Premesso che ad un docente di religione non è proibito pensare,parlare e scrivere;premesso che anche in un contesto di Chiesa c’è spazio per la libertà di pensiero,di opinione e di parola;premesso che l’art. 21 della Costituzione Italiana garantisce la libertà di espressione ad ogni cittadino;premesso che il mio dire vuole essere un contributo costruttivo;premesso che se Qualcuno si dovesse permettere di minacciarmi,mobizzarmi,o tentare di mettere a tacere il mio libero dire, passerò,immediatamente,alle vie di fatto,con le querele giudiziarie,dirò quanto segue:
il bisogno di riflettere, oggi, sull’insegnamento religioso non solo in Italia è fortemente motivato dalla presenza di molteplici modalità di applicazione che impongono scelte giuridiche e di politica educativa che non sono senza conseguenze per legittimare la presenza e la forma dell’insegnamento della religione nella scuola. Infatti, la nuova idea di cittadinanza europea attualmente discussa deve essere pensata e tradotta in progetti e programmi politici e strategie educative.
Sul versante del sistema pubblico di insegnamento il rapporto scuola-religione, regolato in parte per via pattizia (art. 9 Accordo 18 febbraio 1984 e connesso n. 5 Protocollo addizionale [legge 25 marzo 1985 n. 121] con i conseguenti d. p.r. 16 dicembre 1985 n. 751 e 23 giugno 1990 n. 202; art. 10 legge 21 febbraio 1984 n. 449; art. 10 legge 22 novembre 1988 n. 516; art. 9 legge 22 novembre 1988 n. 517 ; art. 11 legge 8 marzo 1989 n. 101) in parte per via unilaterale, si interroga, invece, su altri tipi di questioni, primo fra tutti il ruolo da riconoscere all’insegnamento religioso nel palinsesto generale dei programmi scolastici, in modo che sia compatibile con la libertà di coscienza dei genitori e allievi, come reclama la Carta costituzionale (artt. 2, 19, 21).
accanto ai temi classici che hanno e continuano a caratterizzare il sistema scolastico europeo, i fermenti multiculturali obbligano ormai a riflettere in maniera più articolata sulla laicità e libertà di coscienza, là dove il pluralismo dei simboli; i programmi scolastici; la organizzazione didattica e amministrativa delle scuole richiedono la predisposizione di nuove procedure e regole di gestione del sistema educativo-formativo.
Viene da porsi,sin da subito,una domanda: l’ora di religione nella scuola italiana è ancora catechesi scolastica ? E interessante far notare come il DPR n. 503 del 14 giugno 1955 confermava l’ispirazione confessionale dei programmi generali della scuola elementare e il DPR n. 584 dell’li giugno 1958 l’orientamento religioso della scuola materna.
Nel 1963 nei programmi di religione che rispondevano all’istituzione della scuola media unica si legge che l’educazione religiosa «contribuirà in modo eminente all’armonico e completo sviluppo dell’alunno, presentandogli in termini la vita di fede e di grazia e guidandolo ad operare, nell’esistenza di ogni giorno, in vista di questo ideale soprannaturale». La prospettiva catechistica è stata confermata ancora dai programmi per la scuola media superiore del 1967, in tale contesto si afferma che l’insegnamento della religione deve essere orientamento alla formazione e alla maturazione cristiana dei giovani.
Anche ai meno attenti apparve, però, evidente come l’insegnamento concepito secondo una rigida visione catechistica cominciò a vacillare sin dai primi anni ‘70: il progressivo affermarsi della scolarizzazione di massa. il veloce modificarsi della società in senso pluralista, il tiepido affacciarsi del multiculturalismo, imposero un ripensamento di tale insegnamento.
Comincia, quindi ad emergere la necessità di individuare e di operare scelte che delineassero un nuovo rapporto scuola-religione.
Nel 1967 principia il lungo percorso di revisione dei Patti Lateranensi che si concluderà, come vedremo, nel 1984 con il “Nuovo Concordato”.
