Il volto anticristiano di George Orwell.


GEORGE ORWELL E I
«CATTOLICI ADULTI»
di Giovanni Romano

Un aspetto forse poco conosciuto ma niente affatto marginale nell’opera di George Orwell è la sua polemica antireligiosa. A differenza di un intellettuale laico della statura di Thomas Mann, egli non vide mai nel cristianesimo un antidoto o un argine alla marcia dei totalitarismi nel ventesimo secolo. Al contrario, lo considerò sempre qualcosa di alienante, una scappatoia mistica dai problemi di questo mondo, la consacrazione di rapporti sociali iniqui. Questa ostilità e incomprensione fu simboleggiata in modo memorabile dal personaggio del corvo Mosè nel suo capolavoro La fattoria degli animali, ma aveva radici assai più lontane. Già a diciassette anni, com’ebbe a scrivere molto tempo dopo, la lettura del libro di Winwood Reade The Martyrdom of Man1 lo influenzò profondamente in senso anticristiano, e lungo tutta la sua vita avrebbe continuato ad attaccare la religione fino a culminare in una sorta di drammatica «trilogia atea» in cui criticò in Swift il negatore della perfettibilità umana (Politics vs. Literature,1946), in Tolstoj il moralista (Lear, Tolstoj and The Fool, 1947) e il santo in Gandhi (Reflections on Gandhi, 1949).
Quanto al cattolicesimo, la sua ostilità era pressoché totale. Come per molti inglesi figli dello scisma anglicano, ai suoi occhi la Chiesa era una potenza straniera e pericolosa, covo della reazione, nemica della libertà di pensiero e alleata naturale delle dittature fasciste. Tale era la sua avversione che, quando andò a combattere in Spagna, assistette senza batter ciglio alla demolizione delle chiese di Barcellona e agli sfregi sulle tombe cristiane, non fece cenno alcuno all’eccidio di Barbastro dove pure si era recato più volte, e arrivò persino a protestare perché gli anarchici avevano deciso di risparmiare la Sagrada Familia di Gaudí2! I cattolici britannici erano guardati con profondo sospetto, considerati quasi un corpo estraneo alla nazione per la loro fedeltà «ultramontana», e più di una volta Orwell li assimilò tout court agli stalinisti tanto nei metodi quanto nella mentalità. Uno dei suoi bersagli preferiti era naturalmente Chesterton, al quale però riconosceva bravura e coraggio morale. A livello più propriamente letterario non risparmiò critiche a T.S. Eliot, tanto da insinuare che la conversione ne aveva sminuito i talenti artistici, e si permise di liquidare Assassinio nella Cattedrale come «un intrico di vermi vivi nelle budella delle donne di Canterbury».3

L’anima? Una struttura
Sarebbe ingiusto tuttavia pensare che Orwell fosse solo un laicista monomaniacale, incapace di apprezzare il valore delle opere letterarie che non collimassero col suo pensiero. Una delle sue poesie preferite, alla quale dedicò una splendida recensione, era Felix Randal di Gerald Manley Hopkins.4 Altrettanto fuorviante sarebbe ritenere che non si ponesse gli stessi interrogativi coi quali si confrontavano le coscienze religiose del suo tempo. È sua, anzi, l’immagine forse più potente che mai sia stata usata per descrivere la devastazione spirituale dell’uomo moderno:

Leggendo il libro brillante e deprimente di Malcolm Muggeridge Gli anni Trenta, mi sono ricordato di un tiro piuttosto crudele che una volta giocai a una vespa. Stava succhiando della marmellata dal mio piattino, e io la tagliai in due. Lei non se ne accorse, e continuò tranquillamente il suo pasto, mentre un rivoletto di marmellata le colava dall’esofago tagliato. Fu solo quando cercò di volare via che si rese conto della cosa spaventosa che le era accaduta. Lo stesso è accaduto all’uomo moderno: gli è stata asportata l’anima, e c’è stato un periodo – vent’anni, forse – in cui non se n’è accorto.5

Lo scontro con la religione non era nella diagnosi o nelle domande, ma nelle risposte. Per Orwell, l’asportazione dell’anima era un’operazione assolutamente necessaria, perché secondo lui era una sovrastruttura che mascherava i «reali» rapporti economici tra ricchi e poveri. Fu una delle poche volte in cui seguì ciecamente l’ortodossia marxista, anche se cercò di temperarla con un richiamo etico tanto nobile quanto insanabilmente contraddittorio: «Dobbiamo essere figli di Dio, anche se il Dio del Libro di Preghiere non esiste più6».
Uno scritto in cui Orwell portò alle estreme conseguenze il suo modo di pensare fu una disputa molto paradossale che ebbe a sostenere dalle colonne del Tribune con una lettrice che al giorno d’oggi si potrebbe grossomodo definire una «cattolica adulta». Ma lasciamo la parola all’Autore:

