“L’Eucarestia mafiosa”.

eucarisitia-mafia

Cos’hanno in comune le organizzazioni criminali e la Chiesa di Roma? Com’è possibile che proprio nelle quattro regioni più devote di Italia – Sicilia, Calabria, Puglia e Campania – siano nati questi fenomeni criminali così feroci?
L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti, opera prima di Salvo Ognibene, affronta il controverso rapporto tra mafia e Chiesa cattolica, una storia che va dal dopoguerra ai giorni nostri. Una storia di silenzi e di mancate condanne che dura da decenni e che è stata interrotta da rari moniti di alti prelati, dall’impegno di pochi ecclesiastici e da alcune morti tristemente illustri come padre Pino Puglisi e don Peppe Diana.
La riflessione prende il via dal tema della ritualità come manifestazione di potere: la processione come compiacenza; l’affiliazione come nuova religione; uomini che indossano la divisa di Dio per esercitare il loro potere in terra. Uomini di morte e di pistola con i santi sulla spalla. La fede di Provenzano nel libro di Dio, la Bibbia, ma anche l’ateismo di Matteo Messina Denaro. Le due facce della mafia nello scontro con i mezzi di Dio. Pur percorrendo la linea già segnata da due grandi studiosi come Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, L’eucaristia mafiosa – La voce dei preti si presenta con un taglio diverso: non si basa su strutture, non dialoga con i sistemi, ma indaga la realtà di prima mano, interroga i protagonisti di questo dualismo e cattura le ‘voci’, gli esempi concreti del presente per rivalutare la missione e la posizione della Chiesa di oggi. Le voci dei religiosi-testimoni all’interno del libro ripercorrono tutta l’Italia: Monsignor Pennisi; Don Giacomo Ribaudo; Monsignor Silvagni; Don Giacomo Panizza; Don Pino Strangio, Suor Carolina Iavazzo. Preti e suore che hanno preso posizione e hanno fatto del Cattolicesimo, ognuno a modo proprio, uno strumento di lotta alle mafie.
In una nazione in cui l’azione cattolica è ancora fortemente coinvolta nel tessuto politico e sociale, questo lavoro si pone come strumento essenziale di ‘pratica civile’ e di informazione sull’uso della liturgia della fede come strumento di propaganda mafiosa.
Maggiori informazioni nel sito http://www.eucaristiamafiosa.it/

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Indice

Prefazione

1. Storia dei rapporti tra Chiesa, mafia e religione
2. Il Dio dei mafiosi
3. La Chiesa tra peccato, ritardi e giustizia
4. Il Vangelo contro la lupara
5. La voce dei preti
6. Biografie

Salvo Ognibene,
L’eucaristia mafiosa. La voce dei preti

Navarra Editore, Marsala (TP)
Categoria: Saggistica
Anno: 2014
Pagine: 144
Prezzo: 12,00 €
ISBN: 978-88-98865-11-6
Formato: 14×21

Contro Satana.

9

All’inizio del 2011 padre Matteo La Grua pronunciò parole profetiche alla giornalista Roberta Ruscica: “Fai in fretta… Vorrei vedere questo libro stampato. Mi resta poco da vivere”. Era vero. Padre La Grua morì pochi giorni dopo, il 15 gennaio, a 97 anni. Nel racconto di una vita tutta dedita a combattere le forze del male, padre Matteo lascia la sua eredità e riflette sull’avvento dei tempi messianici e sulla urgente necessità di conversione dell’umanità intera. E impossibile quantificare miracoli, guarigioni e liberazioni dal demonio da lui operate. Noto e stimato in tutto il mondo, rimase lontano dai riflettori della stampa e dai salotti tv che se lo contendevano. Di sé padre Matteo diceva: “Sono un semplice figlio della Vergine Maria. Sono strumento del Suo grande Amore. Non ho alcun merito”. Eppure i fedeli, a migliaia, facevano attese di ore per assistere alle sue “messe di guarigione” celebrate a Margifaraci, centro di spiritualità sorto a due passi dal cimitero della mafia, quelle fosse comuni in cui furono ritrovate tante vittime della guerra di Cosa Nostra. Uomo di intensa preghiera e di profonda umiltà, ricercato da personaggi famosi e da gente comune, da ricchi uomini d’affari e da poveri sbandati, aprì la porta della sua casa a chiunque avesse bisogno. Questo libro-intervista – da lui fortemente voluto negli ultimi mesi prima di morire – è dedicato a quanti, lontani dall’amore di Dio, sono vittime del demonio.

L’Arcivescovo di Aleppo(Siria) a Monreale.

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Arcidiocesi di Monreale

Ufficio Comunicazioni Sociali

L’ARCIVESCOVO DI ALEPPO (SIRIA) A MONREALE

RACCONTA LA SUA CHIESA PERSEGUITATA

Divina Liturgia nel Duomo con Russia Cristiana e

Incontro Interreligioso con il Rabbino Capo di Sicilia e l’Imam della grande moschea di Roma

Monreale 14.01.2015 – Al termine della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani e nel mese della pace, due importanti momenti di riflessione e preghiera consentiranno di approfondire il tema della pace attraverso la testimonianza preziosa dell’Arcivescovo di Aleppo.

La Siria, infatti, è oggi una terra insanguinata, in cui i cristiani e altre minoranze religiose sono perseguitati a causa della loro fede dal fondamentalismo del sedicente Stato Islamico dell’Iraq e della Grande Siria (ISIS).

Una tavola rotonda con l’arcivescovo di Aleppo, il rabbino capo di Sicilia e l’imam della grande moschea di Roma rifletterà sul tema: “Libertà religiosa, via per la pace”, che verrà preceduta dal gesto simbolico della piantumazione di un albero di ulivo, simbolo della pace.

Il 24 Gennaio alle 10.30 presso il palazzo Arcivescovile di Monreale, S.E. Mons. Jean-Clément Jeanbart, Arcivescovo greco-melkita di Aleppo, su invito di Mons. Michele Pennisi, Arcivescovo di Monreale, darà una testimonianza della tragica situazione della sua Chiesa. Nel pomeriggio, alle 17.00, Mons. Jeanbart terrà una Lectio Magistralis: I Cristiani in Medio Oriente, per il conferimento del titolo di Accademico Ordinario dell’Accademia Teutonica Enrico VI di Hohenstaufen.
La giornata si chiuderà alle ore 20.00 in Cattedrale con un Concerto per Organo offerto dal Maestro Diego Cannizzaro per la Siria.

Domenica 25 Gennaio, l’Arcivescovo di Aleppo, alle 11.30, presiederà la Divina Liturgia in rito Bizantino-Slavo, nel Duomo di Monreale, con la partecipazione del coro dell’Associazione Russia Cristiana di Roma, del presidente Mons. Francesco Braschi e di Padre Rostislav Kolupaev, sacerdote Russo Cattolico di rito Bizantino.

Il pomeriggio del 25 Gennaio, alle 16.00, presso il giardino del Seminario verrà piantumato un albero d’ulivo, simbolo di pace, subito dopo al Palazzo Arcivescovile, si terrà una Tavola Rotonda Interreligiosa a cui siederanno oltre L’ARCIVESCOVO greco-melkita Mons. Jeanbart, anche il RABBINO capo del Centro Sefardico Siciliano, Prof. Stefano Di Mauro, Itzaak Ben Avraham e l’IMAM della grande moschea di Roma, Sami Salem.

L’incontro, promosso anche dall’Azione Cattolica Diocesana, servirà a riflettere sul tema: “Libertà religiosa, via per la Pace” che pur essendo stato organizzato già da tempo, pare rispondere alle domande e alle paure di questi giorni all’indomani delle stragi di Parigi e di Baga in Nigeria.

Il Direttore

Don Antonio Chimenti

“La mafia è contro il Vangelo: non basta la scomunica”.

P

L’arcivescovo Vincenzo Bertolone, postulatore del martire anti-clan don Puglisi, riapre la discussione sulla sanzione canonica per i mafiosi

giacomo galleazzi
città del vaticano

“La mafia è contro il Vangelo”. Dopo il monito di papa Francesco ai clan (“offendono gravemente Dio”) nel messaggio del 1° gennaio alla Giornata mondiale della pace, a riaprire con questa intervista a “Vatican Insider” il dibattito sulla scomunica dei mafiosi è l’arcivescovo di Catanzaro, Vincenzo Bertolone (postulatore della causa di beatificazione del martire anti-mafia don Pino Puglisi). Secondo il presule della congregazione Missionari Servi dei Poveri “Boccone del Povero”(S.d.P) ed ex viceministro vaticano degli Istituti di Vita consacrata e delle Società di vita apostolica, prima della pena canonica serve un radicale cambiamento “educativo e pastorale”.

Può essere utile un decreto di scomunica dei mafiosi?
«E’ una questione che va affrontata. Negli ultimi decenni, e in particolare dal Concilio Vaticano II, la Chiesa ha usato sempre meno il provvedimento della scomunica. Non che esso sia scomparso o che la Chiesa abbia scelto la strada del buonismo, ma il popolo dei credenti e i suoi pastori hanno scelto di abbracciare il mondo in un modo diverso, con tutte le sue ombre e le sue luci. Da una Chiesa che si limitava a denunciare il male e associare la pena canonica di riferimento si è passati ad una Chiesa che “esce da se stessa”, che si impegna a creare una nuova coscienza, che sceglie la strada dell’incontro umano e dell’evangelizzazione come risposta al male. Papa Francesco, ultimamente, ci sta esortando ad essere una Chiesa aperta che si sporca e si ferisce le mani per accompagnare l’uomo offrendogli la luce del Vangelo. Ora, nel caso della mafia – e il ministero di padre Puglisi lo dimostra – sono tante le cose che la Chiesa può e deve fare, prima e al di là di una pena canonica. Inoltre poi, mi chiedo: oggi c’è una sensibilità ed una formazione religiosa tale che faccia comprendere la gravità di un tale provvedimento? Detto ciò, restiamo fermi nella condanna assoluta della mafia e di ogni organizzazione in contrasto palese col Vangelo. Resta prioritario invece che la Chiesa prosegua nella sua opera pastorale educativa e preventiva, in un comune sforzo di nuova evangelizzazione che comporta attività pastorale, annuncio biblico, dottrinale ed esercizio di opere di misericordia».