Il mondo cattolico non rimase immobile di fronte a tale situazione, ma avvertì, anche se con modalità diverse, la necessità e l’urgenza di delineare questi nuovi rapporti, e sulla spinta dell’imperativo all’aggiornamento, lanciato dal Vaticano Il e di fronte al veloce mutamento della società italiana comincia a dare alcuni segnali; è a tale riguardo interessante un documento della CEI del 2 febbraio 1970: Il rinnovamento della catechesi. Nel ponderoso documento pur rimanendo nell’ambito della catechesi e pur definendo gli insegnanti di religione «catechisti della scuola» si nota una nuova prospettiva per l’insegnamento della religione non più visto unicamente come trasmissione delle verità della fede ma inserito in un contesto più ampio e complesso, si legge nel testo: «La scuola fa parte propriamente delle strutture civili, in certa proporzione anche quando essa è organizzata dalle diocesi o da istituti religiosi, Interessa la catechesi nella misura in cui anche le umane istituzioni possono essere ordinate alla salvezza degli uomini e concorre alla edificazione del corpo di Cristo. Nella scuola, la catechesi deve caratterizzarsi in riferimento alle mete e ai metodi propri di una struttura scolastica moderna. La formazione integrale dell’uomo e del cittadino, mediante l’accesso alla cultura, è la preoccupazione fondamentale. L’educazione della coscienza religiosa si inserisce in questo contesto, come dovere e diritto della persona umana che aspira alla pina libertà e come doveroso servizio che la società rende a tutti. Nella scuola, il messaggio cristiano va presentato con serietà critica e con rispetto delle diverse situazioni spirituali degli alunni. Si devono curare il confronto con le diverse culture e il dialogo tra quanti onestamente cercano, in proporzione alle esigenze e alle capacità di ciascuno.» Si noti come nel documento si sottolinea l’importanza di inserire l’insegnamento della religione nella realtà della “scuola moderna” e come, pur nel sollecitare l’urgenza di attivarsi nella presentazione e trasmissione “critica” del messaggio cristiano si porti l’attenzione sul contesto pluralista nel quale questo messaggio è lanciato.
Nel 1971 un altro documento: una Nota dell’Ufficio catechistico nazionale, mette bene in luce come si stia aprendo una nuova fase e come la concezione dell’insegnamento della religione come “catechesi scolastica” abbia ormai fatto il suo tempo.
Si delinea una sensibilità nuova, più attenta alle ragioni proprie della scuola, emerge una visione “scolastica” della religione e dopo aver affermato che una scuola formativa non «può tralasciare di rendere agli alunni un servizio adeguato, per il risveglio, l’interpretazione e la maturazione del senso religioso» perché elemento irrinunciabile per lo sviluppo integrale e la formazione di tutto l’uomo, si afferma sull’insegnamento della religione: «Va detto, innanzitutto, che l’ambiente scolastico non può essere inteso come luogo di una piena esperienza cristiana, quale può essere, invece l’ambiente ecclesiale. E piuttosto il luogo, in cui i valori cristiani devono essere conosciuti e approfonditi, così che gli alunni siano capaci di fare una ricerca più piena, nei modi che riterranno opportuni. Questo vale sia per chi è alla ricerca di una scelta religiosa, sia per chi ha bisogno di verificare le scelte fatte. E chiaro, pertanto, che le finalità di un insegnamento riferito ai valori cristiani-cattolici non possono essere quelle di una pura trasmissione di sintesi dottrinali precostituite; come non possono essere quelle di un puro aggancio agli interessi occasionali e superficiali degli alunni.
Anche per fedeltà ai valori del cristianesimo e della religione in genere, oltre che per il rispetto alla posizioni spirituali di tutti e di ciascuno, gli educatori devono aprire i giovani al dialogo, alla libera espressione, in uno stile di viva responsabilità.»
