Il SS.Crocifisso di Bisacquino-Monreale e “Bilici”.


A Bisacquino(Pa),ogni anno,il 3 di Maggio,viene portata in processione la spettacolare vara lignea del SS.Crocifisso,del peso di 32 quintali, è preceduta da 31 statue di santi,i quali escono dalle loro rispettive chiese e raggiungono la chiesa madre inchinandosi dinnanzi al ss.crocifisso.Tutte le vare vengono portate a spalla da giovani ragazze e ragazzi di Bisacquino.Un momento di grande fede e profonda devozione verso il Cristo crocifisso cui i bisacquinesi sono profondamente devoti.

Apre la processione la statua di san Michele con alla fine la vara del crocifisso al cui fianco stanno la madre e san Giuseppe.

Dal 1996,così come riportato in un bimestrale di cultura bisacquinese, non si è mai raggiunto il numero di 31 statue di santi.

Quella del ss.crocifisso è stata la festa principale di Bisacquino fino al 1904 anno in cui incominciò a prendere il sopravvento la festa della Madonna del Balzo.

La festa del SS.Crocifisso a Monreale risale alla fine del 1500. Infatti la prima data sicura dell’esistenza del Crocifisso presso la chiesa di San Salvatore è del 1575.L’effige è di scuola gaginiana

Fù l’arcivescovo Girolamo Venero(1620-1628) a dare grande impulso alla devozione al crocifisso.

Secondo una tradizione lo stesso arcivescovo,nel 1625,sarebbe stato guarito dalla peste, proprio il 3 di maggio ai piedi del crocifisso. La festa si caratterizza,a livello di pietà,per la famosa “scinnuta”(la discesa) del simulacro dalle scalinate della collegiata per essere deposto sulla vara.

Di questo momento di fede e di devozione ne fa una descrizione dettagliata il Pitrè nel suo libro “Feste Patronali nella Sicilia Occidentale”.

Momento culminante è la processione del simulacro per le vie della cittadina normanna,durante la quale avvengono le manifestazioni del bacio dei bambini,effettuato durante le fermate, e lo sfiorare con fazzoletti e con fiori il simulacro.

Fedeli provenienti dal territorio della diocesi, ma anche da Palermo e dai paesi limitrofi,fanno il “viaggio”,molti dei quali a piedi nudi,portando in mano dei grossi ceri accesi.

I confrati portano, come abitino votivo, un pantalone ed una camicia bianchi,cinti con una fascia rossa da dove pende una tovaglia arricchita da un ricamo con l’immagine di cristo e con la scritta “viva il ss.crocifisso”.

Da antica data i confrati,durante la processione,per invocare le grazie al “Patruzzu Amurusu”,così viene invocato il Cristo di Monreale, danno la cosiddetta “A Vuci” ossia un grido lanciato da uno dei confrati che ripete ,di volta in volta,le 12 invocazioni al ss.crocifisso e il gruppo risponde in coro:”Grazia Patruzzu Amurusu Grazia”.

Delle 12 invocazioni la 3 dice:”E che beddu stu crucifissu fa li grazie sempre e spissu”per continuare con la 6:”Grazia all’arma e u pirdunu ri piccati”,quindi la 9 diventa una richiesta di aiuto per i bisogni materiali:”Nostru Patri binirici a campagna” e la 12 è una invocazione in favore di chi soffre:”Binirici i malati”.

Tutte e 12 le invocazioni si concludono sempre con lo stesso ritornello:Grazia Patruzzu Amurusu! Grazia”.

Il crocifisso,il 3 di maggio,diventa,come scrive padre Basilio Randazzo <<il tutto di tutti>>cui chiedere innanzitutto la grazia :ossia la presenza amorosa e salvifica di Dio la cui massima potenza salvifica è il figlio morto in croce.

La festa del SS.Crocifisso,a Monreale,è preceduta, ancora oggi,dal rito della “Calata dei Veli”. E’ un rito penitenziale che si svolge durante i 5 venerdì di quaresima nella chiesa della collegiata. Sei grandi veli con su rappresentate alcune scene della passione vengono fatti cadere,uno dopo l’altro.