Per i funerali dei mafiosi, si può applicare il modello seguito a Roma per il nazista Priebke, cioè una benedizione privata della salma senza pubbliche esequie?
«Va anzitutto detto che dinanzi al mistero della morte bisogna imparare a far tacere i giudizi umani e restare in rispettoso silenzio. Anche la morte di un criminale o di un mafioso non deve diventare occasione di giudizio. La Chiesa ha sempre creduto e crede che il giudizio ultimo e fondamentale spetti a Dio. Dunque, il funerale non è una benedizione delle opere e della vita del defunto, e con la preghiera la Chiesa lo affida, al di là di tutto, al giudizio misericordioso di Dio Padre. Inoltre, il funerale è un atto comunitario che accompagna i parenti e gli amici del defunto in un momento di dolore. Da questo punto di vista, non dovrebbe essere negato. Si dà però il caso di chi, notoriamente e ostinatamente, ha preso parte pubblicamente e in prima persona, ovvero come mandante, come collaboratore o esecutore consapevole, a crimini efferati, quali furono i massacri dei nazisti e quali sono oggi stragi, assassini, violenze, soprusi ed esecuzioni delle organizzazioni criminali e/o mafiose. Anche in questo caso, la Chiesa non si sostituisce al giudizio di Dio; tuttavia, il funerale di queste persone può essere strumentalizzato trasformandolo da momento di preghiera in occasione di gloria e di manifestazione di potere della mafia stessa, e di qui una indebita legittimazione di cui, anche senza volerlo, ci si può rendere complici e diventare motivo di scandalo per i fedeli . Ora, nel territorio, la Chiesa è tenuta ad essere sempre un segno profetico che chiama le cose per nome e sta dalla parte delle vittime. In considerazione di questo e di altre circostanze pastorali, in occasione di richieste di esequie si valuterà tutto con la dovuta intelligenza e sapienza evangelica».

Il magistrato calabrese Nicola Gratteri ha lanciato un allarme attentati: la ‘ndrangheta potrebbe reagire violentemente all’azione di pulizia di Bergoglio allo Ior, in qualche caso, si sostiene, usato dalla criminalità organizzata per riciclare soldi sporchi. Condivide questa preoccupazione?
«Gratteri, stimato magistrato, ha dati e conoscenze che io non ho e quindi non posso che prendere atto con preoccupazione di quanto da lui affermato. Tuttavia, specie in questi ultimi tempi, la Chiesa è impegnata in un coraggioso rinnovamento di se stessa, delle sue strutture e delle sue azioni di governo. Se Benedetto XVI ha denunciato con coraggio, onestà e sofferenza il male che a volte pervade la stessa istituzione ecclesiastica e i suoi membri attivi, Papa Francesco sta proseguendo energicamente in un processo di cambiamento in direzione della trasparenza, dell’onestà e della sobrietà. Le riforme in atto allo Ior ne sono testimonianza. Tuttavia, lo stesso papa ci ricorda che questa riforma ecclesiale non può avvenire se non con la santità della vita dei suoi membri. La Chiesa, prima che una semplice istituzione terrena, è una comunità vivente: quanto più i suoi membri praticano la radicalità del Vangelo.

La Chiesa di fronte alla criminalità organizzata.

P

naro porcasi

Intervista a Don Pino Demasi, parroco di Polistena e referente di Libera

(La Redazione di OLIR.it)

Il primo intervento di condanna alla criminalità organizzata dei vescovi calabresi risale al 1975. Che differenza c’è fra la situazione di ieri e quella di oggi? Perché tornare sull’argomento a distanza di quasi 40 anni?

L’episcopato calabro, forse primo rispetto ad altri episcopati, nel 1975 avvertì l’esigenza di una vera e propria condanna al crimine organizzato, elaborando il documento “L’episcopato calabro contro la mafia,disonorante piaga della società”. Da allora continui sono stati gli interventi di singoli Vescovi e dell’intero episcopato sino all’ultima dichiarazione della sessione primaverile di quest’anno della CEC. E’ stato ed è un cammino tuttora in atto, quello dei Vescovi calabresi, che in un certo qual modo sta andando di pari passo con l’evoluzione del fenomeno ndranghetistico.
Per quanto riguarda la ‘ndrangheta, si è passati, in questi anni, dalla ‘ndrangheta vissuta e percepita solo come organizzazione criminale ad una ‘ndrangheta “liquida” che si infiltra dappertutto e si interfaccia con gli altri sistemi di potere, producendo valori e cultura. Un’organizzazione globalizzata, fatta di famiglie che vivono in tutti gli angoli della terra, capace ormai essa stessa di farsi istituzione.
Gli interventi dei Pastori della Chiesa, dall’altra parte, sono stati innanzitutto di denunzia; man mano che si è andati avanti si è passati dalla semplice denuncia della ‘ndrangheta, come un “cancro”, una zavorra, un triste peso, ad indicazioni pastorali abbastanza puntuali e precise. Interessante il documento del 2007 ”Se non vi convertirete, perirete tut ti allo stesso modo”, dove si mette in evidenza che la ‘ndrangheta è soprattutto un fatto culturale e che per sconfiggerla serve un’azione incisiva che pervada ogni settore della società.
C’è da dire, però, che la ricaduta nella base di questi documenti è stata “timida”. Abbiamo assistito infatti a comportamenti di accondiscendenza nei confronti del fenomeno mafioso, ma anche a fulgidi esempi di contrasto e di grande coraggio e determinazione. E’ mancata però in questi anni una prassi pastorale collettiva e condivisa.

Il documento della Cei del 21 febbraio 2010 “Per un paese solidale. Chiesa italiana e mezzogiorno” afferma (paragrafo 9) che le mafie “non possono essere semplicisticamente interpretate come espressione di una religiosità distorta, ma come una forma brutale e devastante di rifiuto di Dio e di fraintendimento della vera religione”.

Come la Chiesa può concretamente educare alla legalità?

Oggi di fronte alla presa di coscienza sempre più diffusa dell’insostenibilità dell’assurdità del costume mafioso, la risposta che la Chiesa è chiamata a dare non può essere quella esclusiva di una denuncia o di una reprimenda. E’ necessario prendere sempre più sul serio il ministero della evangelizzazione e della liberazione affidato alle nostre comunità, partendo dalla presa di coscienza delle nostre responsabilità.
Com’è possibile, infatti, che terre come la Calabria, dove esiste ancora una fortissima presenza della Chiesa, dove la partecipazione popolare alle funzioni ecclesiastiche, alle processioni, alle messe, all’ora di religione è ancora fortissima rispetto ad altri territori, com’è poss ibile che una presenza così forte possa coesistere con uno dei fenomeni più violenti, più crudeli, più illegali, più contrari al bene comune, come quello della ‘ndrangheta?
E poi come abbiamo potuto permettere alle varie associazioni o famiglie mafiose di utilizzare nei loro codici d’onore il linguaggio e i simboli religiosi? O come abbiamo potuto permettere agli uomini di ‘ndrangheta di utilizzare la religiosità popolare e in particolare le sue feste come momento per trovare legittimazione sociale e spesso anche per sancire vincoli, formalizzare spartizioni, stabilire gerarchie, decretare ed eseguire sentenze mafiose? Gli stessi riti religiosi, in alcune situazioni, sono stati oggetto di manipolazione. Attraverso di essi è avvenuto lo sfoggio del potere mafioso.
Ecco questo è lo scandalo da cui dobbiamo partire, per costruire un modello ecclesiologico ed una conseguente prassi pastorale.
Nel documento Chiesa Italiana e Mezzogiorno i Vescovi italiani hanno affermato: «rivendichiamo alla dimensione educativa, umana e religiosa, un ruolo primario nella crescita del Mezzogiorno: uno sviluppo autentico ed integrale ha nell’educazione le sue fondamenta più solide, perché assicura il senso di responsabilità e l’efficacia dell’agire, cioè i requisiti essenziali del gusto e della capacità di intrapresa. I veri attori dello sviluppo non sono i mezzi economici, ma le persone» .
Le Chiese del Sud sono chiamate in questo campo a dare il loro essenziale contributo, con la loro pastorale ordinaria, trasformata in profondità, puntando soprattutto ad un nuovo protagonismo dei laici. Laici maturi, impegnati e responsabili, protagonisti del cambiamento.
Occorre, allora, restituire le comunità cristiane a uno stile pastorale evangelico superando un male atavico delle nostre parrocchie: il dualismo sa cro-profano, secondo il quale quando il fedele varca la soglia del tempio, la sfera della sua vita professionale, familiare, sessuale, civile, ecc., viene lasciata dietro le spalle e diventa importante solo in quanto lettore, catechista, accolito, ministro straordinario dell’eucaristia. Si spoglia della sua veste tra virgolette profana e acquista quella di cristiano. Quando il fedele varca in senso inverso la soglia del tempio ritorna ad essere il professionista di trecento euro a visita, l’amministratore che chiede il pizzo per poter fare andare avanti una pratica o che la fa andare avanti solo per gli amici suoi, il professore svogliato che arriva sempre tardi a scuola, il padre nervoso e distratto che se ne sta tutto il giorno fuori, insomma dentro il tempio siamo nel sacro e ci salviamo l’anima, fuori dimentichiamo di essere membri di una comunità cristiana.
Nel documento Educare alla legalit&a grave; del 1991 l’indicazione che vi è fornita appare chiarissima: «Il cristiano non può accontentarsi di enunciare l’ideale e di affermare i principi generali. Deve entrare nella storia ed affrontarla nella sua complessità, promuovendo tutte le realizzazioni possibili dei valori evangelici e umani della libertà e della giustizia».
Concetti netti, che saldano l’etica dei princìpi e l’etica della responsabilità, la dimensione spirituale con l’impegno civile, e richiamano chi si professa credente ad una coerenza che non ammette intervalli, né accomodamenti.

Basta invitare chi sbaglia al pentimento o bisogna pensare anche a delle sanzioni canoniche come ha fatto, ad esempio, il Vescovo di Acireale che ha emanato un decreto circa la Privazione delle esequie ecclesiastiche per chi è stato condannato per reati di mafia (20 giugno 2013)?

Fermo restando che la conversione per tutti i cristiani passa attraverso un reale pentimento e ravvedimento e che quindi la strada da seguire è quella indicata da Zaccheo “Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho defraudato qualcuno di qualcosa, gli restituirò quattro volte tanto” (Lc. 19,8), io personalmente mi trovo d’accordo con il Vescovo di Acireale sulla necessità di qualche sanzione quando ci troviamo in situazioni in cui manca con chiarezza il ravvedimento ed il pentimento.
E’ un modo questo per superare quel dualismo sacro- profano di cui parlavo prima e per affermare con fermezza e senza tentennamenti che la mafia è una struttura di peccato e che vivere da cristiani è un non vivere da mafiosi, rifiutarsi e sempre più potersi rifiutare di vivere da mafiosi.
Non a caso, Il decreto di Mons. Raspanti si apre c on una citazione dettata da San Giovanni Paolo II nella storica visita alla Valle dei Templi di Agrigento il 9 maggio 1993: “La fede […] esige non solo un’intima adesione personale, ma anche una coraggiosa testimonianza esteriore, che si esprime in una convinta condanna del male. Essa esige qui, nella vostra terra, una chiara riprovazione della cultura della mafia, che è una cultura di morte, profondamente disumana, antievangelica, nemica della dignità delle persone e della convivenza civile”.

Che lei sappia solo la Chiesa calabrese è impegnata nella lotta alla criminalità organizzata oppure questa lotta vede impegnate anche altre conferenze episcopali regionali?