Il superamento dell’insegnamento della religione come pura catechesi è quindi ormai linea comune della chiesa italiana, non solo auspicio di alcune avanguardie, questo è espresso in modo esplicito in un interessante documento del 1976; il documento, della Consulta nazionale della pastorale scolastica, è molto importante, in quanto redatto in funzione di uno dei momenti più significativi per la chiesa italiana degli anni ‘70 del secolo scorso, il Convegno su «Evangelizzazione e promozione umana». Il testo che riportiamo ci sembra estremamente chiaro:
«Sembra che il convegno … non debba lasciar cadere l’occasione per assumere una chiara presa di posizione in ordine alla doverosa presenza nella scuola pubblica di un insegnamento della religione, motivato a partire dalle finalità stesse di una scuola tendente alla formazione piena e integrale dell’alunno ed aperta alla lettura e interpretazione della realtà socio-culturale del nostro tempo, in cui il fatto religioso costituisce una componente operante e fondamentale. Naturalmente tale insegnamento di religione non potrà non tenere conto, da una parte, dell’ambiente in cui si svolge (e cioè della scuola di tutti, caratterizzata non solo dal pluralismo ideologico, ma soprattutto dalla connotazione critica della proposta educativo-culturale) e dall’altra, del doveroso rispetto sia della laicità della scuola che della libertà religiosa dell’alunno. Ciò comporta il superamento di un insegnamento della religione, inteso soltanto come vera e propria catechesi, obbligatoria per tutti, per aprirsi ad una concezione insieme più larga e più duttile di ricerca, di riflessione, di confronto e di educazione al (e del) senso religioso della persona, di enucleazione dei valori religiosi autentici, della loro originalità nei confronti di ogni altro valore, di fondazione critica del messaggio cristiano e della sua trascendenza nei confronti di ogni cultura, oltre che della sua capacità di rispondere agli interrogativi supremi dell’uomo (cf. Il rinnovamento della catechesi in Italia, nn. 154-155).
Decisamente aria nuova e che questo “nuovo” modo di concepire l’insegnamento della religione si stia diffondendo si evince anche dal moltiplicarsi dei dibattiti, spesso molto accesi, che si registrano in quegli anni; si deve inoltre rilevare il tentativo di cominciare un’analisi sistematica e “alta” sulla natura, sulla epistemologia della “disciplina” religione, ne sono testimonianza una serie di pubblicazioni, fra le quali ricordiamo i volumi Insegnare religione oggi i due volumi, il primo dedicato alla scuola primaria e il secondo alla secondaria, sono curati dall’istituto di Catechetica dell’Università Salesiana e sono, forse, il primo tentativo di offrire agli insegnanti di religione un
quadro di riferimento che permetteva di definire i termini del problema e le questioni nodali concernenti l’insegnamento religioso; offriva, inoltre, alcuni principi operativi per insegnare religione secondo la logica della scuola. Gli autori sottolineavano nella premessa ai volumi: «Il nostro studio vorrebbe offrire un contributo: … perché qualunque sarà la forma di presenza dell’insegnamento della religione (IR) nella scuola: facoltativo, opzionale, o integrato nell’area comune, esso continui a essere considerato in relazione con i compiti della scuola e cioè come IR, “approccio culturale” alla religione, e non come catechesi.»
In parte questa nuova riflessione è recepita anche dai libri di testo, alcuni autori, allontanandosi dalla impostazione tradizionale, di ferrea matrice catechistica, propongono nuovi percorsi e modalità differenti di approccio al religioso. Fra i molti ricordo un testo del 1976 che proponeva un interessante percorso pluridisciplinare; curato da Chiavacci e Listri il testo si presentava come un’antologia e proponeva un insegnamento della religione di alto livello culturale in dialogo con le altre discipline, si legge nella premessa:
«Sappiamo bene, per lunga esperienza, che oggi — fuori e dentro la scuola — affrontano le tematica religiosa un poco a caso, partendo dall’ultimo problema scottante di cui han sentito discutere. Così spesso le discussioni e lezioni di religione si trasformano in dibattiti estemporanei (e inevitabilmente superficiali) sui problemi cosiddetti di attualità. Il testo che presentiamo nasce invece dalla convinzione che una certa organicità e sistematicità è l’unico modo per collocare un problema nella giusta luce, e che è impossibile risolvere o approfondire un problema religioso di attualità fuori del quadro globale dell’annuncio cristiano.»