Questi sei grandi veli vengono collocati davanti al simulacro del crocifisso. Alla calata del sesto velo di colore nero, su cui sta scritto “EXPIRAVIT”,compare il crocifisso dinnanzi al quale tutti si prostrano implorando misericordia e perdono.

Il padre Basilo Randazzo ha scritto di una probabile “Eresia dell’etimasia”ossia:”il Cristo pantocratore,centralità originaria del culto monrealese, ha mediato nell’etimasia l’alternato culto al crocifisso,come ritrovo di contenuti e modalità assai vicini alla popolarità,essa stessa più idonea ai riflessi di comportamento esistenziale nel convergere il proprio culto al crocifisso”.

Ma la festa del crocifisso di Monreale non dice,secondo me,nessuna contrapposizione tra la cultura colta i cui componenti esprimerebbero una appartenenza elitaria al cristo pantocratore e una cultura popolare che esprimerebbe la sua devozione al crocifisso.

IL CROCIFISSO DI BILICI

“Bilici”è una contrada in aperta campagna,nell’entroterra siciliano,dove si trova un santuario dedicato al SS.Crocifisso.

Un giorno di molto tempo fa, un 3 maggio la duchessa Ferrandina Alvarez espose dentro la chiesetta del suo feudo di Castel Belice il Crocifisso ligneo regalatole dal padre guardiano Michelangelo La Placa, che lo aveva fatto scolpire nel 1638 da fra Innocenzo da Petralia dei Frati Minori. Questo si evince da quanto ha scritto il Sac. Luigi Irnmordino di Villalba (1).

Nel 1982 un poeta di Marianopoli, in maniera molto significativa, scriveva:

“…A nuantri ni lassau sti insegnamenti

nsemi a lu crucifissu di Bilici

Avi du o tricentanni ca li genti

vannu mpellegrinaggiu e su felici

lu tri di maiu d’ogni annu iamu

a lu so santuariu e lu ludamu …” (2).

Per alcuni sono passati 350, per altri 200 o 300 anni dall’inizio del pellegrinaggio, ma indipendentemente dalle discordanze storiche o da quanto dicono le leggende e la fantasia popolare, è un dato di fatto che ogni anno migliaia di fedeli (il 3 maggio 1995 sono stati oltre 7 mila) in un giorno feriale vengano qui, a piedi, da molti paesi della Sicilia, in particolare dalla provincia di Caltanissetta e di Palermo. Marianopoli, Villalba, Vallelunga, S. Caterina Vill.sa, S. Cataldo, Serradifalco, Resuttano, Alia, Gangi, Caltavuturo, Geraci, Petralia Sottana e Soprana, Mussomeli, Sutera, Valledolmo, Castellana Sicula, Caltanissetta e Bompietro sono i paesi da cui provengono la maggior parte dei pellegrini, anche se non manca qualcuno che viene da piu lontano, perfino da Catania.

“Da centinaia di anni tutto questo continua ancora oggi ‑ diceva un pellegrino proveniente da Petralia ‑ questo ha qualche cosa di straordinario. Dio esiste. Probabilmente per molti intellettuali ciò e sconcertante” (3).

Che cosa spinge, ogni primavera, da 350 anni orrmai, gruppi di donne, uomini, giovani e bambini provenienti da lontano, in macchina o in pullman a salire infine a piedi (molti a piedi scalzi) sulla collina alla cui sommità è collocata la chiesetta dell’ex feudo di Castel Bilici?

Non sono pochi i pellegrini che partono all’alba da Resuttano o da Petralia per fare l’intero “viaggio” a piedi, senza l’uso di alcun mezzo.

E’ proprio questo fenomeno di religiosità popolare che sta analizzando il gruppo di studiosi guidato dal Prof. Roberto Cipriani, nell’indagine socioantropologica in corso, commissionata dal Centro Studi “A. Cammarata” di San Cataldo.

Lo studio, iniziato con una “ricerca di sfondo” e una “ricognizione sul territorio” nel maggio 1994, utilizza dal punto di vista metodologico oltre agli strumenti “abituali” dell’indagine sociologica, quali l’intervista e l’osservazione partecipante, anche la ripresa dei fenomeni analizzati tramite la fotografia e la videoregistrazione, strumenti certamente efficaci della “comunicazione sociale”.

