offerte alla comunità.
Tra queste l’annuncio dell’imminente pubblicazione del “Dizionario enciclopedico dei Pensatori e dei Teologi di Sicilia dei secoli:XIX e XX “, in cinque volumi ,anch’essa curata dal prof. Francesco Armetta. (2)

Le citate manifestazioni rappresentano le espressioni piu’ vivaci e significative, di una chiesa locale, che vede i suoi laici e i religiosi impegnati in attività scientifiche e culturali, volte alla comunità e sviluppatesi attorno alla ormai apprezzata Facoltà teologica di Sicilia, che ha registrato la sua crescita nell’area mediterranea ed i suoi servizi , attraverso i contributi e la guida dati da illustri presidi, quali C.Valenziano, S.Di Cristina, C.Naro,A. Raspanti .ed ora La Delfa sostenuti, nella loro fatica, dagli illuminati Pastori e Gran Cancellieri della Facoltà: Pappalardo, De Giorgi e Salvatore Romeo.

Ed è indicativa notare la partecipazione del laicato intellettuale isolano alla vitalità culturale ecclesiastica e teologica della chiesa, nell’ambito promozionale della ricerca e dell’amore per i beni culturali delle città, come è emersa alla presentazione del volume di F.Armetta da parte dello storico dell’Arte e pubblicista, prof Sergio Troisi, del prof.Francesco Lo Manto, della direttrice della Biblioteca della Facoltà, prof.Francesca Massaro ,dal prof.C.Scordato e dall’instancabile autore, presenti e intervenuti all’inaugurazione della nuova collana di ricerche proposta i istituita proprio dalla Cattedra R.La Duca.

La scelta del Prof.Rosario la Duca- ,laico ,e inizialmente non credente (termine forse improprio se si riflette sull’opera, la vita e la decisione) ,di legare alla Facoltà Teologica di Sicilia il destino della sua ricerca storica e del patrimonio culturale da lui amorevolmente raccolto, conservato e valorizzato- è descritta nella presentazione del saggio dal preside della facoltà La Delfa.

Come si evince dal volume di Armetta, il prof ing.Rosario la Duca testimonia il significativo e recente gesto di un laico della Chiesa di Palermo, con -un atto coraggioso del “credere”, che tutto in ultimo abbia un senso-,o come soleva ripetere il prof.La Duca al cugino Gaetano Lo Manto,”del credere in chi veramente crede” mentre dichiarava in una nobile intervista a G.Bonanno.sulla Facoltà Teologica:”Gli uomini che la dirigono e che vi insegnano credono veramente nella cultura.”

Questo storico”anomalo” ,come lo ha definito il Prof.Troisi, ha amato la città di Palermo ,come i suoi figli illustri ( Salomone, G.Pitrè, E.Onufrio, Gaston Vuiller, Luigi Natoli, Basile, Culotta, Urbani, Mignosi, Mangano, Fatta , Petix, Sinagra, Mazzamuto, Crifò, Albanese, Averna, Caramella, Riccobono, Palumbo ) senza legami di rigida appartenenza con le correnti storiche del tempo, con la passione civile per mettere a servizio degli altri tutte le sue conoscenze.. .

Con il suo gesto verso la Facoltà Teologica ,infatti, Rosario La Duca, come ha ricordato La Delfa, nella citata presentazione,-permette che la conoscenza da lui perseguita non si esaurisca in se stessa o in lui medesimo, ma continui nella comunicazione agli altri con le sue intuizioni, con la ricerca di “ulteriorità” della storia e con l’intuizione che la storia non possa contenere da sola la sua domanda.
Culturale e religiosa diventano così non semplici sinonimi l’uno dell’altro,ma condizioni ultime dell’essere di una domanda dinanzi alla sua risposta.
L’atto di Rosario la Duca ,anche nella sua esemplare decisione e fiduciosa magnificenza, non è e non resterà isolato..
Ha precedenti eloquenti, basta ricordare il Fondo Caramella , accompagnato,di recente, dal gesto della sorella del Prof.Antonino Castagnetta, la sig.ra Cav.Rosa, di consegnare il patrimonio librario del fratello, docente e filosofo rosminiano dell’Università di Palermo ,e già dirigente dell’Azione Cattolica, alla Biblioteca della facoltà di Teologia..
Né vanno dimenticate l’ azione testamentaria del prof.Benedetto Messina ,artista multiforme di Monreale ,(4) tra i fondatori dell’UCAI e del Serra Club , che ha donato, attraverso la Caritas, parte del suo patrimonio ai ragazzi e molte sue opere museali al Comune; le mostre dei soci dell’UCAI di Palermo ,su opere ispirate dal Vangelo e dalle condizioni sociali dei quartieri periferici, presentate in molte città della Sicilia; l’iniziativa della giornalista Giulia Di Maggio Sommariva di donare i diritti della pubblicazione- del volume “Palermo cento chiese in ombra”(5) al Seminario Arcivescovile; la mostra della Galleria Studio 71 della Via Crucis degli artisti palermitani,.
che hanno offerto le loro opere di ispirazione religiosa al Museo diocesano.Ed è questo un sentirsi pienamente Chiesa di tanta parte del “laicato “post conciliare ,responsabilizzato dalla gerarchia nelle attività culturali e artistiche e anche in quelle civili, come sarà presto evidenziato dall’enciclopedia di F.Armetta (3) ,la cui pubblicazione è stata annunciata per il 17 Giugno. Il dizionario rappresenta,infatti, un imponente documento culturale su 1000 autori , 160 collaboratori ,programmato e curato dal Nostro, in anni di lavoro e di ricerche a servizio della città di Palermo,quasi primo emulo dell’insegnamento di La Duca, per costruire il futuro dell’Isola , ricordando il suo passato e quello dei suoi pensatori ,filosofi,teologi, spiriti eletti e creativi. E la Sicilia con la sua Palermo, sconosciuta, dimenticata, “felice”,con “la città perduta”,e passeggiata”,(titoli di sue opere 2001-2003), segreta, “cercata”, ammirata ,denigrata e disamata spesso da molti suoi concittadini, la Sicilia del poeta Ignazio Buttitta, e di Albanese, di Cottone, di Muccioli, Crifò, Mazzamuto, e dei contemporanei :Elio Giunta, G.Giacopelli, A.Gerbino, N.Romano,T.Romano, F.Luzzio, N.Alongi, A.G.Marchese, N.Balletti, F.Alaimo, Bonfiglio, N.D’Aquila, F.Vitali, O.Campanella, con una storia tante volte dilapidata ,con il sacco e lo scempio di opere, luoghi, monumenti, scritti, archivi, con le magnifiche tele “incarcerate” nei palazzi della giustizia o della burocrazia, o depositate nei magazzini delle Sovrintendenze, acquisterà una identità più complessa, stratificata, ritroverà testimonianze e valori e formerà un tessuto culturale di conoscenze apprezzabili,di speranze,su cui costruire il futuro.
Lo voleva La Duca., con i suoi allievi, con gli estimatori, presenti alla manifestazione in suo onore, M.Silvestri, S.Butera, S.Di Prima, P.Balistreri, F.Russo, F.Magno, S.Cambria, C.Barbera, Vacca, Lima, Scuderi, Riccobono, Antonia ,Giuseppa, Olga e Salvatore Armetta, G.Lo Monte, U.Russo, E.Guccione e tanti docenti della Facoltà.