Qualche settimana fa, una lettrice cattolica del Tribune scrisse per protestare contro una recensione di Mr. Charles Hamblett. Lei obiettava contro le osservazioni a proposito di santa Teresa e san Giuseppe da Copertino, il santo che una volta volò intorno a una cattedrale portando un vescovo sulle spalle. Io risposi, difendendo Mr. Hamblett, e ho ricevuto un’altra lettera ancora più indignata. Questa lettera solleva delle questioni importanti, e almeno una di esse mi sembra meritevole di discussione. […].
La sostanza della lettera della mia corrispondente è che non importa se santa Teresa e il resto della compagnia volassero per l’aria o meno: quello che importa è che «la visione del mondo di santa Teresa ha cambiato il corso della storia». Questo sono disposto ad ammetterlo. Avendo vissuto in Oriente ho sviluppato una certa indifferenza ai miracoli, e so bene che avere delle fissazioni o anche essere pazzo nel senso letterale della frase è compatibile con quel che si può chiamare grossomodo il genio. William Blake, per esempio, secondo me era un pazzo. Giovanna d’Arco era probabilmente una pazza. Newton credeva nell’astrologia, Strindberg credeva nella magia. I miracoli dei santi, tuttavia, sono una questione secondaria. Dalla lettera della mia corrispondente è anche evidente che persino le dottrine più centrali della religione cristiana non devono essere accettate in senso letterale. Non ha importanza, per esempio, nemmeno se Gesù Cristo fosse esistito o meno. La figura di Cristo (mito, o uomo, o dio, non importa) trascende in tale misura tutto il resto che io vorrei soltanto che ognuno la prendesse in considerazione, prima di rifiutare quella impostazione di vita.7

Dura lezione di «realismo»
A parte il tono antipatico di degnazione verso i cristiani, equiparati a dei creduloni superstiziosi, tutto sembra procedere lungo i binari di un normale dibattito culturale tra un credente e un ateo. La lettrice cattolica – una donna presumibilmente colta, intelligente, «al passo coi tempi» – ha cercato di venire incontro il più possibile al suo interlocutore, mettendo in evidenza i «valori comuni» sui quali «non si può non essere tutti d’accordo». Ma sfortunatamente per lei si imbatterà in una delle più dure lezioni di realismo che un ateo abbia mai somministrato a certo cattolicesimo «spiritualista»:

Cristo, dunque, può essere un mito, o può essere stato soltanto un essere umano, o la versione che ne danno i vari Credi può essere vera. Così arriviamo a questa posizione: il Tribune non può prendersi gioco della religione cristiana, ma l’esistenza di Cristo, per aver negato la quale innumerevoli persone sono state bruciate, è una faccenda tutto sommato irrilevante.8

Contro l’ingenua astrattezza della sua interlocutrice, Orwell ripropone la questione in tutta la sua perentoria gravità. Solo un fatto può avere la dignità di stare dentro la storia come segno decisivo di contraddizione. E l’articolo prosegue implacabilmente:

Ora, è questa la dottrina cattolica ufficiale? La mia impressione è che non lo sia. […] Padre Knox9 definisce specificamente «orribile» l’idea che non importa se Cristo fosse realmente esistito o meno. Ma quello che la mia corrispondente dice troverebbe un’eco in molti intellettuali cattolici. Se parlate con un cristiano riflessivo, cattolico o anglicano, vi ride in faccia perché siete così ignoranti da supporre che qualcuno abbia mai preso alla lettera gli insegnamenti della Chiesa. Questi insegnamenti – vi vien detto – hanno un significato del tutto differente che voi siete troppo rozzi per capire.10

Pare di sognare: un ateo dichiarato che somministra lezioni di schietta ortodossia! È una pagina sulla quale dovrebbe riflettere seriamente più di un intellettuale cattolico oggi, specie quando si confonde il «dialogo» col mettere tra parentesi le proprie convinzioni, e ancor di più quando si toglie al cristianesimo il suo carattere peculiare di avvenimento. Fu facile a un realista come Orwell cogliere e smascherare questa inconsistenza. È significativo che le rare volte in cui egli assunse un tono cordiale e rispettoso verso la religione, fu perché si trovò di fronte a dei credenti per i quali la fede era un’evidenza che entrava tangibilmente nella vita. Un esempio è la già ricordata recensione a Felix Randal, ma un esempio ancora più importante è un appunto per il romanzo A Smoking-Room Story, rimasto incompiuto a causa della morte. La vicenda doveva essere ambientata tra i passeggeri a bordo di una nave britannica di ritorno dall’Estremo Oriente. Apparentemente si tratta di un ritorno a Burmese Days, la sua prima grande prova narrativa. Il protagonista introverso, riflessivo e disadattato, il rapporto di attrazione-repulsione con l’Oriente sono gli stessi, ma c’è un elemento nuovo, mai comparso prima nei suoi romanzi: la presenza di un gruppo di cattolici, per la precisione frati francescani di ritorno da una missione. È guardando a loro che al protagonista (e forse allo stesso Orwell) sfugge un’ammissione d’importanza capitale:

