Caso Englaro:tre opinioni a confronto.

IL CASO ENGLARO
 

 

La natura e il suo corso

di Ernesto Galli Della Loggia

 

 

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E così alla fine il governo è intervenuto in prima persona con un provvedimento d’urgenza nella vicenda di Eluana Englaro. È giusto comprenderne le indubbie motivazioni di carattere umanitario, ma non per questo si può passare sotto silenzio il vulnus che il governo stesso, se questa sua decisione avesse avuto corso, avrebbe inferto alle regole dello Stato costituzionale di diritto. Un cui principio fondamentale, come fin dall’inizio ha giustamente ricordato il presidente Napolitano, è che l’esecutivo non può emanare decreti con lo scopo di modificare o rendere nullo quanto deciso in via definitiva da un tribunale.

E se Napolitano ha mantenuto questa sua opposizione fino al punto di rifiutarsi di controfirmare il decreto uscito dal Consiglio dei ministri, non si può che apprezzare la coerenza e la fermezza del capo dello Stato. Il che non vuole affatto dire però, si badi bene, che ciò che in questo caso i giudici hanno stabilito non lasci nell’opinione pubblica (e certamente, e fortunatamente, non solo in quella cattolica) profonde e giustificatissime perplessità. Le quali, data la materia di cui si tratta, possono arrivare talvolta a prendere perfino la forma di un vero sentimento di rivolta morale. A suscitare forti dubbi è proprio il fondamento stesso della decisione finale presa dalla magistratura e cioè l’asserita volontà (ricostruita ex post su base totalmente indiziaria; ripeto: totalmente indiziaria) di Eluana; la quale, si sostiene, piuttosto che vivere nelle condizioni in cui da diciotto anni le è toccato di vivere, avrebbe certamente preferito morire.

L’altissima opinabilità di questa ricostruzione è dimostrata dal semplice fatto che in precedenza per ben due volte (Tribunale di Lecco nel 2005, Corte d’appello di Milano nel 2006) le conclusioni dei giudici erano andate in direzione opposta a quella successiva: allora, infatti, essi sostennero che non esistevano prove vere e affidabili per stabilire la reale volontà della ragazza, intesa come «personale, consapevole e attuale determinazione volitiva, maturata con assoluta cognizione di causa». Poi la sentenza terremoto della Corte di cassazione; prove simili non furono più ritenute necessarie: per decidere della vita e della morte di Eluana, stabiliscono i giudici, basta adesso tener conto «della sua personalità, del suo stile di vita, delle sue inclinazioni, dei suoi valori di riferimento e delle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche» (si sta parlando, lo si ricordi sempre, di una persona che all’età dell’incidente aveva diciotto anni).

Ed è precisamente sulla base di questa direttiva emanata dai giudici supremi che la Corte d’appello di Milano cambia nel 2008 il proprio orientamento e quelli che prima erano indizi generici si tramutano in prove della personalità di Eluana «caratterizzata da un forte senso d’indipendenza, intolleranza delle regole e degli schemi, amante della libertà e della vita dinamica, molto ferma nelle sue convinzioni ». Dunque si proceda pure alla sua eliminazione. Mi sembra appropriato il commento di un giurista di vaglia, Lorenzo D’Avack, sull’Avvenire di giovedì: «Giovani liberi, tendenzialmente anticonformisti, un poco anarchici, dinamici, attivi, con qualche entusiasmo per lo sport, diventano così per la Corte i soggetti ideali per un presunto dissenso, ora per allora, verso terapie di sostegno vitale ». C’è o non c’è, mi chiedo, motivo di qualche perplessità? Tanto più che contemporaneamente, come fa notare sempre d’Avack, la stessa Cassazione, in un caso di rifiuto delle cure da parte di un Testimone di Geova, stabilisce, invece, che a tale rifiuto i medici devono sì ottemperare, ma solo se esso è contenuto «in una dichiarazione articolata, puntuale ed espressa, dalla quale inequivocabilmente emerga detta volontà».

Ma guarda un po’! Torno a chiedermi: c’è o non c’è motivo di qualche perplessità, forse anzi più d’una? Detto ciò della ricostruzione della volontà di Eluana — che pure, non lo si dimentichi, allo stato attuale è premessa assolutamente dirimente per qualunque decisione da prendere—resta un’ultima questione, quella del «lasciar fare alla natura il suo corso», come si dice da parte di chi pensa che si possa tranquillamente far morire la giovane. Un’ultima questione, cioè un’ultima domanda: davvero l’espressione «lasciar fare alla natura il suo corso» può arrivare a significare il divieto di idratazione e di alimentazione di un corpo umano? Davvero «far fare alla natura il suo corso» può voler dire far spegnere una persona per mancanza d’acqua? La coscienza di ognuno di noi risponda come può e come sa. Ma per tutto questo tempo, in realtà, il corpo di Eluana Englaro non ha ricevuto solo liquidi e alimenti; esso è stato anche costantemente sottoposto ad una penetrante protezione farmacologica senza la quale assai probabilmente non avrebbe mai potuto sopravvivere così a lungo.