Molti sono gli interrogativi che costituiscono alcune delle ipotesi della ricerca su “U Crucifissu di Bilici?:

‑ E possibile un “identikit” del pellegrino di Bilici?

‑ Qual è la fenomenologia della religiosita popolare e quali forme di devozione praticano i devoti di questo territorio?

‑ E’ mutato nel tempo il rapporto dei fedeli col Crocifisso?

‑ Il rapporto del fedele col Crocifisso è di tipo “personale” o è “mediato” dalla Chiesa?

‑ La tipologia dei fedeli‑pellegrini che si recano dal Crocifisso di Belici e diversa da quella che esiste in altri luoghi?

‑ In particolare, quanto il contesto culturale, agricolo e pastorale di questa vallata rende “unico” il pellegrino del “Bilici,>?

Senza avere alcuna pretesa di esaustivita, ci pare opportuno fare alcune considerazioni che scaturiscono da una prima osservazione realizzata il 3 maggio 1994 e dalle interviste condotte nel maggio 1995.

 

I PANI

Il “devoto” va dal Crocifisso per sciogliere un voto, chiedere una grazia. E’ un pellegrino che parla un linguaggio semplice e coerente e porta un ringraziamento altrettanto coerente e “concreto” per la grazia che ha ricevuto: una gamba, una testa, una figura umana, tutte fatte di “pane”, che viene deposto sul “banco del pane”, collocato all’interno della chiesa e che verrà distribuito a tutti i pellegrini. Questo è un uso molto diffuso in tutta la Sicilia e in particolare nelle zone interne, anche per molti altri santi: S. Antonio, S. Elisabetta, S. Lucia, S. Giuseppe. Probabilmente in altri tempi, in cui in queste zone la fame era una piaga endemica, il voto consisteva nel portare il pane per i poveri. Anche oggi, oltre a quello che viene portato dai pellegrini, vengono distribuite centinaia di chili di pane che ha preparato il comitato che gestisce la festa.

Molti portano la loro offerta in denaro, in forma molto personale e libera e questo avveniva anche in passato se ancora oggi parlano, probabilmente esagerando alquanto, delle “ceste” colme di denaro e dei litigi “a colpi di bastone” (3) tra i “partitari” che organizzavano la festa e poi dividevano i proventi.

Altri portano ex voto, nella piccola chiesa infatti sono visibili molti di questi (di cera, d’oro e d’argento), che i pellegrini hanno portato in tempi lontani, a giudicare dalle date ivi apposte.

 

LA TRAZZERA Dl MARIANOPOLI

Gli abitanti di Marianopoli sono certamente i maggiori frequentatori del santuario. Alla fine del sentiero che da Marianopoli porta al santuario e che diventa faticoso e ripido nell’ultimo tratto, arrivano numerosi, nella tarda mattinata, molti pellegrini, soprattutto giovani e a gruppi numerosi e disordinati. La visita al “Signuri di Bilici” spezza il ritmo quotidiano del tempo; anche chi abitualmente lavora interrompe per quel giorno la sua attivita, ma altri raggiungono amici e parenti piu tardi, “quando la mandria ritorna dal pascolo” come riferisce del proprio marito una giovane donna che arriva a piedi con un bimbo di appena quattro mesi in braccio.

Anche il pellegrinaggio organizzato nel maggio ’95, nel pomeriggio delLa vigilia dal parroco della chiesa madre di Marianopoli, ha percorso questo “antico sentiero”, che non è certamente agevole.

Per tutta la durata del percorso si recita, nel dialetto locale l’antico rosario alla Santa Croce “milli voti Gesù, Gesù, Gesù….” intercalato da canti.

Ancora lungo la stessa “trazzera”, così come vuole la tradizione, si usa raccogliere delle “pietruzze”, che poi saranno usate durante l’inverno per scongiurare pericoli e calamita naturali. Qualche giovane ricorda dei propri nonni che avevano di questi sassolini e li buttavano sul tetto della propria casa per proteggerla dai temporali.

Di quest’uso esistono due versioni: altri infatti riferiscono che i pellegrini partivano con tanti sassolini, tanti per indicare le decine del rosario della Santa Croce, che recitavano lungo il percorso e le andavano disseminando sulla strada mentre altri li raccoglievano e li portavano a casa, per utilizzarli nei momenti di maggior pericolo alle persone e alle cose.