I suoi sentimenti nei confronti della Missione. Soprattutto, noia. Rifuggire dall’austerità. Ma sensazione immediata che in essa è presente qualcosa che mancava nella sua vita.11

Un’osservazione stupefacente
Per chi conosce l’opera di Orwell, che fino a pochi mesi prima della morte aveva pensato e in parte attuato una «controffensiva» contro gli scrittori cattolici attraverso la stroncatura del romanzo The Heart of the Matter di Graham Greene, che provava una tale repulsione verso Péguy da sentirsi fisicamente a disagio quando lo leggeva (segno tuttavia che qualcosa in lui lo colpiva profondamente), che irrise il cristianesimo come un pugnale nascosto dentro un crocifisso12, questa è un’osservazione a dir poco stupefacente. Era stato facile controbattere le ingenuità e le approssimazioni della lettrice cattolica del Tribune. A livello più alto, era stato altrettanto facile obiettare a Chesterton, Péguy, Greene. Ma non era possibile obiettare di fronte a un’evidenza che riguardava in modo così diretto e stringente la sua vita. Non sapremo mai come si sarebbe svolta questa intuizione nel corso del romanzo, se sarebbe stata mantenuta o confutata, ma il solo fatto di averla posta è significativo.
Orwell conobbe, o volle conoscere, il cristianesimo unicamente come dottrina e teoria, ma non ebbe mai la fortuna d’incontrarlo attraverso un’amicizia tangibile, testimoni in carne e ossa. Il soggettivismo protestante e lo scetticismo laico lo avevano tagliato fuori dalla concretezza dell’avvenimento cristiano. Quel frammento così importante rimase in fondo al cassetto, apparentemente senza eco. Di lui ci resta l’immagine di uno scrittore coraggioso e profondamente onesto, ma la sua onestà non fu sufficiente ad avvicinarlo al cuore della dimensione religiosa dell’esistenza. Mai questo intrepido difensore della libertà alzò la sua voce per difendere chi veniva perseguitato a causa della sua fede. Non si sa quanto fossero contenti i cristiani che soffrivano nei Gulag a vedersi paragonati al corvo Mosè.

Giovanni Romano

1 Cfr Review: The Martyrdom of Man by Winwoord Reade, 1946. In The Collected Essays, Journalism and Letters of George Orwell (d’ora in poi CE), volume IV, Harmondsworth 1984, p. 147.
2 Homage to Catatonia, Harmondsworth 1975, p. 52 e 203. Sugli sfregi alle tombe cristiane, si veda p. 79.
3 Cfr Review – Burnt Norton, East Cocker, The Dry Salvages by T.S. Eliot, 1942, CE II, pp. 273-274.
4 Cfr The Meaning of a Poem, 1941, CE II, p. 158s.
5 Notes on the Way, CE II, p. 30. Il corsivo è mio.
6 Ibidem, p. 33. Il riferimento è naturalmente al Book of Common Prayer.
7 As I Please, Tribune, 3 marzo 1944, CE III, p. 124s.
8 Ivi.
9 Ronald Knox (1888-1957) convertito dall’anglicanesimo, noto polemista e opinionista, fu sacerdote cattolico e cappellano all’Università di Oxford.
10 As I Please, cit., p. 125. Il corsivo è mio.
11 Frammenti del romanzo mai scritto, n. 21, in Orwell – Romanzi e saggi, Milano 2000 (a cura di Guido Bulla), p. 1.625. Il corsivo è mio.
12 Extracts from a Manuscript Note-Book, CE IV, senza data, p. 574.

Una Risposta

  1. “Era stato facile controbattere le ingenuità e le approssimazioni della lettrice cattolica del Tribune. A livello più alto, era stato altrettanto facile obiettare a Chesterton, Péguy, Greene.”

    Posso capire che sia stato facile controbattere le ingenuità della cattolica adulta, ma che sia stato facile controbattere Chesterton non ci credo nemmeno se lo vedo

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