Il cammino di consapevolezza della pericolosità delle mafie e quindi la conseguente ricerca di una pastorale adeguata ha visto in questi ultimi decenni come protagoniste non solo le Chiese di Calabria, ma anche le Chiese del resto del Paese e soprattutto di quelle aree maggiormente interessate al fenomeno mafioso. Le linee direttive dei vari episcopati regionali, dell’episcopato italiano e dei Sommi Pontefici non ammettono ormai più passi e ritorni indietro.
Molto di nuovo anche in questo campo sta nascendo nella Chiesa. L’ascolto del popolo, del suo malessere, della sua soggezione, l’ascolto del grido degli onesti e degli indifesi che reclamano il bisogno di dignità umana e di reale libertà sta scuotendo ormai tutte le chiese, incoraggiate anche da Papa Francesco.
E’ certamente il tempo della speranza, intesa non come un’attesa fatalistica di cambiamento, un appigliarci all’eventualità che accada qualcosa in grado di scacciare, come per incanto, paure e incertezze. E’ Il tempo di quella speranza che ha il volto dell’impegno, del mettersi in marcia (in latino la parola speranza, spes, richiama del resto il termine pes, piede) di quella speranza, stretta parente del realismo, che risveglia il desiderio di reagire, di rialzare la testa.

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Non so se hai presente un uomo…..

Roma.invito.programma

Diocesi di Padova:festival biblico.

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La scuola italiana da Papa Francesco.

LA SCUOLA ITALIANA DAL PAPA – 10 maggio 2014

Non so lasciar la penna.

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Dalla Sicilia alla Puglia.La Festa di San Giuseppe.

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talmus Sgarbi Musardo
Il volume è stato presentato dal Prof. Vittorio Sgarbi e dal Prof. Rodo Santoro su invito della Delegazione Sicilia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio e la TALMUS ART EDITORE il 18 marzo presso la Chiesa di San Nicolò daTolentino, a Palermo
Dalla Presentazione:
“Lo studio di questa particolare festa della tradizione religiosa cristiana è oggi più che mai prezioso perché compendia quella civiltà contadina che oggi rischia definitivamente di scomparire.
Un libro che ne racconta l’origine e l’evoluzione, è un’opera indubbiamente meritoria. Questo, in particolare, oltre al ricco corredo fotografico, costituisce, per il rigore scientifico e per la linearità della scrittura didattica che ne fa un libro di ampia divulgazione, un prezioso contributo alla conoscenza e all’approfondimento di San Giuseppe e dei riti religiosi a lui ispirati
. ” [Vittorio Sgarbi]

Dalla Sicilia alla Puglia la festa di San Giuseppe è una semplice raccolta di santini e immagini sacre riferite al santo di Nazareth? E’ il peregrinare faticoso per paesi e città alla ricerca del misto sacro-profano? E’ l’esercizio retorico culturale per ricostruire feticismi e misticismi profani e poplari? No. E’ la saggezza mirata a rivalutare un culto che è di popolo, che è di piazza, che è di fede, che è cultura, storia e arte, senza confusioni. E’ un capolavoro di immagini e di testi, freschi di stampa, uscito in questi giorni, e concepito da chi ne è stata la curatrice, la dottoressa Vincenza Musardo Talò, per volere di una giovane casa editrice pugliese, la Talmus Art. Il santo degli artigiani, degli operai e dei falegnami; della buona morte e della vita indissolubile chiamata matrimonio, conquista un posto d’onore nella iconografia, ma, anche, nella ripresa e rivalutazione di un culto molto diffuso in due regioni meridionali: la Sicilia e la Puglia. Due realtà lontane, ma affini, definite nel testo “regioni sorelle”, perché di esse è stato colto il senso vero di una appartenenza, di una identità consacrata nella icona di un santo che pulsa nel cuore dei due popoli, segnandone la storia, i ritmi, i passi, l’autenticità di una fede; di un connubio antico, nuovo, moderno, sancito, non solo da quel mare Mediterraneo che unisce, ma dalla sacralità di due mondi che si incontrano sull’altare dell’amore verso lo sposo di Maria Vergine.
Culti isolati, personali e soggettivi, ma, anche comunitari, collettivi nella espressione di Confraternite, sodalizi religiosi, Pie Unioni. Una coralità di cuore che esprime generosità e gratitudine, senza finzioni, senza ipocrisie, senza falsi ed inutili pudori, perché la fede autentica è quella che si manifesta e non quella che viene nascosta o repressa per rispetto umano. In questa opera nuova, non è da sottovalutare il coraggio mostrato da Vittorio Sgarbi, il quale ha saputo leggere i segni di un popolo, della gente autenticamente genuina; ha saputo intercettare le istanze di fede raccolte non in un crogiuolo, non in fazzoletto bagnato di lacrime, ma nello specchio di una vita, perché la vita di Giuseppe è stato specchio di fedeltà, di servizio, di obbedienza, di silenzio, di operosità. A questo meritorio lavoro va il plauso verso i tanti che hanno collaborato con la loro esperienza, con la loro voglia di ricercare, studiare, approfondire, conoscere e far conoscere il valore di un personaggio, staccato dal cuore della storia della Redenzione, per diventare medaglia di ogni singolo credente; di ognuno che ha sentito il bisogno del rifugio sicuro e sereno in colui che protesse nel rifugio del suo cuore immenso, la vita di Maria e di suo figlio, Gesù Cristo. Brevi considerazioni le nostre. Per meglio entrare nel clima di quest’opera, abbiamo affidato il compito alla sua curatrice, Vincenza Musardo Talò, che dobbiamo definire instancabile zelante e zelatrice di una missione.(Giuseppe Massari).

Partire per un viaggio – sia pure per immagini e narrati – nel magico labirinto di antichi sapori e colori delle solari regioni di Puglia e Sicilia, le due Terre più fascinose del Mediterraneo, cariche della voce dei secoli e laboratorio interculturale di civiltà lontane…
Viaggiare per antiche e nuove contrade, nella veste di umili pellegrini della cultura, per rivisitare uno dei più ricchi patrimoni di rituali, di cui si adorna la devozione popolare: la festa di S. Giuseppe…
Entrare, con rispetto, nella intima microstoria di tante comunità, che da secoli, con la tenacia della fede e l’umiltà dei semplici, affidano il loro vissuto al patrocinio potente di questo santo Patriarca…
Questi gli obiettivi del presente volume, accostato da studiosi di legittimato spessore scientifico e documentato da un corredo iconografico, proveniente dagli scatti artistici di esperti della fotografia o dalla istantanea e fresca foto-ricordo del devoto visitatore e del turista, unitamente ad alcuni rari esemplari di piccole immagini devozionali, riemersi da prestigiose collezioni private…
E il tutto sapientemente supervisionato dall’occhio “critico” di Vittorio Sgarbi: uno dei più stimati e accreditati studiosi di Estetica, nonché profondo e severo conoscitore dell’Arte, che la contemporaneità possa vantare. Il libro racconta l’origine e l’evoluzione della festa di San Giuseppe dalla Sicilia alla Puglia. Grazie alla ricca dotazione di illustrazioni, al rigore scientifico utilizzato nella descrizione e la linearità della scrittura didattica, il libro è adatto ad un’ ampia divulgazione, ed è un prezioso contributo per far conoscere ed approfondire il culto di San Giuseppe.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Fra i tanti santi, perchè una ricerca e uno studio monografico sul culto riservato a San Giuseppe e una presentazione affidata ad un critico d’eccezione quale è Vittorio Sgarbi?

R. La volontà di realizzare un volume di studi e ricerche sul culto popolare di san Giuseppe nel Mezzogiorno d’Italia era da tempo fra le pieghe programmatiche della Casa Editrice TALMUS ART, che ha voluto affidarmi il progetto, libera di impiantarlo e strutturarlo al meglio. Un personale interesse sul culto e le tradizioni della festa del Santo, in termini socio-antropologico-culturale e religioso, mi hanno indirizzato in tal senso. Il pensare al prof. Sgarbi non solo come attore della Presentazione al volume, ma anche come co-autore, è dipeso dal desiderio di avere all’interno del volume, scritto da accreditati autori vari, una voce autorevole, un intellettuale di rilievo che accompagnasse il lavoro di tanti. Fuori da ogni retorica, abbiamo apprezzato il suo gesto generoso e tutti gli Autori gli sono grati. E’ inutile, poi disquisire sul valore del suo contributo, offerto al volume, circa l’iconografia Giuseppina nell’arte colta.

D. Perchè il riferimento solo a due regioni meridionali e non ad altre?

R. La volontà ad accostare una ricerca fondamentalmente sulle due regioni Puglia-Sicilia, trova giustificazione nel fatto che a noi questo binomio è sembrato essere il più esaustivo per raggiungere le finalità del volume stesso. E’ incredibilmente fascinoso e suggestivo il patrimonio di storia e di tradizioni su san Giuseppe fra le strade delle tante luminose civiltà che hanno attraversato queste due regioni-sorelle. E il volume ne dà ampiamente conto.

D. Considerando la diversità e la distanza dei luoghi presi in esame, cosa accomuna realtà territoriali e geografiche diverse tra loro per questa devozione?

R. Le connotazioni essenziali che accomunano queste due Terre solari e ricche di tanta laboriosa umanità, si riscontrano in quella tenace e caparbia volontà a mantenere, tutelare e valorizzare un’antica devozione, una testimonianza di fede dei Padri, i quali affidarono al Santo degli umili, dei poveri, del silenzio e del nascondimento, le angosce e le paure di una quotidianità sofferta e sofferente.

D. Quanto la iconografia dei santini, predisposta da Stefania Colafranceschi, ha contribuito alla buona riuscita dell’impresa?

R. Attraverso un variegato universo di costumanze e tradizioni comuni, il volume legge anche un aspetto delicato e intimo della devozione popolare a san Giuseppe, raccolto e testimoniato nei santini di una volta e magistralmente esemplato nella ricerca di Stefania Colafranceschi. A guardarli, questi minuti miracoli di carta, si coglie il delicato sentire delle folle devote dinanzi a una iconografia certamente popolare, ma capace di un trasporto di emozioni e di fede robusto verso il Santo che dopo Gesù e Maria fu il terzo protagonista del progetto salvifico dell’Altissimo. E voglio anche evidenziare l’impegno e l’attenzione delle confraternite di san Giuseppe, da sempre tese a mantenere e veicolare una devozione fatta di rituali segnici, che accompagnano la religiosità popolare nell’alveo sicuro della liturgia, nel mentre si mostrano degne custodi di un prezioso serto di valori e ideali del vivere umano, tanto magistralmente esemplato nella vita del Santo falegname di Nazaret. Ma, nel complesso, l’intero lavoro di studi e ricerche, depositato e offerto in questo volume, si configura come un’occasione di affettuosa condivisione di tante testimonianze di fede in san Giuseppe, comuni non solo in Sicilia e in Puglia, ma sparse per tutte le strade dell’ecumene, là dove è caro il nome di questo Santo patrono della Chiesa Universale.
(Intervista alla Prof.ssa Vincenza Musardo Talò a cura di Giuseppe Massari).