Nel 1995 un’analoga processione di pellegrini provenienti da Villalba, insieme al loro parroco, si è snodata dal punto in cui ha fine la strada asfaltata e inizia il sentiero che arriva fino al santuario, dove si è congiunto con il gruppo di Marianopoli.

 

UNA FESTA DI PRIMAVERA

L’atmosfera è quella della festa campestre, della scampagnata primaverile. Moltissimi sono gli adulti, gli anziani, ma non mancano i giovani. Gruppi di studenti della vicina Marianopoli disertano le lezioni per salire su al santuario, dopo aver camminato per due ore. Passano tutta la mattinata in allegria. In particolare abbiamo incontrato e seguito un gruppo, piu volte nella mattinata, ora nello spiazzo antistante la chiesa, ora nel cortile interno, poi al “calvario”, all’altra estremita del colle.

Anche nel salone interno al cortile, in quel grande locale che è stato ora stalla e ora granaio, ci sono gruppi di persone che scherzano allegramente mentre consumano il loro “pranzo a sacco”. Sono soprattutto gruppi familiari molto numerosi, di “famiglie patriarcali” (suoceri, cognati, fratelli, figli, nipoti… 25 persone!), che si organizzano con macchine proprie.

La dimensione della festa campestre è certamente antica e infatti i più anziani ricordano e raccontano, con una certa reticenza, che molti anni fa, quando partivano in gruppi dai paesi, sui cavalli, ognuno con la propria famiglia, arrivavano uno o due giorni prima e la sera della vigilia, nel grande salone che ancora oggi si affaccia sul cortile, si creava un clima di allegria e di gioia. Si cantavano motivi popolari al suono di una fisarmonica e molti, soprattutto giovani, ballavano fino a tardi, aspettando il nascere del giorno della “Santa Croce”. Per alcune coppie giovani, sposate da qualche mese il “viaggio a Bilici” era atteso con trepidazione e costituiva, insieme al “viaggio” a Caltanissetta per le “vare” della settimana Santa, il “viaggio di nozze”. Per molti questa rimaneva la prima se non proprio l’unica esperienza di viaggio fuori dal proprio paese. Oggi l’uso dell’automobile, che permette di raggiungere il santuario in minor tempo, ha cambiato molto queste usanze; nessuno arriva più la vigilia né prima delle 7,30 del mattino del 3 maggio.

 

LA DEVOZIONE POPOLARE DEL CR0CIFISSO

Fino ad alcuni anni fa (forse l’89), probabilmente prima dell’ultimo restauro, come riferisce sompre qualche pellegrino, c’era l’abitudine di prendere una piccola parte del legno del Crocifisso e di mangiarla pensando che cio avesse un potere taumaturgico.

Oggi questo potere è stato trasferito alle ferite sanguinanti del Crocifisso, soprattutto quelle del costato, il cui sangue scorre per tutte le costole. Sono queste che i pellegrini vanno a baciare quando il Crocifisso e ancora in chiesa, sulla scala posta davanti all’immagine, proprio dietro l’altare. Alla fine della processione, in un clima di commozione generale, i fedeli baciano il Cristo da lontano e porgono i fazzoletti perche “asciughino” le ferite e poi li conservano come relique.

Un particolare significato “miracoloso” e “protettivo” viene attribuito anche al “nastro rosso” distribuito insieme all’immaginetta del Crocifisso. Molti lo legano alla croce di ferro che in epoca piu recente è stata posta sul Calvario, poco distante dalla chiesa in cui e posta la venerata immagine. Alcuni, soprattutto i giovani lo portano come un bracciale e lo conservano come un bene prezioso.

Marianopoli e Villalba sono certamente i paesi maggiormente coinvolti nel culto del Crocifisso di Bilici e si è instaurata una certa solidarietà, rafforzata anche dall’isolamento di questi due paesi rispetto agli altri, certamente meglio collegati da strade piu agevoli.

Anche le leggende sul Crocifisso hanno tre varianti che fanno riferimento a Petralia, Villalba e Marianopoli.