È proprio da qui si potrebbe forse partire per immaginare quale soluzione dare in futuro ad altri casi analoghi. Una soluzione, questa volta legislativa, che proprio il decreto di ieri del governo mette in modo ultimativo all’ordine del giorno dei lavori parlamentari, e che potrebbe fondarsi sul concetto di divieto di accanimento terapeutico, ormai pacificamente accolto nelle nostre leggi. Tale divieto, com’ è noto, si sostanzia in un obbligo di non fare, di non procedere alla somministrazioni di cure allorché è ragionevole pensare che esse non possano in alcun modo servire alla guarigione o a qualche miglioramento significativo delle condizioni del paziente; limitando in questi casi l’opera del medico solo al sollievo dal dolore. Si tratta peraltro—ed è questo un aspetto decisivo—di un obbligo/ divieto che per valere non ha bisogno di essere convalidato da alcuna decisione particolare del malato, dal momento che fa parte del codice deontologico di tutti coloro che esercitano la professione medica.

Ebbene, non riesco a vedere una ragione valida per cui nel divieto di accanimento ora detto non possa essere fatto rientrare la non somministrazione di farmaci a chi, come è il caso di Eluana Englaro, si trova da tempo in condizioni di stato vegetativo persistente al quale quelle medicine stesse non possono arrecare alcun giovamento ma al massimo assicurarne l’indefinita prosecuzione. Non produrre la morte di alcuno negandogli l’idratazione e l’alimentazione. Togliere invece ogni medicamento. Questo sì mi sembrerebbe un vero «lasciar fare alla natura il suo corso»: rimettendosi al caso o ai disegni imperscrutabili da cui dipendono le nostre vite.

Corriere della Sera 07 febbraio 2009

 

«E’ un omicidio, quel decreto è un dovere»   
«Lo Stato ha il diritto di proteggere la vita di ogni suo cittadino» 
Intervista al cardinale Camillo Ruini

di Aldo Cazzullo

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 Cardinal Ruini, quali sono i suoi sentimenti in queste ore decisive per la sorte di Eluana Englaro?
«Sofferenza. Non ho mai conosciuto Eluana, ma prego per lei ogni giorno. Preoccupazione. Speranza. E impegno a fare tutto il possibile. Innanzitutto, per far sapere quali sono le sue reali condizioni: chi è informato bene, di solito non ha più dubbi. È stato importante che la suora che l’ha assistita sia andata in tv a raccontare la sua esperienza con Eluana. Non ha senso attribuire all’Eluana di oggi, dopo quel tragico incidente, le aspirazioni e i desideri di prima. Eluana è stata sfortunata. Ha perduto molto. Ora ha bisogno di poco, è protesa verso quel poco, con poco può vivere senza soffrire. Non colpiamola una seconda volta. Non togliamole anche questo poco».
Lasciarla morire equivale a un omicidio?
«Lasciarla morire, o più esattamente — per chiamare le cose con il loro nome — farla morire di fame e di sete, è oggettivamente, al di là delle intenzioni di chi vuole questo, l’uccisione di un essere umano. Un omicidio. Purtroppo inferto in maniera terribile, senza che nessuno possa essere certo che Eluana non soffrirà».

È giusto che il governo sia intervenuto con un decreto? E il capo dello Stato avrebbe dovuto firmarlo?
«Non ho ancora avuto modo di conoscere il testo del decreto del governo e della lettera del capo dello Stato, ma conosco le obiezioni secondo le quali questo decreto sarebbe una prevaricazione nei rapporti tra i poteri dello Stato. Di prevaricazioni però in questa vicenda se ne sono già fatte molte. A cominciare dai giudici che hanno applicato una legge che non esiste e che, soprattutto, non hanno tenuto conto della situazione reale di Eluana. Ad ogni modo, ritengo che lo Stato abbia il diritto, e aggiungerei il dovere, di proteggere la vita di ogni suo cittadino».

Una legge sul testamento biologico ora è necessaria? E come andrebbe impostata?
«Preferisco parlare di legge sulla fine della vita. La parola testamento implica infatti che si disponga di un oggetto, ma la vita non è un oggetto, non è un appartamento o una somma di denaro. La legge dovrebbe evitare sia l’eutanasia sia l’accanimento terapeutico. Ma è ovvio che la nutrizione e l’idratazione non possono essere lasciate alla decisione dei singoli, perché toglierle significa provocare la morte. Se eutanasia significa morte “dolce”, “buona”, la fine di Eluana sarebbe peggio dell’eutanasia: Eluana morirebbe di fame e di sete. La sua sarebbe una morte pessima».

Il padre, Beppino Englaro, ha avuto parole dure su quella che considera un’ingerenza della Chiesa. Ha torto?
«Il rispetto è dovuto a tutti, ma il rispetto massimo è dovuto al signor Englaro, che vive questa terribile esperienza di persona. Nessuno di noi può sindacare su come reagiscono i genitori toccati così profondamente dal dolore. Ho conosciuto genitori che si ribellavano di fronte a quella che ritenevano un’ingiustizia divina, e altri che la accettavano. Ricorderò sempre il giorno in cui fui testimone di un incidente stradale a Regnano, sulle colline di Reggio Emilia. Stavo guidando. Davanti a me, un giovane cadde dalla moto. Non andava forte, ma c’era ghiaia sulla strada e perse il controllo, la moto gli cadde addosso. Mi fermai, gli diedi l’estrema unzione, ma era già morto. Gli abitanti del paese mi dissero: la madre è malata di cuore, vada lei a darle la notizia. Mi feci carico del duro compito. Quella donna, una contadina, rimase a lungo in silenzio. Poi mi guardò e disse: “La Madonna ha sofferto di più”…». (Il cardinale si interrompe, commosso).