Volume rilegato con copertina telata e sovracoperta con impressioni in oro.
carta patinata lucida 200gr/mq interamente a colori riccamente illustrato,
208 pag. formato 21×30 e elegante custodia con impressione in oro.
É un regalo per lo studioso e il cultore di tradizioni popolari.
É un regalo per la festa del Papà e uno strumento di promozione turistica

Sommario
Presentazione [Vittorio Sgarbi]
Nota del curatore [V. Musardo Talò]
Parte prima: Sicilia. Terra di san Giuseppe
La festa di san Giuseppe: geografia cultuale in Terra di Sicilia [D. Scapati]
Tra miti e credenze. Patronage giuseppino nelle contrade siciliane [C. Paterna]
I pani merlettati di Salemi, capitale del culto siciliano in onore di san Giuseppe [P. Cammarata]
Pietanze della tradizione nelle tavolate di Vita e dintorni [S. Fischetti e AA.VV.]
Parte seconda: Puglia. Omaggio a san Giuseppe
La Puglia per san Giuseppe. Storia e devozione [V. Fumarola]
A oriente di Taranto, cuore pugliese del culto giuseppino [S. Trevisani]
San Giuseppe nel Salento: riti e tradizioni [E. Imbriani]
Architetture dell’anima: i magici altarini di san Giuseppe [V. Musardo Talò]
Asterischi
Iconografia giuseppina nell’arte colta [V. Sgarbi]
Dalla Sicilia alla Puglia:
le Confraternite di san Giuseppe custodi della religiosità popolare [V. Musardo Talò]
“A Te, o beato Giuseppe…”: il culto di san Giuseppe nei santini [S. Colafranceschi]
Autore :Autori Vari.
presentazione di Vittorio Sgarbi
Edizione: Talmus-Art – 2012
ISBN 9788890546075
Prezzo 54,60 euro

La Scuola.

 

 

                                                                               LA SCUOLA

Sorprendersi dell’Uomo.Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura.

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Don Massimo Naro,giovane teologo della chiesa nissena,direttore del Centro Studi “A.Cammarata” di San Cataldo e docente presso la Facoltà Teologica di Sicilia di Palermo,si propone con un nuovo ed interessante lavoro dal titolo:”Sorprendersi dell’Uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura”,edito dalla Cittadella editrice. I saggi raccolti in questo nuovo volume si propongono di attenzionare,in chiave teologica e ateologica,le domande radicali della letteratura contemporanea in relazione al senso dell’esistenza umana. Il libro raduna saggi dedicati a poeti e narratori che hanno cercato delle risposte alle cosi dette domande radicali. Nella presentazione al testo il Prof.Giulio Ferroni, docente alla Sapienza di Roma,dice che la “radicalità di queste domande è data proprio dal loro essere semplici,dal loro chiamare in causa l’esperienza di tutti quelli che vivono”.Interrogativi semplici, ma al contempo ultimativi, che vertono su questioni forti quali il perché “del vivere e del morire,sulla sete umana di verità e di giustizia,sulla meschine debolezze del potere,sul confronto tra Dio e il dolore innocente,sulla destinazione ultima e vera dell’uomo”.La tesi di fondo sostenuta dall’Autore è la seguente:”la letteratura,sia quella che parteggia per Dio sia quella che grida contro Dio,la letteratura esplicitamente religiosa ma anche quella ateologica,mostra di non poter rimanere senza Dio. Diventa, insomma, un discorso in cui Dio non è nominato esplicitamente e però rimane altrimenti invocato. Così la letteratura e le sue parole rinviano ad un orizzonte-altro, a cui l’uomo non può smettere di anelare”.Per dimostrare ciò,Naro interpella autori noti e meno noti della letteratura dell’otto-novecento che possono essere iscritti,a vario titolo,in ciò che l’autore definisce letteratura “meridiana”:ossia ciò che altrove è stato fatto da filosofi,soprattutto in Sicilia,è stato fatto da letterati.La lettura che Divo Barsotti fa di Leopardi  e quest’ultimo come testimone  della crisi spirituale moderna. La natura poetica della verità,ossia le questioni radicali nella scrittura letteraria dell’inglese John Henry Newman, probabilmente la vetta assoluta del pensiero cattolico post rivoluzione francese. Nato anglicano e convertitosi al cattolicesimo sino a diventare cardinale,Newman è un singolare miscuglio di teologia e letteratura. Per l’autore inglese,Don Massimo parla di autentica “poesia del pensiero” capace di esprimere nelle sue opere “un orizzonte misterioso sorprendentemente presagito oltre che acutamente interpretato,suggestivamente immaginato,ma anche lucidamente interpretato”.A fare da apri pista per gli autori siciliani è Pirandello con le sue  lanterninosofie,facendo reagire le dichiarazioni di fede dello scrittore isolano (“sento e penso Dio in tutto ciò che penso e sento”)con il suo pensiero scettico o di conclamato agnosticismo,lambendo in certi casi l’azzeramento di ogni fede. Prosegue con la  scrittrice, mistica palermitana, Angelina Lanza Damiani,prendendo in considerazione “la terza interpretazione della vita”.Le tematiche della tanatofilia e della tanatofobia,per dirla con Bufalino, attraversano il pensiero poetico siciliano e l’opera dello scrittore ateologo  Sebastiano Addamo e la verità insultante di Pippo Fava,ucciso da Cosa Nostra. L’Italia umile di Carlo Levi  e la poetica profetica di Mario Pomilio. Le domande radicali non si limitano alla sfera esistenziale e religiosa ma sfidano la stessa modernità facendo i conti con il “disinganno cosmico e religioso”,scrive Naro,che l’epoca moderna impone con prepotenza. Due interessanti capitoli conclusivi sono dedicati alla Bibbia come codice della cultura occidentale  e alla Bibbia musiva presente nei mosaici del duomo di Monreale riletta dal poeta Davide Maria Turoldo e dal teologo Romano Guardini.Scrive Naro “Per Turoldo il duomo di Monreale è un «Eden dell’Arte» e i suoi mosaici sono un «mirabile tesoro» che il popolo di Sicilia ha la responsabilità di «custodire» in forza di una vocazione consegnatagli attraverso una storia ormai plurisecolare e nonostante le ombre negative che smorzano lo splendore di questa stessa lunga e grandiosa storia. Si tratta certamente di una vocazione culturale. Ma non solo: il popolo di cui parla il poeta ha, in questi versi, un profilo ecclesiale e perciò la sua vocazione ha anche una ineliminabile qualità cristiana, dipendente proprio dal suo rapporto con il duomo e, nel duomo, con la Parola di Dio che riecheggia figurativamente nei mosaici. La «grazia» e la «virtù» di questo popolo, la sua nobiltà regale più forte di ogni pur suo infamante «crimine», consistono nel suo stare dentro la reggia – che è appunto la basilica costruita nel XII secolo da re Guglielmo II – e nel leggere, dentro la reggia, dentro la basilica, «le storie di Dio» che vi sono raffigurate su uno sfondo immenso di «pietruzze d’oro».

Guardini,scrive Naro, giunse a Monreale nel pomeriggio del giovedì santo del 1929, mentre vi si stava svolgendo la celebrazione liturgica in coena Domini, e vi ritornò il sabato santo, per la messa pasquale. E perciò ebbe la provvidenziale opportunità di vederne lo splendore artistico non nella sua immobilità e intangibilità museale – come di solito accade al turista che vi si reca semplicemente come tale – bensì rivitalizzato dall’azione liturgica alla quale, sin dalla sua costruzione, era stato destinato. Guardini, dunque, non si limitò a visitare il duomo di Monreale. Più radicalmente: lo visse, ne fece esperienza. Percependolo non come cornice materiale ma come parte integrante di un mistero vivente, in cui – per il suo carattere metastorico – ugualmente sono coinvolti gli uomini di oggi insieme a quelli che li hanno preceduti ieri e che hanno loro tramandato il testimone della fede. I profeti biblici e i santi raffigurati negli immensi mosaici monrealesi sembrarono animarsi agli occhi di Guardini, risvegliati dal fruscio dei paramenti sacri e dai canti dell’assemblea, coinvolti nei ritmi della celebrazione, aggregati alla preghiera del vescovo e dei suoi assistenti. Ma, soprattutto, interpellati dallo sguardo dei fedeli, sguardo di contemplazione attraverso cui il mistero si lasciava raggiungere e si rendeva di nuovo presente. Ciò che colpì maggiormente Guardini, secondo la sua stessa testimonianza, fu appunto lo sguardo orante della gente riunita dentro il duomo. «Tutti vivevano nello sguardo» (Alle lebten im Blick), tutti erano protesi a contemplare, scrive affascinato Guardini, intuendo il valore metafisico di quel contemplare: quegli uomini e quelle donne, vivono – più assolutamente: sono – in quanto guardano, vivono e sono perché spalancano i loro occhi sul mistero.

Infine,l’immagine messa in copertina è tratta da una rivista tedesca, negli anni trenta, i terribili anni del nazismo, diretta da Romano Guardini (la rivista si intitolava “Die Schildgenossen”, che significa “gli scudieri”, i portatori di scudo…). L’immagine fu disegnata da Desiderius Lenz, e vuole indicare il modello dell’uomo nuovo, secondo una visione cristianamente ispirata, che la rivista si proponeva di propugnare tra i suoi lettori, docenti e studenti universitari anti-nazisti. Difatti il titolo dell’immagine è “Kanon des menschlichen Kopfes” (Canone del Capo umano, o del Volto umano).

M.Naro,Sorprendersi dell’Uomo. Domande radicali ed ermeneutica cristiana della letteratura,Cittadella Editrice,pp.392,euro 22,80.

Per Crucem ad Lucem:buona Settimana Santa.

La Croce

Invito alla lettura della Bibbia.


L’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Benedetto XVI (30 settembre 2010) invita autorevolmente a riflettere sulla Parola di Dio nella Chiesa, a riscoprire la grandezza, la straordinarietà del fatto che Dio si rivela agli uomini: «Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi. Il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso». La conversazione dell’uomo con Dio si realizza anche attraverso le pagine della Sacra Scrittura.
«Umberto De Martino», scrive Michele Dolz nella Prefazione, «offre pagine semplici, per facilitare una lettura intelligibile della Scrittura. Scopo principale del libro, infatti, è invitare alla lettura della sacra pagina, fornendo elementi storici e dottrinali per un’efficace comprensione del testo. Qui non si tratta dell’analisi dei singoli testi biblici quanto del metodo per affrontare positivamente la Bibbia: l’inquadramento storico dei libri, le necessarie precisazioni filologiche e, soprattutto, il rapporto tra i due Testamenti, perché l’Antico Testamento aiuta a comprendere meglio il Nuovo che, a sua volta, illumina l’Antico».
Il volume si compone di tre parti. Nella prima vengono svolte alcune agili considerazioni metodologiche; la seconda parte contiene rapide introduzioni ai libri dell’Antico Testamento; nella terza parte vengono commentati alcuni passi scritturistici, come suggestiva esemplificazione del metodo interpretativo.