 

Nella religiosità popolare la devozione al Crocifisso, in particolare in questa zona interna della Sicilia è molto diffusa e sicuramente e legata alla predicazione dei gesuiti. Anche a Valledolmo, Resuttano, Bisacquino è molto radicata la devozione al Crocifisso e processioni e feste si svolgono in quei giorni, il 2 o il 4 di maggio in ogni caso in modo da non interferire col pellegrinaggio di Belice, che rimane il punto di riferimento e la festa piu sentita.

Queste stesse considerazioni valgono per i sancataldesi, i quali non solo sono molto numerosi il 3 maggio a Belice, ma hanno una forte devozione per il crocifisso espressa in varie forme e legate ad una lunge tradizione; un prezioso crocifisso in avorio dell’inizio del ‘700 è conservato nella chiesa madre di San Cataldo. “Veneratissimo” e anche il crocifisso di p. Rosario Pirrelli, la cui predicazione era incentrata sul Crocifisso “che portava sempre con sé”. Oggi le sue ossa sono deposte nella chiesa di S. Stefano in San Cataldo (4).

Anche nella vicina S. Caterina si svolge una festa al Crocifisso e sempre allo stesso sono dedicate le edicole nel paese, oggetto di devozione popolare per tutto il mese di maggio.

La fede nel Crocifisso percorre sentieri certamente diversi da quelladella scienza, ma la gente ha bisogno di credere che il soprannaturale sia presente nella vita quotidiana e che questa “presenza” sia benefica e porti salvezza: e infatti “Grazia, Signiruzzu!” è il grido fiducioso e accorato con cui i pellegrini continuano a rivolgersi al Cristo “miracoloso”.


 


Note

(1) Sac. Luigi Immordino, Il SS. Crocifisso venerato nell’ex feudo di Castel-Belice, Villalba, 1959, p. 15

(2) II brano è tratto dalla poesia di Mansueto Montagna pubblicata in: C. Montagna (a cura di), Il crocifisso e il Santuario di castel Belicii, Marianopoli, 1984.

(3) Queste notizie sono state ricavate dalle inerviste fatte ai pellegrini arrivati il 3 maggio del 1994 e 1995 ed altre raccolte nei giorni 1‑4 maggio nei paesi di maggiore provenienza dei pellegrini, soprattutto a Marianopoli, Villalba e S. Caterina Villarmosa.

(4) C. Naro, Momenti e figure della Chiesa nissena dell’otto e novecento, edizioni del Seminario, 1989, pp. 15-22.

10 Risposte

  1. Michele, ho notato che la gente preferisce il crocifisso, l’uomo sanguinante appeso alla croce, un’immensa rappresentazione del dolore e della morte, ad un’immagine di un Cristo Pantocratore o risorto e glorioso per esempio. E’ come se la gente contemplasse e considerasse solo il primo tempo di un film e non anche il secondo tempo con il suo finale.

    Che ne pensi?

    Pax +

  2. e poi, secondo te… perchè Gesù Cristo è morto in croce in pubblico (molti l’hanno visto), e dopo la risurrezione si è mostrato a pochissimi? Non sarebbe stato meglio se si fosse mostrato risorto ad almeno la metà di quelli che lo avevano visto morire in croce? I dubbi sulla sua reale risurrezione sarebbero stati molto ma molto meno, no? Ci sarebbero state moltissime testimonianze!

    Perchè non lo ha fatto allora?