Parlavamo dell’ingerenza.
«Non ingerenza, ma adempimento della missione della Chiesa. Come ha detto con una formula molto efficace Giovanni Paolo II, nell’enciclica Redemptor hominis, “sulla via che conduce da Cristo all’uomo la Chiesa non può essere fermata da nessuno”. Ogni essere umano è degno di rispetto e amore; tanto più gli innocenti, gli inconsapevoli, i colpiti dal destino».

L’ha colpita il gesto delle suore che erano pronte ad accogliere Eluana e occuparsi di lei negli anni a venire?
«Mi ha toccato profondamente, ma non mi ha sorpreso. Ho avuto molte esperienze in merito. Penso alle suore delle case di carità di Reggio Emilia, che ora sono anche qui a Roma. Donne che accolgono persone in condizioni gravissime e le accudiscono con dedizione totale e con gioia. E molti sono i volontari che le affiancano».

Quali casi ha conosciuto di persona?
«Ad esempio, famiglie che hanno figli cerebrolesi dalla nascita, incoscienti eppure non indifferenti, perché in modo istintivo percepiscono le correnti di affetto. Ci sono genitori che rifiutano figli così, ma ci sono altri che li accettano. La vita di quei ragazzi, che talora ho visto diventare adulti, non è meno preziosa. Non posso accettare l’idea che la loro vita valga meno della mia o di qualsiasi altra».

Quali sensibilità ha colto sulla vicenda nell’opinione pubblica, credente o non credente? I sondaggi indicano che in molti sostengono le ragioni di Beppino Englaro.
«Io non ho fatto sondaggi, ma ho discusso in varie occasioni con la gente comune. All’inizio l’interesse era minore, e in tanti consideravano giusto che fosse il padre a decidere. Ma non appena vengono informati sulle reali condizioni di Eluana, in pochissimi restano favorevoli a lasciarla morire. Uno dei miei interlocutori si è proprio arrabbiato: “Ma perché i giornali non scrivono queste cose?”».

E lei come ha trovato i giornali?
«In buona parte schierati. Mentre le tv lo sono state meno, hanno dato spazio anche alle nostre ragioni, come già accadde per il referendum sulla procreazione assistita».

Diceva delle sue discussioni con la gente comune.
«Il fattore che la orienta non è tanto quello religioso. Non ci sono i credenti di qua e i non credenti di là. L’impressione è che ci siano piuttosto gli informati e i non informati. L’esperienza mi ha insegnato inoltre che i malati, per quanto gravi, sperano sempre di continuare a vivere».

In un’intervista a Giacomo Galeazzi della «Stampa», l’arcivescovo Casale, schierandosi con papà Englaro, dice: «Anche Giovanni Paolo II ha richiesto di non insistere con interventi terapeutici inutili».
«Penso di aver conosciuto bene Giovanni Paolo II, e ho vissuto quei giorni in stretto contatto con il suo segretario Don Stanislao Dziwisz, mio carissimo amico. So bene dunque il senso delle ultime parole del Papa, “lasciatemi andare”. Quando non c’è più niente da fare, il credente sa che, con la morte, per lui la vita non finisce, ma in un certo senso comincia. Sia credenti sia non credenti possono dire “lasciatemi andare” in modo eticamente legittimo, ma per un credente queste parole indicano anche una speranza, significano “lasciatemi tornare alla casa del Padre”. Chi ha un’esperienza anche piccola del modo in cui Giovanni Paolo II viveva il suo rapporto con Dio non ha dubbi al riguardo».

Lei era capo dei vescovi quando si visse il dramma di Piergiorgio Welby. Diverso da quello di Eluana perché il malato era cosciente e aveva chiesto di morire. Ripensandoci oggi, non era possibile un atteggiamento diverso da parte della Chiesa? Ad esempio concedere i funerali?
«È vero, quel caso era molto diverso. Non solo Welby era cosciente; era molto più dipendente dalla tecnologia per continuare a vivere. Nel mezzo della prova, lui scelse di porre fine alla sua vita. Una scelta che Eluana non ha mai fatto. Quanto alla mia decisione, la Chiesa non può consentire — tanto più quando un caso ha rilevanza pubblica — che si rivendichi nello stesso tempo l’appartenenza al cattolicesimo e l’autonomia nel decidere sulla propria vita. Non si può dire: “Io sono cattolico, e decido io”».

Può un cattolico, tanto più un vescovo, negare la Shoah? È una semplice opinione personale in contrasto con quanto sostiene la Chiesa, o è un dato incompatibile con la presenza della Chiesa stessa?
«A questa domanda ha già risposto la Santa Sede, con la nota della Segreteria di Stato pubblicata sull’Osservatore Romano secondo la quale, per essere ammesso alle funzioni episcopali, Williamson deve “prendere in modo inequivocabile e pubblico le distanze dalla sua posizione sulla Shoah”. Se non lo fa, non può fare il vescovo».

Come giudica l’invito del cancelliere Angela Merkel al Papa a fare chiarezza sul negazionismo dei lefebvriani?
«Quanto meno superfluo. Basta ricordare o rileggere quanto disse Benedetto XVI ad Auschwitz, domenica 28 maggio 2006, con parole che toccarono profondamente tutti i presenti, me compreso».