La Prefazione di Michele Dolz
Tutti oggi leggono – o possono leggere – la Bibbia. La rivoluzione di Lutero, che la voleva in mano a tutti i fedeli, è diventata realtà ordinaria anche tra i cattolici, specialmente dopo gli incoraggiamenti del Concilio Vaticano II. È cambiata radicalmente l’accessibilità al testo sacro: basti pensare che, solo poche generazioni fa, liturgicamente la Parola di Dio veniva proclamata in latino e senza amplificazione, e al popolo si fornivano prediche o riassunti narrativi della storia sacra. La Bibbia – o almeno il Nuovo Testamento – è oggi il libro più venduto e più economico. Ci sono libretti usa e getta, c’è la sconfinata risorsa della rete, abbondano film e strumenti didattici di ogni specie.
Ma questa nuova accessibilità pone subito il problema interpretativo. Lutero lo risolse non risolvendolo: ciascuno si dia la propria interpretazione. Ma la Bibbia è facile e difficile allo stesso tempo. Facile perché Dio è semplice e non si nasconde al cuore umano. Difficile perché i numerosi libri che la compongono sono stati scritti in epoche diverse, da autori diversi, in contesti culturali e linguistici anche molto lontani da noi. Serve pertanto un corredo scientifico che aiuti a inquadrare bene i fatti e gli insegnamenti per meglio comprenderne il significato.
È accaduto, però, che – dietro la spinti dei biblisti protestanti – gli studiosi si siano concentrati sugli aspetti filologici, analizzando con precisione le parole originali, gli stili letterari, la struttura dei libri… con la conseguenza che al normale fedele che legge o ascolta tali maestri, la nuova accessibilità della Bibbia diventa paradossalmente impenetrabilità, dal momento che non può disporre di così raffinati strumenti. «Possibile che la rivelazione di Dio sia raggiungibile soltanto dagli esperti?», si può domandare il lettore. E se per caso gli venisse in mente di leggere i commenti scritturistici dei Padri, si renderebbe conto che essi cercavano di distillare la teologia dei testi, il contenuto salvifico della rivelazione, con i chiarimenti di contorno che erano a loro disposizione.
L’Esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini di Benedetto XVI (30 settembre 2010) invita autorevolmente a riflettere sulla Parola di Dio nel suo uso nella Chiesa, per riscoprire la grandezza, la straordinarietà del fatto principale: Dio che si rivela agli uomini. «La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi. Il Verbo, che dal principio è presso Dio ed è Dio, ci rivela Dio stesso nel dialogo di amore tra le Persone divine e ci invita a partecipare ad esso». La conversazione dell’uomo con Dio si realizza anche attraverso le pagine della Sacra Scrittura.
Umberto De Martino offre pagine semplici, per facilitare una lettura intelligibile della Scrittura. Scopo principale del libro, infatti, è invitare alla lettura della sacra pagina, fornendo elementi storici e dottrinali per un’efficace comprensione del testo. Qui non si tratta dell’analisi dei singoli testi biblici quanto del metodo per affrontare positivamente la Bibbia: l’inquadramento storico dei libri, le necessarie precisazioni filologiche e, soprattutto, il rapporto tra i due Testamenti, perché l’Antico Testamento aiuta a comprendere meglio il Nuovo che, a sua volta, illumina l’Antico.
Michele Dolz
Capitolo I
«Lettura biblica & vita cristiana»
di Umberto De Martino
La vita umana si specifica in tante modalità intellettuali e operative; i giorni trascorrono tra il lavoro, la famiglia, lo sport, la distensione, le relazioni sociali, l’interesse politico: ognuno ha le sue attività e i suoi impegni. Tutte le operazioni hanno un valore intrinseco, possono essere opportune o inopportune, buone o meno buone; ogni azione ha una sua finalità materiale o spirituale e molte operazioni possono essere elevate a un piano superiore mediante l’applicazione personale e la grazia divina. La vita cristiana è arricchita dall’incontro personale con Dio, che talvolta è spontaneo e immediato, ma spesso richiede lo sforzo di elevazione dell’anima: una possibilità basilare di tale incontro è offerta dalla lettura biblica. Alcuni conoscono la sacra Bibbia, altri ne hanno solo sentito parlare: a tutti viene suggerito di acquistare dimestichezza con il libro sacro, elemento essenziale per la conoscenza della verità rivelata, della natura di Dio e dei princìpi morali.
La sacra Bibbia ha molte caratteristiche peculiari; in particolare, può essere considerata come la lettera di un padre ai suoi figli. I Padri della Chiesa e il Magistero ecclesiastico frequentemente considerano la sacra Bibbia come una lettera scritta da Dio Padre ai suoi figli, che vivono sulla terra e camminano verso il Cielo. «La novità della rivelazione biblica consiste nel fatto che Dio si fa conoscere nel dialogo che desidera avere con noi» (Benedetto XVI, Es. ap. Verbum Domini. 30.9.2010, n. 6).
La lettera è lunga e articolata, densa e profonda, scritta nell’arco di molti secoli, dichiarativa delle grandezze di Dio e orientativa dell’agire morale. La missiva è per tutti, ma non è una lettera circolare: si tratta di una lettera personale, che bisogna leggere per proprio conto. La lettura richiede le opportune precauzioni, affinché il contenuto risulti intellegibile e utilizzabile. La missiva è insolita, perché scritta nel corso dei secoli, con le prime pagine che vedono la luce nella profondità di circa 1.500 anni prima di Cristo e le ultime completate nel primo secolo dopo Cristo.
Inoltre, la lettera risulta pensata e trasmessa in lingue lontane dalla conoscenza comune della mentalità moderna e del tempo attuale: la stesura originale è in ebraico, aramaico e greco antico. Sono considerazioni elementari, che invitano a una lettura prudente, cauta, umile. La distanza culturale, però, non si oppone alla lettura personale, anche nel caso di coloro che non hanno una dotazione scientifica appropriata per cogliere tutta la ricchezza e tutte le sfumature del libro sacro. Chi non conosce le lingue originali o non è addentro alla storia e all’antropologia dei semiti percepirà qualcosa in meno, ma riuscirà a valorizzare il messaggio personale che la rivelazione trasmette a ciascuno.
Lo strumento essenziale per entrare in contatto con le verità divine della sacra Scrittura è la fede, che è la dotazione più comune dei cristiani. Anche quelli che, pur battezzati, dicono di non avere fede, sono pienamente idonei alla lettura efficace della Bibbia se accettano la condizione più semplice di chi ha bisogno di una lettura guidata.
La vita cristiana invita tutti all’incontro personale con Dio, e questo si realizza mediante la preghiera, i sacramenti e la partecipazione diretta alla rivelazione divina contenuta nella sacra Bibbia. La figura veterotestamentaria di Dio creatore talvolta risulta un po’ lontana per l’uomo moderno, ma la figura di Gesù Cristo è vicinissima all’uomo del nostro tempo. Anzi, «in Cristo la religione non è più un “cercare Dio come a tentoni” (cfr At 17, 27), ma risposta di fede a Dio che si rivela: risposta nella quale l’uomo parla a Dio come al suo Creatore e Padre; risposta resa possibile da quell’Uomo unico che è al tempo stesso il Verbo consustanziale al Padre, nel quale Dio parla a ogni uomo e ogni uomo è reso capace di rispondere a Dio» (Giovanni Paolo II, Let. ap. Tertio millennio adveniente, 10.XI.1994, n. 6).
La religione è la virtù che consente all’uomo di dare a Dio qualcosa, con la gratitudine di chi ha ricevuto e riceve tutto dal Creatore. La religione è l’insieme delle operazioni che costituiscono la risposta umana alla rivelazione divina. L’uomo ha la possibilità di incontrare il Signore personalmente e questo si verifica nel dialogo con Gesù; la vita cristiana non è esclusivamente un insieme di regole di comportamento, ma è un progressivo incontro con Dio. La conversazione di Dio con ogni donna e con ogni uomo ha la sua premessa nella divina rivelazione, la risposta dell’uomo si snoda a partire da ciò che Dio ha manifestato di sé stesso. La Bibbia porge la manifestazione di Dio e l’uomo, quando desidera conversare con Dio, non può fare a meno di conoscere quanto Dio ha voluto trasmettere nella sua lettera.
La stesura della Bibbia si realizza poco a poco: Dio si manifesta e scrittori determinati (agiografi) mettono per iscritto quanto Dio trasmette. Dio ha parlato nel corso della storia ebraica e uomini concreti hanno ricevuto il messaggio divino; alcuni hanno scritto quello che veniva manifestato a loro o ad altri. Così, è stata registrata la cronaca degli avvenimenti dell’Esodo e sono stati riportati gli eventi principali della vita di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il profeta Isaia ha vissuto la sua esperienza personale dell’incontro con Dio e ha lasciato una relazione ampia di tutta la sua attività profetica. E tanti altri agiografi hanno fissato nei loro libri la parola di Dio dalle origini fino alla venuta di Cristo.
La Scrittura offre questo dato: Dio ha parlato nei tempi antichi mediante i profeti e, nei tempi della Redenzione, il messaggio divino è stato completato e concluso da Gesù Cristo. Il libro unico della Bibbia è l’insieme di tanti libri, che contengono sempre la parola di Dio e, nella rispettiva specificità, manifestano l’impronta dell’agiografo, del tempo e del luogo di composizione.
Il Magistero docente, nei secoli della vita della Chiesa, ha sempre raccomandato un ampio utilizzo della sacra Bibbia e, in modo specifico, l’ultimo Concilio si è espresso così: «Il santo Concilio esorta con ardore e insistenza tutti i fedeli, soprattutto i religiosi, ad apprendere “la sublime scienza di Gesù Cristo” (Fil 3, 8) con la frequente lettura delle divine Scritture. “L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo” (san Girolamo). Si accostino essi volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi, che con l’approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque. Si ricordino però che la lettura della sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabilisca il dialogo tra Dio e l’uomo; poiché, “quando preghiamo, parliamo con lui; lui ascoltiamo, quando leggiamo gli oracoli divini” (sant’Ambrogio)» (Concilio Vaticano II, Cost. dogm. Dei verbum, 18.XI.1965, n. 25).
Umberto De Martino

SENTENZA STORICA PER I DOCENTI DI RELIGIONE.