Il Concordato del 1984, la nuova disciplina. La riforma legislativa conseguente ai Concordato del 1984 non ha posto termine alle molte discussioni in merito alla disciplina ma ha il pregio di proporre, in maniera definitiva, un “nuovo” insegnamento della religione cattolica che si pone, se pur in continuità con la vecchia “ora di religione”, non più come catechesi scolastica ma come approccio culturale al fenomeno religioso con riferimento specifico al suo inveramento nel cattolicesimo. Osserva Sergio Cicatelli: «Con l’Accordo del 1984 l’Ir è diventato Irc, sottolineando la sua specificità cattolica, ma abbandonando improprie intenzioni catechistiche e posizioni di primato nell’ordinamento scolastico. Da un lato, infatti, l”attuale Irc si inserisce nel “quadro delle finalità della scuola”; dall’altro, trova fondamento in una duplice ordine di motivazioni culturali e storiche: la Repubblica italiana dichiara, infatti, di riconoscere “il valore della cultura religiosa” e di tener conto del fatto che “i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano” (art.9.2)»2°
Il punto di partenza è, dunque, quello che possiamo definire, con un linguaggio improprio, il nuovo Concordato che fu firmato il 18 febbraio 1984 dall’allora premier del governo italiano Bettino Craxi e dal cardinale segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli. Osserva, sul nuovo Concordato, lo storico Maurilio Guasco: «ciò che non era riuscito negli anni precedenti alla Democrazia Cristiana, riusciva ora al leader del Partito Socialista, il partito che vanta la maggior tradizione anticlericale nella storia italiana, e che, a differenza del Partito Comunista, si era duramente opposto alla ricezione dei Patti Lateranensi nella Costituzione italiana. Da parte ecclesiastica, la presenza del segretario di Stato conferma la volontà del Vaticano di gestire ancora in proprio i rapporti con l’italia, e di non volerli delegare alla Conferenza Episcopale Italiana».
Si legge nel Protocollo addizionale: «1. In relazione all’art. I: Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano.»22 Si afferma così l’autentica aconfessionalità e laicità dello Stato.
Il rapporto con le altre Chiese o Confessioni religiose, presenti sul territorio nazionale, non più considerate “culti ammessi” e quindi di fatto solo tollerate, sarà regolato da Intese, prima discutere e poi firmare, con lo Stato italiano che avrebbero delineato i loro diritti e doveri.
Ricordo che ad oggi sono già state firmate le intese con: la Tavole valdese, il 21 febbraio 1984 e il 25 gennaio 1996; con le Assemblee di Dio in Italia (AD!), il 29 dicembre 1996; con
l’Unione delle Chiese cristiane avventiste del 7° giorno, il 29 dicembre 1986 e il 6 novembre 1996; con l’Unione comunità ebraiche in Italia (UCEI), il 27 febbraio 1987 e il 6 novembre 1996; con l’Unione cristiana evangelica battista d’italia (UCEBO), il 29 marzo 1993; con la Chiesa evangelica luterana in Italia (CELI), il 20 aprile 1993; non sono ancora in vigore perché in attesa dell’emanazione della Legge di approvazione, l’intesa firmata il 20 marzo 2000 con Unione buddhista italiana (UBI).
Nell’ art. 9 dopo aver, al comma 1., garantito alla Chiesa cattolica, in conformità al principio della libertà della scuola e dell’insegnamento, scuole di ogni ordine e grado e istituti di educazione e sancito per queste il principio di parità, al comma 2. si mette a fuoco la questione dell’insegnamento della religione nelle scuole dello Stato, così recita: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado.