La vicenda Englaro le pare collegata alla denuncia del vuoto di valori e del relativismo etico, temi-chiave del pontificato di Ratzinger?
«Uno dei caratteri del magistero di Benedetto XVI e della teologia di Joseph Ratzinger è la denuncia del relativismo etico o, per usare la formula da lui coniata, della dittatura del relativismo. In Italia, e ancor più in altri Paesi dell’Occidente, esiste un’emergenza educativa, che rappresenta un’ipoteca sul nostro futuro e ha le sue radici nella mentalità diffusa, secondo la quale non esistono più punti di riferimento che precedano e possano illuminare le nostre scelte. Quando non siamo più d’accordo su cos’è l’uomo, quando l’uomo viene ricondotto totalmente ed esclusivamente alla natura, salta ogni differenza qualitativa, viene meno lo specifico umano, cadono o cambiano radicalmente i parametri educativi. Si aprono così le porte al nichilismo, che nasce, come ha spiegato bene il suo primo sostenitore, Federico Nietzsche, con la “morte di Dio”. La Chiesa italiana è pronta a un grande sforzo sull’educazione, collaborando con altri soggetti per il futuro del Paese, e pubblicherà in merito un “rapporto-proposta”. Stiamo lavorando inoltre ad un grande evento internazionale per il dicembre prossimo a Roma, dove arriveranno alcuni tra i più importanti studiosi del mondo a confrontarsi sul tema di Dio e del suo significato per la nostra vita, anche in rapporto con la scienza». 

Corriere della sera 07 febbraio 2009

 

 Giovanni Reale: «Farla sopravvivere è andare contro natura»

Il filosofo cattolico: la Chiesa e il governo politicizzano una cosa metapolitica

di Daniela Monti

 

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«Ma ancora non c’è nulla di deciso, vero?», chiede Giovanni Reale. «Il decreto del governo è un errore, si oppone all’idea di libertà su cui è radicato il concetto occidentale dell’uomo. E lo dico da cattolico». «Napolitano ha fatto il suo dovere di Presidente, ha richiamato l’attenzione sulla sostanza della Costituzione. Un uomo saggio. Almeno uno».

«Sopravvivenza a prezzo di vita». Quando entra nel merito della vicenda di Eluana Englaro, cita il francese Jean Baudrillard. Da 17 anni, per Reale, Eluana Englaro sopravvive a prezzo della vita. «La tesi portata avanti da molti uomini della Chiesa, e ora anche del governo, è sbagliata e va corretta — dice il filosofo —. Nel caso di Eluana vedo un abuso da parte di una civiltà tecnologica totalizzante, così gonfia di sé e dei suoi successi da volersi sostituire alla natura. Si è perduta la saggezza della giusta misura. La Chiesa, e il governo insieme a lei, sono vittime di questo paradigma culturale dominante». Racconta di sua madre. «Era all’ospedale con il cancro, i medici volevano riempirla di tubi. “Potremmo prolungarle la vita di qualche mese”, dicevano. Io ero frastornato. È stata lei a decidere: lasciatemi morire a casa, nel mio letto. In quel periodo stavo traducendo il Fedone di Platone e anche lì, con parole diverse, ho ritrovato il senso di quel desiderio di mia madre. Quando Socrate deve bere la cicuta, qualcuno gli suggerisce: “C’è ancora qualche ora, attendi finché il sole non sia tramontato”. Ma non ha senso aggrapparsi alla vita quando ormai non ce n’è più». Se mi trovassi nella condizione di non aver più speranze di guarigione, aggiunge Reale, «non avrei dubbi su cosa scegliere».

Anche la Chiesa condanna l’accanimento terapeutico. Ma un sondino per l’alimentazione è accanimento terapeutico? Su questo ci si divide. «La Chiesa dice molte cose sagge. Per esempio: si può rinunciare all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo. Ed è proprio questo il caso di Eluana: qui non c’è stata proporzione e non c’è nessuna ragionevole speranza di esito positivo. E allora? Perché questo accanirsi contro di lei?». Reale, da credente, rivendica la libertà di coscienza dei cattolici sul caso di Eluana. Di più: dice che la libertà di coscienza «è un preciso dovere morale» e si affida a un’altra citazione, questa volta un aforisma di Gomez Davila: «Ciò che si pensa contro la Chiesa, se non lo si pensa da dentro la Chiesa, è privo di interesse». «Ecco — riprende — molte critiche che vengono dall’interno sono costruttive. Io critico il paradigma culturale che vorrebbe tenere in vita Eluana contro la natura, e la fede con questo non ha nulla a che fare, la fede è al di sopra della cultura, il suo compito è fecondare la cultura stessa».

Se il diritto alla vita perde la precedenza su tutti gli altri valori, sa anche lei quale potrebbe essere il prossimo passo: parlare in termini meno ideologici di eutanasia. «Errore. Io non lascio aperto nessuno spiraglio all’eutanasia. Non dico: fammi morire. Ma: lasciami morire come ha stabilito la natura. Né io, né tu. La natura. Prendiamo il caso di Piergiorgio Welby, che ho seguito da vicino. Welby sostanzialmente non disse: staccate la spina. Ma: lasciate che la natura faccia il suo corso, non fatemi restare vittima di una tecnologia che costruisce qualcosa di sostitutivo e artificiale rispetto alla natura. È un’affermazione identica a quella che si dice abbia fatto Giovanni Paolo II: lasciatemi tornare alla casa del padre. Il secondo aveva fede, il primo no. Per Welby era andare nella notte assoluta, per il Papa nella vita. Ma dal punto di vista umano è la stessa condivisibile richiesta». A complicare il caso di Eluana c’è la questione della ricostruzione della sua volontà presunta. «Chi più del padre e della madre ama quella ragazza? Mi sembra che nessuno più di loro abbia il diritto di dire che cosa avrebbe voluto fare la figlia, ora che lei non è più in grado di esprimersi».