Uno dei romanzi più famosi della letteratura italiana è il “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa che descrive la società siciliana risorgimentale volendo comunicare una amara verità:tutto cambia ma perché nulla,nella sostanza cambi. Il contenuto del predetto romanzo si addice perfettamente alla situazione attuale della gestione dei docenti di religione di ruolo ad opera di chi fa finta che nulla sia cambiato in seguito alla legge n.186/03 che ha disciplinato l’immissione in ruolo di tanti docenti e le conseguenze successive ad essa. Così si continua a far finta di niente e come se nulla fosse successo,in alcune realtà diocesane,la realtà degli IDR è rimasta inalterata con una gestione feudale e “mafiosa” degli stessi ad opera del saccente di turno che non si pone tanti interrogativi né di natura morale né giuridica circa la dignità e lo status giuridico degli IDR. Così si continua a pestare la stessa acqua putrida nel mortaio delle raccomandazioni,delle segnalazioni,dei privilegi,del favorire il docente di turno per questo o quest’altro motivo. E’ amaro costatare che i veri nemici degli IDR non sono all’esterno delle realtà ecclesiali ma proprio al loro interno.
La legge 186/2003 ha sostanzialmente cambiato,malgrado ciò che possa pensare qualche incompetente di turno(in giro ve ne sono sin troppi!), lo stato giuridico dei docenti di religione, principalmente per due motivi: 1) ha trasferito il sistema di reclutamento, sia per i docenti di ruolo che per gli incaricati annuali, dall’istituzione scolastica alla Direzione regionale con un organico regionale articolato su base diocesana; 2) ha previsto per il personale di ruolo l’applicazione delle norme di stato giuridico previste dalle disposizioni legislative in materia di istruzione (D.L.vo 297/1994) e dalle norme contrattuali. Per quanto riguarda il primo punto è indubbio che la legge 186/2003, avendo assegnato la competenza delle nomine al Direttore regionale, ha di fatto elevato il livello dell’Intesa da un settore ristretto alla singola istituzione scolastica ad un ambito più ampio che abbraccia tutto il territorio della diocesi.
Se poi si tiene presente che per la mobilità dei docenti di religione di ruolo si applicano le disposizioni contrattuali, allora diventa ancora più chiaro che il compito di individuare chi voglia o debba spostarsi da una sede all’altra compete al Direttore regionale, il quale dovrà utilizzare i criteri oggettivi stabiliti dal Contratto collettivo e dall’ordinanza ministeriale. Insomma appare chiaro che il docente di religione di ruolo ha il diritto di rimanere nella propria sede di servizio (ovviamente escludendo il caso in cui viene revocata l’idoneità), a meno che non voglia andare su un’altra sede oppure sia costretto a chiedere una nuova sede per contrazione delle ore disponibili.
Questa doverosa premessa serve a segnalare agli addetti ai lavori una sentenza di portata storica,la n.4666 emessa dal pretore del lavoro di Lucera (FG) del 1/12/2010,in favore di un insegnante MARIO LORIZIO che lo scorso anno scolastico si è visto trasferire d’ufficio dalla sua sede di servizio-il circolo didattico di Viesti,ad un’altra sede di servizio a 40 KM di distanza ossia presto l’istituto G.Falcone di Rodi.Un trasferimento,unitamente ad un passaggio dalla scuola primaria a quella dell’infanzia,che il giudice ha ritenuto illegittimo “in quanto la normativa in materia degli IDR prevede che dopo la prima assegnazione IL TRASFERIMENTO Può AVVENIRE SOLAMENTE PER LA PERDITA’ DELL’IDONEITA’ O PER LA MANCANZA DELLA DISPONIBILITA’ DI ORE”.Presupposti assenti nella vicenda dell’insegnante in questione,il quale è anche titolare della legge n.104.
Inoltre,si ricorda ai benpensanti del malaffare e a chi vuole coprire le proprie incapacità gestionali con brogli di sorta per favorire il lecchino di turno, che l’O.M. n.29/2010,art.8 c.2 dice che “le sedi assegnate agli IDr si intendono confermate di anno in anno”.Dunque la normativa vigente non disciplina alcuni ipotesi di “utilizzazione forzata” assicurando loro il diritto alla mobilità e alla utilizzazione SOLTANTO A DOMANDA DELL’INTERESSATO.
Infine,augurando al collega Mario di ritornare al più presto nella sua sede naturale,è opportuno precisare come la “causa” del collega sia stata portata avanti dalla Flc CGIL e non da altri sindacati “vicini”,solo a parole,agli idr.

Sul crinale del mondo moderno.Scritti brevi su cristianesimo e politica.

Lo spazio dei fratelli.

invito_spazio dei fratelli

L’Altro Risorgimento.


Che cosa è stato il Risorgimento? Nella vulgata recepita nei testi scolastici diversi conti non tornano. Uno per tutti: com’è possibile che, in nome della libertà e della Costituzione, i governi liberali decidano la soppressione di tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Roma, quando il primo articolo dello Statuto dichiara il Cattolicesimo «religione di Stato»? Sta di fatto che 57.492 persone vengono messe sul lastrico, cacciate dalle proprie case, private del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto. Non a caso i papi Pio IX e Leone XIII individuano nel Risorgimento un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», messo in atto dalla Massoneria. A centocinquant’anni dall’unità in Italia non solo si stenta ad ammettere questi fatti, documentati nell’evidenza delle fonti, ma si continua, da Nord a Sud, a combattere la comune identità cattolica quasi fosse l’ostacolo che preclude un’autentica coesione nazionale.
L’Autrice – coraggiosa antagonista di ogni ideologia, come spiega mons. Luigi Negri – muove da posizioni controcorrente: perché l’Italia possa riacquistare l’unicità che la caratterizza nella storia ha bisogno di riconoscere il peccato da cui è stata originata, l’attacco frontale alla tradizione cristiana e alla Chiesa cattolica.

L’Introduzione di Angela Pellicciari

«L’Historia si può veramente deffinire una guerra illustre contro il Tempo, perché togliendoli di mano gl’anni suoi prigionieri, anzi già fatti cadaueri, li richiama in vita, li passa in rassegna, e li schiera di nuovo in battaglia».

L’introduzione dei Promessi sposi è notoriamente una parodia del linguaggio e della cultura seicenteschi ma Alessandro Manzoni, pur sorridendo, intende anche cominciare in medias res, mettendo subito in chiaro la grande importanza della ricerca storica: fare storia significa ridare la vita ad un passato che non si conosce o si conosce male.

1796-1861: ricordando fatti noti e meno noti, questo libro si propone di ricostruire l’ambiente rivoluzionario che caratterizza l’Italia del XIX secolo, senza la pretesa di raccontare tutto ma, almeno, con l’obiettivo di raccontare quello che serve per capire, per «richiamare in battaglia» fatti e persone prigionieri, del tempo certamente, ma soprattutto degli uomini che li hanno voluti tali.

L’immagine del Risorgimento che ci è stata tramandata è quella voluta da coloro che lo hanno costruito: i governanti del Regno di Sardegna, innanzi tutto, ma anche tutti gli uomini che ne hanno appoggiato la politica, e, non ultimi, i governi delle potenze alleate che ne hanno reso possibile la realizzazione. Cosa è stato, dunque, il Risorgimento, dal loro punto di vista?

Risorgimento per costoro significa l’agognata riconquista, dopo tanti secoli, dell’unità e dell’indipendenza nazionali, indispensabili per occupare un «posto al sole» all’interno del consesso «civile»; significa la vittoria della libertà sull’oscurantismo, l’arretratezza e la violenza dei governi pontificio e borbonico; significa farla finita con i privilegi e la monarchia assoluta realizzando una monarchia costituzionale dove la legge è uguale per tutti e dove Stato e Chiesa siano liberi ciascuno in casa propria, ma distinti e separati l’uno dall’altra. Nella lettura del Risorgimento tramandataci dai suoi protagonisti ci sono però molti fatti che restano senza spiegazione. Uno per tutti: i Savoia e i liberali sostengono di avere la forza morale dalla loro perché costituzionali e liberali, eppure la formazione del primo governo costituzionale coincide con la sistematica violazione dei più importanti articoli dello Statuto. Non appena ripudiata la monarchia assoluta, per esempio, in violazione del primo articolo che stabilisce «La religione cattolica apostolica e romana è l’unica religione di stato», il governo sardo scatena in Piemonte la prima seria persecuzione anticattolica dall’epoca di Costantino, immediatamente estesa al resto d’Italia dopo l’unificazione. L’1,70% della popolazione di fede liberale (quella che ha diritto di voto) decide la soppressione, uno dopo l’altro, a cominciare dai gesuiti, di tutti gli ordini religiosi della religione di stato. Iniziate nel 1848 dal Regno di Sardegna, le soppressioni sono ultimate dal Regno d’Italia nel 1873, dopo l’annessione di Roma. Un numero davvero ingente di persone, 57.492 fra uomini e donne, tanti sono i membri degli ordini religiosi soppressi, vengono messi sul lastrico, cacciati dalle proprie case, privati del lavoro, dei libri, degli arredi sacri, degli archivi, della vita che hanno scelto.

Tutto in nome della libertà e della costituzione. In questo secolo la storiografia liberale sia laica che cattolica ha dato voce alle dichiarazioni di intenti della classe dirigente risorgimentale ma ha dimenticato i fatti ed ha messo la sordina alla stampa e alla storiografia cattoliche dell’Ottocento col risultato che, oggi, si conoscono solo le ragioni dei liberali, cioè dei vincitori.

Eppure in decine di encicliche ed allocuzioni Pio IX afferma che le cose non stanno come la propaganda liberale vuol far credere. Il papa descrive nel dettaglio quali persecuzioni, violenze e rapine facciano seguito alle sbandierate ragioni di costituzionalità e libertà, e denuncia la lotta senza quartiere che le società segrete, a cominciare dalla Massoneria, conducono in tutto il mondo contro la Chiesa cattolica. La Chiesa ha sempre combattuto contro tanti nemici, questa volta però l’insidia è più grande perché i nemici non combattono a viso aperto ma si dichiarano cattolici e sinceramente devoti al bene della Chiesa.

Pio IX e Leone XIII (e la Chiesa con loro) sono convinti che il tanto decantato Risorgimento sia solo un tentativo di «sterminare la religione di Gesù Cristo», voluto e promosso dalla Massoneria nell’intento di distruggere il potere spirituale usando come grimaldello la fine del potere temporale. Il risveglio del sentimento «nazionale» avrebbe di mira, secondo questo punto di vista, la distruzione dell’universalismo cattolico per soppiantarlo con un potere internazionale di tipo nuovo, al passo con i tempi, radicalmente anticattolico.

Se i papi, e le popolazioni meridionali con loro, hanno qualche ragione nel sostenere che Risorgimento significhi risorgimento del paganesimo e gigantesca rapina ed ingiustizia perché, con la scusa della «pura morale» e della «vera religione», i liberali diventano proprietari con due soldi di tutti i beni sottratti al 98% della popolazione (Chiesa e pubblico demanio), allora ad esser in gioco non è un aspetto marginale della nostra vicenda storica; è qualcosa che ha a che fare con l’essenza stessa del nostro essere italiani, con la nostra identità collettiva.

Se le cose stessero come tutta la letteratura sia cattolica che massonica del secolo scorso non si stanca di ripetere, se fosse vero che la Massoneria scatena in Italia una guerra senza quartiere contro la Chiesa cattolica utilizzando i Savoia e i liberali come testa di ponte, allora gli artefici del Risorgimento sarebbero non i primi italiani ma i primi antiitaliani. Allora la nostra storia unitaria, e non solo quella, andrebbe vista sotto un’altra ottica. E chissà che questa ottica non ci procuri elementi per capire qualcosa di più. Il 18 agosto 1849 Pio IX scrive alla granduchessa Maria di Toscana: sebbene «la tutela del dominio temporale della S. Sede sia in me un dovere di coscienza, pur nonostante è un pensiero assai secondario in confronto dell’altro che mi occupa, di procurare cioè che i popoli cattolici conoscano la verità».Quale è la verità? Questo libro si propone di cercarla.