    Pax +

  3. Caro Sebino,
    l’evento della Pasqua di Gesù-Cristo è un evento unico ed unitario,innanzitutto dal punto di vista teologico ancor prima che cronologico.La croce è follia per i greci e stoltezza per i pagani.Dio che riduce il suo figlio a “peccatore”, senza peccato, per salvare tutti noi poveri peccatori è la grandezza del Dio-Trinità.Il crudo e nudo legno della croce e del “maledetto” che vi pende,dice la tragedia della condizione umana opposta a Dio.La sofferenza morale,morire da Giusto.Quella fisica…..
    Il Crocifisso è diventato il paradigma di Dio per il genere umano:regnavit a ligno crucis.Cioè,dal primo venerdì santo della storia,chiunque vuole salvarsi deve aggrapparsi a Colui che pende dalla croce.La salvezza passa attraverso la stoltezza e la follia della croce.Colui che Dio ha fatto MALEDIZIONE per tutti noi ,MALEDETTI DAL NOSTRO PECCATO, è tappa obbligatoria per salvarsi.In Sicilia,il culto a Gesù Crocifisso è stato incrementato dalla predicazione post-tridentina di alcuni ordini religiosi:cappuccini-redentoristi-passionisti ecc.ecc. il cui carisma è proprio quello dell’annuncio della redenzione e della passione di Cristo.Inoltre per il siciliano,il Cristo Crocifisso sintetizza tutta la drammaticità di un popolo oppresso,sfruttato e spesso “maledetto” dalle sue vicende storiche.Costretto a subire in silenzio la sua umiliazione.Il vedere e il toccare l’effige di Cristo Crocifisso,diventa speranza etica e certezza,nella fede,che c’ è una via d’uscita al male morale e fisico. Che la sofferenza non è più assurda ma è foriera di salvezza.Cristo crocifisso,chi meglio di lui può capire le sofferenze passate e presenti dei siciliani?
    Il Cristo Risorto.La risurrezione del corpo di Cristo dai legacci della morte,è evento storico,ma al contempo METASTORICO.Cristo risorto non è più soggetto ai legami dello spazio e del tempo.Dunque per credere a Cristo risorto non basta solamente il “vederlo”tale,ma bisogna sperimentarne gli effetti benefici della risurrezione.Infatti il primo essere umano a vederlo risorto è stata,guarda caso,Maria Maddalena.Come mai?Si è mostrato ad una peccatrice pubblica che si era convertita a lui.Cioè solamente che si pente del proprio peccato lo può incontrare da Risorto.Successivamente appare ai 12 rinchiusi nel cenacolo.Mancava Tommaso detto il Didimo.Tommaso sente la testimonianza degli apostoli,ma non crede.Dopo 8 giorni crede perchè lo vede!Beati quelli che crederanno senza avere visto!!.Appare ai due discepoli di Emmaus i quali lo riconoscono nello spezzare il Pane.L’eucarestia è la grande certezza della risurrezione di Cristo ed è la CAPARRA della nostra!Chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue lo risusciterò nell’ultimo dì.
    La logica di Dio non sempre fa rima con la nostra….

  4. Carissimo,

    grazie per avermi risposto in maniera così dettagliata.

    “Conosco” la logica di Dio, guarda bene l’avatar associata al mio nome utente e capirai, non è lì per caso. Sulla storia del Crocifisso non credo che il paradigma di Dio sia solo quello del “Crocifisso” (a chi lo ha detto?) Penso che dovremmo considerare il complesso degli eventi. Perché troncare una storia a lieto fine? Perché di questo si tratta in fondo!

    Per quel che riguarda la risurrezione, secondo me Gesù Cristo è voluto risorgere così com’è nato, nella massima discrezione. Ha come riemulato la sua natività, lo Spirito Santo avrebbe fatto tutto il resto. I suoi erano più rintronati che altro. Che ne dici?

    Michele, sento spesso parlare di crisi vocazionale nell’ambito sacerdotale, a cosa è dovuta? Tu che frequenti tanti giovani, cosa dicono loro? Cosa dicono le autorità ecclesiastiche?

    Pax +

  5. Il Crocifisso è la più grande e l’ultima PAROLA di Dio al genere umano.Nella pienezza dei tempi,sta scritto,Dio mandò il suo figlio nato da donna,nato sotto la legge per riscattare…..
    Dio,dunque,ha parlato con la Parola Gesù-Cristo.Parola fattasi carne e cibo.
    La risurrezione come natale?Certamente in entrambi gli eventi c’è l’azione potente dello Spirito Santo!
    Crisi vocazionali……si è vero.Forse perchè è venuta meno la FASCINOSITA’ della figura sacerdotale C’è troppa MARMAGLIA in giro.Una volta,si andava in seminario non perchè ci si scopriva OMOFILIACI,ma perchè attratti da figure sacerdotali di altissimo profilo spirituale,culturale,pastorale….Dio continua sempre a chiamare.A chi di dovere il compito serio e impegnativo del discernimento vocazionale.La “politica” di accogliere “oves et boves”(perchè c’è crisi) non paga più di tanto!