Giovanni Reale in più occasioni, durante questa intervista, usa il «noi»: «Noi pensiamo che la vita di Eluana sia artificiale». «Secondo noi questo sistema che si è sostituito alla natura per un tempo così spaventosamente lungo è aberrante». Reale parla per sé, ma la sua non è una voce isolata. Attorno al diritto all’autodeterminazione e all’idea di libertà di coscienza dei cattolici si è costituito un gruppo di filosofi: da Vito Mancuso a Roberta De Monticelli, da Vittorio Possenti a, appunto, Giovanni Reale, le «intelligenze più acute del cattolicesimo italiano», come li ha definiti Luigi Manconi su L’Unità. Che succede ora: nella Chiesa si arriverà a una sintesi? «Gettiamo semi, non tocca a noi raccogliere frutti. Speriamo li diano. Ma l’errore che con Eluana stanno facendo religiosi e uomini di governo è di cadere nella politicizzazione di qualcosa che con la politica non c’entra niente, che è metapolitico».

Corriere della Sera 07 febbraio 2009

 

 

 

http://www.rivistadireligione.it/rivista/articolo.aspx?search=TG4evq3eYMJQs48v8bQuHbd4YAm0utNQ

 

 

L’assoluto nelle tradizioni religiose: il divino e il cosmo

 di

Alberto Pisci

 

 

La storia dell’umanità porta in sé la traccia evidente di uomini e donne, appartenenti ai più diversi orizzonti culturali, che affermano di aver fatto un’esperienza radicale dell’Assoluto. Qualunque sia il nome attribuito a tale Assoluto, che sia stato percepito come personale o impersonale, tutti testimoniano di un’esperienza unica che ha dato senso alla loro vita. Sapienti taoisti, hindù o buddisti, filosofi greci e romani, mistici ebrei, cristiani o musulmani, toccati dalla trascendenza, hanno rifiutato una visione puramente materialista dell’uomo e del mondo. Essi hanno evocato la forza dello spirito e testimoniato la possibilità di un’esperienza interiore che conduce a una profonda trasformazione dell’essere. Attraverso differenti concetti e immagini improntati alle singole tradizioni filosofiche e religiose, essi hanno cercato di trasmettere il proprio percorso individuale, invitando i discepoli a impegnarsi lungo il cammino della ricerca spirituale.
Oggi la crisi delle ideologie e delle istituzioni (comprese quelle religiose) riporta in primo piano il bisogno degli individui di dare un senso alla propria vita. Il bisogno di spiritualità e sapienza non è mai apparso così forte in Europa come in questi decenni in cui le società appaiono fortemente secolarizzate. L’uomo occidentale, all’inizio del XXI secolo, si scopre sempre meno ancorato a certezze e risposte preconfezionate; tuttavia non ha rinunciato a interrogarsi sul senso dell’esistenza e sulle modalità di vita in armonia con se stesso, con il prossimo e con il mondo. In questo debole scenario riprende vigore la ricerca mistica dell’Assoluto sia attraverso coloro che ne hanno fatto esperienza all’interno delle religioni tradizionali, sia attraverso nuovi e differenti percorsi esterni alle istituzioni ecclesiali.

Per cercare di avvicinare alcuni di questi percorsi e, con essi, il fine ultimo proposto dalle principali tradizioni religiose si possono percorrere strade differenti quali: 
la percezione della dimensione cosmica 
il rapporto tra l’uno e il molteplice 
l’insondabilità del divino 
la divinità che si rivela 
il divino come Provvidenza 
il divino interiore e il Sé 
la percezione dell’aldilà e del fine ultimo 

Avviciniamo il primo di tali percorsi, accostando alcune esperienze religiose dell’Assoluto percepito nella sua dimensione cosmica: come viene compresa la natura e la realtà che ci circonda? Gli O.S.A. delle secondarie superiori offrono numerosi spunti per la comprensione della rivelazione cristiana in relazione al rapporto tra Dio e il mondo e per la comparazione tra questa e le altre tradizioni religiose.

Per alcune tradizioni religiose l’Assoluto è percepito proprio attraverso la natura, l’ordine del mondo. In alcuni casi presiede il cosmo, in altri si identifica con esso. Quest’ultimo è il caso della visione cinese del Tao (o Dao) dell’armonia universale; o la Concezione della Terra-Madre presente in alcune tradizioni etniche come quella degli Amerindi che offrono una comprensione “religiosa” della natura e rispettano tutti gli esseri viventi come “popoli fratelli”.
Anche se è meno presente, questa dimensione cosmica è possibile ritrovarla presso alcuni mistici delle grandi religioni monoteiste che, come Francesco d’Assisi, lodano il Creatore attraverso la bellezza della sua creazione. Non si possono poi trascurare le esperienze di alcuni mistici contemporanei al margine delle grandi tradizioni religiose, come Bernadette Roberts, che evocano un’esperienza panteista dell’Assoluto attraverso cui scoprire che “Dio è dappertutto e che Egli è tutto ciò che esiste”.

 

 Ebraismo 

“I cieli narrano la gloria di Dio” (Salmo 19)

Il Salmo 19 è un inno che loda i prodigi di Dio nella natura. L’autore, probabilmente si tratta di Davide, celebra in Jahvè il creatore del cielo e l’autore della legge: l’idea che viene perseguita è che natura e legge di Dio siano espressione della perfezione divina, identificata nel sole. Nella liturgia cristiana questo salmo è applicato, nella liturgia del Natale, al Verbo di Dio, sole di giustizia.