Nel volume di Armetta troviamo ora l’indice commentato, nelle diverse tipologie, delle ricerche di La Duca : scritti di denuncia e di amore , progetti, documenti, stampe, introduzioni, presentazioni, prefazioni disegni, bibliografie,monografie e opuscoli, articoli pubblicati in riviste,in opere collettanee, nel” Giornale di Sicilia”,e nel “L’Ora”, curatele di opere,note di risposta agli alunni delle scuole cittadine .E qui,scrive Armetta,-la risposta è quella di un grande spirito educativo,di uno che ama la sua città e che trova i modi opportuni per farla amare anche ai giovani-.

Ora resta l’invito e la curiosità a ripercorrere e rileggere :“La Cartografia generale della città di Palermo e antiche carte della Sicilia(1975),Palermo ieri e oggi, (1990-1997) ,Il repertorio bibliografico degli edifici religiosi di Palermo,Gli edifici entro le mura e fuori le mura (1994-1997).

Armetta ci introduce e ci conduce, con gli scritti di La Duca ,a scoprire la città, ad amarla,offrendoci una guida della “città fantasma”, (ironia di La Duca), ma ricca, completa,.osservata in ogni suo angolo,strade, ,piazze, chiese, conventi ,ville, mercati, teatri,
da un analista scrupoloso,da un ingegnere di talento,da un figlio amoroso che non vuole piangere sulle rovine della storia ma far rivivere tutte le opere della creatività umana .

Ed infine il Nostro autore ci fa conoscere, nel suo magnifico saggio, il sogno che R.La Duca gli confida e che ha inseguito per decenni : il sogno progettuale del “Museo della Storia della città “per prenderne tutti coscienza con la comprensione del presente per realizzare il cammino di sviluppo sostenibile.

Ad altri, la realizzazione. Gli assessori delle istituzioni locali e regionali delle Settimane della Cultura non saranno insensibili alle provocazioni progettuali che attendono ora promotori ed esecutori .

Nella Biblioteca di R.La Duca ,custodita ora nel Fondo bibliotecario omonimo ,dalla Facoltà Teologica ,sono attesi studenti e ricercatori delle Università per l’esame dei numerosi ulteriori inediti , di architettura religiosa ,di toponomastica, di bibliografia delle città siciliane, ed altri scritti utili ad evitare il dissesto delle città di domani.
Il curatore degli scritti , Armetta che li ha raccolti, con la passione dello scienziato, del filosofo,del teologo, ne sarà orgoglioso e li accompagnerà con le sue opere e pubblicazioni, che già consegnano agli studiosi ed agli operatori culturali il cammino del pensiero di un “laicato” presente nella Chiesa di Sicilia e non sempre conosciuto e stimato..

Ferdinando Russo
onnandorusso@libero.it .

1)F.Armetta ,Rosario La Duca,Guida agli scritti,Salvatore Sciascia Editore,Caltanissetta,Febbraio 2010-

2)Centro per lo studio della storia e della cultura di Sicilia, della Facoltà Teologica di Sicilia,,Notiziario N.4,dicembre,2006

3)F.Armetta, Dizionario Enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia Secc.XIX e XX,in cinque volumi ,Caltanissetta-Roma,2010

4)F.Russo ,Benedetto Messina in http://www.Vivienna.it aprile 2010, e http://www.google.it

5)G.Sommariva Cento Chiese in ombra,FlaccovioPalermo

6)S.Troisi in Repubblica,Aprile 2010

7)F.Russo,Pietro Mazzamuto ,I due ladri, Memeo, Il diavolo e l’Olio Santo,in CNTN -Annate -2003-2004-2005-2006-2007,e in particolare in Anno VI,n.19,gennaio http://www.vivienna.it,www.google.it; http://www.yuotube.com alla voce Pietrp mazzamuto

8)E.Giunta ,La mia città ,pirali,Firenze,2006

9)G.Bonanno ,Intervista a Rosario la Duca, in Dimensione Sicilia,Anno2, N.1, Gennaio 84