Nel rispetto della libertà di coscienza e della responsabilità educativa dei genitori, è garantito a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi di detto insegnamento. All’atto dell’iscrizione gli studenti o i loro genitori eserciteranno tale diritto, su richiesta dell’autorità scolastica, senza che la loro scelta possa dar luogo ad alcuna forma di discriminazione.»23
L’insegnamento delle religione cattolica è, quindi, previsto come insegnamento integrante dell’ordinamento scolastico, le ragioni della stabilità di tale insegnamento sono dettate, quindi, dal riconoscimento del valore della cultura religiosa in generale e dall’affermazione che lo storicizzarsi ditali valori nei principi nella religione cattolica è parte del patrimonio storico italiano.
Le finalità che assume l’insegnamento della religione cattolica come proprio non possono che essere quelle della scuola, cioè ricavabili dalla Costituzione e dalla legislazione scolastica; è, quindi, finalità primaria anche dell’insegnamento della religione cattolica promuovere lo sviluppo della piena formazione della personalità degli alunni.
In questa prospettiva, quindi, non è più la Chiesa che gestisce uno spazio autonomo nella scuola dello Stato ma è lo Stato, con il quale la Chiesa collabora, che chiede a quest’ultima di offrire un servizio, quello appunto dell’istruzione religiosa, a tutte le famiglie e agli alunni che ne fanno richiesta.
L’art. 9 del Concordato contiene quindi l’assicurazione che l’insegnamento della religione cattolica verrà impartito in tutte le scuole di ogni ordine e grado e che ciascun interessato, genitore o alunno per le superiori, ha il diritto di avvalersi o non avvalersi di tale insegnamento. Abbiamo quindi con la revisione concordataria del 1984 una trasformazione, si passa dal vecchio insegnamento obbligatorio con possibilità dell’esonero ad un insegnamento facoltativo del quale è possibile avvalersi o non avvalersi.
Dopo quanto detto sulla valenza generale della cultura religiosa e sull’importanza della cultura cattolica ciò può sembrare contraddittorio, di fatto non lo è se si tiene presente che l’insegnamento della religione cattolica è si inserito nelle finalità generali della scuola di Stato ma è confessionale, cioè insegnato, come si ribadisce nel Protocollo addizionale, in conformità alla dottrina delle Chiesa, che prepara i programmi, gli insegnanti e visiona i testi. Ne consegue che la nuova formula non è un semplice ribaltamento del vecchio sistema, cioè, mentre prima si sceglieva di non fare religione oggi si sceglie se fare religione. No la formula del nuovo Concordato è su questo punto assolutamente equilibrata: tutti devono scegliere, dichiarando la propria volontà se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica.
Su la non facile questione della facoltatività si è acceso un lungo dibattito che ha coinvolto anche la Corte costituzionale; la massima istituzione ha sentenziato, mettendo fine alle polemiche, spesso pretestuose, che l’insegnamento della religione cattolica è facoltativo per gli alunni ma non è facoltativo per lo Stato che deve assicuralo, si legge nella sentenza n. 203 dell’il aprile 1989: «lo Stato è obbligato, in forza dell’accordo con la Santa Sede, ad assicurare l’Irc. Per gli studenti e per le loro famiglie esso è facoltativo: solo l’esercizio del diritto di avvalersene crea l’obbligo scolastico di frequentarlo» Ricordo, inoltre, che per garantire la piena libertà di coscienza ditale scelta la legge n. 281 del 18 giugno 1986 affermava che gli studenti delle scuole medie superiori all’atto dell’iscrìzione potevano esercitare personalmente il diritto di scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica.
Detto ciò mi chiedo:che senso ha incentrare,per un intero anno,la formazione degli IDR sull’anno paolino? Forse che l’IRC a scuola è un corso monografico sulla straordinaria figura di Paolo? Inoltre,che senso ha titolare il convegno estivo:il docente di IR tra l’annuncio evangelico e la responsabilità educativa? Quale sarebbe il legame tra la responsabilità educativa,propria di ogni docente compreso l’idr, e l’annuncio evangelico? Cosa s’intende per “annuncio evangelico” nel contesto scuola? Infine,se è vero che il convegno è stato autorizzato dall’USR Sicilia perché non viene citato il numero di protocollo dell’autorizzazione? Perché nelle scuole non è arrivata la comunicazione della presunta autorizzazione?
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