I cieli narrano la gloria di Dio,
e l`opera delle sue mani annunzia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia.
Non è linguaggio e non sono parole,
di cui non si oda il suono.
Per tutta la terra si diffonde la loro voce
e ai confini del mondo la loro parola.

Là pose una tenda per il sole
che esce come sposo dalla stanza nuziale,
esulta come prode che percorre la via.
Egli sorge da un estremo del cielo
e la sua corsa raggiunge l`altro estremo:
nulla si sottrae al suo calore.

 

Cristianesimo 

“Per mezzo di Lui tutte le cose sono state create” (Col 1,15-20)

Nella Lettera ai Colossesi San Paolo espone il primato di Cristo sia nella realtà naturale, sia in quella soprannaturale. Cristo, primogenito della creazione, Figlio di Dio fatto uomo, riflette nella sua natura umana l’immagine del Dio invisibile.

Egli è immagine del Dio invisibile,
generato prima di ogni creatura; poiché per mezzo di lui
sono state create tutte le cose,
quelle nei cieli e quelle sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potestà.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose
e tutte sussistono in lui. Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa;
il principio, il primogenito di coloro
che risuscitano dai morti,
per ottenere il primato su tutte le cose. Perché piacque a Dio
di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose,
rappacificando con il sangue della sua croce,
cioè per mezzo di lui,
le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli.

“Cantico delle creature” di San Francesco

giotto

Giotto, La predica agli uccelli, particolare, 1296-1298 ca.
(Assisi, Basilica Superiore di San Francesco).

 

 

 

Non è solamente per i doni della Grazia e per la sua storia personale che Francesco d’Assisi prova un sentimento di gratitudine estrema, ma anche grazie all’ineffabile spettacolo della realtà naturale, così generosamente offerta alla nostra contemplazione. Ispirato dai Salmi, egli scopre nell’universo lo specchio delle perfezioni divine e vi aggiunge quel sentimento di fraternità con tutte le opere di Dio perché sono state santificate dal Figlio nello Spirito. Il Creatore non ha dato nulla all’uomo che non sia un bene; compresa la morte. È il peccato che lo priva del bene. Animato da una passione cosmica, il poeta santo che parlava agli uccelli e predicava ai lupi ricorda che tutto nell’universo è degno di amore, e che nell’amore non si deve fare economia.

Altissimu, onnipotente bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.

Ad Te solo, Altissimo, se konfano,
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumeni noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si’, mi Signore, per sora Luna e le stelle:
in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo,
per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor Aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate Focu,
per lo quale ennallumini la nocte:
ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore
et sostengono infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke ’l sosterranno in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’ mi’ Signore, per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po’ skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati,
ka la morte secunda no ’l farrà male.

Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate
e serviateli cum grande humilitate.

 

Islam 

“Scrutate ciò che è nei cieli”

Il mistico del XII secolo Ibn ’Ata Allah era a capo di un’importante confraternita islamica sulle sponde del Nilo. Numerose delle sue Sentenze affermano che chi ha il cuore illuminato da una conoscenza soprannaturale vede i segni della presenza di Dio in tutta la creazione. Lui solo occorre scrutare e bramare di comprendere, non i cieli stessi ai quali bisogna guardarsi dal rendere culto.
(Ibn ’Ata Allah, Sentenze e colloquio mistico, Adelphi, 1981; Sentenza n.132)

Egli ti ha permesso di scrutare ciò che c’è nelle creature, ma non ti ha permesso di sostare con le creature. “Di’: Scrutate ciò che è nei cieli”; e dicendo “Scrutate ciò che è nei cieli” apre la porta della comprensione; e non dice “Scrutate i cieli” perché tu non ti rivolga agli astri.
(Sentenza n. 227)
Se non hai contemplato il Creatore, sei con le creature; se Lo hai contemplato, le creature sono con te.

 

Taoismo 

“L’armonia dell’universo è il Dao universale”

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Un monaco taoista del monastero di Wudang in preghiera.

L’Invariabile Mezzo

è un breve trattato dell’antichità cinese attribuito a Zisi, nipote di Confucio, che sarebbe vissuto nel V secolo a.C.
Il suo titolo
Zhongyong designa il Mezzo (Zhong) nel senso di equilibrio, di controllo dello spirito e dei sentimenti nell’agire quotidiano e costante (yong). Il Cielo è l’entità suprema che abbraccia la totalità dell’esperienza umana, dal cielo fisico al cielo astratto, conservando, sul piano religioso, le prerogative del Signore che governa gli esseri e la natura e determina il destino di ciascuno. Sul piano cosmico è il grande ordinatore del cosmo che si fonde con l’ordine naturale. La sua azione è sottile, ma continua e immensa.
Ciò che il Cielo destina all’uomo è la sua natura; seguire la sua natura è il Dao; coltivare il Dao è l’insegnamento. Il Dao non potrebbe essere abbandonato un solo istante; se potesse esserlo, non sarebbe più il Dao (…). Quando piacere, collera, tristezza e gioia non vengono manifestati, lì si trova il Mezzo, l’armonia. Il Mezzo è il grande fondamento dell’universo, l’armonia è il Dao universale.