Angela Pellicciari storica del Risorgimento e del rapporto fra Papi e Massoneria; dottore in Storia ecclesiastica, attualmente insegna Storia della Chiesa nei seminari Redemptoris Mater. Fra i suoi numerosi studi ricordiamo I panni sporchi dei Mille (Liberal) e Leone XIII in pillole (Fede & cultura). Con le Edizioni Ares ha già pubblicato il best seller Risorgimento da riscrivere e il volume I Papi e la Massoneria.

VOCI DALL’AULA.I giovani oltre il nichilismo.


Noi adulti sappiamo davvero poco dei ragazzi di oggi, di come vedono se stessi e il mondo, di come giudicano i grandi e la società, delle loro paure, sofferenze, desideri, bisogni, sentimenti. Ci accorgiamo raramente di quanto sono intelligenti, autentici, maturi. Solitudine, disorientamento, delusione, paura, mancanza di prospettive, noia, percezione del non senso, aridità nelle relazioni, apatia, scetticismo, sfiducia: questo è il terreno nichilista nel quale crescono i ragazzi.
Ma in essi c’è una profonda attesa, di felicità e di pienezza: quello che Nietzsche definiva ospite inquietante – e che si annida nel loro cuore – attende l’Ospite dolce dell’anima, che bussa alla porta di ciascuno di noi.
Questo libro è la risposta scritta di un Professore di Liceo alle domande e alle riflessione che i suoi ragazzi gli hanno posto attraverso i temi, le lettere, i dialoghi in aula. Cultura, esperienza, senso religioso, sono la materia che l’umanità dell’educatore plasma in queste pagine, offrendo la sua chiave di lettura sul senso e il buono della vita.
Il presente lavoro è lo sviluppo di un precedente saggio (1), una riflessione sul mondo dei ragazzi condotta attraverso la lettura dei loro componimenti scolastici. I testi utilizzati allora erano stati elaborati all’interno di due classi (una seconda ed una terza liceo) di un Istituto Superiore della Provincia di Bergamo. Decisi di intervenire il minimo possibile nella trama delle riflessioni contenute negli elaborati, per lasciare che emergesse la voce dei protagonisti, consapevole del fatto che difficilmente i ragazzi parlano davvero di loro stessi, della loro intimità: come stanno, cosa provano, cosa desiderano, cosa pensano. Dovevano essere loro a fornire elementi di conoscenza del proprio mondo agli adulti.
Perché allora una continuazione? Quella lettura aveva il pregio di far emergere le domande dei ragazzi, alle quali non volevo sovrapporre le mie risposte: oggi mi sento quasi in dovere di addentrarmi in questo ulteriore tentativo, poiché essi, a mio modo di vedere, sono evidentemente in attesa di proposte, anche umili, frutto di un’esperienza in divenire e del tutto personale.
Colgo un grande vuoto ed una profonda solitudine nel viso dei miei interlocutori, non frutto della loro aridità ma della nostra assenza o della nostra indifferenza.
Amore, politica, cultura, lavoro: tutto sembra essere così svuotato di dignità, intensità, profondità da rendere comprensibile quel radicale nichilismo con cui tanti ragazzi percepiscono la realtà, al limite dell’invivibilità.
Quando entro in una classe, soprattutto quelle iniziali della scuola superiore, ho sempre la percezione che gli occhi, i volti, la vitalità, la sola presenza dei ragazzi che ho davanti, siano domanda, attesa di qualcosa che essi aspettano da me, da noi, dagli adulti in generale. Oggettivamente è così: sono l’insegnante e si aspettano che io trasmetta loro qualcosa, possibilmente significativo, bello. Un ragazzo è una promessa, un bisogno rispetto al quale l’adulto ha naturalmente una responsabilità. Ebbene il testo l’ho scritto perché tante volte mi sento in debito verso di loro: sento che c’è qualcosa che è dovuto, una ragione e una proposta di vita, un’ipotesi di impegno della loro esistenza, che oggi non riusciamo più a comunicare adeguatamente. Ma in essi c’è una profonda attesa, di felicità e di pienezza: quello che Nietzsche definiva ospite inquietante – e che si annida nel loro cuore – attende l’Ospite dolce dell’anima, che bussa alla porta di ciascuno di noi.
Ho cercato l’espressione delle corde più profonde che fanno vibrare il mio cuore e alla mancanza delle quali nessun giovane dovrebbe mai abdicare: il desiderio della bellezza, dell’amore, di Dio.
Ciò che più di tutto mi preme esprimere è la percezione dell’assoluta coincidenza tra Dio e ciò che nel mondo creato attrae come bellezza: natura, persone, sentimenti, affetti… tutto della creatura coincide con il Creatore. Il male non è negato ma il mio sguardo sul mondo creato desidera e vuole essere capace di coglierlo nella sua innocenza, grazie al sacrificio redentore di Cristo.
L’assenza di Cristo, il vuoto da Lui lasciato nel cuore dei giovani, è la radice più profonda del loro smarrimento. Il cuore umano ha bisogno di Dio, lo cerca, niente può dare respiro all’animo, alla profondità della sua sete, se non l’abbraccio e la deposizione della propria inquietudine nella presenza del Padre. Cercare di rispondere al bisogno di un giovane senza arrivare a questo livello è, nella mia esperienza, un girare a vuoto, un «immoto andare» per usare un’espressione di Montale (2).
Alla libertà dignitosa ma soffocante, colma di solitudine e di aridità, che Nietzsche ha lasciato alla sua era, si oppone compiutamente una sola alternativa: l’amore, l’amore inconcepibile di quella Croce, nella quale ogni umano sentimento, sfumatura, intuizione è accolta nella sua verità. La Sua verità è inclusiva: tutto ciò che è veramente umano è Lui.
Il giovane, come ricorda San Giovanni Bosco, ha bisogno di sentire di essere amato: il nichilismo è sconfitto se la nostra esistenza è per sempre, è importante, se le esigenze del cuore contano qualcosa.
Ma quale amore può dissetare una sete d’amore che umanamente è inestinguibile? Arrivare a Cristo è arrivare alla fonte profonda, dove la domanda di Dio diventa domanda di occhi, mani, braccia, sorriso, dolore di Dio, dove il bisogno d’amore è accolto fino alla sua implicazione ultima: morire d’amore, morire d’amore su una Croce, alla cui base è deposto tutto il dolore umano. «Io ho bisogno di Cristo, e non di qualcosa che Gli somigli», affermava ancora Lewis (3): abbiamo bisogno della Sua presenza, della Sua amicizia.
E’ l’innocenza di quella vittima che ha spaccato la ferrea visione di Nietzsche: l’innocenza di quella vittima è la pace e l’approdo a quella guerra che combattiamo in noi, quel combattimento – che in fondo vorremmo perdere – contro la Sua amorosa e discreta presenza, perché la pace è riconoscerLo e amarLo, come afferma sant’Agostino: «Tu mostri in modo abbastanza evidente la grandezza che hai voluto attribuire alla creatura razionale; alla sua quiete beata non basta nulla, nulla che sia meno di te, Cristo» (4).

1.M. Lusso, Quello che ai genitori non diciamo, Liberedizioni, Brescia 2007.
2.E. Montale, Arsenio in L’opera in versi, Einaudi, Torino 1980, p. 81.
3.C. S. Lewis, Diario di un dolore, op. cit., p. 74.
4.Sant’Agostino, Confessiones, Libro XIII, 8.9.

L’AUTORE

Matteo Lusso, laureato in Lettere Moderne, è docente di ruolo in un Liceo Socio-Psicopedagogico della Provincia di Bergamo. Svolge attività di ricerca negli àmbiti dell’orientamento scolastico e del diritto allo studio. Fra le sue opere ricordiamo: Quello che ai genitori non diciamo, un viaggio nel mondo dei ragazzi attraverso la lettura dei loro componimenti (2007); e la raccolta di poesie Non morire dentro (2008).

I Valori straordinari della nostra civiltà.