  6. Credo di essermi espresso in maniera non felice sopra quando ho scritto sull’evento risurrezione. Mi completo: risurrezione discreta > visione a pochi > diffusione dell’evento per mezzo dell Spirito Santo. E’ questo che volevo dire.

    Mi trovi daccordo con l’evento riscatto, ma la risurrezione, non rientra nell’evento stesso alla luce del fatto che ritorniamo al Padre? Il ritorno, la Risurrezione dei corpi, è la fase conclusiva del riscatto. Penso che fermarsi alla crocifissione sia inconcludente.

    Crisi vocazionale: che sia venuta meno la fascinosità della figura sacerdotale lo trovo positivo. Non mi sembra un buon motivo per farci prete. Interessante la storia dell’entrare in seminario perchè ci si scopre omofilici… non credo sia così in realtà. Questo concetto mi ricorda un’espressione di una parlamentare europea che definì la Chiesa Cattolica come la più grande organizzazione omosessuale mai esistita. Non credo sia così, le persone omosessuali sono dappertutto, quindi anche nei seminari come alla FIAT o alla Microsoft!

    Che Dio continui a chiamare non ho dubbi, ma perchè i giovani rispondono poco? La crisi c’è mi pare, lo dicono tutti.

  7. La fascinosità era un grande mezzo non il FINE…..che sia venuta meno è una cosa assai grave.
    Non tutti quelli che entrano in sem.sono omofiliaci.Ci mancherebbe!Però l’omofilia,nei giovani di oggi,è parecchio diffusa.Il Codice di Diritto Canonico parla di ordinare “Viri probati”,giovani o adulti, ma che siano MASCHI…..che rinuncino al gentil sesso,pur sentendone l’attrattiva,per un fine superiore.
    Gli omosessuali sono d’appertutto?Che bella notizia!Se stanno alla Fiat o alla Microsoft non è la stessa cosa che stare nei seminari.La crisi delle vocazioni è segno concreto della più generale crisi di fede….
    “Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà,troverà ancora la fede sulla terra”?

  8. Secondo me non c’è crisi di fede, ma un bisogno di vera spiritualità che la Chiesa deve dare. Spiritualità non vuol dire attività sociali, volontariato e boy scout (pur sempre rispettabili), meeting, congressi, tante tante chiacchere e mega riunioni del tipo facciamo folla così facciamo vedere chi siamo! Questo, possono farlo tutte le istituzioni o organizzazioni. E poi costano!

    Spiritualità è la riscoperta del senso del mistero, preghiera del cuore ed un pizzico di sano misticismo. Questo alimenta la fede, ne sono convinto. Insegnare ad aprire il cuore all’azione dello spirito… poi il resto, spesso viene da se. Ed è gratis!

  9. Scrive Enzo Bianchi (Lessico della vita interiore, BUR, Milano 2004, p. 15):

    «Non si dà vita cristiana senza vita spirituale! Lo stesso mandato fondamentale che la chiesa deve adempiere nei confronti dei suoi fedeli è quello di introdurli a un’esperienza di Dio, a una vita in relazione con Dio. È essenziale ribadire oggi queste verità elementari, perché viviamo in un tempo in cui la vita ecclesiale, dominata dall’ansia pastorale, ha assunto l’idea che l’esperienza di fede corrisponda all’impegno nel mondo piuttosto che all’accesso a una relazione personale con Dio vissuta in un contesto comunitario, radicata nell’ascolto della Parola di Dio contenuta nelle Scritture, plasmata dall’eucaristia e articolata in una vita di fede, di speranza e di carità. Questa riduzione dell’esperienza cristiana a morale è la via più diretta per la vanificazione della fede. La fede, invece, ci porta a fare un’esperienza reale di Dio, ci immette cioè nella vita spirituale, che è la vita guidata dallo Spirito santo. Chi crede in Dio deve anche fare un’esperienza di Dio: non gli può bastare avere idee giuste su Dio. E l’esperienza, che sempre avviene nella fede e non nella visione, è qualcosa che ci sorprende e si impone portandoci a ripetere con Giacobbe: “Il Signore è qui e io non lo sapevo! (Genesi 28,16).»

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