 

Amerindi 

“Ogni luogo sacro contiene la sua propria rivelazione” (Vina Deloria, God is Red)

Giurista e scrittore per vocazione, Vine Deloria è uno dei più brillanti scrittori degli Stati Uniti ed è stato uno dei maestri del Red Power (Potere rosso), movimento di contestazione sociale e politica della minoranza indiana d’America che conobbe il suo apogeo negli anni 1960-70, lungo la scia del Black Power e della lotta per i diritti civili. L’opera più conosciuta di Vine Deloria è un best seller intitolato Custer died for your Sins (“Custer è morto per i vostri peccati”), pubblicato nel 1969, un pamphlet incisivo in cui denuncia i pregiudizi anti-Indiani della conquista dell’Ovest. È una riflessione personale sull’universo spirituale degli Indiani, divisi tra Cristianesimo e tradizionalismo. La sua riflessione religiosa è un’esaltazione delle religioni tradizionali degli Amerindi.

La convinzione secondo la quale gli esseri umani possono trasformarsi in uccelli o in altri animali così come le altre specie possono trasformarsi in esseri umani, è molto importante in alcune religioni tribali. Pertanto le differenti specie possono comunicare tra di loro e istruirsi a contatto gli uni con l’altri. Alcune di queste idee sono state tacciate di stregoneria per il fatto che tali fenomeni, in una prospettiva occidentale, sarebbero naturalmente percepiti come malefici e diabolici. Ma ciò che sfugge agli occidentali è che l’unicità del mondo ne è una conseguenza logica. In effetti, se tutti gli esseri viventi condividono lo stesso creatore e la stessa creazione, non è logico supporre che tutti hanno la capacità di essere uniti a tutte le creature viventi. Chi ascolterà l’insieme dell’universo? (…) Ogni luogo sacro contiene la sua propria rivelazione. L’avvenire dell’umanità dipende da coloro che giungeranno a comprendere il senso della loro esistenza ed assumersi la loro responsabilità di fronte a tutte le creature viventi. Chi ascolterà gli alberi, gli uccelli e gli altri animali, chi ascolterà le voci dei siti naturali? Quando i popoli a lungo dimenticati sui loro rispettivi continenti si solleveranno e cominceranno a rivendicare la antica eredità, essi comprenderanno il significato dei territori dei loro avi. Sarà allora che gli invasori del continente nord-americano scopriranno che su quel continente Dio è indiano.

 

New Age 

“Dio è dappertutto” (Bernadette Roberts, L’esperienza del non-sé, Astrolabio-Ubaldini)

L’americana Bernadette Roberts (1931) è stata per nove anni suora carmelitana e dice di sé, non senza humour, di essere “madre di famiglia di professione e contemplativa per grazia di Dio”. Sostiene di aver praticato un viaggio “aldilà dell’unione” in seguito alla quale avrebbe annullato il suo “io”. Desiderosa di trasmettere la sua esperienza, Roberts si rifà a figure di mistici cristiani quali Giovanni della Croce, Maestro Eckhart, Thomas Merton, ma sostiene di aver iniziato lì dove questi ultimi si sarebbero fermati: sulla soglia cioè della dissoluzione completa e definitiva del proprio “io” e dunque di ogni possibilità di unione con un Dio troppo personale per non essere oggetto di illusorie proiezioni e identificazioni.

Dopo aver scoperto che Dio è dappertutto io fui ricompensata del centuplo per la perdita sconcertante di un Dio personale interiore. Sembra che io sia dovuta passare attraverso il personale, poi l’impersonale, prima di realizzare che Dio era più vicino dell’uno e dell’altro e trascendeva queste due forme. Le nozioni e le esperienze di un Dio personale e interiore, o impersonale ed esterno, sono di ordine puramente relativo, poiché appartengono all’io e alla coscienza individuale. Dio, tuttavia, è aldilà della relatività della nostra mente e delle nostre esperienze percettive; in effetti Egli è così vicino che non può mai essere localizzato. Ma comprendere veramente questa intimità, vederla, vuol dire scoprire che Dio è dappertutto e nello stesso tempo vedere che Egli è tutto ciò che esiste.

Induismo 

“Dall’Immutabile emana l’universo dove siamo” (Mundaka Upanishad I, 1,7; II, 1,1)

Dal punto di vista indiano, il mondo può essere considerato illusorio, una specie di ectoplasma energetico che può riassorbirsi nel proprio principio. In questo senso l’universo è chiamato Maya, illusione o apparenza. L’uomo fa parte della creazione e non esiste sotto alcun aspetto fisico, mentale o spirituale al di fuori di essa. Lo Shivaismo in particolare si fonda sul principio che non esiste nulla che non faccia parte del corpo divino, che non possa essere una via per raggiungere il divino. Tutti gli oggetti, tutti i fenomeni naturali, le piante, gli animali, ma anche gli aspetti dell’uomo, possono essere punti di partenza per avvicinarsi al divino. Non esistono un alto e un basso, funzioni inferiori e superiori, una sfera profana e una sacra. Se riconosciamo l’ordine divino in ogni nostra tendenza, funzione fisica e azione, siamo padroni di noi stessi, compagni del dio. Se invece ignoriamo o rifiutiamo di vedere l’ordine universale in tutto ciò che costituisce il nostro ordine fisico o mentale e i legami che ci uniscono, a ogni livello, al mondo naturale e cosmico, attiriamo su di noi la follia distruttrice che è la manifestazione della collera degli dei.