DI MASSIMO INTROVIGNE

Una circostanza veramente felice ci porta a riflettere sul Vercelli Book a pochi giorni dalla visita in Gran Bretagna di Benedetto XVI. Infatti, il Vercelli Book è un testo essenziale per comprendere le radici cristiane dell’Inghilterra. Risale al decimo secolo ed è uno dei quattro più antichi codici poetici in inglese, essenziali per lo studio della formazione di questa lingua, senza che si possa dire con certezza quale di questi quattro testi sia il più antico. La presenza a Vercelli di questo libro, casuale o se si preferisce provvidenziale, è dovuta a un intreccio di strade che portavano monaci e pellegrini dalla lontana Gran Bretagna a Roma e ritorno, già di per sé un elemento che mostra l’unità spirituale dell’Europa del Medioevo. Il Vercelli Book è una prova particolarmente eloquente, che ancora oggi possiamo vedere e consultare, delle radici cristiane della Gran Bretagna e dell’Europa. I temi che tratta sono profondamente religiosi e cristiani, e nello stesso tempo profondamente britannici ed europei. Le storie dei santi e dei primordi della Cristianità intrecciano elementi biblici e altri che derivano dai poemi epici celtici, non giustapposti ma fusi insieme armonicamente. Dalle pagine del Vercelli Book esce viva una cultura che è insieme celtica e cristiana, formata nei monasteri, e che ci ricorda come alle radici greche, romane e bibliche dell’Europa se ne aggiunga, a formare la Cristianità, una quarta, anglo-germanica e appunto celtica, che non va mai trascurata.
In qualunque Paese di tradizione cristiana si siano recati, il venerabile Giovanni Paolo II (1920-2005) e Benedetto XVI sempre hanno insistito sul fatto che le origini e la storia di questo Paese sono segnate dall’opera dei santi. Infatti, «le antiche nazioni dell’Europa hanno un’anima cristiana, che costituisce un tutt’uno col “genio” e la storia dei rispettivi popoli, e la Chiesa non cessa di lavorare per mantenere continuamente desta questa tradizione spirituale e culturale» (Benedetto XVI, 2010d).
Benedetto XVI è tornato sistematicamente nel suo recente viaggio al tema della «lunga storia dell’Inghilterra, così profondamente segnata dalla predicazione del Vangelo e dalla cultura cristiana dalla quale è nata» (Benedetto XVI 2010c), e delle «profonde radici cristiane che sono tuttora presenti in ogni strato della vita britannica» (Benedetto XVI 2010a). Il Papa ha richiamato il ruolo essenziale svolto per la nascita delle nazioni che compongono la Gran Bretagna dai «monaci che hanno così tanto contribuito alla evangelizzazione di queste isole. Sto pensando ai Benedettini che accompagnarono Sant’Agostino [di Canterbury, 534-604] nella sua missione in Inghilterra, ai discepoli di San Columba [521-597], che hanno diffuso la fede in Scozia e nell’Inghilterra del Nord, a San Davide [ca. 512-601] e ai suoi compagni nel Galles» (Benedetto XVI 2010b).
E nel secolo successivo all’epoca d’oro dei santi inglesi, il settimo, il Papa evoca la figura del benedettino san Beda il Venerabile (672-735), dalla cui testimonianza preziosa ricaviamo qualche notizia sui primi grandi poeti cristiani in lingua inglese, Cynewulf e Caedmon, i cui testi più antichi ci sono conservati nel Vercelli Book: Il destino degli Apostoli, Elena e forse Andreas per Cynewulf, Il sogno della croce per Caedmon, senza peraltro che le attribuzioni siano del tutto sicure. Certo invece è che questa altissima poesia nasce come si è accennato dall’incontro fra l’epica celtica e la lettura della Bibbia nei monasteri, nell’epoca d’oro del primo cristianesimo inglese.
«Fu l’impegno dei monaci nell’imparare la via sulla quale incontrare la Parola Incarnata di Dio che gettò le fondamenta della nostra cultura e civiltà occidentali» (Benedetto XVI 2010b). In Inghilterra il Papa ha specificamente richiamato il suo discorso del 12 settembre 2008 al Collège des Bernardins a Parigi (Benedetto XVI 2008), da molti giudicato uno dei grandi discorsi del suo pontificato insieme a quello del 12 settembre 2006 all’Università di Ratisbona che lo precede esattamente di due anni. Al Collège des Bernardins il Papa fa notare che le radici cristiane dell’Europa sono, più precisamente, radici monastiche.
Le «radici della cultura europea» si trovano nei monasteri, i quali «nel grande sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione di popoli e dai nuovi ordini statali che stavano formandosi» non solo conservano «i tesori della vecchia cultura» ma insieme ne formano una nuova (ibid.). Per la verità, i monaci non avevano come scopo la cultura: «si deve dire, con molto realismo, che non era loro intenzione di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio» (ibid.). Non si trattava però di una ricerca senza bussole né di «una spedizione in un deserto senza strade» (ibid.). Al contrario, «Dio stesso aveva piantato delle segnalazioni di percorso» e dato ai cercatori una via: «la sua Parola», consegnata agli uomini nelle Sacre Scritture (ibid.).
La cultura dei monaci era così necessariamente una «cultura della parola», e i monaci avevano bisogno di studiare le «scienze profane», a partire dalla grammatica, non perché coltivassero la scienza per la scienza ma perché per la loro ricerca di Dio avevano bisogno di comprendere la Scrittura, e questo non poteva avvenire senza le scienze. Benedetto XVI cita ripetutamente lo storico benedettino dom Jean Leclercq, O.S.B. (1911-1993), per il quale nell’esperienza dei monaci del Medioevo désir de Dieu e amour des lettres procedevano necessariamente insieme. Così, ogni monastero aveva sempre una biblioteca e una scuola, perché senza questi strumenti era impossibile prepararsi e preparare a comprendere la Parola di Dio e quindi cercare Dio. Dunque, anche se lo scopo dei monaci non era creare la cultura europea di fatto essi furono condotti a crearla e a trasmetterla alle generazioni successive.
Per comprendere bene la Parola di Dio e per annunciarla i monaci dovevano studiare il greco, il latino, la cultura biblica e anche le tradizioni dei popoli in mezzo ai quali vivevano e cui dovevano annunciare il Vangelo. Nasce qui quel grande dialogo fra tradizione culturale celtica e sapienza biblica della cui espressione in forma poetica il Vercelli Book è eloquente testimone. Si pensi al primo poema del Vercelli Book, Andreas. Qui sant’Andrea, il santo patrono della Scozia la cui crux decussata o croce diagonale, su cui fu martirizzato, costituisce la bandiera scozzese ed è parte della bandiera britannica detta Union Jack, cerca di salvare il collega apostolo san Matteo che è stato rapito dai cannibali Mirmidoni. Del leale equipaggio della sua nave – un tipico comitatus, o gruppo di uomini, come s’incontra tanto spesso nella letteratura celtica e britannica – fanno parte un timoniere e due marinai, che sono in realtà Gesù e due angeli sotto mentite spoglie. Ma sant’Andrea non lo sa, e annuncia loro il Vangelo. Gesù ne è così soddisfatto che gli concede prima il dono dell’invisibilità, grazie al quale sant’Andrea riesce a penetrare nelle terre dei Mirmidoni, poi la forza – quando è scoperto – di resistere alle loro torture e infine di convertire i cannibali al Vangelo e liberare san Matteo. Anche questo poema ci fa vedere come nasce l’Europa nei monasteri: le radici della storia sono greche e derivano dagli Atti di Andrea nel quarto secolo, con un’ovvia eco dell’Odissea di Omero, ma la materia è rielaborata con l’andamento fiero e quasi militare delle epopee celtiche, su una base che rimane quella della Bibbia e della storia della salvezza cristiana.
E il messaggio è cristiano. I Mirmidoni che si cibano della carne degli uomini rappresentano, come il drago ucciso da san Giorgio, il paganesimo con i suoi sacrifici umani e con tutti i suoi aspetti oscuri che il cristianesimo sconfigge e incatena. Ma i Mirmidoni non sono il drago, cioè Satana: sono uomini, vittime del drago. Sant’Andrea dunque li sconfigge, ma non li distrugge: li converte. Così fa il cristianesimo europeo, che non distrugge l’eredità precristiana ma la purifica dai suoi aspetti inaccettabili e, convertendola, la preserva e ne fa una componente del tessuto dell’Europa.
Non potendo citare tutti i testi del Vercelli Book, vorrei fare almeno un riferimento a Elena, capolavoro di Cynewulf che vi appone anche la sua firma, una classica storia di inventio di una reliquia, anzi della reliquia per eccellenza, la Santa Croce, da parte di sant’Elena (ca. 250-330), madre dell’imperatore Costantino (272-337). L’episodio è storico, come la grande passione di sant’Elena per le reliquie, ma il poema è deliziosamente anacronistico, perché mette in scena nella Gerusalemme dei tempi di Costantino gli Unni e i Franchi. Sant’Elena è trasfigurata in una tipica eroina della mitologia celtica. Arriva a Gerusalemme alla testa di un’armata e compie diverse azioni eroiche e meritorie per ritrovare la Vera Croce, compresa la conversione di quello che emerge come il suo principale oppositore, l’ebreo Giuda. Alla fine di una ricerca davvero epica, in cui Satana stesso ostacola l’intrepida Elena, si scoprono non una ma tre croci, e nessuno sa quale sia quella di Gesù Cristo. Sono poste sopra un morto, e solo la Vera Croce lo fa risorgere. La Elena guerriera e nordica si trasfigura in una zelante ed eloquente predicatrice della verità del cristianesimo.
Forse il testo del Vercelli Book che ha avuto la maggiore influenza nella formazione della cultura britannica è The Dream of the Rood, talora tradotto come «Il sogno della croce». Rood è il legno dell’albero da cui è tratta la Vera Croce, oggetto di una visione in cui il legno stesso appare, parla e racconta la storia della crocefissione dal punto di vista della Croce stessa. Ora, un albero che vive e parla è un elemento tipico del folklore celtico, e se ne ritrovano le tracce ancora nell’opera di John Ronald Reuel Tolkien (1892-1973). Ma i tentativi moderni di ridurre The Dream of the Rood a un testo pagano non possono che fallire. Lo specifico albero da cui è tratta la Vera Croce è eminente per il suo rapporto con la Passione di Gesù Cristo, e il suo messaggio annuncia Cristo crocifisso e destinato a risorgere, non gli alberi o un mito pagano della natura. Contrapporre la radice celtica e quella cristiana del poema è, anche qui, un errore. I due elementi vivono e compongono un gioiello della poesia europea proprio in quanto stanno insieme.
Porzioni di The Dream of the Rood sono incise sulla croce di Ruthwell, un’opera dell’arte anglo-sassone dell’ottavo secolo che è una vera Biblia pauperum e corrisponde a un vasto programma catechistico sviluppato attraverso le immagini. È significativo che la croce sia stata distrutta da protestanti iconoclasti nel 1664, i quali però provvidenzialmente non ne dispersero i pezzi, così che nel secolo XIX è stato possibile il restauro dell’opera che oggi si trova nella chiesa scozzese di Ruthwell.
Il Vercelli Book non contiene solo poesia. C’è anche prosa: in particolare, una vita di san Guthlac di Croyland (673-714), un santo tuttora molto venerato nell’Inghilterra Orientale. San Guthlac ci richiama a un’altra radice del cristianesimo inglese ricordata da Benedetto XVI nel suo viaggio, quella regale e nobiliare. Rivolgendosi alla regina Elisabetta II il Papa così si è espresso: «I monarchi d’Inghilterra e Scozia erano cristiani sin dai primissimi tempi ed includono straordinari Santi come Edoardo il Confessore [1002-1066] e Margherita di Scozia [1045-1093]. Come Le è noto, molti di loro hanno esercitato coscienziosamente i loro doveri sovrani alla luce del Vangelo, modellando in tal modo la nazione nel bene al livello più profondo. Ne risultò che il messaggio cristiano è diventato parte integrale della lingua, del pensiero e della cultura dei popoli di queste isole per più di un millennio. Il rispetto dei vostri antenati per la verità e la giustizia, per la clemenza e la carità giungono a voi da una fede che rimane una forza potente per il bene nel vostro regno» (Benedetto XVI 2010a).
San Guthlac, nobile guerriero imparentato con re degli antichi popoli inglesi e maestro di futuri re come Etebaldo di Mercia (?-757), conclude – come altri nobili inglesi di quell’epoca – la sua vita diventando monaco, nutrendosi – come ci assicura il Vercelli Book – di pane ed acqua e vestendosi di sole pelli di animale. A riprova dell’intreccio culturale di cui il libro è testimone, il testo di Vercelli deriva da una più antica Vita Sancti Guthlaci in latino, quasi contemporanea al santo e per questo particolarmente attendibile. Insieme, la duplice vita di san Guthlac come guerriero e come monaco ci richiama alla complessità delle radici dell’Europa, la cui identità è stata difesa contro tanti nemici, con le armi e con i libri. In questo senso, la riflessione sulle radici monastiche e regali della cultura europea costituisce un nuovo richiamo a riscoprire quel segreto dell’Europa, l’armonia fra fede e ragione, fra religione e vita civile che già era al cuore del discorso di Benedetto XVI a Ratisbona.
Riferimenti
Benedetto XVI. 2008. Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins. Discorso del Santo Padre, Parigi, 12-9-2008.Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/6d9grq.
Benedetto XVI. 2010a. Visita a Sua Maestà la Regina e incontro con le Autorità nel Parco del Palazzo Reale di Holyroodhouse a Edimburgo, del 16-9-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/326oxo3.
Benedetto XVI. 2010b. Incontro con il mondo dell’educazione cattolica nella cappella e nel campo sportivo del St Mary’s University College a Twickenham (London Borough of Richmond), del 17-9-2010. Indirizzo agli insegnanti ai religiosi. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/3xlcshd.
Benedetto XVI. 2010c. Celebrazione Ecumenica nella Westminster Abbey (City of Westminster), del 17-9-2010. Parole introduttive nella recita dei Vespri. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/38438hj.
Benedetto XVI. 2010d. Il viaggio apostolico nel Regno Unito, Udienza generale in Piazza San Pietro, del 22-9-2010. Disponibile sul sito Internet della Santa Sede all’indirizzo abbreviato http://tinyurl.com/34qjaxw.