Così come il ragno secerne e riassorbe il proprio filo,
come dalla terra sorgono le piante
e all’uomo crescono capelli e peli sulla testa e sul corpo,
dall’Immutabile emana l’universo dove siamo…
Dall’Immutabile provengono le diverse specie di creature
che tornano a perdersi in lui.
“Brahman è la suprema unità” (Sankara, Le plus beau Fleuron de la discrimination, versetti 226 e segg., Paris, 1998)

 

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Brahma, il dio della creazione dalle quattro teste,
rappresentato sul suo mezzo di trasporto: un’oca;
miniatura indiana del XVIII secolo, scuola Pahari
(Himachal Pradesh, Museo di Simla).

L’asceta indiano Sankara (788-820) è all’origine del sistema filosofico fondato sulla “non-dualità” che afferma, a partire dai testi Upanishad, che esiste un unico essere, il Brahman, la sola realtà, causa prima dell’universo che non è altro che un’illusione.
Brahman è la suprema realtà,
poiché non esiste altro che il Sé (…)
Tutto questo universo che l’ignoranza ci presenta sotto l’aspetto della molteplicità,
non è altro che Brahman (…)
Questo Brahman è la totalità di tutti gli esseri e di ogni cosa,
il Sé di ogni creatura (…)
Perché niente esiste fuori di Brahman (…)

 


Stoicismo 

“Zeus, principio della natura che tutte le cose con leggi governi” (Cleante, Inno a Zeus)

Lo stoicismo è la filosofia di gran lunga più rappresentativa al momento delle origini cristiane. Iniziata da Zenone di Cizio vissuto tra il 333 e il 262 a.C. questa filosofia è sostanzialmente materialistica, nel senso però che Dio (chiamato Logos) si identifica con la natura: la divinità pur essendo corporea è immanente all’universo. Nel cosmo è presente anche un principio finalistico, fonte di armonia universale, chiamato prònoia (“provvidenza”) il quale fa sì che nel mondo vi siano i migliori presupposti per la sua conservazione e che nulla venga a mancare. L’Inno a Zeus

che segue è di Cleante (morto verso il 232 a.C.) ed è un esempio sommo della religiosità stoica.

Gloriosissimo tra gli immortali, dai molti nomi, sempre onnipossente, Zeus, principio della natura, che tutte le cose con legge governi, salve! È giusto infatti che tutti i mortali si rivolgano a te, poiché da te siamo nati (…).
A te questo cosmo tutto, che si volge attorno alla terra obbedisce ovunque tu lo conduca e di buon grado a te si sottomette (…). Nulla avviene sulla terra senza di te, o nume, né sotto la divina volta celeste, né sul mare, tranne quanto compiono i malvagi nella loro demenza.
Ma tu sai rendere perfette anche le cose smodate e ordinare le cose disordinate, poiché ciò che non è amico diventa per te amico. Tutte le cose hai congiunto in unità, buone e cattive, in modo che per tutte le cose ci fosse un unico Lògos sempre presente, lui che, fuggendo, abbandonano quanti mortali sono malvagi (…).
Ma tu Zeus, donatore di ogni cosa, dio delle oscure nubi e della folgore scintillante, libera gli uomini dalla funesta ignoranza; bandiscila, Padre, dall’anima e permetti di ottenere conoscenza, con la quale governi ogni cosa secondo sicura giustizia.
Così onorati da te possiamo noi onorarti in cambio, cantando incessante le tue opere, come spetta a un mortale: poiché non c’è altro premio maggiore né per i mortali né per gli dèi che celebrare sempre secondo giustizia la comune legge.
“O Natura tutto viene da te, tutto è in te” (Marco Aurelio, Pensieri)

L’ultimo stoicismo, proprio dell’età imperiale, raggiunge i vertici amministrativi con Marco Aurelio. L’imperatore filosofo riafferma con forza il monismo panteistico. Egli ha conosciuto i cristiani e, sebbene il suo pensiero non dipenda da loro, entrambi attingono elementi del proprio rispettivo messaggio da un ambiente culturale ormai in trasformazione.

La natura universale… è la più antica delle divinità (9,1).
Quello che giova al Tutto è sempre bello e opportuno (12,23).
Per me, o natura, è sacro tutto quello che arrecano le tue stagioni: tutto viene da te, tutto è in te, tutto torna a te (4,23; confronta la Lettera ai Romani 11,36).
Tutte le cose formano un insieme organico… Uno infatti è il mondo che risulta da esse, uno il Dio che le pervade, una la sostanza, una la legge, uno il lògos comune a tutti gli esseri pensanti, una la verità. Una sarà quindi la perfezione di tutti gli esseri che hanno un’origine uguale e che partecipano dello stesso lògos (7,9; confronta la Lettera agli Efesini 4,4-6).
La natura universale non può portarti nulla che non ti sia sopportabile (8,46; confronta la Prima Lettera ai Corinzi, 10,13).

 


SPUNTI OPERATIVI 

 

1.    Riprendi i riferimenti alle lettere di San Paolo che compaiono nel testo di Marco Aurelio e metti in evidenza gli elementi di affinità tra il pensiero stoico e la predicazione cristiana.

2. In quali tradizioni religiose qui presentate appare più evidente l’identificazione tra la divinità e la natura?

3. Cerca nel sito dell’Unione Buddista Italiana (www.buddhismo.it) degli elementi per la comprensione buddista della natura.

 

 http://www.rivistadireligione.it/rivista/articolo.aspx?search=mjPoPxlzvvfNaFF7CPHBeFXwpCa9rLVx